30 aprile 2014

Don Giovanni (39) - "Già la mensa è preparata"

Scritto da Christian

Tutto è apparecchiato (è proprio il caso di dirlo) per il gran finale. Siamo infatti a casa di Don Giovanni, con il libertino che siede alla tavola imbandita per gustarsi la ricca cena servita da Leporello, mentre alcuni musicisti – presenti "diegeticamente" sul palco – suonano per intrattenerlo. Come dicevo qualche post fa, i personaggi sembrano già aver dimenticato quello che è accaduto poco prima al cimitero, e di certo Don Giovanni non si attende che la statua del Commendatore, da lui invitata a cena, si possa presentare davvero. L'atmosfera è dunque giocosa, quasi goliardica, e ad essa contribuisce la partitura di Mozart che, con la collaborazione del librettista Lorenzo Da Ponte, si permette persino alcune strizzatine d'occhio al pubblico dell'epoca, riprendendo musicalmente (ed esplicitamente, visto che Leporello le riconosce e commenta al riguardo) tre arie di opere liriche rappresentate nei mesi immediatamente precedenti e assai popolari fra i viennesi: "Una cosa rara" (1786) di Vicente Martín y Soler su libretto dello stesso Da Ponte (la "cosa rara" del titolo, per la cronaca, è la fedeltà coniugale); "Fra i due litiganti il terzo gode" (1782) di Giuseppe Sarti, con libretto basato su "Le nozze" di Carlo Goldoni; e persino "Le nozze di Figaro" (1786) dello stesso Mozart (con Leporello che, udendo le note della popolarissima aria "Non più andrai, farfallone amoroso", commenta ironicamente: "Questa poi la conosco pur troppo").

Ma prima di parlar di ciò, riflettiamo – come preannunciato – sulla collocazione cronologica di questa scena. Al cimitero Don Giovanni aveva affermato "ancor non sono le due della notte", eppure aveva poi invitato la statua a cena per "questa sera". E che si parlasse della sera del giorno stesso, e non – per esempio – del giorno successivo, lo aveva confermato il Commendatore, quando aveva minacciato Don Giovanni che avrebbe finito di ridere "pria dell'aurora". Come se ne esce? Ecco una possibile spiegazione:

Con l'atto sacrilego commesso da Don Giovanni il tempo, il suo tempo, si è fermato, e la scena finale, che può essere anche vista come un'allucinazione, si svolge in un tempo non più reale, ma mitico, il tempo eterno del giudizio universale. Nella sala preparata per mangiare ("Già la mensa è preparata"), Don Giovanni crede di vivere ancora nel presente (infatti i musici suonano alla sua tavola, per allietare la sua ultima cena, tre estratti di opere contemporanee, la terza delle quali è una citazione dell'ultimo successo di Mozart stesso), ma in realtà è già catapultato, senza ch'egli lo sappia, in una dimensione sovratemporale, o meglio atemporale. Ed è proprio questa proiezione a conferire alla scena, dopo l'estremo, vano appello di Donna Elvira – "cangiar vita"! – un carattere insieme irreale, eroico e mitico, avvolgendo il cavaliere in un'aura metafisica che lo estranea dalla sua più propria facoltà: quella di bruciare il tempo senza farlo mai arrestare.
(Sergio Sablich)
Il menù della cena è di tutto rispetto: fagiano (che Leporello adocchia con invidia, soprattutto guardando l'appetito con cui il suo padrone lo divora) e Marzemino, un vino dell'Italia del Nord (in particolare del Trentino) che era certamente ben noto a Vienna, visto che quelle regioni facevano parte dell'impero austriaco (d'altro canto, è forse improbabile che fosse esportato fino in Spagna, dove si svolge l'opera). Fa certo sorridere come il libretto associ le melodie delle tre celebri arie succitate a quella che non è che una schermaglia banale fra Don Giovanni e Leporello, con quest'ultimo che cerca di mangiare un pezzo di fagiano all'insaputa del suo padrone, che invece se ne accorge e si prende gioco di lui. In un certo senso Da Ponte e Mozart stanno scherzando con il pubblico e con i propri "concorrenti", ma anche con sé stessi, visto che nella scena è inserita anche il tema del loro maggior successo precedente!

Questo clima è interrotto (con la musica che si riappropria della sua originalità, ponendo fine alla prolungata gag citazionista) dall'improvvisa irruzione di Donna Elvira, disperatamente decisa a concedere al libertino un'ultima possibilità di redenzione. Naturalmente questi non può accettare, anzi si fa beffe di lei e la invita ironicamente a unirsi ai suoi bagordi. È qui che Don Giovanni declama la celebre frase "Vivan le femmine! Viva il buon vino! / Sostegno e gloria d'umanità", che potrebbe essere il suo motto, una sorta di "credo filosofico tutto mondano". Leporello, dal canto suo, ha empaticamente pietà di Donna Elvira ("Quasi da piangere / mi fa costei"), al punto da unirsi a lei nel rivolgersi al padrone con un accusatorio "Cor perfido!".

Mentre si sta allontanando, Elvira lancia un forte grido che allarma i due uomini: sull'uscio ha infatti incontrato la statua del Commendatore che sta presentandosi all'appuntamento (più tardi, nel sestetto finale, quando Leporello spiegherà agli altri personaggi cos'è accaduto, Donna Elvira commenterà: "Ah, certo è l'ombra che m'incontrò"). Il servitore, in preda alla paura, si rifugia sotto il tavolo, lasciando Don Giovanni da solo a fronteggiare il "convitato di pietra".
L'insistenza di questa scena sul tema del cibo e dell'ingordigia di Don Giovanni può far pensare a una traccia di antichi rituali mortuari: il libertino sta in realtà consumando il suo pasto funebre. Certo è proprio il tema del cibo a sancire la barriera fra i due mondi: "Non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste".
(Franco Bergamasco)

Clicca qui per il testo del brano.

DON GIOVANNI
Già la mensa è preparata.
(ai suonatori)
Voi suonate, amici cari:
giacché spendo i miei danari,
io mi voglio divertir.
(siede a mensa)
Leporello, presto in tavola!

LEPORELLO
Son prontissimo a servir.

(I servi portano in tavola. I suonatori cominciano a suonare "Una cosa rara", e Don Giovanni mangia)

LEPORELLO
Bravi! "Cosa rara".

DON GIOVANNI
Che ti par del bel concerto?

LEPORELLO
È conforme al vostro merto.

DON GIOVANNI
Ah, che piatto saporito!

LEPORELLO
(Ah, che barbaro appetito!
Che bocconi da gigante!
Mi par proprio di svenir.)

DON GIOVANNI
(Nel vedere i miei bocconi
gli par proprio di svenir.)
(a Leporello)
Piatto!

LEPORELLO
Servo.

(i musicisti suonano "Fra i due litiganti il terzo gode")

LEPORELLO
Evvivano i "Litiganti"!

DON GIOVANNI
Versa il vino.
(Leporello versa il vino nel bicchiere)
Eccellente marzimino!

LEPORELLO
(Questo pezzo di fagiano
piano piano vo' inghiottir.)

DON GIOVANNI
(Sta mangiando quel marrano;
fingerò di non capir.)

(i musicisti suonano "Le nozze di Figaro")

LEPORELLO
Questa poi la conosco pur troppo!

DON GIOVANNI
(lo chiama senza guardarlo)
Leporello!

LEPORELLO
(risponde con la bocca piena)
Padron mio.

DON GIOVANNI
Parla schietto, mascalzone!

LEPORELLO
Non mi lascia una flussione
le parole proferir.

DON GIOVANNI
Mentre io mangio, fischia un poco.

LEPORELLO
Non so far.

DON GIOVANNI
Cos'è?

LEPORELLO
Scusate.
Sì eccellente è il vostro cuoco,
che lo volli anch'io provar.

DON GIOVANNI
(Sì eccellente è il cuoco mio,
che lo volle anch'ei provar.)

DONNA ELVIRA
(entrando affannosa)
L'ultima prova
dell'amor mio
ancor vogl'io
fare con te.
Più non rammento
gl'inganni tuoi:
pietade io sento...

DON GIOVANNI E LEPORELLO
Cos'è, cos'è?

DONNA ELVIRA
(s'inginocchia)
Da te non chiede,
quest'alma oppressa,
della sua fede
qualche mercé.

DON GIOVANNI
Mi meraviglio!
Cosa volete?
Se non sorgete
non resto in piè.
(s'inginocchia davanti a Donn'Elvira, con affettazione)

DONNA ELVIRA
Ah, non deridere
gli affanni miei!

LEPORELLO
(Quasi da piangere
mi fa costei.)

DON GIOVANNI
Io te deridere?
Cielo! Perché?
Che vuoi, mio bene?

DONNA ELVIRA
Che vita cangi.

DON GIOVANNI
Brava!

DONNA ELVIRA
Cor perfido!

DON GIOVANNI
Lascia ch'io mangi.
E, se ti piace,
mangia con me.
(torna a sedere, a mangiare e a bere)

DONNA ELVIRA
Réstati, barbaro,
nel lezzo immondo:
esempio orribile
d'iniquità.

LEPORELLO
(Se non si muove
del suo dolore,
di sasso ha il core,
o cor non ha.)

DON GIOVANNI
Vivan le femmine!
Viva il buon vino!
Sostegno e gloria
d'umanità!

DONNA ELVIRA
(esce, poi rientra mettendo un grido orribile)
Ah!
(fugge attraverso un'altra porta)

DON GIOVANNI E LEPORELLO
Che grido è questo mai?

DON GIOVANNI
(a Leporello)
Va' a veder che cosa è stato.

LEPORELLO
(esce e, prima di tornare, mette un grido ancor più forte)
Ah!

DON GIOVANNI
Che grido indiavolato!
Leporello, che cos'è?

LEPORELLO
(entra spaventato e chiude l'uscio)
Ah!... signor... per carità...
non andate fuor... di qua...
L'uom... di... sasso... L'uomo... bianco...
Ah, padrone! Io gelo... Io manco...
Se vedeste... che figura...
Se sentiste... come fa:
(imitando i passi della statua)
ta, ta, ta, ta...

DON GIOVANNI
Non capisco niente affatto.

LEPORELLO
Ta, ta, ta, ta...

DON GIOVANNI
Tu sei matto in verità.

(si sente battere alla porta)

LEPORELLO
Ah! sentite!

DON GIOVANNI
Qualcun batte:
apri!

LEPORELLO
Io tremo...

DON GIOVANNI
Apri, ti dico!

LEPORELLO
Ah!

DON GIOVANNI
Apri!

LEPORELLO
Ah!...

DON GIOVANNI
Matto! Per togliermi d'intrico,
ad aprir io stesso andrò.
(piglia il lume e va ad aprire)

LEPORELLO
(Non vo' più veder l'amico:
pian pianin m'asconderò.)
(si nasconde sotto la tavola)



Samuel Ramey (Don Giovanni), Ferruccio Furlanetto (Leporello), Julia Varady (Donna Elvira),
dir: Herbert von Karajan (1987)


Wojtek Drabowicz (Don Giovanni), Kwanchul Youn (Leporello), Véronique Gens (Donna Elvira),
dir: Bertrand de Billy (2009)


Gabriel Bacquier, Donald Gramm, Pilar Lorengar,
dir: Richard Bonynge (1968)

George London, Walter Berry, Sena Jurinac,
dir: Rudolf Moralt (1955)


Tornando alle arie suonate dall'orchestrina alla cena di Don Giovanni, eccole qui nella loro versione originale. Di "Come un agnello" (un brano che evidentemente gli piaceva) Mozart scrisse anche una serie di variazioni per pianoforte.


"O quanto in sì bel giubilo"
da "Una cosa rara"
di Vicente Martín y Soler

"Come un agnello"
da "Fra i due litiganti il terzo gode"
di Giuseppe Sarti

25 aprile 2014

Don Giovanni (38) - "Non mi mir, bell'idol mio"

Scritto da Christian

Prima del gran finale in casa di Don Giovanni, c'è ancora tempo per un interludio che vede protagonisti Donna Anna e Don Ottavio. Quest'ultimo, come sempre, cerca di consolare la sua amata, assicurandole che ben presto otterrà la giusta vendetta, e prova a convincerla ad abbandonare finalmente il lutto, proponendole di sposarlo. Ma Donna Anna è davvero inconsolabile. Per la prima volta Ottavio sembra perdere la pazienza, e sbotta: "E che! Vorresti, con indugi novelli, accrescer le mie pene? Crudele!". Con dolcezza Anna rifiuta quell'epiteto, e spiega ad Ottavio il proprio tormento interiore: il dolore per la morte del padre non è ancora placato, e le impedisce di dare sfogo al proprio amore per lui (c'è anche un accenno alle convenzioni sociali, o forse semplicemente alle circostanze infauste volute dal destino: "Il mondo... oddio..."). A suo modo l'aria che intona è un'aria d'amore, oltre che un modo per comunicare la propria sofferenza e la propria inquietudine.

L'atmosfera oppressiva si protrae nella "camera tetra" in cui Donna Anna e Don Ottavio, ormai essi stessi quasi simulacri di morte, meditano ancora sulla vendetta e sull'illusione del loro triste amore: la grande aria di Donna Anna "Non mi dir, bell'idol mio", preceduta da un recitativo accompagnato non meno che scultoreo, ha il sapore di un definitivo congedo dalle speranze di questo mondo. Nient'affatto esiziale per la costruzione architettonica complessiva, essa ha la funzione di separare la scena del cimitero dalla scena ultima non solo per motivi di banale verosimiglianza drammatica (permettere a Don Giovanni di rincasare) ma anche per accrescere l'attesa della inevitabile resa dei conti, incrementando la tensione con un episodio apparentemente estraneo, se non straniante: curioso che molti commentatori illustri, a cominciare da Hector Berlioz, l'abbiano giudicata addirittura con indignazione.
(Sergio Sablich)
Preceduta per l'appunto da un recitativo accompagnato (con l'orchestra che ne anticipa il tema melodico), l'aria di Donna Anna è grandiosa, un vero pezzo di bravura per soprano che musicalmente ricorda la sacralità delle arie introspettive della Contessa ne "Le nozze di Figaro", in particolare "Dove sono i bei momenti". Come quella, è divisa in due sezioni: la prima lenta e solenne, la seconda (con cadenza virtuosistica) più rapida e ricca di colorature. Gli ultimi due minuti del brano (da 6:02 in poi, nel primo video qui sotto), che tessono a dismisura la breve frase "Forse un giorno il cielo ancora / sentirà pietà di me", trascinando per oltre venti secondi la singola parola "sentirà" (6:41-7:02) e culminando nel vibrato finale (a 7:38), fanno davvero venire i brividi!

A dire il vero, fu proprio questa "cavatina" finale a provocare lo sdegno di Berlioz, che nelle sue memorie la definì come "una macchia sul brillante lavoro [di Mozart]", perché "un brano di intensa tristezza, dove tutta la poesia dell'amore trova sfogo nel lamento e nelle lacrime [...] degenera senza preavviso in musica di tale inanità e volgarità da far dubitare che sia opera della stessa persona. Sembra quasi che Donna Anna asciughi improvvisamente le sue lacrime ed esploda in una secca buffonaggine". Berlioz probabilmente condivideva il parere dei critici francesi suoi contemporanei, che fra l'altro ritenevano plausibile che Mozart avesse inserito la coloratura soltanto per soddisfare le ambiziose esigenze della soprano di turno. In realtà si tratta di un fraintendimento che mette in luce la diversa concezione della musica operistica a distanza di oltre mezzo secolo. Come spiega bene Benjamin Perl nel suo saggio "Mozartian Undercurrents in Berlioz", per Mozart e il suo pubblico (e in un certo senso, anche per il pubblico odierno) le colorature di Donna Anna non erano passaggi di virtuosismo fini a sé stessi ma rappresentavano "l'espressione di emozioni profonde e inesprimibili, di voglie insoddisfatte, e forse persino (in un'interpretazione Hoffmaniana) di un inconscio desiderio di morte". Come cambia il linguaggio dell'opera! Oggi possiamo apprezzare allo stesso modo Mozart e Rossini, Verdi e Puccini; ma dalla seconda metà dell'ottocento il "bel canto", i suoi barocchismi e le sue astrazioni avevano perso decisamente il favore del pubblico e della critica a favore del realismo romantico e poi del verismo drammatico, e l'opinione di Berlioz ne è una testimonianza.

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

DON OTTAVIO
Calmatevi, idol mio: di quel ribaldo
vedrem puniti in breve i gravi eccessi.
Vendicati sarem.

DONNA ANNA
Ma il padre, oddio!...

DON OTTAVIO
Convien chinare il ciglio
al volere del cielo.
Respira, o cara!
Di tua perdita amara
fia domani, se vuoi, dolce compenso
questo cor, questa mano...
che il mio tenero amor...

DONNA ANNA
Oh, dèi! che dite...
In sì tristi momenti...

DON OTTAVIO
E che! Vorresti,
con indugi novelli,
accrescer le mie pene?
Crudele!

DONNA ANNA
Crudele?
Ah, no, mio bene!
Troppo mi spiace
allontanarti un ben che lungamente
la nostr'alma desia...
Ma il mondo... oddio...
Non sedur la mia costanza
del sensibil mio core!
Abbastanza per te mi parla amore.

Clicca qui per il testo del brano.

DONNA ANNA
Non mi dir, bell'idol mio,
che son io crudel con te:
tu ben sai quant'io t'amai,
tu conosci la mia fé.
Calma, calma il tuo tormento,
se di duol non vuoi ch'io mora.
Forse un giorno il cielo ancora
sentirà pietà di me.
(parte)

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

DON OTTAVIO
Ah, si segua il suo passo:
io vo con lei dividere i martìri.
Saran meco men gravi i suoi sospiri.
(parte)




Edda Moser


Lucia Popp


Renée Fleming


Joan Sutherland


Maria Callas


Edita Gruberova


Marinella Devia


Lisa Della Casa

Anna Netrebko

20 aprile 2014

Don Giovanni (37) - "O statua gentilissima"

Scritto da Christian

Ed eccoci alla scena del cimitero, snodo fondamentale della vicenda, che impone "una terrificante svolta al clima drammatico e musicale", allontanandolo ancora di più dagli stilemi dell'opera buffa che avevano caratterizzato, almeno in parte, molte sequenze precedenti. Avevamo perso di vista Don Giovanni, allontanatosi ancora vestito con i panni di Leporello, e lo ritroviamo ora, nel pieno della notte, in un luogo insolito: "un cimitero circondato da un muro", specifica il libretto, con "diversi monumenti equestri, fra cui quello del Commendatore". Il "chiaro di Luna" che illumina la scena conferisce all'ambientazione un'atmosfera spettrale, la più adatta per riportare in primo piano quel tema della morte con cui avevamo avuto a che fare nell'incipit dell'opera (con l'uccisione del Commendatore, appunto, per mano di Don Giovanni) e che avevamo un po' perso di vista negli sviluppi successivi o, al limite, ritrovato in chiave edulcorata e con i toni della farsa, per esempio nel corso delle peripezie e delle disavventure di Leporello.

È in questo luogo che Don Giovanni si rincontra con il suo servitore e i due possono finalmente riscambiarsi gli abiti. Il cavaliere racconta di aver avuto, nelle ore precedenti, diverse avventure "donnesche", e ne svela a Leporello "la più bella", ovvero l'incontro ravvicinato con una ragazza che lo ha scambiato per lui (evidentemente anche il servo ha le sue "amiche"!). Il tentativo di approfittare della situazione gli è andato male (è destino, a quanto pare, che nel corso di questa giornata gli approcci di Don Giovanni non vadano mai a buon fine) ma sembra comunque averlo appagato e divertito, visto che ride di gusto al ricordo dell'impresa. Con la sua risata, in un luogo "sacro" come il cimitero, Don Giovanni non si prende gioco soltanto della lealtà, della morale e delle leggi degli uomini, ma anche della legge divina. Ed è la voce della statua del Commendatore, proveniente dall'oltretomba, a redarguirlo, suscitando terrore in Leporello ma poco più che curiosità nel libertino. In effetti, è significativo il diverso atteggiamento di Don Giovanni e di Leporello di fronte all'ignoto e al soprannaturale: per tutta la scena, in contrasto con la paura del servo, Don Giovanni si mostra sprezzante ("O vecchio buffonissimo") e quasi indifferente persino di fronte a un accadimento fantastico e miracoloso come quello di una statua sepolcrale che si muove e parla.

Già, perché di fronte al monumento funebre del Commendatore che gli si rivolge con voce cavernosa ("Ribaldo, audace, lascia a' morti la pace") e lo minaccia di un'imminente punizione ("Di rider finirai pria dell'aurora") – due interventi di cui Mozart sottolinea la metafisicità accompagnandoli con tromboni e fagotti, a differenza del semplice basso continuo del recitativo secco – il nostro protagonista non sembra scomporsi più di tanto, come se scegliesse di non adeguarsi a questa nuova dimensione sovrannaturale che irrompe all'improvviso nell'opera; e addirittura, con un atteggiamento a metà fra il gioco e la sfida, ordina a Leporello di invitare a cena la statua. Cosa che il servo farà, fra timore dell'ignoto, insolita deferenza ("O statua gentilissima...") e comica puntualizzazione ("Badate ben, non io..."). Che la statua risponda, accettando l'invito, sconvolge il servo ma non il padrone, che si limita a giudicare "Bizzarra è inver la scena" e semplicemente ordina "A prepararla [la cena] andiamo". Poco dopo, quando lo ritroveremo a casa, sembra già aver dimenticato del tutto l'accaduto, tanto che la tavola non è apparecchiata per due ma per uno solo.

Una nota a margine sull'orario: "Ancor non sono le due della notte", afferma Don Giovanni nel recitativo. Eppure ordina a Leporello: "Digli che questa sera / lo attendo a cenar meco". Che l'invito sia per la sera stessa è evidente: la cronologia temporale sembra perdere significato dal momento in cui il fantastico è entrato in scena. Ne riparleremo più avanti, quando appunto giungeremo a questa "ultima cena".

Con la scena del cimitero [...] entra in azione l'elemento soprannaturale, sotto la forma del demoniaco luciferino: ed è del tutto ovvio che l'ambientazione cambi rispetto a quanto finora accaduto. È un cambiamento improvviso, inopinato, prima di tutto di timbri e di atmosfere: la lugubre voce sepolcrale scandisce le parole fatali "Di rider finirai pria dell'aurora" accompagnata da due oboi, due clarinetti, due fagotti e tre tromboni. È un po' come se una sequenza di immagini a colori vivaci si mutasse repentinamente in un livido bianco e nero. La rigida fissità della statua del Commendatore dà alla scena movenze spettrali, quasi bloccate in una misteriosa attesa: per la prima volta la vitalità di Don Giovanni sembra arrestarsi e tacere. Si percepisce in lui una dose di insofferenza, di sorpresa stupefatta mista a curiosità, quando affida a Leporello il compito di comunicare con il morto. L'invito a cena è una reazione quasi istintiva ("Parlate, se potete..."), un modo per uscire da una situazione non solo bizzarra ma anche grottesca.
(Sergio Sablich)
Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

DON GIOVANNI
(entra scavalcando il muro, ridendo)
Ah! ah! ah! ah! questa è buona!
Or lasciala cercar. Che bella notte!
È più chiara del giorno: sembra fatta
per gir a zonzo a caccia di ragazze.
È tardi? Oh, ancor non sono
le due della notte.
Avrei voglia un po' di saper come è finito
l'affar tra Leporello e Donn'Elvira:
s'egli ha avuto giudizio...

LEPORELLO
(di dentro, ad alta voce)
(Alfin vuole ch'io faccia un precipizio.)

DON GIOVANNI
È desso. Oh, Leporello!

LEPORELLO
(dal muro)
Chi mi chiama?

DON GIOVANNI
Non conosci il padron?

LEPORELLO
Così no 'l conoscessi!

DON GIOVANNI
Come? Birbo!

LEPORELLO
Ah, siete voi. Scusate.

DON GIOVANNI
Cosa è stato?

LEPORELLO
Per cagion vostra, io fui quasi accoppato.

DON GIOVANNI
Ebben, non era questo un onore, per te?

LEPORELLO
Signor, ve 'l dono.

DON GIOVANNI
Via, via, vien qua:
che belle cose ti deggio dir!

LEPORELLO
Ma cosa fate qui?

DON GIOVANNI
Vien dentro, e lo saprai.
(Leporello passa il muro e cambia mantello e cappello con Don Giovanni)
Diverse istorielle,
che accadute mi son da che partisti,
ti dirò un'altra volta;
or la più bella ti vo' solo narrar.

LEPORELLO
Donnesca, al certo.

DON GIOVANNI
C'è dubbio?
Una fanciulla bella, giovin, galante,
per la strada incontrai. Le vado appresso,
la prendo per la man: fuggir mi vuole.
Dico poche parole: ella mi piglia
sai per chi?

LEPORELLO
Non lo so.

DON GIOVANNI
Per Leporello.

LEPORELLO
Per me?

DON GIOVANNI
Per te.

LEPORELLO
Va bene.

DON GIOVANNI
Per la mano ella allora mi prende.

LEPORELLO
Ancora meglio.

DON GIOVANNI
M'accarezza, mi abbraccia:
«Caro il mio Leporello... Leporello mio caro...».
Allor m'accorsi ch'era qualche tua bella.

LEPORELLO
(Oh, maledetto!)

DON GIOVANNI
Dell'inganno approfitto. Non so come
mi riconosce: grida. Sento gente,
a fuggir mi metto, e, pronto pronto,
per quel muretto in questo loco io monto.

LEPORELLO
E mi dite la cosa
con tale indifferenza?

DON GIOVANNI
Perché no?

LEPORELLO
Ma se fosse
costei stata mia moglie?

DON GIOVANNI
Meglio ancora!
(ride)

COMMENDATORE
Di rider finirai pria dell'aurora.

DON GIOVANNI
Chi ha parlato?

LEPORELLO
Ah! qualche anima
sarà dell'altro mondo,
che vi conosce a fondo.

DON GIOVANNI
Taci, sciocco!
Chi va là? chi va là?
(mette mano alla spada)

COMMENDATORE
Ribaldo audace!
Lascia a' morti la pace.

LEPORELLO
Ve l'ho detto...

DON GIOVANNI
Sarà qualcun di fuori che si burla di noi...
Ehi! Del Commendatore non è questa la statua?
Leggi un poco quella iscrizion.

LEPORELLO
Scusate...
non ho imparato a leggere
a' raggi della luna...

DON GIOVANNI
Leggi, dico!

LEPORELLO
(legge)
«Dell'empio che mi trasse al passo estremo
qui attendo la vendetta»...
(a Don Giovanni)
Udiste?... Io tremo!

DON GIOVANNI
O vecchio buffonissimo!
Digli che questa sera
l'attendo a cena meco.

LEPORELLO
Che pazzia! Ma vi par... Oh, dèi! mirate
che terribili occhiate egli ci dà.
Par vivo! par che senta,
par che voglia parlar...

DON GIOVANNI
Orsù, va' là,
o qui t'ammazzo e poi ti seppellisco.

LEPORELLO
Piano, piano, signore: ora ubbidisco.

Clicca qui per il testo del brano.

LEPORELLO
(alla statua)
O statua gentilissima
del gran Commendatore...
(a Don Giovanni)
Padron, mi trema il core:
non posso terminar...

DON GIOVANNI
Finiscila, o nel petto
ti metto quest'acciar!

LEPORELLO
(Che impiccio! che capriccio!
Io sentomi gelar.)

DON GIOVANNI
(Che gusto! che spassetto!
Lo voglio far tremar.)

LEPORELLO
(alla statua)
O statua gentilissima
benché di marmo siate...
(a Don Giovanni)
Ah, padron mio, mirate
che séguita a guardar.

DON GIOVANNI
Mori, mori!

LEPORELLO
No, no, attendete.
(alla statua)
Signor, il padron mio...
badate ben, non io...
vorria con voi cenar...
(la statua china la testa)
Ah! ah! ah! che scena è questa!...
oh, ciel! chinò la testa!

DON GIOVANNI
Va' là, che se' un buffone...

LEPORELLO
Guardate ancor, padrone...

DON GIOVANNI
E che deggio guardare?

LEPORELLO
Colla marmorea testa
ei fa... così... così...
(imita la statua)

DON GIOVANNI
Colla marmorea testa
ei fa così... così...
(alla statua)
Parlate, se potete!
Verrete a cena?

COMMENDATORE
Sì.

LEPORELLO
Mover mi posso appena.
Mi manca, oh, dèi! la lena!
Per carità, partiamo,
andiamo via di qua.

DON GIOVANNI
Bizzarra è inver la scena!
Verrà il buon vecchio a cena.
A prepararla andiamo,
partiamo via di qua.



Cesare Siepi (Don Giovanni), Otto Edelmann (Leporello), dir: Wilhelm Furtwangler (1954)


Bryn Terfel (Leporello), Peter Mattei (Don Giovanni), dir: Daniel Barenboim (2011)


Ildebrando D'Arcangelo (Leporello), Carlos Álvarez (Don Giovanni), dir: Riccardo Muti (1999)


Ruggero Raimondi (Don Giovanni), José van Dam (Leporello), dir: Lorin Maazel (1979)

15 aprile 2014

Don Giovanni (36) - Donna Elvira, la passione

Scritto da Marisa

Come entra in scena Donna Elvira? Andando alla disperata ricerca dell'uomo che l'ha fatta innamorare, ha promesso di sposarla (o forse l'ha fatto, ma solo sulla parola – “mi dichiari tua sposa” – come è costume di Don Giovanni che vediamo fare la stessa promessa a Zerlina) e dopo soli tre giorni l'ha abbandonata senza nemmeno una parola di scuse o di commiato, lasciandola in preda alla più crudele delusione, ma non per questo meno innamorata... Infatti che cos'è quella rabbia terribile che la porta a giurare di volergli “strappare il cor”, se non lo stesso sentimento bruciante che trasforma l'amore in odio persecutivo ma pronto a ritornare amore al minimo gesto di lusinga?
A nulla purtroppo serve l'intervento pedagogico di Leporello che le sciorina l'intero catalogo delle imprese del padrone, aprendole gli occhi sulle sue abitudini e sull'ars amandi collaudata su ogni tipo di donna e di ogni età. A rendere il catalogo più completo c'è persino la mappa (“in Italia... in Almagna... in Francia... in Turchia... in Ispagna...”) in cui le avventure si consumano, e questo nomadismo completa il carattere di Don Giovanni aggiungendo alla frenesia amatoria l'irrequietezza di chi ha anche l'urgenza di spostarsi sempre più in là. È praticamente sempre in moto e sulla pista di nuove prede, in pieno accordo con il suo archetipo: Dioniso che viaggiava continuamente col suo seguito di satiri e menadi.

L'odio però è solo momentaneo e l'altra faccia della medaglia. In realtà non prende mai piede come avviene in altre donne, tipo Medea o Fedra, in cui l'amore tradito si trasforma veramente in odio implacabile e scatena vendette terribili. In Donna Elvira si tratta soltanto di una copertura che giustifica il suo inseguimento e la porta a sottrarre Zerlina all'inganno (forse più per gelosia che per autentico desiderio di salvare una ragazza ingenua), pronta a dare nuovamente credito al minimo cenno di corteggiamento e di riconquista, con tale prontezza e credulità da far scoppiare dal ridere lo smaliziato Leporello, pur abituato alle prodezze più impensate e ciniche del padrone. Invano Elvira cercherà anche di redimerlo e di portarlo al pentimento: è un'impresa impossibile, perché non ha capito che la natura dell'uomo che ama è completamente diversa dalla sua (che prevede una continuità nell'amore) e che per Don Giovanni la parola “pentimento” non ha alcun senso. Egli è impegnato solo a vivere del godimento del presente e a non fare nessun caso sia del passato che del futuro, costellazione per cui non ci può essere né ripensamento e quindi correzione degli errori (che lui non vede mai come tali) né progetti veri o impegni per il futuro con senso di responsabilità, come vorrebbe Donna Elvira, parola ignota al libertino.

Elvira stessa, in una delle pagine più alte di pathos della psicologia femminile, sostenuta da una musica drammatica e struggente assai adatta a simile confessione (“Mi tradì quell'alma ingrata...”), ammette che nonostante i ripetuti tradimenti non può fare a meno di sentire pietà – leggi “amore” – per l'ingrato. Ma l'innamoramento di Donna Elvira è totalmente altro di quello di Don Giovanni. Per lei possiamo parlare di amore-passione totalizzante, una condizione dell'anima che è stata risvegliata da un incontro e che, costi quel che costi, non può essere più spenta né trasferita perché si è messo in moto un processo che, come una freccia, vuol andare diritta al suo scopo.

Che Donna Elvira non sappia o non possa fare tesoro dell'esperienza, come avviene a Zerlina che esce dall'infatuazione non appena la realtà mostra la vera natura del nobile seduttore (e per fortuna il suo cuore è già sostanzialmente occupato da Masetto), ma sia sempre e perdutamente innamorata, è il suo destino e la sua natura, l'elemento che la rende così com'è. E quest'amore può soltanto alla fine, con la scomparsa di Don Giovanni, trasformarsi in un progetto spirituale (dichiara infatti che andrà in convento), mai trasferirsi ad un altro uomo. La situazione di Donna Elvira è anche molto diversa da quella di Donna Anna, che in Don Ottavio ha pur sempre un compagno in grado di soddisfare i bisogni del sentimento, mentre l'estasi erotico-sensuale che le è stata rivelata da Don Giovanni la rende ambivalente.

Per Donna Elvira l'incontro con Don Giovanni ha rappresentato l'esperienza estatica e totalizzante che la psiche femminile incontra una sola volta nella vita. E come Psiche nella dimora incantata di Eros, immersa nel piacere ma con la proibizione di conoscere l'identità dell'amato, vive i primi tre giorni dell'idillio nel completo abbandono di un amore di cui non conosce ancora il vero volto. A differenza di Psiche però, che dopo le difficili prove e il dolore riesce a riconquistare Eros ad un livello più alto, per Elvira Don Giovanni è irrecuperabile. Il suo cammino rimane solitario e può affidarsi solo ad una completa sublimazione. Come suggerisce Rilke, lei è destinata a diventare una di quelle eroine d'amore per le quali la via della realizzazione concreta è preclusa e devono perciò compiere un cammino spirituale, guidate da quell'amore che trasforma perché rivela il suo vero senso nel diventare una freccia aperta all'infinito...

10 aprile 2014

Don Giovanni (35) - “Mi tradì quell'alma ingrata”

Scritto da Christian

Dei tre brani scritti da Mozart per la ripresa viennese dell'opera, il recitativo e aria di Donna Elvira "Mi tradì quell'alma ingrata" è senza dubbio il pezzo più pregevole, oltre a svolgere una funzione psicologica fondamentale per il personaggio, che esprime tutto il coacervo dei suoi sentimenti: rabbia e rancore verso Don Giovanni, che l'ha tradita, ma anche l'incapacità di smettere di amarlo e di provare pietà per la sua sorte. Lungi dal trasformare il personaggio in una macchietta, il testo ne amplifica la tragica umanità. Se in precedenza Elvira ci era parsa in preda a un cieco furore e dunque facilmente manipolabile (visto anche come cadeva con estrema semplicità nell'inganno dello scambio di abiti fra Don Giovanni e Leporello), qui si presenta sì tormentata, ma ben consapevole del "contrasto di affetti che in sen le nasce", e dunque recupera un po' di quella dignità e di quell'amor proprio che erano stati messi a dura prova nelle scene precedenti. Saranno proprio questi sentimenti che la porteranno, nel finale del secondo atto, a voler offrire a Don Giovanni una "ultima prova", stavolta senza possibilità di appello.

Il brano (preceduto da un intenso e struggente recitativo accompagnato, "In quali eccessi, o numi"), fu scritto da Mozart il 30 aprile del 1788, giusto una settimana prima della recita viennese (che avvenne il 7 maggio), appositamente per il celebre soprano Caterina Cavalieri che interpretava in quell'occasione la parte di Elvira. Come l'animo del personaggio oscilla fra amore e desiderio di vendetta, anche la musica è oscillante e ondeggiante, con la parte vocale caratterizzata da un largo uso della coloratura. Pare che fu proprio la Cavalieri a sollecitare il compositore a inserire una "aria di bravura" per mettere in scena il proprio talento. Come nel caso dell'analoga aria aggiuntiva di Don Ottavio, "Dalla sua pace", poco importa se questi brani sembrano rallentare l'azione drammatica: è giusto offrire una pausa allo spettatore in attesa che la vicenda riprenda a pieno ritmo con la successiva, fondamentale, scena del cimitero.

Clicca qui per il testo del brano.

DONNA ELVIRA
In quali eccessi, o numi,
in quai misfatti orribili, tremendi,
è avvolto il sciagurato!
Ah, no, non puote tardar l'ira del cielo,
la giustizia tardar!
Sentir già parmi la fatale saetta
che gli piomba sul capo!
Aperto veggio il baratro mortal...
Misera Elvira,
che contrasto d'affetti in sen ti nasce!
Perché questi sospiri? E queste ambasce?

Mi tradì, quell'alma ingrata:
infelice, oddio! mi fa.
Ma, tradita e abbandonata,
provo ancor per lui pietà.
Quando sento il mio tormento,
di vendetta il cor favella;
ma se guardo il suo cimento,
palpitando il cor mi va.



Kiri Te Kanawa


Maria Callas


Lucia Popp


Barbara Frittoli


Joyce DiDonato


Véronique Gens

Andrea Rost

5 aprile 2014

Don Giovanni (34) - “Per queste tue manine”

Scritto da Christian

Per la prima rappresentazione del "Don Giovanni" a Vienna (il 7 maggio 1788, oltre sei mesi dopo quella di Praga), come già ricordato, Da Ponte e Mozart apportarono diverse modifiche al libretto e alla partitura. Oltre ad eliminare alcuni brani, gli autori ne aggiunsero ben tre completamente nuovi, quasi sicuramente su richiesta dei cantanti che facevano parte della compagnia viennese. Due di questi (le arie "Dalla sua pace" per Don Ottavio, K. 540a, e "Mi tradì quell'alma ingrata" per Donna Elvira, K. 540c), con i relativi recitativi, sono ormai entrati a far parte stabile della tradizione esecutiva, perfettamente "integrati" nella struttura originaria dell'opera. Meno felice è stata invece la sorte del duetto fra Leporello e Zerlina "Per queste tue manine" (K. 540b), composto a fine aprile per il basso-baritono Francesco Benucci (che per Mozart fu anche il primo Figaro) e per il mezzosoprano Luisa Mombelli. Questo pezzo, che drammaturgicamente parlando va a sostituire l'aria di Ottavio "Il mio tesoro intanto", non ha mai fatto presa né sul pubblico né sui critici: prova ne è che non viene praticamente mai eseguito (con rare eccezioni) nelle odierne rappresentazioni dell'opera.

In effetti, l'intera scena ("più che comica, smaccatamente farsesca", scrive Sablich), che vede impegnati "in lazzi funambolici" Leporello, Zerlina (in preda a una vera e propria furia vendicativa) e un contadino di passaggio, rappresenta ancor più della sequenza precedente (quella del sestetto) un ingiustificato abbassamento di tono della vicenda drammatica di Don Giovanni, ormai assente dal palco da troppo tempo. Nel sestetto, almeno, anche se non sul palco, Don Giovanni era comunque "presente" nelle menti di tutti: questa scena invece è davvero un puro e semplice riempitivo comico, che esce completamente dal focus dell'opera. Facile comprendere come mai i moderni allestimenti tendano a ignorarla, nonostante musicalmente si tratti comunque di un frammento del grande corpus d'opera mozartiano, e dunque meritevole di attenzione a prescindere.

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

ZERLINA
(con coltello alla mano, conduce fuori Leporello per i capelli)
Restati qua.

LEPORELLO
Per carità, Zerlina!

ZERLINA
Eh! non c’è carità pei pari tuoi.

LEPORELLO
Dunque cavar mi vuoi...

ZERLINA
I capelli, la testa, il cor e gli occhi!

LEPORELLO
Senti, carina mia...
(Vuol farle alcune smorfie)

ZERLINA
Guai se mi tocchi!
Vedrai, schiuma de’ birbi,
qual premio n’ha chi le ragazze ingiuria.

LEPORELLO
(Liberatemi, o Dei, da questa furia!)

ZERLINA
(chiamando verso la scena)
Masetto, olà, Masetto!
Dove diavolo è ito... Servi, gente!
Nessun vien... nessun sente.
(Si trascina dietro Leporello per tutta la scena)

LEPORELLO
Fa piano, per pietà, non trascinarmi
a coda di cavallo.

ZERLINA
Vedrai, vedrai come finisce il ballo!
Presto qua quella sedia.

LEPORELLO
Eccola!

ZERLINA
Siedi!

LEPORELLO
Stanco non son.

ZERLINA
(Tira fuori dalla saccoccia un rasoio)
Siedi, o con queste mani
ti strappo il cor e poi lo getto ai cani.

LEPORELLO
Siedo, ma tu, di grazia,
metti giù quel rasoio.
Mi vuoi forse sbarbar?

ZERLINA
Sì, mascalzone!
Io sbarbare ti vo’ senza sapone.

LEPORELLO
Eterni Dei!

ZERLINA
Dammi la man!

LEPORELLO
La mano?

ZERLINA
L’altra.

LEPORELLO
Ma che vuoi farmi?

ZERLINA
Voglio far... voglio far quello che parmi!
(Lega le mani a Leporello con un fazzoletto)

Clicca qui per il testo del brano.

LEPORELLO
Per queste tue manine
candide e tenerelle,
per questa fresca pelle,
abbi pietà di me!

ZERLINA
Non v’è pietà, briccone;
son una tigre irata,
un aspide, un leone
no, no, non v’è pietà.

LEPORELLO
Ah! di fuggir si provi...

ZERLINA
Sei morto se ti movi.

LEPORELLO
Barbari, ingiusti Dei!
In mano di costei
chi capitar mi fe’?

ZERLINA
Barbaro traditore!
Del tuo padrone il core
avessi qui con te.
(Lo lega con una corda, e lega la corda alla finestra)

LEPORELLO
Deh! non mi stringer tanto,
l’anima mia sen va.

ZERLINA
Sen vada o resti, intanto
non partirai di qua!

LEPORELLO
Che strette, o Dei, che botte!
E giorno, ovver è notte?
Che scosse di tremuoto!
Che buia oscurità!

ZERLINA
Di gioia e di diletto
sento brillarmi il petto.
Così, così, cogli uomini,
così, così si fa.
(parte)

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

LEPORELLO
(ad un contadino che passa in fondo della scena)
Amico, per pietà,
un poco d’acqua fresca o ch’io mi moro!
Guarda un po’ come stretto mi legò l’assassina!
(Il contadino parte)
Se potessi liberarmi coi denti...
Oh, venga il diavolo a disfar questi gruppi!
Io vo’ veder di rompere la corda.
Come è forte! Paura della morte!
E tu, Mercurio, protettor de’ ladri,
proteggi un galantuomo Coraggio!
(Fa sforzi per sciogliersi, cade la finestra ove sta legato il capo della corda)
Bravo! Pria che costei ritorni
bisogna dar di sprone alle calcagna,
e trascinar, se occorre una montagna.
(Corre via trascinando seco sedia e finestra)

ZERLINA
(entra, conducendo con sé Donna Elvira)
Signora, andiam. Vedrete in qual maniera
ho concio il scellerato.

DONNA ELVIRA
Ah! sopra lui si sfoghi il mio furore.

ZERLINA
Stelle! in qual modo si salvò il briccone?

DONNA ELVIRA
L’avrà sottratto l’empio suo padrone.

ZERLINA
Fu desso senza fallo. Anche di questo
informiam Don Ottavio; a lui si spetta
far per noi tutti, o domandar vendetta.




Ildebrando D'Arcangelo (Leporello), Eirian James (Zerlina)


Marcos Fink (Leporello), Im Sun-hae (Zerlina)


Gabriel Bacquier, Lucia Popp

Donald Gramm, Marilyn Horne