Sappiamo che i grandi compositori sceglievano con cura i libretti per le proprie opere, spesso affiancando i librettisti e correggendoli, difendendo il testo contro le censure, fino – nel caso estremo di Wagner – a scriverli in prima persona, non ritenendo nessun altro all'altezza del proprio intento. Bisogna quindi prestare molta attenzione al testo, se si vuol “possedere” l'opera e goderla pienamente, anziché snobbarlo per concentrarsi solo sulle doti vocali dei cantanti o sull'esecuzione orchestrale, come se il libretto fosse un mero pretesto per permettere ai cantanti e direttori d'orchestra di esibire il loro talento. Ricordiamo che l'opera è un miracolo di completezza perché mette insieme teatro, musica, canto, poesia e qualche volta anche la danza, in un godimento che non solo soddisfa il piacere estetico ed emotivo, ma – esattamente come il teatro greco – può educarci sentimentalmente e parlare ai nostri conflitti più profondi contribuendo a quella “catarsi” che è un balsamo, anche se spesso inconscio, per le nostre angosce. “Verdi amò e pianse per tutti noi”, disse Gabriele D'Annunzio alla morte del grande Maestro. E queste parole, incise ancora sulla sua tomba, sono “vere”, al di là di quel che si possa pensare sulla retorica dannunziana...
È evidente, anche per chi dà un'occhiata frettolosa ai libretti, che spesso Verdi ha scelto di musicare drammi pesantemente condizionati dalla figura di un padre, cattivo o buono che sia, e questo, per me che sono una psicanalista, non può non suscitare grande interesse e materia di riflessione. Tra la vita e l'opera di un artista c'è sempre una corrispondenza (scoperta o nascosta) e anche quando sembra che si tratti di pura fantasia, l'artista continua ad elaborare e rappresentare i temi portanti della sua vita in modo tale che il dramma o il conflitto personale tocchino le corde più profonde di tutti gli altri: questo perché riesce a pescare nei recessi di quell'inconscio collettivo che è la matrice portante della psiche di tutti. Così Flaubert poteva dire “Madame Bovary c'est moi!”, e la “Divina Commedia”, oltre che il dramma personale di Dante, la sua crisi e il suo esilio, dà voce immortale a ogni nostro profondo smarrimento nella “selva oscura” della vita, al nostro sentirci esiliati e al senso di perdita di appartenenza, ma anche alla possibilità di una “redenzione” e recupero della salvezza.
In genere, pur essendo entrato nel linguaggio comune, del concetto di “complesso” si ha un'idea molto parziale o quanto meno approssimativa e spesso sbagliata. Se ci si riferisce poi ai due complessi fondamentali che condizionano pesantemente lo sviluppo psichico, quello “di madre” e quello “di padre”, le cose si complicano e ci si confonde, perché nel corso dello sviluppo della psicoanalisi le interpretazioni sono state diverse, a seconda delle scuole e delle correnti anche all'interno dello stesso schieramento teorico. Possiamo dire che un “complesso” è costituito da un nucleo psichico ad alta incidenza emotivo-affettiva, le cui radici sono in massima parte inconsce, e che si rivela soprattutto negli “agiti”, nelle ripetizioni coatte e nelle “narrazioni” deformate e spesso incorreggibili che colorano tutta la vita, costituendo degli illusori “romanzi famigliari” come risposta a vissuti antichi, sepolti nell'inconscio. Gli attuali studi delle neuroscienze, con l'importanza riconosciuta ai circuiti e ai sistemi sottocorticali (basi biologiche dell'inconscio) che si formano ben prima delle connessioni con la corteccia cerebrale, stanno supportando alcune intuizioni della psicoanalisi e cancellandone altre. Sono state rivalutate quelle intuizioni (Otto Rank, Alice Miller, C. G. Jung) che danno priorità e maggior importanza all'ambiente genitoriale e sociale in cui il bambino si trova ad essere catapultato ben prima di poter capire e farsene una ragione, al trauma del parto e alle situazioni di amore, seduzione, maltrattamenti o rifiuto da parte dai genitori, ai vari traumi che possono susseguirsi durante la fanciullezza, anche tenendo conto delle diverse predisposizioni genetiche di ogni individuo. L'inconscio insomma accumula e crea risposte molto prima di una possibile riflessione legata alla coscienza.
Nel “complesso paterno” possiamo individuare almeno tre componenti fondamentali:
1) il rapporto con il padre personale o il suo sostituto;
2) lo spirito del tempo e l'ambiente patriarcale in cui si vive, con le sue usanze, le sue leggi e le sue censure;
3) la forza dell'Archetipo paterno, quell'imago che si può proiettare sulla divinità (il Dio severo dell'Antico Testamento, che comunque rimane nella coscienza cristiana come il “Dio che atterra e suscita” di Manzoni) o su qualsiasi forza transpersonale che incarni il depositario di un destino implacabile. Va da sé che queste raffigurazioni si colorano spesso di sensi di colpa tendendo a credere di meritare in qualche modo di essere puniti.
Nelle opere di Verdi, a guardar bene, queste componenti sono ben presenti tutte e tre.
Non tutti sono padri negativi, anzi ce ne sono alcuni molto affettuosi in senso realmente positivo ("Luisa Miller", "Simon Boccanegra"); chi, nonostante l'affetto, è tanto ligio al senso del dovere e alla ragion di stato da sacrificare il figlio ("I due Foscari", "Aida"); chi è affettuoso in senso troppo esclusivo e possessivo, tanto da causare la rovina della figlia ("Rigoletto"); chi, intrappolato dalla morale borghese, per proteggere la figlia e garantirle la felicità non esita a richiedere ad un'altra un grave sacrificio intromettendosi pesantemente nella vita del figlio ("La Traviata"); chi, per proteggere il figlio da un presunto maleficio di una zingara, non esita a condannarla al rogo, innescando un destino di tragiche vendette ("Il Trovatore"). E poi ci sono padri che alimentano una pesante conflittualità rubando la donna amata al figlio per sposarla essi stessi ("Don Carlo"), od ostacolando inconsideratamente l'amore della figlia solo per motivi dinastici e innescando la futura rovina ("La forza del destino"). Non si può semplicisticamente parlare quindi di “padri cattivi”, ma sicuramente sono tutti padri che determinano il destino dei figli in modo molto pesante e quasi sempre arrivando alla catastrofe.
A volte i figli sono attaccati al padre in modo molto affettuoso o dipendente, come Luisa Miller e Gilda, a volte sono abbastanza staccati, ma legati ai valori del mondo patriarcale e quindi ricattabili (Alfredo, Aida), a volte ambivalenti (Jacopo Foscari, Eleonora), a volte ostili (Don Carlo); ma per tutti il rapporto non risolto col padre è decisivo. E sempre nella totale assenza di figure materne: solo nel “Trovatore” vediamo una madre, ma si tratta di una madre anomala, una strana figura materna che in realtà non è la vera madre e che, anche se ama svisceratamente Manrico, non esita a rinfacciargli le cure che gli ha prodigato e il dolore che accompagna la sua vista che non può non ricordarle il tragico scambio... E comunque, anche qui è il padre, il Conte di Luna, che è all'origine del misfatto che attiva il bisogno di vendetta.
Ricordiamo che, oltre all'importanza della figura del padre reale, per la formazione di un complesso è determinante anche la situazione socio-culturale in cui si vive. E l'Ottocento è stato un secolo ancora completamente ”patriarcale”, rigido e moralmente bigotto, in cui le donne non avevano alcun diritto... Lo spirito del tempo ha sempre, nel bene e nel male, una grande influenza su tutti, ma gli artisti – che hanno una notevole libertà emotiva – spesso con le loro opere ne rivelano le trappole e le conseguenze negative e, attraverso alcune smagliature, riescono ad anticipare tendenze e alternative alla cultura dominante. E Verdi, pur essendo figlio del suo tempo, ha sempre dimostrato grande autonomia e libertà interiore, sfidando spesso la censura bigotta e conservatrice del tempo. Anche nella scelta affettiva ha saputo difendere il proprio amore dalla più o meno dichiarata disapprovazione collettiva, compresa quella del padre adottivo. Si può quindi dire che anche nell'elaborazione del conflitto socio-ambientale di stampo patriarcale dello spirito del tempo Verdi sia uscito vincitore, e la sua energia creativa e forza morale lo hanno posto al di sopra sia di un'adesione più o meno rassegnata che di un atteggiamento adolescenziale di perenne conflittualità e rifiuto rabbioso.
Anche per chi non è credente, nell'inconscio collettivo non può non rimanere traccia di questa terribile “volontà divina” che può piombare in ogni momento distruggendo tutto quello che si credeva appartenere al proprio mondo. E Verdi lo ha sperimentato duramente sulla propria pelle, come Giobbe, quando in un solo anno perse sia la moglie che i due piccolissimi figli! È questo il duro colpo del destino ad opera di un padre sovrapersonale che in modo sotterraneo continua a permeare la sua opera, rendendola così tragicamente potente e risuonando in tutti dal profondo del comune ed oscuro sentire di un destino che può travolgerci da un momento all'altro (“Come in un sol giorno tutto cangiò, l'altar si rovesciò”, dice Rigoletto).
Rigoletto, padre altamente problematico e possessivo, rimane la figura più emblematica e vittima del capovolgimento che il destino opera. Non a caso Verdi voleva che il titolo dell'opera fosse “La maledizione”. Anche costretto dalla censura a cambiare il titolo, il grido che conclude sia il primo che il terzo atto ci dice chiaramente come non si possa sfuggire ad essa. Ed anche nelle opere in cui non è la figura del padre reale a intromettersi nel destino dei figli, il rimando ad una forza oscura ancora più potente è determinante. Si pensi a "La forza del destino", "Otello", "Macbeth", "Nabucco"... Quando non è il padre terreno, ci pensa comunque una forza divina o demoniaca. Siamo ben lontani dal senso benevolo della “Provvidenza” che caratterizza un altro grande dell'Ottocento,
E venendo a parlare di Requiem, come non pensare a Mozart e al complesso paterno che non gli dà tregua, colorando di sé la figura del Commendatore del "Don Giovanni" fino a perseguitarlo (come ha intuito il regista Miloš Forman in una indimenticabile scena del film "Amadeus") nella veste di un inquietante uomo mascherato che gli commissiona, quando è già irreparabilmente malato, proprio una messa da Requiem?
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