Eppure le due sequenze, così come le due opere, presentano anche parecchie differenze. Il significato della morte del personaggio femminile, innanzitutto, è ben diverso: Mimì rappresenta la giovinezza di coloro che le sopravvivono, il passato oggetto di ricordo e di rimpianto (la sua storia d'amore con Rodolfo, di fatto, era già finita: nell'ultimo atto viene rievocata solo per nostalgia), una dinamica della vita che è destinata a concludersi prima o poi in maniera del tutto naturale; mentre nella "Traviata" c'è una lettura etica (attraverso il tema del peccato e della redenzione) che nella "Bohème" è completamente assente (i personaggi dell'opera di Puccini non sono mai sfiorati da questioni morali, se non per prendersene gioco come nella scena con Benoît, dove si ergono a paladini di una fedeltà coniugale che non è mai stata in cima ai loro pensieri). Certo, in un qualche senso anche Mimì e Musetta sono "cortigiane" al pari di Violetta, ovvero dispensano amore per guadagnarsi – anche se solo per brevi periodi – condizioni di vita più agiate: ma non ne provano colpa, né nella loro cerchia sono accusate di comportamento immorale (se non dagli amanti abbandonati, che comunque abbandonano rapidamente l'ira e il rancore per tornare a rimpiangerle).
Detto questo, se andiamo alle fonti (ovvero ai drammi francesi che costituiscono il materiale di partenza per i rispettivi libretti), scopriamo che i legami fra "La Bohème" e "La Traviata" a livello letterario sono effettivamente molto stretti. Non a caso, a differenza delle opere di Verdi e Puccini (rappresentate per la prima volta rispettivamente nel 1853 e nel 1896), i lavori di Dumas e della coppia Murger-Barrière sono quasi contemporanei.
Nella "Vie de Bohème" [la piece teatrale del 1849], il giovane, ma già esperto autore di vaudevilles, Barrière aveva aiutato Murger a costruire il suo successo personale, sopprimendo ogni elemento scabroso dell’originale e creando una struttura drammatica sulla falsariga del romanzo "La Dame aux Camélias", apparso nel 1848 e ridotto nei mesi successivi a “pièce en cinq acts mêlée de chant”. Lo scartafaccio di Alexandre Dumas fils – da cui Piave trasse "La traviata" per Verdi –, ritenuto immorale, venne bloccato dalla censura e dovette attendere sino al 1852 prima di essere pubblicato, ma nel frattempo circolava in tutti le società letterarie parigine. Il calco realizzato da Barrière è così evidente da risultare incontestabile: Mimì, cortigiana piena di buon cuore, malata, sacrifica i suoi sentimenti per Rodolfo e se ne va a vivere con un visconte onde consentire l’unione dell’amante con Césarine de Rouvre, una giovane e rispettabile vedova. Questo matrimonio è fortemente voluto per amor di convenienza dall’uomo d’affari Durandin, zio di Rodolphe – lo “zio milionario” evocato da Rodolfo nell’opera, che come Germont-père è causa della separazione fra il nipote e la giovane grisette. Nella scena finale ogni equivoco viene chiarito, ma solo nelle ultime battute Durandin tenta di rimediare al male che ha fatto a Mimì, e benedice il matrimonio proprio quando la ragazza muore. [...] Se Barrière e Murger possono precedere Dumas in un ambiente dove trame topiche vengono ampiamente sfruttate, Puccini non poté né volle mettersi in concorrenza con "La Traviata": nel mondo dell’opera si dovevano evitare i calchi troppo evidenti. Del resto seguire il dramma voleva dire accettare la logica in cui s’inseriva come prodotto standard in una tematica di successo (e si pensi al capostipite Musset e alla sua Mimì Pinson). Peraltro nella riduzione del mondo composito del romanzo andò forzosamente smarrita una peculiarità dell’originale, e cioè il preciso riferimento, nei brevi ritratti dei protagonisti, a noti personaggi della cultura e dell’arte parigina del tempo, fra cui Charles Baudelaire e il pittore Champfleury. Questa perdita fece sì che l’opera di Puccini fosse meno vincolata a fatti contingenti e dunque si volgesse a una rappresentazione di tipo simbolico. Da questa universalità il pubblico di tutto il mondo sarebbe poi stato affascinato, anche perché s’identificò con i protagonisti di Puccini: a una simile mèta Murger mai avrebbe potuto tendere. Anche i personaggi del romanzo conquistano alla fine, come il loro creatore, un miglior tenore di vita, il che li induce persino a pronunciare amare considerazioni sul loro passato prossimo, e a identificare con lucido distacco la Bohème con la giovinezza appena trascorsa.(Michele Girardi)
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