Il Principe Azzurro simboleggia il maschile dentro la donna, l'Animus, il proprio cavaliere interno che bisogna attivare per liberare un femminile troppo passivo e prigioniero delle paure e delle convenzioni di millenni di cultura patriarcale, che da una parte vuole la donna debole e sottomessa, incapace di badare a sé stessa, ma dall'altra la idealizza come madre affettuosa e dolce, sposa fedele, angelo della casa.
26 dicembre 2010
Turandot (20) - Una lettura intrapsichica/2
Vediamo ora la storia dalla parte di “lei”.
Da sempre le donne sono portate a credere nel Principe Azzurro e ad aspettarlo per risolvere i loro problemi. Questo è un equivoco pieno di disastrose conseguenze. Rende la donna passiva e la relega in un ruolo subordinato all'attività dell'uomo, sentito come salvatore e dispensatore di amore e di vita. È vero che nelle favole c'è sempre un Principe Azzurro a risvegliare la Bella Addormentata e risolvere la situazione, e nei miti compare un giovane Eroe pronto ad affrontare il Drago per ucciderlo e liberare la principessa, ma dopo l'insegnamento di Jung a queste storie bisogna finalmente dare un significato simbolico e imparare a leggerle come passaggi fondamentali "intrapsichici", legati cioè all'intima storia di ogni donna e alla sua emancipazione da una situazione infantile e dipendente a una "adulta" e padrona di sé stessa e della totalità delle proprie risorse.
Il Principe Azzurro simboleggia il maschile dentro la donna, l'Animus, il proprio cavaliere interno che bisogna attivare per liberare un femminile troppo passivo e prigioniero delle paure e delle convenzioni di millenni di cultura patriarcale, che da una parte vuole la donna debole e sottomessa, incapace di badare a sé stessa, ma dall'altra la idealizza come madre affettuosa e dolce, sposa fedele, angelo della casa.
Nella fiaba di Turandot ci sono due figure femminili che rappresentano due atteggiamenti diametralmente opposti, ciascuno dei quali può prevalere anche nella realtà. Ci può essere la donna più vicina a Liù, amorevole e sottomessa ma serva del sistema patriarcale, probabilmente reiterando il modello materno, che ha rimosso la parte autonoma e che vive all'ombra dell'uomo attraverso la propria dedizione, per accorgersi spesso di non essere mai amata per sé stessa ma solo per i suoi servizi. In "Donne che amano troppo" di Robin Norwood (ed. Feltrinelli) troviamo un'ampia descrizione di tale tipo di donna e della coazione del suo reiterato comportamento di non riconoscimento di sé stessa e delle proprie esigenze. Si spera sempre che l'altro cambi per darci tutto l'amore e il riconoscimento di cui abbiamo bisogno. E poi c'è il tipo di donna più vicina a Turandot, ribelle e spavalda, competitiva e fiera della propria testa, ma come congelata e priva di eros (che ha completamente rimosso), a cui capita spesso di sfidare gli uomini e costringerli a superarla per accedere a lei. Ma così facendo non può che disprezzare quelli più deboli che si lasciano sopraffare, e praticamente si offre al più forte e prepotente, riconfermando paradossalmente la logica patriarcale della superiorità maschile e ripermettendo proprio quella violenza che voleva evitare. In ogni caso non si esce dalla spirale di violenza e di lotta tra i sessi.
In genere siamo in presenza di un "complesso paterno" che condiziona la scelta. Spesso c'è un padre debole o assente (nel caso della donna simile a Liù) e la ragazza cerca quindi la protezione dell'uomo, in sostituzione della carenza paterna, sottomettendosi. Oppure, se ha avuto un padre violento, ripete l'esperienza traumatica, pensando che questo sia l'unico destino della donna, seguendo ovviamente l'esempio materno e cercando persino di superarla in masochismo... Nel caso opposto, il complesso paterno si manifesta con un padre forte e autoritario con gli altri ma debole con la figlia amatissima, che vizia troppo e che quindi cresce spavalda e "saputella", senza una madre in grado di contrastare un Edipo così marcato. Si tratta in entrambi i casi di personalità unilaterali, di aspetti che bisogna sacrificare per uno sviluppo più armonico e fecondo. E per operare la trasformazione, deve entrare in gioco un aspetto nuovo: non più il padre ma un maschile interno, appassionato e amico del femminile, un'energia che non colluda con il buonismo e la convenzionalità, in grado di tener testa e di risolvere i problemi veri o fittizi che l'io femminile arrabbiato e vendicativo si pone, per condurre a un vero amore di sé stessa, senza il quale non è possibile nemmeno amare gli altri.
Sembra che ormai non si possa più far ricorso al modello tradizionale della madre, perché da troppo tempo questa rappresenta solo uno stereotipo e rinforza l'assetto della famiglia patriarcale rendendo alle figlie molto difficile uno sviluppo autentico, e quindi bisogna trovare una strada ancora sconosciuta, percorrere una nuova avventura della coscienza per superare uno schema che non regge alla crisi del patriarcato e alla rabbia della ragazza che non si rassegna ad essere "conquista" dell'uomo. Occorre quindi che sia la donna stessa ad attivare le proprie energie "maschili" interne (rappresentate da Calaf, l'eroe positivo) per risolvere i conflitti e ritrovare un'integrità che permetta lo sviluppo di tutta la personalità, in cui l'eros non deve più essere disgiunto conflittualmente dal logos. Solo così, con il sostegno e la riunificazione col proprio cavaliere interno (il vecchio mito platonico dell'unità originaria da riconquistare, simboleggiata dalla figura dell'ermafrodito e che in oriente ritroviamo rappresentato nell'unione mistica di Shiva e Parvati), potranno scomparire sia la parte troppo sottomessa, sempre a rischio abbandonico, sia la parte arroccata in una difesa armata. La nuova donna sarà pronta sia a vivere con coraggio senza appoggiarsi continuamente all'uomo, sia – avendo ritrovato una vera autostima e amore per sé stessa – ad aprirsi a un'autentica reciprocità.
Il Principe Azzurro simboleggia il maschile dentro la donna, l'Animus, il proprio cavaliere interno che bisogna attivare per liberare un femminile troppo passivo e prigioniero delle paure e delle convenzioni di millenni di cultura patriarcale, che da una parte vuole la donna debole e sottomessa, incapace di badare a sé stessa, ma dall'altra la idealizza come madre affettuosa e dolce, sposa fedele, angelo della casa.
17 dicembre 2010
Turandot (19) - Una lettura intrapsichica/1
Inoltre si può leggere l'intera vicenda in modo più allargato e includervi tutta la storia del passaggio violento dal matriarcato al patriarcato, con le tragiche conseguenze di progressivo irrigidimento della coscienza su un atteggiamento di "lotta, vittoria, conquista, sopraffazione" e un inevitabile rancore che piano piano aumenta fino a diventare opposizione altrettanto violenta, vendicativa e distruttiva. Lungi dal tornare indietro alla fase matriarcale, la fiaba indica una soluzione di autentica ricomposizione del conflitto instaurando un nuovo modello di rispetto reciproco e di armonia.
Questo discorso vale anche per la violenza perpetrata sulla natura e ci indica, se non vogliamo subirne le vedette di inaridimento progressivo e sterilità che ci stanno minacciando, la strada per un recupero ponendoci "sotto" la natura in modo intelligente e amorevole e non continuando a sfruttarla con arrogante egoismo.
Ma una fiaba si può e si deve leggere anche a livello intrapsichico, tenendo cioè presente l'individuo e i suoi conflitti interni, come se tutta la vicenda riguardasse un solo personaggio e la fiaba fosse una specie di drammatizzazione del suo problema; un vero e proprio sogno da interpretare.
Evidentemente la madre è morta. Qui si dà per scontato, ma nella fiaba di Carlo Gozzi è detto esplicitamente che la vecchia regina, moglie di Timur, non ha retto ai disagi dell'esilio e al dolore della presunta perdita del figlio, ed è morta. Spesso nelle fiabe assistiamo al motivo della morte della madre (Biancaneve, Cenerentola...) e a volte il suo posto viene preso da una matrigna cattiva. Più precoce è l'avvenimento, maggiori sono i danni, passando dalla madre idealizzata come fata alla strega, perché la coscienza del bambino non ha potuto ancora riunire le due immagini, passando attraverso la fase depressiva della consapevolezza che si tratta dei due aspetti della stessa madre.
Qui la madre "strega" non compare mai, perché sembra si sia trattato di una madre solo "buona", a pieno servizio della famiglia, del marito e del figlio, dei "suoi uomini" insomma.
Il figlio non conosce altro aspetto del femminile e, nella crisi, di colpo si accorge che la madre tanto amata è solo un riflesso del padre, non ha un suo vero centro autonomo in quanto vive solo come custode di quei valori patriarcali da cui è anche protetta e quindi non è portatrice di "altro", di un vero punto di vista lucido e intelligente. Quindi per lui è come morta, ma è l'unico tipo di donna che conosce e che gli viene riproposto nella variante della "brava ragazza" che basa la sua vita sull'accudimento e la dedizione (Liù), che apprezza ma di cui non può innamorarsi. Manca qualcosa che lui non conosce ma che la sua anima presagisce e a cui anela. A questo punto il disorientamento e la disperazione possono essere grandi.
Se le cose vanno bene (tanti ci hanno provato e si sono persi, come i principi che ci hanno rimesso la testa...) l'uomo scopre che tutto l'impegno d'intelligenza non basta. Dopo aver capito i problemi posti dalla propria Anima trascurata e arrabbiata (gli enigmi da risolvere), bisogna fare un atto di fede e sottomissione, lasciando ad essa il tempo di riconciliarsi e di tornare ad amare, affinché il recupero e l'integrazione siano possibili. Solo allora, dopo un lungo colloquio interno, quando l'Io ha perso la sua arroganza ed è pronto a riconoscere ai valori dell'Anima la vera autonomia, emerge l'uomo nuovo, sensibile e intelligentemente propositivo, non più infantilmente legato ai genitori, con un nuovo centro e quindi un nuovo "regno". Ricongiunto alla propria “principessa interna”, è ora pronto ad affrontare la vita e la relazione con la donna adulta alla pari, con una completezza e una forza rinnovata.
La riunione con la propria parte psichica controsessuale era anche la meta finale del processo alchemico nel Rosarium Philosophorum, in cui, dopo le vicende di morte e rinascita della coppia regale, col ritorno della luce vediamo l'apparizione del Rebis, l'immagine vittoriosa dei due ormai fusi in un unico essere, a significare l'unità interiore ritrovata e l'integrazione della personalità.
11 dicembre 2010
Turandot (18) - La nuova coppia
È un atto straordinario, soprattutto se pensiamo che avviene dopo aver ottenuto l'ammissione dell'innamoramento da parte della stessa Turandot e dopo l'audacia dimostrata baciandola quasi di forza. Non basta infatti la resa se questa comporta ancora una ferita perché c'è ancora squilibrio, e Turandot che si dichiara vinta si vergogna del suo amore come di una debolezza. Perciò è necessario che Calaf rinunci per la terza volta e aspetti che il cambiamento sia consolidato attraverso una nuova possibilità e un nuovo rischio.
È importante anche evidenziare la ricorrenza del numero tre in tutta l'opera: Calaf chiede per tre volte di affrontare la prova, gli enigmi sono tre, le tentazioni sono tre e per tre volte Calaf rischia la vita (le ultime due su sua ulteriore iniziativa dopo la vittoria).
Il tre diventa quattro perché ognuno dei componenti ha integrato il proprio lato controsessuale e questo ha un corrispettivo esterno adeguato: l'uomo si pone con la sua funzione animica in rapporto alla donna che ama senza pretendere di dominarla con la forza, e la donna accetta l'amore senza dover competere e difendersi con l'Animus. Si tratta, per dirla con Jung, di una vera coniunctio, il matrimonio perfetto a quattro.
Va ricordato e sottolineato che entrambi erano partiti piuttosto male e in condizioni di notevole difficoltà. Calaf era fuggiasco e isolato dopo aver perso un regno, e Turandot era isolata nel suo odio che metteva in pericolo la continuità stessa di tutto l'impero. Si può dire quindi che entrambi erano estraniati dal loro centro più vitale, perché il maschile di Calaf era estraniato dal centro del potere e dell'azione (dopo secoli di dominio da parte della coscienza orientata secondo un principio maschile che si sta sgretolando), mentre il femminile di Turandot era congelato e imprigionato da un Animus che la estraniava dall'eros. Per fortuna l'apparizione quasi fortuita di Turandot ha attivato immediatamente un impulso irresistibile alla riconquista, attraverso l'amore, di tutto ciò che era stato ottenuto con la forza e che ora risulta perso. Solo la tenace "intelligenza dell'Anima" del giovane principe riesce a portare a termine l'impresa e tutto il regno ne esce rinnovato.
Clicca qui per il testo del finale.
CALAFSei mia! Mia!
TURANDOT
Questo chiedevi. Ora lo sai.
Più grande vittoria non voler!
Parti, straniero, col tuo mister!
CALAF
Il mio mistero?
Non ne ho più! Sei mia!
Tu che tremi se ti sfioro,
tu che sbianchi se ti bacio,
puoi perdermi se vuoi!
Il mio nome e la vita insiem ti dono!
Io sono Calaf, figlio di Timur!
TURANDOT
So il tuo nome! So il tuo nome!
CALAF
La mia gloria è il tuo amplesso!
TURANDOT
Odi! Squillan le trombe!
CALAF
La mia vita è il tuo bacio!
TURANDOT
Ecco! È l'ora! È l'ora della prova!
CALAF
Non la temo!
TURANDOT
Ah! Calaf, davanti al popolo con me!
CALAF
Hai vinto tu!
(Appare l’esterno pittoresco del palazzo imperiale. Sopra un’alta scalea, al centro della scena, l’imperatore, circondato dalla corte, dai dignitari, dai sapienti, dai soldati. Ai due lati del piazzale, in vasto semicerchio, l’enorme folla.)
LA FOLLA
Diecimila anni al nostro Imperatore!
TURANDOT
Padre augusto,
conosco il nome dello straniero!
Il suo nome è... Amor!
LA FOLLA
Amor! O sole! Vita! Eternità!
Luce del mondo e amore!
Ride e canta nel sole
l'infinità nostra felicità!
Gloria a te! Gloria a te! Gloria!
Luciano Pavarotti, Joan Sutherland
Placido Domingo, Ghena Dimitrova | Gianfranco Cecchele, Birgit Nilsson |
Sergej Larin, Giovanna Casolla
7 dicembre 2010
Turandot (17) - Il disgelo
Non avevamo mai visto Calaf così furente: anzi sì, all'inizio dell'opera, quando si scaglia in difesa del giovane principe di Persia che viene portato al patibolo, maledicendo Turandot; ma poi, da quando ha visto il verginale incanto della principessa, è tutto preso dalla speranza della vittoria. Ora esce dall'estatica contemplazione e dal compito intellettuale di risolutore di enigmi e tira fuori una capacità d'azione che spiazza completamente Turandot, che cerca di difendersi rifugiandosi nei vecchi schemi del suo ruolo ("Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono. Son la figlia del Cielo, libera e pura"). Calaf accorcia improvvisamente le distanze e passa dalla quasi aggressione al bacio (l'eterna somiglianza tra lotta ed amore, il profondo legame tra Ares ed Afrodite) e, nonostante le richieste di non essere profanata, Turandot cede allentando le ultime resistenze e si abbandona, non prima di aver sussurrato: "Che è mai di me? Perduta!". È un'affermazione molto importante perché segna la fine e quindi la morte della parte ostile di Turandot, che non potrà mai più essere come prima, fine che procede parallelamente alla morte di Liù. Dal punto di vista psicologico quindi le morti in realtà sono due e sono entrambe necessarie per far sorgere la "nuova" donna, libera dalla dipendenza di Liù ma anche dalla freddezza e dall'odio di Turandot. È la misteriosa ma profonda realtà della trasformazione, che passa sempre attraverso la morte: se non muore qualcosa della vecchia personalità non potrà nascere quella nuova, e qui le parti da sacrificare erano due, entrambe eccessive, unilaterali e non relate tra di loro.
Oramai è l'alba e l'approssimarsi del sole segna la fine delle tenebre come oscuramento della coscienza. E il canto dei fanciulli consacra il connubio tra "luce" e "vita", riprendendo il profetico tema dell'inizio, mentre Calaf esulta "Mio fiore mattutino!".
Clicca qui per il testo di "Principessa di morte!".
CALAFPrincipessa di morte!
Principessa di gelo!
Dal tuo tragico cielo
scendi giù sulla terra!
Ah, solleva quel velo!
Guarda, crudele,
quel purissimo sangue
che fu sparso per te!
TURANDOT
Che mai osi, straniero!
Cosa umana non sono!
Son la figlia del Cielo,
libera e pura.
Tu stringi il mio freddo velo
ma l'anima è lassù!
CALAF
La tua anima è in alto,
ma il tuo corpo è vicino!
Con le mani brucianti stringerò
i lembi d'oro del tuo manto stellato.
La mia bocca fremente premerò su di te...
TURANDOT
Non profanarmi!
CALAF
Ah, sentirti viva!
TURANDOT
Indietro!
CALAF
Il gelo tuo è menzogna!
TURANDOT
No, mai nessun m'avrà!
CALAF
Ti voglio mia!
TURANDOT
Dell'ava lo strazio
non si rinnoverà! Ah, no!
CALAF
Ti voglio mia!
TURANDOT
Non mi toccar, straniero!
È un sacrilegio!
CALAF
No, il bacio tuo
mi dà l'eternità!
TURANDOT
Sacrilegio!
Che è mai di me? Perduta!
CALAF
Mio fiore! Oh, mio fiore mattutino!
Mio fiore, ti respiro!
I seni tuoi di giglio,
ah, treman sul mio petto!
Già ti sento mancare di dolcezza,
tutta bianca nel tuo manto d'argento...
TURANDOT
Come vincesti?
CALAF
Piangi?
TURANDOT
È l'alba! Turandot tramonta!
I RAGAZZI
L'alba! Luce e vita! Tutto è puro!
GLI UOMINI
L'alba! Luce e vita!
Principessa, che dolcezza nel tuo pianto!
CALAF
È l'alba! E amore nasce col sole!
I RAGAZZI
Tutto è santo! Che dolcezza nel tuo pianto!
TURANDOT
Che nessun mi veda,
la mia gloria è finita!
CALAF
No! Essa incomincia!
TURANDOT
Onta su me!
CALAF
Miracolo! La tua gloria risplende
nell'incanto del primo bacio,
del primo pianto!
TURANDOT
Del primo pianto. Ah! Del primo pianto!
Sì, straniero, quando sei giunto,
con angoscia ho sentito il brivido fatale
di questo mal supremo.
Quanti ho visto morire per me!
E li ho spregiati. Ma ho temuto te!
C'era negli occhi tuoi la luce degli eroi.
C'era negli occhi tuoi la superba certezza.
E t'ho odiato per quella!
E per quella t'ho amato!
Tormentata e divisa fra due terrori uguali:
vincerti o esser vinta.
E vinta sono!
Ah! Vinta, più che dall'alta prova,
da questa febbre che mi vien da te!
Placido Domingo, Ghena Dimitrova
Luciano Pavarotti, Joan Sutherland | Franco Corelli, Lucille Udovich |
3 dicembre 2010
Turandot (16) - La morte di Liù
C'è un poeta che è particolarmente affascinato dalle eroine d'amore, soprattutto da quelle non ricambiate, facendone un modello e uno dei motivi preferiti della sua poetica: Rainer Maria Rilke. Esse sono l'esempio più puro della superiorità del sentimento libero e gratuito, il canto fine a sé stesso, l'amare senza aspettarsi di essere riamati, e ancora la vera possibilità di affinare la capacità d'amare come espressione dell'espansione dell'anima. Nella prima Elegia duinese leggiamo:
(...) ”Ma se ti struggi così, canta le innamorate.
Certo, non è ancora abbastanza immortale il loro sentimento famoso.
Canta di loro, delle abbandonate, tu quasi le invidi,
che ti parvero tanto più amanti delle placate.
Riprendila sempre l'irraggiungibile celebrazione;
pensa: l'eroe perdura, financo la morte per lui
fu soltanto pretesto per essere: la sua ultima nascita.
Ma l'eroine d'amore se le riprende in sé l'esausta Natura
come se non ci fossero forze due volte, per compiere questo.
Hai cantato abbastanza di Gaspara Stampa, che una qualche fanciulla
cui sfugga l'amato, all'esempio esaltato di questa innamorata,
senta: posso essere anch'io come lei?
Tanto antichi dolori, non dovrebbero, ormai,
diventar più fecondi per noi? Non è tempo che amando,
ci liberiamo dall'essere amato, lo reggiamo fremendo:
come la freccia regge la corda, tutta raccolta nel balzo,
per superarsi? Ché non si può restare, in nessun dove.” (...)
(R. M. Rilke, Elegie duinesi, trad. Enrico e Igea De Portu, ed. Einaudi)
Certo conosciamo un canzoniere più perfetto, quello del Petrarca (a cui chiaramente si è ispirata Gaspara Stampa), anch'esso un canto d'amore irraggiungibile e impossibile, ma sembra che Rilke si commuovesse di più per la giovane donna morta a 31 anni, consumata da una febbre che non era solo quella del corpo. "L'eroine d'amore se le riprende in sé l'esausta natura...": la morte giovane, dunque, come suggello dello struggimento dell'anima.
Sicuramente l'amore di Liù è grande, e nel confronto con la potente principessa, quando le viene chiesto l'origine di tanta forza, non esita a riconoscerlo: "Tanto amore segreto, e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore...". Turandot ne rimane molto turbata perché è la prima volta che il suo odio per l'uomo incontra un sentimento altrettanto forte, ma in chiave opposta: una donna che testimonia che si può amare quello che lei considera il nemico più crudele della donna, fino a morirne. Certo, lei ha visto uomini accettare la morte per il suo amore, ma la situazione era molto diversa: i giovani principi innamorati sfidavano consapevolmente la morte, correndo un rischio che per loro aveva almeno una chance, la speranza di vittoria, mentre l'amore di Liù è ormai senza speranza e fino ad ora del tutto "segreto e inconfessato". Ma paradossalmente, finché era segreto e inconfessato, quando accompagnava il vecchio re Timur nell'esilio, una speranza c'era; e questa speranza crolla proprio nel momento in cui rivela il suo amore, perché è ormai evidente che Calaf, perdutamente innamorato di Turandot pur vedendola così crudele, non potrà mai corrispondere e accettare il suo amore. Ed è questo il vero motivo del suicidio: il crollo della speranza. Liù ha dimostrato di essere abbastanza forte da saper resistere persino alle torture, e il non rivelare il nome le è anzi "suprema delizia", perché può "tenerlo segreto e possederlo io sola!". E quindi non è vero che muore per non rivelare il nome: muore per non assistere fino in fondo alla vittoria che pur sta concorrendo a preparare.
Lo dice chiaramente alla fine della seconda struggente aria: "(...) Io chiudo stanca gli occhi perché egli vinca ancora... per non... per non vederlo più!", e questo "per non vederlo più" viene ripetuto per ben due volte. Quindi Liù muore perché non regge di vedere la realizzazione dell'amore tra Calaf e Turandot, e questo la rende molto più umana e meno eroica. La ricollega inoltre al personaggio originario dell'opera di Carlo Gozzi, dove non c'è Liù ma Adelma, una principessa che dopo la sconfitta del padre è stata asservita e ora fa parte delle ancelle di Turandot; ne conquista anzi la fiducia e la sprona, lusingandone la coerenza e la fermezza, a non cedere al Principe che ha risolto gli enigmi, perché in lui ha riconosciuto proprio il giovane rifugiato nella reggia del padre, da lei amato segretamente perché ritenuto non nobile e quindi non degno. Vedendolo ora di nuovo e sapendolo principe, è presa da tale amore e gelosia da non esitare, pur di averlo, a ordire una serie di inganni che alla fine vengono smascherati; tenta di suicidarsi davanti a Turandot e Calaf, proprio come Liù, ma viene fermata in tempo, cosa che non avviene per Liù. La sostituzione di Adelma con Liù è il cambiamento più importante che Puccini ha richiesto nell'opera di Gozzi, evidentemente per introdurre un'eroina più romantica, in sintonia col suo sentire e più vicina alle altre sue creature. Ma una parte di Adelma rimane viva nella dichiarazione finale di Liù e nella scelta di sottrarsi al fallimento della speranza.
La morte di Liù è invece una resa alla disperazione: vedendo l'impossibilità di distogliere Calaf da Turandot, viene meno il senso stesso della vita che aveva interamente proiettato sull'uomo amato. Viene meno la parte "dipendente", la "schiava d'amore" che, se non c'è altro, un proprio centro autonomo, segna la fine della donna stessa, di tutta la persona. Quante profonde depressioni, vere e proprie morti psichiche, si sono perpetrate in nome di un amore deluso? Ma qui, per fortuna, c'è un contraltare: il sacrificio della parte che vive solo per amore dell'uomo attiva il sentimento dell'altra parte, quella verginale e chiusa, completamente autonoma dall'uomo. E così può avvenire un'integrazione risolutiva del profondo conflitto e della scissione finora in atto. Il sacrificio di Liù non è inutile, e vedremo come l'amore di Liù risorga in Turandot: ma non più come unilaterale dedizione all'altro, bensì come apertura e resa a una forza superiore che riconcilia gli opposti.
Clicca qui per il testo di "Tu che di gel sei cinta".
LIÙTu che di gel sei cinta,
da tanta fiamma vinta
l'amerai anche tu!
Prima di questa aurora,
io chiudo stanca gli occhi,
perché egli vinca ancora...
per non vederlo piu!
(Prende di sorpresa un pugnale a un soldato e si trafigge a morte. Barcolla in mezzo al terrore di tutti e va a cadere ai piedi del principe.)
Maria Callas | Renata Tebaldi |
Elisabeth Schwarzkopf | Montserrat Caballé |