28 novembre 2010

Turandot (15) - Le tentazioni

Scritto da Marisa

Ping, Pong e Pang, in qualità di rappresentanti del potere costituito, cercano immediatamente di riportare il giovane entusiasta e sognatore alla prosaicità dell'utile immediato ("Tu che guardi le stelle, abbassa gli occhi"), e lo fanno cercando di sedurlo con quelle tentazioni che sanno essere sempre molto potenti e alle quali in genere nessuno resiste (le proposte che non si possono rifiutare...): sesso, denaro e potere. Gli enigmi erano tre, e tre sono le tentazioni, anzi le pressioni accompagnate da ricompensa.
Per aver salva la vita i ministri propongono al principe di fuggire, lasciando inconclusa la vittoria, e in cambio gli offrono, se è l'amore sensuale quello che cerca, tante bellissime fanciulle ("Guarda, son belle / son belle tra lucenti veli! Corpi flessuosi...").


Al deciso no di Calaf, passano al secondo attacco offrendo ceste di gioielli di ogni tipo, ricchezze e tesori, decantandoli abbondantemente ("Fuochi azzurri! / queste fulgide gemme! / Verdi splendori! / Pallidi giacinti! / Le vampe rosse dei rubini! / Sono gocciole d'astri! / Prendi, è tutto tuo!").
Senza pensarci un attimo, la risposta è un "No!" assoluto e allora si passa alla terza proposta: quella che fa leva sul desiderio di potere e di gloria. "Vuoi la gloria? Noi ti farem fuggir... e andrai lontano con le stelle, verso imperi favolosi!", suggeriscono i ministri a Calaf, mentre tutta la folla lo incita ad accettare e fuggire.
Il giovane eroe ha bisogno di tutto il suo coraggio per liberarsi da quello che gli sembra un incubo ed invoca l'alba, sua alleata, per passare indenne da simili pressioni e riafferma: "Crollasse il mondo, voglio Turandot!". Rimane così fedele alla sua ricerca e al suo cuore. Solo gli spiriti eletti hanno tanta fermezza, e le doti per resistere a tali pressioni non si improvvisano ("So resistere a tutto, fuorché alle tentazioni", diceva Oscar Wilde con la consueta, spietata e ironica verità).


Il tema delle tentazioni all'interno di una prova difficilissima è proprio dei grandi cammini spirituali e non ci si meravigli se oso paragonare Calaf al Buddha e persino al Cristo. Il principe Siddharta diventerà il Buddha (l'illuminato) dopo la famosa notte in cui, sedendo sotto l'albero della conoscenza, riuscì a rimanere completamente calmo e imperturbabile di fronte a Mara, il demone-eros dell'India, che lo assaliva con le visioni scatenate dall'opera richiesta ai tre figli, Turbamento, Estro e Orgoglio, e alle tre figlie, Insoddisfazione, Voluttà e Bramosia. Dal nome dei figli possiamo capire la natura delle tentazioni e vediamo che in fondo sono le stesse che i ministri di Turandot presentano a Calaf. Il Buddha riporterà la vittoria proprio all'alba e tutti gli dei celesti si rallegreranno con lui (Aśvaghoṣa, “Le gesta del Buddha”, ed. Adelphi).
Da Freud sappiamo quanto siano potenti e importanti le pulsioni legate alla sessualità, tanto da aver ridotto tutta la libido a pulsione sessuale attirandosi le feroci critiche dei contemporanei educati secondo la morale ancora ottocentesca (la pubblicazione dell' "Interpretazione dei sogni" inaugura il 1900) e Adler invece imposterà tutta la sua psicologia sulla "volontà di potenza", l'altra grande pulsione, quasi sempre negata ma altrettanto potente.
Jung cercherà di andare oltre, non negando la loro importanza, ma riconoscendo il bisogno ultimo dell'uomo nel trovare la propria realizzazione (il processo di individuazione) non nell'esaudimento immediato né nella rimozione, ma nella trasformazione delle pulsioni istintuali sotto la guida del Sé. Solo pochi si impegnano in questo processo e i grandi campioni dello spirito ne sono i modelli. Nelle tentazioni che Gesù (prima di diventare il Cristo) dovrà affrontare durante i suoi 40 giorni di ritiro nel deserto manca la tentazione del sesso (per lo meno i Vangeli, che rimuovono completamente la sessualità, non ne parlano) e sono invece pressanti quelle del potere, della gloria e dell'orgoglio smisurato fino all'onnipotenza. È comunque importante il fatto che anche Gesù abbia avuto le sue tentazioni da parte dell'Avversario, e solo superandole abbia potuto iniziare la vera missione. Altre tentazioni si ripresenteranno alla fine, per sottolineare la difficoltà della scelta e la drammaticità dell'ultimo sacrificio. Senza di queste il valore etico non esisterebbe e non sarebbe possibile una scelta individuale.

Tornando a Calaf e alle sue tentazioni, questo è il momento in cui si chiarisce meglio la natura del suo trasporto per Turandot e si delinea che quello che sta avvenendo è soprattutto un percorso individuativo e spirituale, perché all'esaudimento immediato delle pulsioni egli preferisce e lotta per conquistare una donna che rappresenta la parte più segreta e profonda della propria Anima, cosa che la rende unica e irrinunciabile. La fascinazione che Turandot ha esercitato immediatamente su di lui ha infatti la natura della proiezione d'Anima, più che una semplice attrazione sessuale, la stessa proiezione d'Anima che Dante effettua su Beatrice e che lo porterà a compiere la grande impresa attraverso il "viaggio" pericoloso. Turandot rappresenta così l'Anima da riconquistare, o meglio quell'aspetto del femminile interiore che l'uomo, nel progredire della coscienza patriarcale dominatrice e unilaterale, ha estraniato da sé inimicandosela. Solo gli uomini più sensibili se ne accorgono, in genere gli artisti, e spesso la poesia è un canto alla ricerca di quell'unità interiore (l'armonia) che da tanto tempo abbiamo perso, una ricerca accorata della propria principessa violentata e abbandonata; e quando capita di trovarsela davanti, bisogna saper affrontare qualsiasi prova per riconquistarla.

Clicca qui per il testo di "Tu che guardi le stelle".

PING
Tu che guardi le stelle,
abbassa gli occhi!

PONG
La nostra vita è in tuo potere!

PANG
La nostra vita!

PING
Udisti il bando?
Per le vie di Pekino
ad ogni porta batte la morte
e grida: il nome!

PONG
Il nome!

PONG, PANG
Il nome!

PING, PONG, PANG
O sangue!

CALAF
Che volete da me?

PING
Di' tu che vuoi! Di' tu che vuoi!

PONG
Di' tu che vuoi!

PING
È l'amore che cerchi?

PANG
Di' tu che vuoi!

PING
Di' tu che vuoi!
Ebbene, prendi!
Guarda, son belle,
son belle fra lucenti veli!

PONG, PANG
Corpi flessuosi...

PING
Tutte ebbrezze e promesse
d'amplessi prodigiosi!

DONNE
Ah, ah! Ah, ah!
Ah, ah! Ah, ah!

CALAF
No! No!

PONG, PANG
Che vuoi?

PING, PONG, PANG
Ricchezze?
Tutti i tesori a te!
A te!... A te!... A te!

PING
Rompon la notte nera...

PONG
Fuochi azzurri!

PING
...queste fulgide gemme!

PANG
Verdi splendori!

PONG
Pallidi giacinti!

PANG
Le vampe rose dei rubini!

PING
Sono gocciole d'astri!

PONG, PANG
Fuochi azzurri!

PING
Prendi! È tutto tuo!

PONG, PANG
Vampe rosse!

CALAF
No! Nessuna ricchezza! No!

PING, PONG, PANG
Vuoi la gloria?
Noi ti farem fuggir...

PONG, PANG
...e andrai lontano con le stelle
verso imperi favolosi!

FOLLA
Fuggi! Fuggi!

DONNE
Va' lontano, va' lontano!

TUTTI
Fuggi, va' lontano, va'! Va'!

UOMINI
Va' lontano!

TUTTI
Fuggi! Fuggi! Va' lontano,
e noi tutti ci salviam!

CALAF
Alba, vieni!
Quest'incubo dissolvi!

PING
Straniero, tu non sai, tu non sai
di che cosa è capace la crudele.

PING, PONG, PANG
Tu non sai...

PONG, PANG
...quali orrendi martiri...

PING
Tu non sai! Tu non sai!

PONG, PANG
...la Cina inventi.
Se tu rimani e non ci sveli...

PONG, PANG, GENTE
...il nome siam perduti...

PING
L'insonne non perdona!
Noi siam perduti!
Sarà martirio orrendo!

PING, PANG, PONG, UOMINI
I ferri aguzzi!
L'irte ruote!

GENTE
Sarà martirio orrendo!

PING, UOMINI
Il caldo morso
delle tanaglie!

PONG, PANG
La morte a sorso a sorso!

PING, FOLLA
La morte a sorso a sorso!

PONG, PANG
Non farci morire!

TUTTI
Non farci morire,
no, non farci morir!

CALAF
Inutili preghiere!
Inutili minacce!
Crollasse il mondo,
voglio Turandot!


direttore: Zubin Mehta

24 novembre 2010

Turandot (14) - Notte di veglia

Scritto da Marisa

"Così comanda Turandot: questa notte nessun dorma in Pekino!". Con questo editto, proclamato dall'araldo, inizia il terzo atto.
Siamo nel bel mezzo della vicenda e la notte incombe con tutte le sue tenebre e la sua minaccia di morte. Turandot, la potente, ha dato ordine di cercare in tutti i modi di carpire il nome dello straniero, pena la morte per tutti. È il momento più buio, e la paura si estende come un contagio. Questa natura contagiosa della paura è resa con esemplare immediatezza e semplicità, senza moralismi o giudizi: è così, e la folla in balia della paura è come un campo di grano che ondeggia a seconda della direzione del vento, senza alcun senso critico o riflessione. Gli stessi che appena qualche istante prima avevano inneggiato al principe vincitore ("Gloria, gloria, o vincitore! / Ti sorrida la vita!") ora lo insultano ("Tu maledetto! Morrai prima di noi / Tu spietato, tu crudele...").
Che la folla sia manovrabile attraverso la paura è una realtà antica quanto la società umana e da sempre i tiranni e dittatori lo sanno e ne approfittano (Elias Canetti ci ha scritto su un magnifico libro: "Massa e potere", ed. Adelphi). Dovremmo ricordarcene più spesso e stare attenti!

La frase dell'araldo ("Nessun dorma...") è ripresa da Calaf nell'aria più celebre dell'opera, ma il senso ne viene capovolto: quella che doveva essere una notte di paura e di morte può diventare un'attesa di speranza e un preludio all'amore. La principessa stessa, pur nel gelo che la circonda ancora, è invitata a guardare le stelle "che tremano d'amore e di speranza", e il canto si conclude con la certezza che l'alba porterà la vittoria e il sorgere del sole riscalderà e scioglierà il gelo, consegnando, attraverso l'ardore del primo bacio, Turandot a una nuova vita.
Anche chi conosce solo superficialmente l'opera di Puccini ha sicuramente ascoltato e amato questo brano, che giustamente è diventato un inno alla speranza e al rinnovamento e, come tale, agisce inconsciamente, anche se non ci fermiamo a rifletterci sopra, perché il potere della musica agisce direttamente sulle nostre parti emotive e condiziona i nostri stati d'animo, senza passare dalla testa (per fortuna!).
Da notare il riferimento alle stelle. Sembra ovvio che di notte ci siano le stelle; ma qui, fino ad ora, ha dominato la luna, e passare dalla luna alle stelle ha un preciso significato simbolico. Le stelle sono altro sia dalla luna che dal sole, perché non riguardano direttamente la Terra, assicurando vita e fecondità: sono molto più lontane e la loro luce ha una funzione di orientamento. Simbolicamente non appartengono né al femminile né al maschile (di che sesso sono gli angeli?), perché sono al di sopra e al di fuori, oltre i conflitti tra i generi. Rappresentano una "direzione", un nuovo punto di riferimento e di orientamento, un tendere a una visione superiore e spirituale che concilia ogni conflitto. Non è questa l'impressione profonda che ci fa la contemplazione del cielo stellato, facendo apparire piccoli e insignificanti i nostri problemi e aprendoci all'infinito?

Clicca qui per il testo di "Nessun dorma".

CALAF
Nessun dorma! Nessun dorma!
Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza
guardi le stelle che tremano d'amore e di speranza...
Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà!
No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà…
Ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia.

LE DONNE
Il nome suo nessun saprà…
E noi dovrem, ahimè, morir, morir!

CALAF
Dilegua, o notte! Tramontate, stelle!
All'alba vincerò! Vincerò!



Luciano Pavarotti


Franco Corelli


Giuseppe Di Stefano


Placido Domingo

Mario Del Monaco



Un magistrale utilizzo dell'aria in una scena del film "Mare dentro" (Alejandro Amenábar, 2004)

23 novembre 2010

Turandot (13) - Riassunto dell'atto III

Scritto da Giovanni Ansaldi

(Foto di Lucia Francini)

1° quadro, Giardino della reggia.

È notte. Le voci degli araldi annunciano gli ordini di Turandot: che nessuno dorma a Pechino fino a quando non sarà scoperto il nome del principe ignoto. Calaf attende tranquillo il sorgere del sole ("Nessun dorma", una delle arie più note del repertorio lirico).
Ping, Pong e Pang vengono a offrirgli, in cambio del suo nome, tutto ciò che un uomo può desiderare: bellissime fanciulle, ricchezze, gloria e libertà. Ma il principe non si lascia smuovere né dalle lusinghe né dalle minacce. Intanto i soldati introducono Timur e Liù, perché alcuni testimoni fra la folla li hanno visti parlare con Calaf e quindi si sospetta che ne conoscano il nome. Turandot ordina che Timur sia messo alla tortura, ma Liù afferma che solo lei conosce il nome del principe. Affronta Turandot ("Tu che di gel sei cinta"), poi si suicida piuttosto che tradire il segreto dell'uomo che ama (Turandot: "Chi pose tanta forza nel tuo cuore?" / Liù: "Principessa, l'amore"). Turandot è scossa da questo gesto. Rimasto solo con lei, Calaf, dopo aver rimproverato a Turandot la sua freddezza, vincendone le resistenze la prende con passione fra le braccia e la bacia. È l’alba. Calaf le rivela il proprio nome e ancora una volta rimette la sua sorte nelle mani di Turandot.

2° quadro, Esterno del palazzo imperiale.

La corte e tutta la folla è in attesa della comparsa di Turandot che annuncerà l'esito delle ricerche. Turandot compare raggiante al sommo della scalinata e dichiara di conoscere il nome del principe ignoto: il suo nome è Amore. Calaf l'abbraccia mentre la folla esulta (grande finale sinfonico-corale coi temi dell'opera).

20 novembre 2010

Turandot (12) - Il rilancio

Scritto da Marisa

Qui ha inizio la parte più originale della storia, una variante rispetto al tema classico dell'eroe, almeno in occidente (in oriente e in altre culture ci sono alternative ben radicate, ma questo è un argomento che ci porterebbe troppo lontano, anche se mi sta molto a cuore e spero di occuparmene per esteso in altra sede), dove alla vittoria segue sempre l'appropriazione e l'utilizzo del bottino, anche sotto forma di principessa, senza mai chiedere se lei è d'accordo (si dà per scontato).
Turandot non vuole accettare la sconfitta ("No, no, non sarò tua! Non voglio, non voglio!") e di fronte a tanta resistenza il principe sconosciuto dichiara che non la vuole con la forza, ma "tutta ardente d'amor", anche se persino l'imperatore sarebbe disposto, per mantenere il sacro giuramento, a costringere la figlia all'unione forzata.
Egli rilancia la sfida, ancora una volta a proprio rischio: si pone volontariamente alla mercè di Turandot, dandole nuovamente la possibilità di ucciderlo se prima dell'alba lei riuscirà a conoscere il suo nome.
È in atto un gioco di specchi molto importante: è stato svelato il nome della principessa, ora deve essere riconosciuto il nome di lui, del principe ancora “ignoto”, affinché la reciprocità inizi a funzionare, le tenebre possano cedere il passo alla luce, il gelo al calore.

Ricordiamo che all'inizio dell'opera, quando c'è l'incontro col padre, ci viene detto che Timur è il re spodestato dei Tartari, quindi Calaf ne è il principe ereditario. Ma da Turandot stessa sappiamo che proprio il re dei Tartari si era reso colpevole del misfatto ai danni della dolce Lou-Ling. E ora che sia il principe dei Tartari colui che deve riparare l'orrore suscitato dal suo antenato appare ancora più significativo. Se la vendetta viene da lontano, anche la riparazione arriva attraverso la lunga trafila generazionale, di padre in figlio, secondo i tempi biblici e archetipici...
Quello che era stato preso con la violenza deve essere riconquistato con l'amore! È un principio che sembra ovvio, ma che è assolutamente nuovo per la mentalità eroica basata su conquista, guerra, vittoria, bottino. Che l'amore sia più forte della legge è stato annunciato già da Cristo duemila anni fa (Vangelo = buona novella), ma la coscienza occidentale, pur avendolo accettato formalmente, non l'ha mai veramente fatto suo e capito fino in fondo, rimanendo arroccata sui “diritti” dei vincitori e quindi dei più forti e dei prevaricatori.

In oriente l'insegnamento buddista ha allenato le coscienze, anche attraverso le pratiche yogiche, al non attaccamento e alla quiete dei desideri e dell'anima, e con Gandhi c'è stato l'unico vero tentativo politico di applicazione della “non violenza”, ma il pensiero dominante che noi conosciamo rimane ancorato alla mentalità eroica della lotta che sfocia nell'annullamento dell'avversario (gli "stati canaglia"!).
Perciò l'atteggiamento di Calaf è assolutamente inedito! Egli cerca di vincere “ponendosi sotto”, alla mercè dell'altro. Non è passivo né rinunciatario, tanto meno depresso o vittimista; è anzi pieno di quella speranza che era la soluzione del primo quesito, il suo sangue è caldo e generoso come vuole il secondo e non rinuncia a colei per la quale sta sfidando la morte, che è il premio stesso dell'ultimo enigma.
Forse possiamo trovare un tentativo simile di sottoporsi al femminile per redimerlo nel principe Myskin di Dostoevskij (l'antieroe per eccellenza...), e sicuramente il fascino del personaggio russo sta nell'assoluto candore e nella smisurata pietà e compassione; atteggiamenti peraltro ben diversi dalla calda passione di Calaf e dal suo spirito attivo (egli rimane un eroe, anche se trova una soluzione diversa dagli eroi classici).
Che il comportamento di Calaf sia centrato sull'eros, mentre quello di Turandot è centrato sul logos, sembra rovesciare i luoghi comuni che vogliono la donna regina dell'eros e l'uomo dominatore del logos. Ma Jung ci ha insegnato come queste categorie siano relative quando si riferiscano a uomini e donne particolari, mentre hanno una validità “archetipica”, cioè modi di alludere a forme strutturanti di principi: il maschile e il femminile come aspetti di differenziazione della coscienza universale, così come il giorno e la notte fanno parte di un'unica entità temporale differenziata attraverso gli opposti.
La controparte femminile nell'uomo è chiamata da Jung “Anima” ed è una funzione essenzialmente di relazione, che regola e determina la qualità del mondo emotivo e relazionale dell'uomo con il proprio mondo interiore e con il fuori, soprattutto con la donna. Va da sé che quelli che hanno una funzione animica più differenziata e meglio allenata sono gli uomini più aperti al sentimento e all'eros. In questo senso Calaf è sicuramente un uomo la cui Anima è molto sviluppata e lo può guidare con sicurezza là dove un altro esiterebbe.

Clicca qui per il testo di "Figlio del Cielo!".

TURANDOT
Figlio del Cielo! Padre augusto!
No! Non gettar tua figlia
nelle braccia dello straniero!

L'IMPERATORE
È sacro il giuramento!

TURANDOT
No, non dire! Tua figlia è sacra!
Non puoi donarmi a lui,
a lui come una schiava.
Ah, no! Tua figlia è sacra!
Non puoi donarmi a lui
come una schiava morente di vergogna!
Non guardarmi così!
Tu che irridi al mio orgoglio,
non guardarmi così!
Non sarò tua! No, non sarò tua!
Non voglio, non voglio!

L'IMPERATORE
È sacro il giuramento!

LA FOLLA
È sacro il giuramento!
Ha vinto, Principessa!
Offrì per te la vita!

TURANDOT
Mai nessun m'avrà!

LA FOLLA
Sia premio al suo ardimento!

TURANDOT
Mi vuoi nelle tue braccia a forza,
riluttante, fremente?

LA FOLLA
È sacro, è sacro,
è sacro il giuramento, è sacro!

CALAF
No, no, Principessa altera!
Ti voglio tutta ardente d'amor!

LA FOLLA
Coraggioso! Audace!
Coraggioso! O forte!

CALAF
Tre enigmi m'hai proposto,
e tre ne sciolsi.
Uno soltanto a te ne proporrò:
Il mio nome non sai. Dimmi il mio nome.
Dimmi il mio nome prima dell'alba,
e all'alba morirò...

L'IMPERATORE
Il cielo voglia che col primo sole
mio figliolo tu sia!

LA FOLLA
Ai tuoi piedi ci prostriam,
Luce, Re di tutto il mondo!
Per la tua saggezza, per la tua bontà
ci doniamo a te, lieti in umiltà,
a te salga il nostro amor!
Diecimila anni al nostro Imperatore!
A te, erede di Hien-Wang noi gridiam:
Diecimila anni al nostro Imperatore!
Alte, alte le bandiere!
Gloria a te! Gloria a te!

Eva Marton, Placido Domingo


J. Sutherland, L. Pavarotti

M. Caballé, J. Carreras

16 novembre 2010

Turandot (11) - Gli enigmi

Scritto da Marisa

La sfida di Turandot agli uomini avviene sul piano intellettuale, attraverso quel logos che tradizionalmente costituisce il terreno privilegiato del maschile, mentre dalla tradizione alla donna è riconosciuto come terreno dominante il sentimento: l'eros.
Una donna che osa umiliare l'uomo con il pensiero! Siamo persino oltre il femminismo, e solo una principessa (un essere superiore per rango) può permetterselo. Per vendicarsi dell'uomo scende sul suo stesso terreno e lo sconfigge. Ma sappiamo anche che Turandot è in realtà una donna profondamente ferita e il suo eros è congelato.

Il tema degli enigmi non è nuovo nei miti; basti pensare a Edipo, che incontra sul suo cammino la Sfinge. Aver risolto l'enigma assicura a Edipo la mano della regina e il trono di Tebe, con tutto quel che segue...
Edipo ha preso l'enigma proposto dalla Sfinge alla lettera, riducendolo a un "indovinello" e non capendo la natura del problema che aveva di fronte: la ricerca della sua vera identità e lo svelamento del mistero della propria nascita. Leggiamo cosa dice James Hillman a proposito:

Edipo ha avuto una prima opportunità di mettere in pratica l'orecchio psicologico con la Sfinge, e invece l'ascolta come se il suo fosse un indovinello, come se gli ponesse un quesito. L'ascolta con l'orecchio eroico. “Io le chiusi la bocca” (Storr, v. 397). “Risolsi l'indovinello con la mia sola intelligenza” (Grene, v. 398). In questo passo Edipo amplifica la sua posizione eroica parlando di sé stesso in prima persona come ha fatto raramente sino a quel momento nel testo. Chiudere la bocca alla Sfinge, che è un altro modo di tappare le proprie orecchie, è il gesto ricco di senso per il quale il Coro lo loda negli ultimi versi della tragedia: “Guardate questo Edipo / che conosceva gli enigmi famosi ed era il più valente tra gli uomini” (vv. 1524-1525). Per l'uomo più valente, un enigma diviene un problema da risolvere, da sgominare. Inoltre un ainigma, come osserva Marie Delcourt, si riferisce a “tutto ciò che ha un doppio senso: simboli, oracoli, detti sapienzali pitagorici...” Un enigma è come un mantra o un koan o una gnome eraclitea da portare con sé e da cui imparare, la Sfinge come emblema su una pietra dura, messa su una colonna per essere riverita, non gettata in fondo a un dirupo.
(James Hillman, "Variazioni su Edipo", ed. Cortina, 1992, pp. 103-104)
Vedremo che Calaf non farà lo stesso errore di Edipo, quello cioè di pensare di aver ormai risolto tutto e godersi il frutto della presunta vittoria.

Il paragone di Turandot con la Sfinge non è casuale, perché, al di là della bellezza, anche in Turandot, impenetrabile e dura come giada, implacabile e fredda come spada, si annida una specie di essere mostruoso, complesso e sovraordinato, ben più importante e potente di una semplice donna. Essa è, rispetto al mito dell'eroe, drago e principessa allo stesso tempo: colei che pone il quesito mortale e il premio stesso della soluzione.

Anche i temi che gli enigmi pongono sono ovviamente importanti, perché nelle fiabe, come nei sogni, niente è casuale e conviene prestare attenzione anche ai dettagli. Mentre la Sfinge presenta a Edipo un unico enigma centrato sull'uomo, Turandot ne esige la soluzione di tre, in un crescendo mirabile: le soluzioni sono la speranza, il sangue e, come ultimo, il suo stesso nome. Come si vede, non sono problemi casuali e riguardano soprattutto lei stessa più che lo sfidante, perché quella congelata senza speranza, ferma in un atteggiamento che impedisce al sangue di scorrere più veloce con le emozioni, ma soprattutto estraniata dal principio fondante del femminile e quindi estranea a sé stessa e ridotta al solo nome "di rango" e perciò formale, è proprio lei. È come se Turandot avesse posto al principe l'enigma di sé stessa, quella ricerca che lei non può compiere perché vittima di risentimenti ormai pietrificati dalle difese.
Semplificando al massimo, la Sfinge chiede a Edipo: "Chi sei?", mentre Turandot chiede: "Chi sono?". È sempre in gioco, in fondo in fondo, l'enigma della propria identità più autentica.

Clicca qui per il testo di "Straniero, ascolta".

TURANDOT
Straniero, ascolta:
"Nella cupa notte vola un fantasma iridescente.
Sale e spiega l'ale sulla nera infinita umanità.
Tutto il mondo l'invoca e tutto il mondo l'implora.
Ma il fantasma sparisce coll'aurora
per rinascere nel cuore.
Ed ogni notte nasce ed ogni giorno muore!"

CALAF
Sì! Rinasce! Rinasce e in esultanza
mi porta via con sé, Turandot: la Speranza!

I SAPIENTI
La Speranza! La Speranza! La Speranza!

TURANDOT
Sì, la speranza che delude sempre!
"Guizza al pari di fiamma, e non è fiamma.
È talvolta delirio. È febbre d'impeto e ardore!
L'inerzia lo tramuta in un languore.
Se ti perdi o trapassi, si raffredda.
Se sogni la conquista, avvampa, avvampa!
Ha una voce che trepido tu ascolti,
e del tramonto il vivido baglior!"

L'IMPERATORE
Non perderti, straniero!

LA FOLLA
È per la vita! Parla!
Non perderti, straniero! Parla!

LIÙ
È per l'amore!

CALAF
Sì, Principessa! Avvampa e insieme langue,
se tu mi guardi, nelle vene: il Sangue!

I SAPIENTI
Il Sangue! Il Sangue! Il Sangue!

LA FOLLA
Coraggio, scioglitore degli enigmi!

TURANDOT
Percuotete quei vili!
"Gelo che ti dà foco e dal tuo foco più gelo prende!
Candida ed oscura! Se libero ti vuol ti fa più servo.
Se per servo t'accetta, ti fa Re!"
Su, straniero, ti sbianca la paura!
E ti senti perduto!
Su, straniero, il gelo che dà foco, che cos'è?

CALAF
La mia vittoria ormai t'ha data a me!
Il mio fuoco ti sgela: Turandot!

I SAPIENTI
Turandot! Turandot! Turandot!

LA FOLLA
Turandot! Turandot!
Gloria, gloria, o vincitore!
Ti sorrida la vita! Ti sorrida l'amor!
Diecimila anni al nostro Imperatore!
Luce, Re di tutto il mondo!



B. Nilsson, F. Corelli


M. Caballé, L. Pavarotti


M. Callas, E. Fernandi

M. Dragoni, G. Tieppo

11 novembre 2010

Turandot (10) - La vendetta

Scritto da Marisa

In un'aria memorabile ("In questa reggia..."), Turandot spiega il perché di tanta crudeltà. Il suo rancore verso gli uomini e il conseguente progetto di vendetta hanno radici molto antiche, da più di mille anni (ma questi, si sa, sono i tempi delle fiabe...), e non partono nemmeno da una violenza subita personalmente ma da un atto delittuoso perpetrato su un'antica antenata, la principessa Lou-Ling, da parte di un uomo, il re dei Tartari.
L'identificazione di Turandot con l'antica principessa è totale e l'odio verso lo stupratore viene agito come bisogno di vendetta, includendo tutti gli uomini con una logica di generalizzazione (un uomo è stato violento = tutti gli uomini sono violenti) tipica dei complessi molto profondi.

Se ci fermiamo solo a una lettura psicologica personale (ponendo l'oltraggio ricevuto da Lou-Ling come uno stupro subito da Turandot in un passato lontano, nell'infanzia, e collocato dallo spostamento ancora più indietro e su un'antenata in cui lei si riconosce), il comportamento di Turandot, per quanto ingiusto e odioso, è già spiegato: si tratta di un antico trauma (meglio se sessuale, secondo i canoni freudiani), una precoce e profonda ferita narcisistica, da cui parte un progetto terribile di vendetta, progetto che diventa lo scopo di tutta una vita, tanta è la frustrazione subita e la rabbia accumulata. Sappiamo che le umiliazioni e i traumi, quanto più sono antichi e profondi, tanto più attivano comportamenti patologici, e che la rabbia narcisistica è veramente distruttiva e duratura.

Ma questa è una fiaba, e pertanto è legittimo non fermarsi al solo piano personale ma cercare di andare oltre per ampliare il livello di comprensione, cosa che il materiale archetipico favolistico permette. E qui torniamo alla luna. In quanto simbolo del mondo femminile, la luna è il centro stesso della coscienza matriarcale, e Turandot – identificata con la luna – è essa stessa l'immagine sovrapersonale, quasi una dea lunare, del principio originario matriarcale che ha informato e dominato tutta l'umanità prima del sopravvento e dell'affermarsi in modo sempre più sopraffacente e violento del patriarcato, con lo spostamento della coscienza e dei suoi valori verso il maschile. Ecco allora che i "mille e mille anni" hanno già più senso, e che l'offesa all'antenata diventa una ferita ancora attuale, perché la coscienza matriarcale, violentata e spodestata migliaia di anni fa, reca tuttora una ferita sanguinante e la riconciliazione non c'è ancora stata...
Seguendo questa chiave di lettura, anche Liù acquista un nuovo significato: essa è quella parte della coscienza femminile che ha aderito al nuovo sviluppo senza sentirsi spodestata ed estraniata, ma che può – anche all'interno del patriarcato – perseguire il proprio obiettivo e cercare in esso la propria realizzazione. Certo è che spesso questa aderenza la pone al servizio dell'uomo e dei suoi bisogni: rimane una schiava. È come se, grosso modo, ci fossero state due linee di sviluppo nel femminile: una parte verginale che si oppone, cova rancore e cerca di vendicarsi del maschile in vario modo (invidia del pene, competitività, svalutazione...), e una parte che ha trovato un adattamento e un senso, soprattutto grazie al sentimento. Turandot e Liù possono quindi rappresentare due linee divergenti di sviluppo del femminile, opposte tra loro, che entreranno in conflitto in modo drammatico per far finalmente emergere una "nuova donna": la nuova Turandot.

Questa è una semplificazione adatta a questa storia, ma in realtà le cose sono più complesse e le due linee tracciate si arricchiscono di significato se teniamo presente la differenziazione della coscienza e le sue varie componenti. Già nel mondo antico greco (per rimanere nel filone della nostra cultura di appartenenza), il principio matriarcale unico rappresentato dall'archetipo della "grande madre" e dalla luna, sia negli aspetti positivi che in quelli negativi (fecondità e sterilità, vita e morte), si è progressivamente differenziato incarnandosi in varie dee, ognuna delle quali rappresenta un aspetto fondamentale (archetipico) del femminile, e ognuna con due facce opposte: positiva e negativa, chiara e scura. Troviamo così Hera a rappresentare l'aspetto "moglie"(innamorata e fedele, ma gelosa e possessiva); Demetra, la madre amorevole, ma che non lascia andare la figlia; Persefone, la figlia ingenua legata alla madre, ma dipendente; Afrodite, la grande dea della bellezza e del desiderio amoroso ("Croce e delizia"...); Artemide, la dea vergine che spinge le giovani del suo seguito sui monti, nella natura selvaggia e lontano dagli uomini (autonomia, ma ostilità verso l'uomo); Atena, dea dell'intelligenza, della saggezza e delle arti, ma anche guerriera armata di scudo e asta (protettrice di eroi, ma spietata verso chi – come Aracne – osi sfidarla); Estia, dea del focolare e sacerdotessa custode del tempio, estremamente introversa e separata anche dagli altri dei dell'Olimpo. Queste, molto in sintesi, sono le dee principali e quindi gli aspetti più importanti della psiche femminile. Va da sé che esse sono presenti in varia misura in tutte le donne, ma la prevalenza dell'una o dell'altra gioca in modo molto diverso (in proposito vedi il libro "Le dee dentro la donna" di Jean S. Bolen, ed. Astrolabio).

Jung ha ulteriormente arricchito il quadro riconoscendo nella donna un aspetto maschile che ha chiamato Animus (l'uomo dentro la donna), una controparte psichica che agisce purtroppo ancora troppo spesso attraverso l'inconscio e perciò in modo occulto e meno controllabile, e che dovrebbe completare la personalità della donna, non riducendola solo al ruolo che la tradizione patriarcale e l'aspettativa socialmente indirizzata dalla coscienza maschile si aspetta da lei, ma rendendola consapevole e responsabile delle proprie scelte. Quando però l'Animus nella donna è inflazionato o sovraesposto si possono verificare vari disturbi fino a una vera "possessione", che la rende acritica e la estranea dal nucleo più profondo della femminilità.
In Turandot possiamo riconoscere dei chiari aspetti di Atena, la dea vergine che presiede allo sviluppo del pensiero e dell'ingegno: ma mentre la dea è amica degli eroi (Ulisse, Perseo) e li aiuta nelle loro imprese, la principessa (in reazione al trauma subito) è posseduta da un Animus prevaricatorio e competitivo, che congela l'eros e indirizza il suo odio vendicativo verso gli uomini. Anche Artemide, la dea direttamente identificata con la luna, è costellata nel personaggio di Turandot e la strenua difesa della verginità riecheggia il crudele comportamento nei confronti di Atteone, che aveva osato contemplare la casta dea della natura selvaggia mentre si bagnava nuda in un fiume con le sue ninfe. E qui il discorso si allargherebbe alla nemesi che colpisce l'uomo quando con il suo incauto comportamento "profana" la natura incontaminata, argomento molto importante e di un'attualità sconvolgente, che in questa sede posso solo accennare. Chissà, forse questi spunti possono germogliare altrove...

Queste dinamiche valgono sia a livello personale (quante donne si ritrovano ad agire una parte di rabbia e di competitività distruttiva verso l'uomo, rendendo molto difficile, se non impossibile, la relazione?) sia a livello più ampio, e le ritroviamo socialmente in atto nel bisogno (a volte esasperato e di violenta ribellione) di superare i vecchi modelli patriarcali imposti al femminile, che volevano la donna sottomessa ai bisogni della famiglia, concedendo a essa approvazione solo come madre e moglie devota, o come alternativa in fondo analoga: infermiera, crocerossina e simili... (Liù, insomma).

Clicca qui per il testo di "In questa reggia".

TURANDOT
In questa reggia, or son mill'anni e mille,
un grido disperato risonò.
E quel grido, traverso stirpe e stirpe
qui nell'anima mia si rifugiò!
Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena
che regnavi nel tuo cupo silenzio
in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura
l'aspro dominio, oggi rivivi in me!

LA FOLLA
Fu quando il Re dei Tartari
le sette sue bandiere dispiegò.

TURANDOT
Pure nel tempo che ciascun ricorda,
fu sgomento e terrore e rombo d'armi.
Il regno vinto! E Lou-Ling, la mia ava,
trascinata da un uomo come te,
come te straniero, là nella notte atroce
dove si spense la sua fresca voce!

LA FOLLA
Da secoli ella dorme
nella sua tomba enorme.

TURANDOT
O Principi, che a lunghe carovane
d'ogni parte del mondo qui venite
a gettar la vostra sorte,
io vendico su voi, su voi quella purezza,
quel grido e quella morte!
Mai nessun m'avrà!
L'orror di che l'uccise vivo nel cuor mi sta!
No, no! Mai nessun m'avrà!
Ah, rinasce in me l'orgoglio di tanta purità!
Straniero! Non tentar la fortuna!
Gli enigmi sono tre, la morte è una!

CALAF
No, no! Gli enigmi sono tre,
una è la vita!

LA FOLLA
Al Principe straniero offri la prova ardita,
o Turandot! Turandot!




Maria Callas


Joan Sutherland


Birgit Nilsson


Eva Marton


Ghena Dimitrova

Angela Gheorghiu

9 novembre 2010

Turandot (9) - I padri

Scritto da Marisa

Nell'opera compaiono due padri: Timur e l'imperatore della Cina; tutti e due "nobili e vecchi". Li accomuno perché la loro funzione e il significato psicologico sono simili.
Uno, Timur, è il vecchio Re spodestato, quindi indebolito e depotenziato; l'altro, Altoum, pur essendo ancora imperatore, è impotente davanti alla figlia che gli ha carpito un giuramento folle, che lo rende complice di delitti che vorrebbe scongiurare ma non può più.
Li vediamo entrambi implorare il giovane di desistere dall'affrontar la prova. Timur fa leva inutilmente sul sentimento paterno ("Figlio, che fai? Vuoi morir cosi?... Tu passi su un povero core che sanguina invan per te..."), non esitando nemmeno a ricorrere alla vecchia arma (di solito materna) del ricatto affettivo: "mi spezzi il cuore"; l'imperatore cerca di togliersi di dosso il senso di colpa ("Fa ch'io possa morir senza portare il peso della tua giovane vita") dopo l'incauto giuramento fatto alla figlia. Entrambi non vengono ascoltati, il che conferma la loro impotenza.

Il motivo del vecchio re ormai depotenziato (per età, malattia o altro) è un classico nella fiaba e indica una precisa situazione: un vecchio principio dominante sta esaurendosi e deve cedere il posto a un nuovo ordine, a una nuova scala di valori.
Questo passaggio non è mai semplice; a volte è lungo e doloroso (una grave malattia cronica del re), a volte rapido (la morte violenta e improvvisa del re), ma comporta sempre prove difficili, rischiose per tutti, soprattutto per il nuovo che deve affermarsi ma anche per il vecchio che non vuol cedere. A volte è possibile il rinnovamento senza distruggere il vecchio (la ricerca dell'acqua miracolosa che guarisce il vecchio re), a volte il cambiamento è più radicale e il passaggio drastico (il vecchio re deve essere ucciso).
Come si vede, anche qui è costellato il tema del rinnovamento, e credo che questo passaggio sia ancora in atto: si tratta nientemeno che constatare l'esaurimento del vecchio modello patriarcale e lavorare per il suo cambiamento. Da alcuni decenni ormai la cosa è abbastanza chiara (le femministe hanno fatto molto per evidenziarlo), ma il passaggio è più difficile di quanto non si creda e le regressioni sono sempre in azione...
Ma quale sarà il nuovo modello? Ovviamente non si può prevedere il futuro, ma l'inconscio lavora già per possibili soluzioni e questa fiaba ne è un ottimo esempio.
Seguiamone perciò attentamente gli sviluppi perché credo che la soluzione che vi troveremo sia molto bella e confortante. Ma questa, si sa, è solo una fiaba e le fiabe quasi sempre prospettano un lieto fine. E se cominciassimo a leggerle più attentamente e farle agire su di noi?

Il conflitto tra passato e futuro, tradizione e rinnovamento (padri e figli) è fonte di continue tensioni anche perché spesso si adotta una mentalità dualistica (di chiara derivazione patriarcale monoteistica), secondo la quale c'è una sola verità e quindi un solo vincitore: o si difende strenuamente il passato arroccandosi su posizioni reazionarie, rifiutando i cambiamenti e rimpiangendo "il buon tempo andato", o ci si lancia altrettanto acriticamente verso un futuro immaginato meraviglioso e risolutore di ogni difficoltà. Certo, queste sono posizioni estremistiche che servono a far capire il problema radicalizzandolo, ma il problema c'è e bisognerebbe rifletterci.
Concludo con due citazioni importanti, una presa da uno scienziato occidentale, l'altra dall'ultimo grande mistico e filosofo indiano. Eric K. Kandel, premio Nobel 2000 per la medicina, scrive: "Siamo ciò che siamo in virtù di ciò che abbiamo imparato e che ricordiamo"; e Sri Aurobindo (1995): "Distruggi gli stampi del passato, ma mantieni intatte le sue conquiste e il suo spirito, altrimenti non avrai avvenire".

Clicca qui per il testo di "Un giuramento atroce mi costringe".

L'IMPERATORE
Un giuramento atroce mi costringe
a tener fede al fosco patto.
E il santo scettro ch'io stringo
gronda di sangue.
Basta sangue! Giovine, va'!

CALAF
Figlio del Cielo,
io chiedo d'affrontar la prova!

L'IMPERATORE
Fa ch'io possa morir senza portare
il peso della tua giovine vita!

CALAF
Figlio del Cielo,
io chiedo d'affrontar la prova!

L'IMPERATORE
Non voler che s'empia ancor d'orror
la Reggia, il mondo...

CALAF
Figlio del Cielo,
io chiedo d'affrontar la prova!




direttore: Zubin Mehta

5 novembre 2010

Turandot (8) - Ping, Pang, Pong

Scritto da Marisa

Ping, Pang e Pong sono tre alti ministri imperiali e hanno la stessa funzione che ha il coro nelle tragedie greche: sottolineano gli avvenimenti fungendo da cassa di risonanza dei pensieri e dei sentimenti collettivi. Impersonano la voce del buon senso comune, prima scoraggiando in tutti i modi il principe straniero da quello che a loro sembra un suicidio annunciato, e poi, all'inizio del secondo atto, lasciandosi andare alla rievocazione piena di rimpianto del tempo passato, così tranquillo e ordinato, prima che la comparsa di Turandot, con il suo ostinato e tragico rifiuto del matrimonio, sovvertisse l'ordine costituito mettendo a rischio la continuità stessa dell'impero ("Addio amore, addio razza, addio stirpe divina!... E finisce la China!...").
Dopo aver consigliato al giovane principe di desistere dalla folle prova, essi sono ormai pronti a qualsiasi eventualità (preparare le nozze o le esequie), perché non hanno in fondo una vera opinione personale e sono consapevoli della loro impotenza e dell'inutilità del loro intervento. Pur essendo grandi ministri, sono completamente dipendenti dal potere. Anche i loro desideri vengono espressi solo come fantasia o rimpianto, senza alcuna capacità decisionale ("Vorrei tornar laggiù, e sto qui a stillarmi il cervel sui libri sacri"). Il loro interesse è tutto volto al benessere e alla tranquillità materiale (la casa sul laghetto blu, le foreste presso Tsiang, il giardino presso Kiu...) e nulla possono capire di una ricerca che vada oltre il bene immediato, tanto meno una sfida mortale per la conquista di una donna che, per quanto principessa, a loro sembra esattamente uguale alle altre ("Ha due gambe, due braccia...")
A loro è quindi affidata la parte antieroica e sdrammatizzante, rappresentando l'esatto contrario di Calaf, il contrappunto speculare, come Sancio Panza con Don Chisciotte.
Sono personaggi stereotipati, maschere riproducibili (sono infatti prese dalla Commedia dell'Arte: nel lavoro di Carlo Gozzi si chiamano Pantalone, Tartaglia, Brighella e Truffaldino e sono rispettivamente il segretario dell'imperatore, il gran cancelliere, il maestro dei paggi e il capo degli eunuchi), perché la loro logica è la logica collettiva del conformismo, regolata da quello che in genere pensano tutti e che "sarebbe opportuno" fare, mentre il comportamento di Calaf è strettamente individuale e risponde a un dettato personale: il proprio destino; qualcosa come una "vocazione" che può sembrare folle agli altri ma che esige "fedeltà a sé stessi" prima ancora che considerazione per le norme collettive.

Clicca qui per il testo di "Olà, Pang! Olà, Pong!".

PING
Olà, Pang! Olà, Pong!
Poiché il funesto gong
desta la reggia e desta la città,
siam pronti ad ogni evento:
Se lo straniero vince, per le nozze,
e s'egli perde, pel seppellimento.

PONG
Io preparo le nozze...

PANG
...ed io le esequie.

PONG
Le rosse lanterne di festa...

PANG
Le bianche lanterne di lutto...

PONG
Gli incensi e le offerte...

PANG
Gli incensi e le offerte...

PONG
Monete di carta dorate,
il bel palanchino scarlatto...

PANG
Thè, zucchero, noci moscate,
il feretro grande, ben fatto...

PONG
I bonzi che cantano...

PANG
I bonzi che gemono...

PONG, PANG
E tutto quanto il resto,
secondo vuole il rito,
minuzioso, infinito!

PING
O China, o China,
che or sussulti e trasecoli inquieta,
come dormivi lieta,
gonfia dei tuoi settantamila secoli!

PING, PONG, PANG
Tutto andava secondo
l'antichissima regola del mondo.
Poi nacque... Turandot!
E sono anni che le nostre feste
si riducono a gioie come queste:
tre battute di gong, tre indovinelli…
e giù teste!

PANG
L'anno del Topo furon sei.

PONG
L'anno del Cane furon otto.

PING, PONG, PANG
Nell'anno in corso,
il terribile anno della Tigre,
siamo già al tredicesimo,
con quello che va sotto!
Che lavoro! Che noia!
A che siamo mai ridotti?
I ministri siam del boia!

PING
Ho una casa nell'Honan
con il suo laghetto blu,
tutto cinto di bambù.
E sto qui a dissiparmi la mia vita,
a stillarmi il cervel sui libri sacri.
E potrei tornar laggiù,
presso il mio laghetto blu,
tutto cinto di bambù.

PONG
Ho foreste, presso Tsiang,
che più belle non c'è ne,
che non hanno ombra per me.

PANG
Ho un giardino, presso Kiu,
che lasciai per venir qui,
e che non rivedrò mai più!

PING
E potrei tornar laggiù,
presso mio laghetto blu,
tutto cinto di bambù!

PING, PANG, PONG
E stiam qui a stillarci il
cervel, sui libri sacri!

PONG
E potrei tornare a Tsiang...

PING
E potrei tornare laggiù...

PANG
E potrei tornare a Kiu…

PING
...a godermi il lago blu...

PONG
Tsiang…

PANG
Kiu…

PING
Honan…

PING, PANG, PONG
O mondo pieno di pazzi innamorati!
Ne abbiam visti arrivar degli aspiranti!
O quanti! O quanti!

PING
Vi ricordate il principe
regal di Samarcanda?
Fece la sua domanda,
e lei con quale gioia
gli mandò il boia!

LA FOLLA
Ungi, arrota,
che la lama guizzi e sprizzi…
fuoco e sangue!

PONG
E l'Indiano gemmato Sagarika
cogli orecchini come campanelli?
Amore chiese, fu decapitato!

PANG
Ed il Birmano?

PONG
E il prence dei Kirghisi?

PONG, PANG
Uccisi! Uccisi! Uccisi! Uccisi!

PING
E il Tartaro dall'arco di sei cubiti
di ricche pelli cinto?

PONG, PANG
Estinto! Estinto!

LA FOLLA
Che la lama guizzi e sprizzi
fuoco e sangue!
Dove regna Turandot
il lavoro mai non langue!

PING, PANG, PONG
E decapita! Uccidi! Uccidi! Uccidi!
Uccidi! Ammazza! Estingui!
Uccidi! Estingui! Ammazza!
Addio amore, addio razza!
Addio stirpe divina!
E finisce la China!
Addio, stirpe divina!

PING
O Tigre! O Tigre!

PING, PANG, PONG
O grande marescialla del cielo,
fa che giunga la gran notte attesa,
la notte della resa!

PING
Il talamo le voglio preparare!

PONG
Sprimaccerò per lei le molli piume.

PANG
Io l'alcova le voglio profumare.

PING
Gli sposi guiderò reggendo il lume.

PING, PANG, PONG
Poi tutt'e tre in giardino
noi canterem d'amor fino al mattino,
così…
Non v'è in China per nostra fortuna
donna più che rinneghi l'amor!
Una sola ce n'era e quest'una
che fu ghiaccio, ora è vampa ed ardor!
Principessa, il tuo impero si stende
dal Tsè-Kiang all'immenso Jang-Tsè!
Ma là, dentro alle soffici tende,
c'è uno sposo che impera su te!
Tu dei baci già senti l'aroma,
già sei doma, sei tutta languor!
Gloria, gloria alla notte segreta,
che il prodigio ora vede compir!
Gloria, gloria alla gialla coperta
di seta… notte segreta!
Testimonio dei dolci sospir!
Nel giardin sussurran le cose
e tintinnan campanule d'or…
Si sospiran parole amorose,
di rugiada s'imperlano i fior!
Gloria, gloria al bel corpo discinto
che il mistero ignorato ora sa!
Gloria all'ebbrezza e all'amore che ha vinto
e alla China la pace ridà!

(dall'interno, il rumore della reggia richiama i tre ministri alla triste realtà).

PING
Noi si sogna e il palazzo già formicola
di lanterne, di servi e di soldati.
Udite il gran tamburo del tempio verde!
Già stridon le infinite ciabatte di Pekino.

PING, PANG, PONG
Udite trombe! Altro che pace!
Ha inizio la cerimonia.
Andiamo a goderci
l'ennesimo supplizio!



direttore: Zubin Mehta


direttore: Claudio Micheli

4 novembre 2010

Turandot (7) - Riassunto dell'atto II

Scritto da Giovanni Ansaldi



1° quadro, Padiglione del Palazzo imperiale.

I ministri Ping, Pong e Pang ricordano i tempi felici, quando non c'era ancora la crudele principessa Turandot e la vita di corte era tranquilla. Purtroppo ora si sta preparando la nuova prova degli enigmi e una nuova testa sta per essere decapitata (i tre ministri ricordano, anche musicalmente, le maschere del teatro dell’arte).

2° quadro, Grande scena degli enigmi.

La corte imperiale prende posto sulla scalinata del palazzo imperiale. Otto sapienti portano i rotoli con la soluzione degli enigmi. La folla riempie la piazza.
Il vecchio imperatore, stanco di veder scorrere sangue, scongiura Calaf di rinunciare alla prova e ritirarsi ("Stranier ebbro di morte"), ma il principe è irremovibile. Entra Turandot e spiega le ragioni della sua crudele condotta, raccontando la storia di una sua antenata, tradita da un conquistatore straniero che l'aveva condotta lontano ed era morta di dolore ("In questa reggia, or son mill’anni e mille"). Propone quindi a Calaf i tre enigmi. "La speranza", "Il sangue", "Turandot" sono le risposte che Calaf dà, senza tentennamenti. Turandot non vuole accettare la sconfitta e chiede al padre di non consegnarla allo straniero. Il padre non può accontentarla ("È sacro il giuramento"). Ma è lo stesso Calaf che generosamente dichiara di rinunciare alla sua vittoria. Propone a sua volta una prova a Turandot: se prima dell'alba dell'indomani la principessa riuscirà a conoscere il suo nome, lui morrà come se non avesse risolto gli enigmi. La principessa acconsente (grande finale corale).

3 novembre 2010

Turandot (6) - Il Principe Ignoto

Scritto da Marisa

Subito dopo la comparsa della coppia Timur-Liù e la caduta del vecchio, entra in scena un giovane che riconosce nel debole viandante il proprio padre, il re dei Tartari, sconfitto e fuggiasco. Veniamo dunque a sapere che si tratta di un principe, che deve nascondersi perché chi ha sconfitto il padre lo vuole morto. È quindi un principe in incognito (che si tratti dell'erede del re dei Tartari è molto importante, e cerchiamo di tenerlo in mente!): e proprio l'essere sconosciuto giocherà un ruolo importante nella vicenda.
Immediatamente dopo la gioia e la commozione del reciproco ritrovamento e la presentazione della fedele Liù ("Sia benedetta!"), prende il sopravvento la folla che attende la morte annunciata del giovane principe di Persia, che ha fallito la prova. Naturalmente Calaf (cominciamo a chiamarlo così, perché questo è il suo nome all'anagrafe...), generoso e impulsivo com'è, si indigna e maledice la crudele principessa; ma al suo solo apparire, la situazione si capovolge. La fascinazione che produce Turandot è immediata e irresistibile per il giovane principe, ed egli passa dalla maledizione alla meraviglia incantata ("O divina bellezza, o meraviglia!"). E nessun argomento, che sia dettato dal buon senso comune (i tre ministri Ping, Pang e Pong), dal richiamo dell'amor paterno appena ritrovato (Timur) o dall'amorevole e appassionata dedizione di Liù, può distoglierlo dalla decisione di tentare la prova che ha già distrutto tante giovani vite, ma che lui sente ormai come suo "destino" irrevocabile.

Ma chi è veramente Calaf? Se Turandot è collegata alla luna nel suo aspetto tenebroso e distruttivo (almeno all'inizio), Calaf ne è la controparte maschile solare e positiva, tanto che la sua vittoria coinciderà con l'alba, il sorgere del sole, sottolineando l'identificazione sole = maschile. Già dalle prime battute lo vediamo appassionato e caloroso, almeno tanto quanto Turandot è gelida e distaccata; e proprio sugli opposti "fuoco" e "gelo" si giocherà tutta la vicenda.
La principessa di gelo dovrà essere contagiata e sciolta dall'ardore e dal fuoco dell'eros, impersonato da Calaf, impresa che non è riuscita ai numerosi giovani principi che si sono cimentati nella prova. Essi sono però gli unici (è importante riconoscerlo) che incoraggiano Calaf a non desistere ("Non indugiare! Se chiami, appare quella che estinti ci fa sognare"), quasi come se volessero affidare a lui il proseguimento del loro sogno e attraverso la sua vittoria dare un senso alla loro impresa, altrimenti fallita per sempre.

Fa parte della psicologia dell'eroe liberare la "principessa", spesso prigioniera di un drago o mostro, attraverso una serie di prove pericolose. E la sua natura "solare" consiste proprio nella vittoria sul drago, così come il sole vince le tenebre della notte e la coscienza si afferma sul primitivo dominio dell'inconscio (il tema dell'eroe come principio di coscienza che emerge e si differenzia lottando con il drago dell'inconscio e sciogliendosi dall'abbraccio regressivo del materno divorante è svolto magistralmente da Erich Neumann nel libro "Storia delle origini della coscienza", ed. Astrolabio).
Ma va subito detto che Calaf è un eroe diverso dal prototipo che conosciamo dai miti, da eroi come Teseo, Eracle, Perseo o Sigfrido, per intenderci, e anche come San Giorgio che ne è l'erede cristiano, i quali ottengono la vittoria "uccidendo il drago", annientando cioè l'avversario.
Vedremo infatti come non solo Calaf non utilizzerà la sua innegabile vittoria, ma anzi lui stesso riesporrà a rischio la propria vita, e questo è un fatto assolutamente nuovo nella psicologia dell'eroe.







Clicca qui per il testo di "O divina bellezza!".

CALAF
O divina bellezza! O meraviglia! O sogno!

I SACERDOTI
O gran Koung-tzè! Che lo spirito del morente giunga fino a te!

TIMUR
Figlio, che fai?

CALAF
Non senti? Il suo profumo è nell'aria! È nell'anima!

TIMUR
Ti perdi!

CALAF
O divina bellezza, meraviglia! Io soffro, padre, soffro!

TIMUR
No, no! Stringiti a me. Liù, parlagli tu! Qui salvezza non c'è!
Prendi nella tua mano la sua mano!

LIÙ
Signore, andiam lontano!

TIMUR
La vita c'è laggiù!

CALAF
Quest'è la vita, padre!

TIMUR
La vita c'è laggiù!

CALAF
Io soffro, padre, soffro!

TIMUR
Qui salvezza non c'è!

CALAF
La vita, padre, è qui! Turandot! Turandot! Turandot!

LA VOCE DEL PRINCIPE DI PERSIA
Turandot!

LA FOLLA
Ah!

TIMUR
Vuoi morire così?

CALAF
Vincere, padre, nella sua bellezza!

TIMUR
Vuoi finire così?

CALAF
Vincere gloriosamente nella sua bellezza!



Sergej Larin (Calaf)
dir: Zubin Mehta


Clicca qui per il testo di "Non piangere, Liù!".

CALAF
Non piangere, Liù! Se in un lontano giorno io t'ho sorriso,
per quel sorriso, dolce mia fanciulla, m'ascolta:
il tuo signore sarà domani, forse solo al mondo…
Non lo lasciare, portalo via con te!

LIÙ
Noi morrem sulla strada dell'esilio!

TIMUR
Noi morrem!

CALAF
Dell'esilio addolcisci a lui le strade! Questo, o mia povera Liù,
al tuo piccolo cuore che non cade, chiede colui che non sorride più!

TIMUR
Ah, per l'ultima volta!

LIÙ
Vinci il fascino orribile!

PING, PONG, PANG
La vita è così bella!

TIMUR
Abbi di me pietà!

LIÙ
Abbi di Liù pietà!

TIMUR
Abbi di me, di me pietà, pietà!

PING, PONG, PANG
Non perderti così!

CALAF
Son io che domando pietà!

LIÙ
Signore, pietà!

TIMUR
Non posso staccarmi da te!

CALAF
Nessuno più ascolto! Nessuno più ascolto!

LIÙ
Pietà di lui!

PING, PONG, PANG
Afferralo, portalo via! Portalo via! Su! Porta via quel pazzo!

CALAF
Io vedo il suo fulgido volto! La vedo! Mi chiama! Essa è là!
Il tuo perdono chiede colui che non sorride più!

TIMUR
Non voglio staccarmi da te! Pietà! Pietà!
Mi getto ai tuoi piedi gemente. Abbi pietà! Non voler la mia morte!

PING, PONG, PANG
Su, portalo via quel pazzo! Trattieni quel pazzo furente! Folle tu sei! La vita è bella!

LIÙ
Pietà! Signore, pietà, pietà!

PING, PONG, PANG
Su, un ultimo sforzo, portiamolo via! Portiamolo via, portiamolo via!

CALAF
Lasciatemi! Ho troppo sofferto! La gloria m'aspetta laggiù.
Forza umana non c'è che mi trattenga. Io seguo la mia sorte.
Son tutto una febbre, son tutto un delirio! Ogni senso è un martirio feroce.
Ogni fibra dell'anima ha una voce che grida.

TIMUR
Tu passi su un povero core che sanguina invano per te!
Nessuno ha mai vinto, nessuno. Su tutti la spiada piombò.
Mi getto ai tuoi piedi: non voler la mia morte!

PING, PONG, PANG
Il volto che vedi è illusione, la luce che splende è funesta.
Tu giochi la tua perdizione, tu giochi la testa. La morte, c'è l'ombra del boia laggiù.
Tu corri alla rovina! La vita non giocar!

LIÙ
Pietà! Pietà di noi! Se questo suo strazio non basta,
signore, noi siamo perduti con te! Ah, fuggiamo, signore, ah! Fuggiamo!

LA FOLLA
La fossa già scaviam per te che vuoi sfidar l'amor.
Nel buio c'è segnato, ahimè, il tuo crudel destin!

CALAF
Turandot!

LIÙ, TIMUR, PING, PONG, PANG
La morte!

CALAF
Turandot!

PING, PONG, PANG
E lasciamolo andar! Inutile è gridar in sanscritto, in cinese, in lingua mongola!
Quando rangola il gong la morte gongola. Ah, ah, ah, ah!



José Carreras


Placido Domingo


Luciano Pavarotti


Franco Corelli

1 novembre 2010

Turandot (5) - Liù

Scritto da Marisa

Nel primo atto Liù compare molto presto, ed è facile simpatizzare subito con lei: tutto quello che fa, lo fa con amore e per amore. Cosa vogliamo di più? A lei Puccini dedica la prima stupenda aria dell'opera ("Signore, ascolta!") e rimaniamo sotto il suo incanto per tutta la sua durata. Come mai allora Calaf non si era mai accorto di lei e, pur avendole sorriso una volta, non se la ricorda nemmeno, innamorandosi perdutamente a prima vista di Turandot che ha appena maledetto e che sa essere "crudele"?

Liù rappresenta il contraltare di Turandot: anzi, Turandot è il contraltare di Liù, così come Carmen è il contraltare di Micaela.
Nell'immaginario collettivo, Liù incarna tutte quelle doti molto rassicuranti che da secoli vogliamo attribuire alla donna, plasmandola secondo un codice patriarcale che si aspetta da essa dedizione, dolcezza, spirito di abnegazione, amore altruistico fino alla totale "rinuncia a sé stessa". L'eroina d'amore si sacrifica a vantaggio del proprio oggetto d'amore, appunto, sia esso un figlio o un uomo da cui a volte (ed è il caso di Liù) non è nemmeno ricambiata; agisce solo per amore e in nome dell'amore (quasi sempre l'oggetto d'amore è maschile).

Tutto molto sublime: ma spesso, quando si parla di "amore", si entra in una terra sconosciuta, un gioco infinito di equivoci e proiezioni, dove è facile dare per scontato che si sta parlando della stessa cosa ma in realtà finiamo per intrappolarci in un discorso tra sordi, perché l'amore ha più facce e più significati (sessuale, mistico, spirituale, filiale, amicale...) e più oggetti, primo tra tutti sé stessi, in mancanza del quale qualsiasi amore è sospetto; cosa riconosciuta anche da Gesù quando ammoniva di amare gli altri "come te stesso".

Non possiamo dare agli altri quello che non abbiamo, e l'amore è una forma di energia, in qualunque modo si chiami o si presenti, che va verso gli altri solo se "trabocca" dal nostro vaso, dal contenitore della nostra "pienezza". Spesso si scambia il proprio bisogno di "essere amati", la propria sete d'amore, per capacità d'amare; ma se la reciprocità è importante in qualsiasi relazione, in amore diventa indispensabile per ridurre al minimo violenze e dipendenze e per aprire la strada a un reciproco arricchimento. Ed è proprio la reciprocità che Calaf cercherà, non accontentandosi di possedere Turandot per diritto di vincita, in condizioni quindi di forza e di proprietà.

Dopo queste brevi, ma essenziali digressioni, torniamo a Liù. Chi è veramente e di che natura è il suo amore? Lei stessa si presenta al minimo: "Nulla sono... Una schiava, mio signore".
Definendosi "una schiava", rinuncia persino al proprio nome, al proprio "Io", e questo sembra la prova più evidente di una dipendenza, mancanza di autonomia e libertà. Non potrebbe esserci contrasto più netto con la libertà di Turandot, che è invece ben consapevole del proprio essere la figlia del Cielo, principessa potente il cui nome riempie il mondo intero di ammirazione e terrore.

Liù accompagna il vecchio re Timur sulla via dell'esilio (come la pia Antigone con il vecchio e cieco Edipo) perché il suo cuore è tutto pieno di un "sorriso" che ha ricevuto una volta da Calaf, e sembra non pretendere niente in cambio. Ma dietro questa apparente nullità si cela un'enorme forza; forza che non riesce a fermare Calaf nel suo intento, ma che si rivelerà determinante per la vittoria finale. La famosa "forza dei deboli"?

Per quello che riguarda il primo atto, limitiamoci a questa presentazione. Riprenderemo il discorso su Liù e la sua "offerta d'amore" quando parleremo del terzo atto.

Clicca qui per il testo di "Signore, ascolta!".

LIÙ
Signore, ascolta! Ah, signore, ascolta!
Liù non regge più, si spezza il cuor!
Ahimè, quanto cammino col tuo nome nell'anima,
col nome tuo sulle labbra!
Ma se il tuo destino doman sarà deciso,
noi morrem sulla strada dell'esilio.
Ei perderà suo figlio, io l'ombra d'un sorriso.
Liù non regge più! Ah!


Maria Callas


Renata Tebaldi


Mirella Freni

Montserrat Caballé