31 luglio 2019

Il barbiere di Siviglia (4) - "Largo al factotum"

Scritto da Christian

Figaro, il titolare dell'opera, entra in scena cantando la cavatina (termine che indica il brano con cui un personaggio si introduce sulla scena) più celebre della storia della lirica, un vero caposaldo della cultura musicale popolare italiana, un'aria vivacissima, orecchiabile e vorticosa, nota a chiunque e tuttora utilizzata ampliamente in musica, in televisione, al cinema e in pubblicità. Ma prima di parlare dell'aria in questione, soffermiamoci sul personaggio, visto che si presenta (come scrive Fedele D'Amico) come «una delle massime figure della storia dell’opera; e questo, in piena consonanza col personaggio che Beaumarchais aveva creato trasformando l’antichissimo ruolo di servo in esponente di quello spirito d’intraprendenza, intrepido attraverso qualsiasi rovescio della fortuna e nonostante l’inferiorita sociale, percio in un simbolo dello spirito borghese in lotta contro il privilegio della nascita. […] un personaggio poliedrico, pronto a mutar direzione, e sempre sotto il segno d’una vitalita irrefrenabile». Una figura dunque perfettamente figlia dei suoi tempi e del periodo di trasformazione che la società europea stava vivendo a cavallo fra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo. Non a caso diventerà subito un'icona.

Il nostro barbiere non è il solo personaggio ricorrente nella trilogia di Beaumarchais, ma è di certo il più iconico. Se le sue origini sono certamente da ricercare in figure della Commedia dell'Arte come Brighella, le sue caratteristiche finiscono per renderlo davvero unico e indimenticabile: furbo, ingegnoso, simpatico, sicuro di sé, consapevole del proprio ruolo sociale (quello di servitore) ma non disposto a lasciarsi mettere i piedi in testa e, anzi, sempre pronto a combattere per i propri diritti e la propria felicità (che si tratti di denaro, come in questo caso, o di amore, come sarà ne "Le nozze"). Pur essendo un personaggio buffo, dunque, è tutt'altro che caricaturale ("Figaro non è oggetto di riso, ma permette alla vicenda di far uscire il riso, semplicemente guidandola verso i suoi scopi", scrive Vincenzo Carboni). Il suo ruolo è inoltre ingigantito dalla musica di Rossini, che lo eleva a protagonista (ed autentico deus ex machina) ancor più di quanto non fosse nel testo originale. Lo percepiamo già dalla sua introduzione, con l'orchestra che anticipa con suspense il suo arrivo per diverse battute prima ancora che giunga in scena, preceduto dalla sua voce che gorgheggia in lontananza "La ra la lera...".

La pace dell’alba subisce un ulteriore e definitivo colpo con l’uscita in scena di Figaro, impegnato da quell’autentico torrente in piena di musica e parole che è la sua celeberrima cavatina. Si tratta forse di un brano la cui fama ha valicato i confini dell’opera invadendo altri territori: se da una parte frammenti di testo («Figaro qua, Figaro là», «Uno alla volta, per carità», eccetera) sono diventati luoghi comuni dell’espressione verbale sfruttati come è ovvio anche nel campo cinematografico e pubblicitario, dall’altra la musica è diventata un patrimonio così trasversale da trasformarsi anche una sorta di cover per il genere leggero, sfruttata da gruppi come il Quartetto Cetra sino a Elio e le Storie Tese. Rossini riesce a creare tale dirompente flusso musicale ricorrendo a un’abilissima combinazione di alcuni incisi melodici, esposti nell’introduzione orchestrale, tutti basati sulle terzine di crome, che sembrano quasi venir generati l’uno dall’altro.
(Stefano Piana)
Nella cavatina, Figaro si rivolge agli spettatori ma in realtà sta parlando con sé stesso (in effetti sta cantando diegeticamente, tanto che giunge in scena con una chitarra: in Beaumarchais e in Paisiello, addirittura, viene esplicitato che sta componendo una canzone, dimostrando di avere una vena poetica), beandosi della vita che conduce e vantandosi con malcelata soddisfazione dei propri pregi: spigliato, sempre attivo, benvoluto e soprattutto utile a tutti come un vero "factotum" (dal latino, "colui che fa tutto"), si presenta con le caratteristiche di quella "piccola borghesia artigianale" in cui molti spettatori dell'epoca sicuramente si riconoscevano. Ma saranno invece i suoi rapporti con i potenti, la nobiltà rappresentata dal Conte di Almaviva in primis, il motore di quasi tutte le sue azioni in questa come nelle opere successive (compresi gli apocrifi, come "I due Figaro" di Saverio Mercadante). Proprio per questo, secondo Paolo Gallarati, Figaro è "il rappresentante tipico dell'uomo borghese che si affaccia sulla scena sociale del primo ottocento". Un accenno anche al tipo di voce richiesta all'interprete: come spiega Piana, si tratta "di quella che può essere definita una parte per «buffo cantante», che cioè assieme alle doti sceniche-attoriali richiede una tecnica vocale piuttosto sviluppata. All’interno di un’estensione piuttosto acuta (arriva a toccare il La3) e di una linea di canto che propende spesso per i registri medio-acuti, Rossini non esita infatti ad inserire qua e là vocalizzi di una certa complessità, ma che in qualche maniera sono giustificati dal contesto drammatico".

Il testo – al di là dei tanti passaggi entrati ormai nella cultura popolare ("Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono...") – ci fa capire molte cose del lavoro di Figaro. Innanzitutto possiede una bottega (più avanti la descriverà), dunque è – al momento – quello che oggi chiameremmo un “libero professionista” e non al servizio diretto di un signore (come è stato in passato e come sarà di nuovo in futuro, proprio presso il Conte d'Almaviva), benché all'occasione gli capiti spesso di recarsi nelle case dei suoi clienti, in particolare di quelli più facoltosi e poco avvezzi ad andare di persona nelle botteghe degli artigiani. Inoltre un barbiere come lui, nel settecento, era davvero un “factotum”, ossia si occupava non solo di barbe e capelli (e parrucche, all'epoca diffusissime!) ma anche di compiti generici legati alla salute e alla medicina. “Io son barbiere, parrucchier, chirurgo, botanico, spezial, veterinario, il faccendier di casa”, spiegherà più tardi al Conte. Ed ecco giustificati alcuni termini elencati nella cavatina che, a prima vista, facciamo fatica ad associare al mestiere di parrucchiere: passi per “rasoi e pettini, lancette e forbici” (le lancette sono una sorta di bisturi), ma la “sanguigna”? Si tratta di una sanguisuga, animaletto essenziale per la medicina dell'epoca! E il “biglietto”? Si riferisce a un altro dei suoi compiti, quello di scrittore (o di portatore) di missive, di “pizzini” insomma, possibilmente amorosi! Nel recitativo seguente chiarirà il proprio ruolo di "accomodatore" di matrimoni: "Senza Figaro non si accasa in Siviglia una ragazza. A me la vedovella ricorre pel marito..."

Prima di passare alle clip, ricordo qui che il personaggio di Figaro acquisterà talmente tanta popolarità da dare il nome, fra le altre cose, anche a un importante quotidiano francese, "Le Figaro" appunto, fondato nel 1826 come settimanale satirico e oggi il più longevo fra quelli tuttora in pubblicazione in Francia.

Clicca qui per il testo di "Largo al factotum".

FIGARO
Largo al factotum
della città.
Presto a bottega,
ché l'alba è già.
Ah, che bel vivere,
che bel piacere
per un barbiere
di qualità!
Ah, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo;
fortunatissimo
per verità!
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d'intorno,
in giro sta.
Miglior cuccagna
per un barbiere,
vita più nobile,
no, non si dà.
Rasori e pettini,
lancette e forbici,
al mio comando
tutto qui sta.
V'è la risorsa,
poi, del mestiere,
colla donnetta,
col cavaliere.
Ah, che bel vivere,
che bel piacere
per un barbiere
di qualità!
Tutti mi chiedono,
tutti mi vogliono,
donne, ragazzi,
vecchi, fanciulle:
Qua la parrucca!
Presto la barba!
Qua la sanguigna!
Presto il biglietto!
Ehi, Figaro!
Ahimè, che furia!
Ahimè, che folla!
Uno alla volta,
per carità!
Figaro! Son qua.
Ehi, Figaro! Son qua.
Figaro qua, Figaro là,
Figaro su, Figaro giù!
Pronto prontissimo
son come il fulmine:
sono il factotum
della città.
Ah, bravo Figaro!
bravo, bravissimo;
a te fortuna
non mancherà.



Hermann Prey (Figaro)
dir: Claudio Abbado (1971)


Pietro Spagnoli (2005)


Leo Nucci (1989)


Tito Gobbi (1955)


Rolando Panerai (1954)



Un po' di esempi di come la cavatina di Figaro abbia invaso l'immaginario e la cultura popolare:


Elio e le Storie Tese cantano “Largo al factotum” al Festival di Sanremo (2008)


Coro dell'armata russa (solista: Maksim Maklakov)


Incipit di "Mrs. Doubtfire" (1993)


Un cartoon di "Tom & Jerry" (1964)


Locandina del film
"Figaro qua, Figaro là" (1950) con Totò

Una vignetta dalla storia
"Paperino barbiere di Siviglia" (1962)

L'opera si apre in maniera diversa rispetto alla commedia di Beumarchais da cui è tratta e alla precedente versione messa in musica da Paisiello, dove assistevamo subito all'incontro fra Figaro e il Conte, preceduto giusto da un breve monologo di quest'ultimo, da solo in scena sotto le finestre dell'amata Rosina. Sterbini e Rossini aggiungono invece una lunga introduzione, con un servo del Conte, Fiorello (personaggio inventato per l'occasione), che conduce silenziosamente in piazza alcuni suonatori, ingaggiati per accompagnare l'imminente serenata del suo padrone. Lo scopo di questa aggiunta non è soltanto quello di differenziarsi a ogni costo dai predecessori e di mostrare agli spettatori paganti che in effetti stavano assistendo a qualcosa di diverso («nuove situazioni di pezzi musicali», si promettevano nel testo allegato al libretto, intitolato "Avvertimento al pubblico"), ma anche giustificare in qualche modo il nuovo titolo "Almaviva" (il materiale espande infatti lo spazio e il ruolo del Conte, ritardando l'arrivo in scena del "titolare" Figaro) e soprattutto andare incontro ai gusti ormai mutati dei melomani, che all'inizio del diciannovesimo secolo – rispetto a qualche decennio prima – si attendono all'inizio dell'opera non un semplice recitativo ma una scena ampia, dinamica e totalmente musicata, magari anche con la presenza di un coro (per lo stesso motivo sarà introdotto il concertato finale al termine del primo atto).

A Fiorello, primo personaggio a entrare in scena, in questa introduzione è affidata una parte abbastanza estesa, il che rende curiosa la sua totale scomparsa (non verrà più nemmeno menzionato) nel resto dell'opera. In ogni caso, l'inizio è sicuramente d'atmosfera, ambientato com'è alle prime luci dell'alba in una piazza silenziosa (e ancora addormentata) di Siviglia. Proprio perché tutti dormono (e presumibilmente anche Rosina: che idea quella di svegliarla così presto!), Fiorello si premura che i musicisti prestino cautela nel muoversi e nel disporsi sotto il balcone. Il coro dunque canta sottovoce (ma non troppo). Da notare come l'accompagnamento musicale di questa prima sezione ("Piano, pianissimo") sia stato trasposto pari pari da Rossini da una sua opera precedente, il "Sigismondo" (l'introduzione del secondo atto, "In segreto a che ci chiama"): si tratta solo del primo di una lunga serie di "autoimprestiti" che caratterizzano l'intera opera (e la produzione di Rossini in generale), come abbiamo già spiegato nei post precedenti.

Arriva infine il Conte (non è chiaro – nemmeno in Beaumarchais – se "Almaviva" sia il suo nome proprio, o quello del suo casato), che si assicura che tutto sia a posto, ripetendo le stesse parole di Fiorello ("Piano, pianissimo") con l'identica melodia. La cosa divertente (magia del teatro!) è che "Fiorello, e poi il Conte vanno avanti per ben 78 battute a ripetere (e a ripetersi fra loro) "Piano, pianissimo...", con il risultato di suscitare proprio il deprecato rumore, se non proprio il chiasso" (Delfrati). Qualcosa di simile avverrà anche prima del finale del secondo atto ("Zitti zitti, piano piano, non facciamo confusione..." nel terzetto fra il Conte, Figaro e Rosina).

[Il Conte] è un personaggio che presenta un carattere piuttosto sfaccettato; Rossini scrisse la parte per uno dei tenori più famosi del tempo, ossia per quel Manuel García (nato, ironia della sorte, proprio a Siviglia) che qualche mese prima aveva tenuto a battesimo l’impegnativa parte di Norfolk (il ‘cattivo’) nell’“Elisabetta regina d’Inghilterra”. Due sono i momenti nell’opera dove il formidabile virtuosismo esecutivo di García (che da alcuni contemporanei era addirittura considerato eccessivo) poteva esprimersi al suo meglio: nella raffinata e impegnativa serenata dell’introduzione e nella grande aria finale, dove le difficoltà tecniche raggiungono un livello davvero impressionante. Non è un caso che si tratti proprio dei due momenti in cui il Conte esprime tutta la sua natura aristocratica, nutrita di un sentimento amoroso elevato che lo porterà a rappresentarsi come il nobile salvatore dell’innocente oppressa; tutto ciò è naturalmente evidenziato per contrasto dal continuo rapporto che il personaggio coltiva con Figaro, ancorato ai valori più prosaici del danaro e della scaltrezza. Ma non è questa la sola faccia che il Conte mostra agli spettatori: egli si presenterà durante l’opera con ben tre travestimenti diversi (quasi un record in un genere operistico in cui espedienti di questo tipo pure costituivano la regola), a cui corrispondono [...] altrettante caratterizzazioni musicali: si va dalla toccante e semplice melodia con cui Lindoro fa definitivamente breccia nel cuore di Rosina, alle frasi irregolari e spezzate del soldato ubriaco, sino alla cantilenante nenia di Don Alonso. Un campionario di caratterizzazioni insomma che richiedeva a García (e agli interpreti di oggi), oltre che una grande padronanza della tecnica vocale, una capacità attoriale non indifferente, che il celebre tenore possedeva in misura ragguardevole.
(Stefano Piana)

Clicca qui per il testo di "Piano, pianissimo".

(Una piazza della città di Siviglia. Il momento dell'azione è sul terminar della notte. A sinistra è la casa di Bartolo, con balcone praticabile, circondato da gelosia, che deve aprirsi e chiudersi - a suo tempo - con chiave. Fiorello, con lanterna nelle mani, introducendo sulla scena vari suonatori di strumenti. Indi il Conte avvolto in un mantello.)

FIORELLO (avanzandosi con cautela)
Piano, pianissimo,
senza parlar,
tutti con me
venite qua.

CORO
Piano, pianissimo,
eccoci qua.

TUTTI
Tutto è silenzio;
nessun qui sta
che i nostri canti
possa turbar.

CONTE (sottovoce)
Fiorello, olà!

FIORELLO
Signor, son qua.

CONTE
Ebben! gli amici?

FIORELLO
Son pronti già.

CONTE
Bravi, bravissimi,
fate silenzio;
piano, pianissimo,
senza parlar.

CORO
Piano, pianissimo,
senza parlar.
(I suonatori accordano gli istrumenti, e il Conte canta accompagnato da essi.)



Paolo Barbacini (Fiorello), Raul Giménez (Conte)
dir: Maurizio Barbacini (Parma, 2005)


Mario Carlin, Luigi Alva
dir: Alceo Galliera (1957)

Joseph Galiano, Nicolai Gedda
dir: James Levine (1996)



Preceduta da un forte accordo (che siano i suonatori che intonano i loro strumenti?), inizia la musica di accompagnamento della serenata cantabile, "Ecco ridente in cielo" (qui la melodia, incredibilmente, è un autoimprestito dal coro "Sposa del grande Osiride", la solenne preghiera che apriva il primo atto dell'"Aureliano in Palmira"). Sappiamo che il testo di Beaumarchais, poco più avanti, prevede un'altra serenata, decisamente più semplice ("alla buona", accompagnandosi con una chitarra), che il Conte canterà a Rosina sotto i falsi panni di Lindoro. La scelta di raddoppiare la situazione, mettendo in scena una prima serenata (ben più sontuosa, con tutta un'orchestra di accompagnamento) seguita poco dopo da una seconda canzone, serve anche a mettere in risalto la differenza di mezzi, oltre che di stile, fra il "ricco" Conte e il "povero" Lindoro. Un saggio di Serena Facci (contenuto nel programma di sala del Teatro La Fenice del 2008, qui in pdf) analizza e confronta fra di loro le due serenate. Qui voglio soltanto aggiungere che il Conte non è l'unico a “cantare” diegeticamente (e dunque non nell'illusione scenica) all'interno dell'opera: lo faranno anche Figaro (con la sua cavatina), Rosina (nella lezione di piano) e persino Bartolo (nella medesima scena), dunque tutti i personaggi più importanti della vicenda. D'altronde:
Non si può comprendere appieno il senso di un genere come la “serenata sotto la finestra”, se non si considera quale doveva essere l’ambiente sonoro dei centri urbani (Parigi, Siviglia, Napoli o Roma), in epoca pre-industriale e pre-registrazione sonora, quando cioè la voce umana poteva essere protagonista del sound ambientale e, inoltre, l’unico modo per ascoltare la musica era eseguirla. Il canto, il mezzo più economico di fare musica, era pervasivo, presente sia nelle occasioni di lavoro, sia in quelle ricreative. Di giorno come di notte.
(Serena Facci)
La serenata (o, forse più precisamente, «mattinata») del Conte [è] un’aria completa, composta come consuetudine da un cantabile in tempo moderato a cui segue una cabaletta in tempo più veloce dal piglio virtuosistico. Su un accompagnamento orchestrale a tratti piuttosto elaborato (soprattutto in certe figurazioni dei legni) e arricchito dalla presenza delle chitarre e dei sistri, il Conte sfoggia un’elegante ed elaborata linea melodica non scevra da arabeschi e da increspature armoniche.
(Stefano Piana)
L'aria del Conte è effettivamente ricchissima di ornamenti e di virtuosismi vocali, che a un ascoltatore abituato al melodramma tardo ottocentesco potrebbero sembrare persino esagerati o caricaturali. In realtà si tratta, oltre che di un ottimo esempio di "bel canto", di una chiara dimostrazione di quella fede nel “bello ideale” che caratterizzava la poetica di Rossini e di cui abbiamo accennato nel post precedente. Il compositore qui non sta prendendosi gioco del nobile Almaviva, come qualcuno potrebbe pensare: le ornamentazioni fanno parte del gusto del personaggio.
La straripante ornamentazione non è affatto, come parve più tardi quando si era persa l'esperienza di quella suola di canto, manifestazione di meccanico virtuosismo sovrapposta alla “vera” melodia, ma essa stessa espressione di bellezza, oggetto di godimento estetico; essa presuppone, per essere correttamente intesa, un tipo di emissione del suono piena e morbida, assolutamente non forzata, il contrario di quel canto “drammatico” che cominciava a imporsi e che Rossini stesso chiamerà «canto declamato, cioè abbaiato e stonato». […] [Per la poetica rossiniana] il virtuosismo vocale, il canto fiorito, non è in contraddizione col “dramma” perché il compito della musica non è quello di esprimere i contenuti drammatici.
(Fabrizio Della Seta)

Clicca qui per il testo di "Ecco ridente in cielo".

CONTE
Ecco, ridente in cielo
spunta la bella aurora,
e tu non sorgi ancora
e puoi dormir così?
Sorgi, mia dolce speme,
vieni, bell'idol mio;
rendi men crudo, oh Dio,
lo stral che mi ferì.
Tacete! già veggo
quel caro sembiante;
quest'anima amante
ottenne pietà.
Oh istante d'amore!
Oh dolce contento!
Soave momento
che eguale non ha!



Luigi Alva (Conte)
dir: Claudio Abbado (1971)


Francisco Araiza (1987)


Alfredo Kraus (1987)


Raul Giménez (2005)

Juan Diego Flórez (2009)


Terminata la serenata (ma non l'aria, che volge ora nella sua seconda parte), il Conte rivolge il proprio canto a Fiorello e ai suonatori ("Tacete, già veggo quel caro sembiante") prima di bearsi del proprio successo ("Oh, istante d'amore! Oh, dolce contento!..."). Ha intravisto Rosina muoversi dietro la finestra? Oppure si trattava soltanto di un'impressione (o, più significativamente, di una sua illusione)?... In effetti, ad aria conclusa, Almaviva cerca conforto in Fiorello che gliela nega ("Ehi, Fiorello... Dì, la vedi?" "Signor no"). Riprendendo il tema iniziale (quello di "Piano, pianissimo"), il servo ricorda al suo padrone che ormai è l'alba ("Signor Conte, il giorno avanza": eh sì, la "bella aurora" di cui proprio il Conte aveva cantato è ormai spuntata) e che è necessario pagare i suonatori per congedarli. Qui nasce la situazione caotica e paradossale che conclude questa introduzione: per rigraziare il signore del denaro ricevuto e della sua magnanimità, i musicisti si accalcano attorno a lui e producono proprio quello strepito e quel rumore che sin dall'inizio si era cercato di evitare.
I concertati (ossia i brani in cui le varie voci sovrappongono linee melodiche diverse, e spesso anche parole diverse) sono la ‘risorsa in piu’ del linguaggio musicale rispetto a quello verbale. Nelle opere buffe Rossini li usa molto spesso proprio per accentuare la comicita della situazione. Gli basta trovare nel libretto un personaggio che invita gli altri ad agire «zitti, zitti, piano, piano; senza fare confusione» (una situazione che troviamo anche in "Cenerentola"), perche la sua fantasia scateni un’orgia di sonorita: all’orchestra si aggiungono le voci, che cantano tutte insieme, e ognuna per conto suo. Una specie di ‘sonorizzazione del caos’.
(Carlo Delfrati)
La constatazione dell’inutilità dell’esibizione e la conseguente mogia distribuzione della paga ai suonatori (un’efficace ‘discesa’ drammatica rispetto all’ambiziosa tirata precedente) sono accompagnate dai temi [già] utilizzati nella scena d’apertura. Per permettere al compositore di chiudere con una stretta, in ossequio alle consuetudini, il librettista inventa una piccola scena nella quale la spropositata gratitudine dei suonatori irrita il Conte e Fiorello; trovata, questa, che scenicamente contribuisce a dipingere la prodigalità di Almaviva (sarà una costante durante tutta l’opera).
(Stefano Piana)
In effetti, nel prosieguo del "Barbiere" vedremo che il munifico Conte non ha certo la borsa stretta: elargirà soldi a destra e manca (a Figaro, a Basilio, e alla fine persino a Bartolo...). È sbagliato dunque interpretare questa scena iniziale, come ho visto fare in alcuni allestimenti (per esempio nel film del 1971 diretto da Jean-Pierre Ponnelle), come se il chiasso dei suonatori fosse dovuto alla loro protesta e al rancore per aver ricevuto troppo poco denaro (leggendo dunque il "Mille grazie, mio signore" in chiave sarcastica).

Allontanatosi i suonatori ("Gente indiscreta!"), il Conte decide di voler rimanere sotto il balcone di Rosina, sperando di rivederla e di poterle parlare da solo. Intima allora a Fiorello di ritirarsi ("Vado. Là in fondo attenderò suoi ordini", replica il servo, senza sapere che il suo padrone – e con lui l'intera opera, se si eccettua un brevissimo recitativo – si dimenticherà completamente di lui!). In lontananza già si sente arrivare Figaro cantando, al che il Conte preferisce nascondersi sotto le arcate del palazzo ("Chi è mai quest'importuno? Lasciamolo passare"). Ci troviamo di fatto nella situazione in cui si aprivano la commedia di Beaumarchais e l'opera di Paisiello.

Clicca qui per il testo di "Ehi, Fiorello? - Mio signore".

CONTE
Ehi, Fiorello?

FIORELLO
Mio signore.

CONTE
Dì, la vedi?

FIORELLO
Signor no.

CONTE
Ah, ch'è vana ogni speranza!

FIORELLO
Signor Conte, il giorno avanza.

CONTE
Ah! che penso! che farò?
Tutto è vano, buona gente!

CORO (sottovoce)
Mio signor...

CONTE
Avanti, avanti.
(Dà la borsa a Fiorello, il quale distribuisce i denari a tutti.)
Piu' di suoni, più di canti
io bisogno omai non ho.

FIORELLO
Buona notte a tutti quanti,
più di voi che far non so.

(I suonatori circondano il Conte ringraziandolo e baciandogli la mano e il vestito. Egli, indispettito per lo strepito che fanno, li va cacciando. Lo stesso fa anche Fiorello.)

CORO
Mille grazie, mio signore,
del favore, dell'onore.
Ah, di tanta cortesia
obbligati in verità.
(Oh, che incontro fortunato!
È un signor di qualità.)

CONTE
Basta, basta, non parlate,
Ma non serve, non gridate.
Maledetti, andate via!
Ah, canaglia, via di qua!
Tutto quanto il vicinato
questo chiasso sveglierà.

FIORELLO
Zitti, zitti, che rumore!
Ma che onore? che favore?
Maledetti, andate via!
Ah, canaglia, via di qua!
Ve', che chiasso indiavolato!
Ah, che rabbia che mi fa!

(I suonatori partono.)

Clicca qui per il testo del recitativo che segue ("Gente indiscreta!").

CONTE
Gente indiscreta!

FIORELLO
Ah, quasi con quel chiasso importuno
tutto quanto il quartiere han risvegliato.
Alfin sono partiti!

CONTE (guardando verso la ringhiera)
E non si vede!
È inutile sperar.
(Passeggia riflettendo.)
Eppur qui voglio
aspettar di vederla. Ogni mattina
ella su quel balcone a prender fresco
viene sull'aurora.
Proviamo. Olà, tu ancora
ritirati, Fiorel.

FIORELLO
Vado. Là in fondo
attenderò suoi ordini.
(Si ritira.)

CONTE
Con lei se parlar mi riesce,
non voglio testimoni. Che a quest'ora
io tutti i giorni qui vengo per lei
dev'essersi avveduta. Oh, vedi, amore
a un uomo del mio rango
come l'ha fatta bella! Eppure, eppure
dev'essere mia sposa.
(Si sente da lontano venire Figaro cantando.)
Chi è mai quest'importuno?
Lasciamolo passar; sotto quegli archi,
non veduto, vedrò quanto bisogna;
già l'alba appare e amor non si vergogna.
(Si nasconde sotto il portico.)




Luigi Alva, Renato Cesari (1971)

Michele Angelini, David Lagares (2016)

17 luglio 2019

Il barbiere di Siviglia (2) - Ouverture

Scritto da Christian

La sinfonia del "Barbiere di Siviglia" è uno dei brani più noti dell'opera, ma non tutti sanno che Rossini la riciclò da un suo lavoro precedente, "Aureliano in Palmira" (andato in scena a Milano nel 1813), e che già era stata rimaneggiata per utilizzarla in un'altra opera, "Elisabetta, regina d'Inghilterra" (Napoli, 1815). Per questo motivo non contiene materiale musicale o tematico legato direttamente al "Barbiere" (non ci sono melodie che torneranno nell'opera, per esempio). Di più: i due lavori succitati erano dei drammi seri, non delle commedie, e questo può forse stupire, visto che l'ouverture ci appare vivace, giocosa e quasi scatenata in alcuni punti, come se fosse stata scritta apposta per un'opera buffa.

Pensando al melodramma buffo che tra poco dovrà svolgersi sulla scena, scrive il musicologo Luigi Rognoni, «l'ascoltatore è portato a sentire [nella sinfonia] il sorriso rossiniano che preannuncia la prossima risata». Ma Rossini non aveva scritto questa ouverture per un'opera seria? «Questo importa tanto poco che anche la famosa melodia che vien fuori dall'Allegro vivace, nonostante la lamentosa intonazione in minore, acquista ora [per quello stesso spettatore] un sapore ironico. Il discorso ritmo-melodico si sviluppa giocando a rimpiattino sino a sbottare nell'allegria, per poi placarsi e sparire nei frammenti della solita "sospensione"».
(Carlo Delfrati)
Il motivo principale per il quale Rossini si può permettere di spostare con nonchalance un brano da un'opera seria a una buffa, senza che l'ascoltatore si ritrovi spaesato per il cambio di registro, risiede nell'aderenza dei compositore a quegli ideali estetici – riassumibili con l'etichetta di "Neoclassicismo" – che erano alla base non solo della sua poetica e del suo stile, ma parte integrante dell'atmosfera culturale, soprattutto italiana, del primo ventennio dell'Ottocento:
Un primo punto è la fede in un "bello ideale", un modello perfetto e immutabile di bellezza sottratta ad ogni divenire storico, che prevalentemente ma non esclusivamente s'identificava nell'arte dell'Antichità classica. Qualunque fosse il soggetto dell'opera d'arte, esso doveva essere ricondotto a questo eterno tipo di perfezione, e questo spiega perché lo stile delle opere rossiniane sia sostanzialmente sempre lo stesso, che siano ambientate nella Siracusa medievale, come il "Tancredi", nella Venezia rinascimentale, come l'"Otello", o nella lontananza del mito greco, come l'"Ermione": Del tutto estranea a Rossini era l'idea romantica di un bello "caratteristico", mutevole a seconda dei tempi e dei luoghi, che inevitabilmente portava alla supremazia del "vero" sul bello.
(Fabrizio Della Seta)
Nelle sue opere Rossini si rivela interessato più al dinamismo dell'azione che non alla psicologia particolare di personaggi e situazioni. Gli uni e le altre sono piuttosto gli ingranaggi, in qualche modo neutri, di macchinazioni rinnovate con fantasia inesauribile. Per questo nell'insieme della sua produzione, possono essere spostati da un'opera all’altra senza creare incongruenze. Perche quello che a lui importa non è caratterizzare quella vicenda, ma immergere le sue vicende (quali che siano) in uno spazio-tempo frenetico, che sfugge al controllo della ragione e alla ragione dei sentimenti. [...] Il significato che potremmo allora attribuire alla sinfonia del "Barbiere" non è direttamente contestuale alla vicenda. Lo diventa indirettamente. La sinfonia appare come un occhiale colorato che, pur estraneo alla realtà a cui si applica, arriva a mostrarcela sotto una luce nuova, impensata.
(Carlo Delfrati)
L’ouverture rossiniana ha la funzione di predisporre innanzitutto l’ascoltatore alla gioia fisica del suono, di elettrizzarlo: essa permette di individuare immediatamente e con certezza la "formula" rossiniana che nel petulante cicaleccio degli strumenti preannuncia il battibecco vocale dei personaggi sulla scena.
(Luigi Rognoni)
Qui Rossini riesce a raggiungere un aureo equilibrio formale che pone il brano a eguale distanza sia dalle brevi e leggere sinfonie delle opere giovanili, sia dal monumentalismo della maturità. Dopo un’introduzione lenta, dove una distesa melodia di violini e flauto è preceduta da un incipit melodicamente frammentario e armonicamente cangiante (quasi una ‘messa in moto’ della macchina musicale), il tempo principale si apre sul celeberrimo primo tema in mi. La successiva sezione in fortissimo che, con un procedimento tipico delle sinfonie classiche d’oltralpe, è tutta melodicamente costruita su quell’anacrusi di tre crome del tema precedente, costituisce il ponte modulante verso un secondo tema esposto come prassi nella relativa maggiore (Sol), dall’andamento assai differente rispetto al primo, caratterizzato dal contrasto tra l’inflessione cantabile iniziale e lo spigliato ritmo anapestico che chiude la frase. Chiude la prima esposizione come da prassi un crescendo che, come tutti i crescendo rossiniani, deve il suo irresistibile effetto all’iterazione quasi ossessiva di una semplice formula melodico-armonica, composta prosodicamente in modo che la conclusione di un frammento si risolva all’inizio di quello successivo. Il crescendo sfocia in un fortissimo in Sol che chiude la prima esposizione. Nella seconda il primo tema è direttamente giustapposto al secondo e al crescendo (la cui esposizione in Mi garantisce la coerenza tonale del brano), e conduce il brano ad una fragorosa e rapida coda che conclude con grande effetto una sinfonia di certo degna della sua fama.
(Stefano Piana)


dir: Yuri Temirkanov


dir: Claudio Abbado

dir: Herbert von Karajan


Il brano è stato usato (con arrangiamento modificato da Carl Stalling) come colonna sonora di un celebre cartone animato della serie Looney Tunes, con protagonista Bugs Bunny: "Il coniglio di Siviglia" ("Rabbit of Seville", 1950).


Uno spezzone da "Il coniglio di Siviglia" (Chuck Jones, 1950)

Altra versione "parodistica" è quella nel film "Amici miei - Atto II", dove uno dei temi dell'ouverture viene usato dai protagonisti come melodia del loro coro "Ma vaffanzum".


Uno spezzone da "Amici miei - Atto II" (Mario Monicelli, 1982)

Qui sotto, alcune versioni della sinfonia per ensemble di fiati e per pianoforte.


Una curiosità: a inizio carriera, quando non era ancora un compositore noto e affermato, Giuseppe Verdi ha scritto anche un'ouverture alternativa per il "Barbiere".

10 luglio 2019

Il barbiere di Siviglia (1) - Introduzione

Scritto da Christian

Il barbiere di Siviglia, ossia L'inutile precauzione
Opera buffa in due atti
Libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioacchino Rossini

Prima rappresentazione: Roma (Teatro Argentina),
20 febbraio 1816

Personaggi e voci:
- Il Conte d'Almaviva, innamorato della giovane Rosina (tenore)
- Don Bartolo, dottore in medicina, tutore di Rosina e suo pretendente (basso buffo)
- Rosina, sua pupilla (mezzosoprano)
- Figaro, barbiere tuttofare (baritono)
- Don Basilio, maestro di musica di Rosina (basso)
- Berta, vecchia governante in casa di Bartolo (soprano)
- Fiorello, servitore del Conte d'Almaviva (basso)
- Ambrogio, servitore di Bartolo (basso)
- Un ufficiale, alcalde, o Magistrato (basso)
- Un notaro (ruolo muto)
- Alguazils, o siano Agenti di polizia; soldati; suonatori di istromenti (coro)


Il Conte d'Almaviva, nobiluomo madrileno, si trova a Siviglia per corteggiare la bella Rosina, giovane orfana che vive reclusa nella casa dell'anziano Don Bartolo, suo geloso tutore e aspirante sposo. Spacciandosi per un "povero studente" di nome Lindoro, e con l'aiuto dell'astuto Figaro, barbiere e "factotum della città", il Conte riesce a introdursi nella dimora del dottore e a conquistare l'affetto della (già ben disposta) ragazza.

Opera buffa per eccellenza del repertorio italiano, e in generale una fra le più famose e popolari di sempre (nonché fra le più rappresentate nei teatri di tutto il mondo), colma di personaggi, di situazioni, di melodie e di frasi entrate a far parte del linguaggio comune, "Il barbiere di Siviglia" di Gioacchino Rossini ha una storia travagliata alle spalle. L'omonima commedia teatrale di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais ("Le Barbier de Séville ou la Précaution inutile", scritta nel 1773 e andata in scena per la prima volta nel 1775), il cui titolo era probabilmente una parodia del precedente dramma di Tirso de Molina "El Burlador de Sevilla" (ossia il "Don Giovanni"!), era già stata trasposta in musica nel 1782 da Giovanni Paisiello, e poi da altri compositori negli anni seguenti (da Alexander Reinagle e Samuel Arnold nel 1794, da Nicolas Isouard nel 1796 e da Francesco Morlacchi nel 1815). La versione di Paisiello in particolare, rappresentata per la prima volta a San Pietroburgo (all'epoca il musicista era impiegato alla corte dell'imperatrice Caterina la Grande), aveva riscosso un enorme successo in tutta Europa ed era ancora assai popolare al momento in cui Rossini (su proposta, pare, del librettista Sterbini) decise di rivolgere il proprio genio comico allo stesso soggetto. Siamo infatti di fronte a un autentico remake, cosa peraltro non affatto rara in quegli anni (sin dal Settecento era prassi comune riciclare i libretti di opere precedenti per adattarli a nuove composizioni musicali: basti pensare ai drammi di Metastasio).

A differenza però di Morlacchi, che aveva appunto riutilizzato lo stesso libretto di Paisiello (attribuito a Giuseppe Petrosellini, ma più probabilmente opera di un anonimo traduttore dal francese), il compositore pesarese scelse invece di lavorare su un testo nuovo, scritto appositamente per lui da Cesare Sterbini, che si differenziava in più punti dal libretto dell'opera precedente (e dalla commedia di Beaumarchais), per esempio dando maggior spazio agli elementi comici e meno enfasi alla storia d'amore fra il Conte e Rosina. Per sottolineare la cosa, e forse anche per non dare l'impressione di commettere un atto di "lesa maestà" nel confronti del vecchio compositore (l'opera di Paisiello aveva ancora tantissimi estimatori, che non vedevano di buon occhio l'audacia, da parte di un giovane musicista, di competere con l'anziano maestro), il lavoro di Rossini andò inizialmente in scena con un titolo alternativo, vale a dire "Almaviva, o sia L'inutile precauzione".

Ciò nonostante, e pur avendo Rossini stesso dichiarato di "non voler incorrere nella taccia d'una temeraria rivalità coll'immortale autore che lo ha preceduto" (come si legge nell'introduzione al libretto posto in vendita in quell'occasione), la prima rappresentazione del 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina di Roma fu – com'è noto – un fiasco colossale, con diversi incidenti causati anche dal disturbo e dalle proteste "fomentate" (almeno così dice la leggenda) dai sostenitori di Paisiello presenti fra il pubblico. «Ah! Che bel baccano fu quella serata! Credetti che il Teatro Argentina crollasse sotto le fischiate e gli schiamazzi del pubblico romano», ricorderà il compositore. L'episodio è variamente raccontato in alcuni film biografici su Rossini, che tirano in ballo anche l'impresario Domenico Barbaja (interpretato da Giorgio Gaber nello spezzone sottostante, tratto dal film "Rossini! Rossini!" di Mario Monicelli), al quale il compositore (Sergio Castellitto) aveva sottratto l'amante Isabella Colbran (Jacqueline Bisset), poi divenuta sua moglie.


Da "Rossini! Rossini!" (1991)

Questa è invece una sequenza da "Casa Ricordi" di Carmine Gallone. Roland Alexandre è Rossini, Roldano Lupi è Barbaja, Märta Torén è Isabella Colbran, Paolo Stoppa è Giovanni Ricordi.


Da "Casa Ricordi" (1954)

Passata la tempestosa prima, però, nel giro di pochi giorni l'aria cambiò e l'opera di Rossini cominciò a riscuotere un vasto e crescente consenso, diventando rapidamente il suo lavoro più famoso. E col passare degli anni, diffondendosi in Italia e in tutto il mondo, mandò "in pensione" non soltanto il rivale Paisiello, che scomparì presto dalle scene, ma persino l'originale commedia di Beaumarchais: oggi, se si cita "Il barbiere di Siviglia", i pensieri di chiunque vanno subito e inevitabilmente all'opera rossiniana, entrata a tal punto nell'immaginario e nella cultura collettiva da trascendere l'ambito dei melomani. Divertentissima nella trama e nei personaggi, perfetta nella costruzione musicale (sofisticata dietro l'apparente semplicità), ricchissima di brani, di melodie e di momenti orecchiabili e memorabili (di cui la cavatina di Figaro, "Largo al factotum", è solo l'esempio più evidente: ci sono anche "Una voce poco fa", "La calunnia", "All'idea di quel metallo" e altro ancora, per non parlare della brillante ouverture), ha invaso la cultura occidentale in più ambiti e sotto più registri, "alti" e bassi, anche sotto forma di omaggi, parodie e rivisitazioni all'interno di cartoni animati, film e videogiochi, per non parlare di un'apparizione al Festival di Sanremo grazie al gruppo Elio e le Storie Tese (il cui frontman è un grande ammiratore di Rossini).

La perfezione dei meccanismi teatrali dell’opera, la comicità tesa e straniante, i serrati e cangianti procedimenti strutturali, le coraggiose deviazioni dalle consuetudini teatrali del primo Ottocento, abilmente alternate con i luoghi comuni della tradizione operistica buffa settecentesca, l’impatto vitale e immediato dei protagonisti, le infallibili architetture dei concertati d’assieme e degli estesi finali d’atto, non possono che confermare questa meritata fortuna.
(David Giovanni Leonardi)
Si narra che il compositore pesarese – che era noto per l'incredibile velocità produttiva, peraltro quasi obbligata dalle necessità dell'epoca – abbia scritto l'intera opera nel giro di due o tre sole settimane (lo stesso Rossini, in tarda età, affermava di averci impiegato soltanto dodici giorni), aiutandosi però con l'abitudine, come suo solito, di riciclare alcuni brani da altri suoi lavori precedentemente andati in scena in altre città (ritenendo improbabile, in quell'epoca, una "sovrapposizione" di spettatori). Fra questi cosiddetti "autoimprestiti" ci sono, in particolare, i due brani strumentali, ossia l'Ouverture (ripresa da "Aureliano in Palmira" e già rimaneggiata per "Elisabetta, regina d'Inghilterra") e il Temporale (da "La pietra del paragone"), ma anche svariate idee melodiche ("Piano, pianissimo" dal "Sigismondo", "Ecco ridente in cielo", "Io sono docile"...) che ormai sono associate definitivamente al "Barbiere" e di cui gran parte del pubblico ignora o non ricorda più l'origine.

Pur non essendo fedele al materiale di partenza come lo era il testo di Paisiello (che in alcuni punti traduceva letteralmente i dialoghi dal francese), il libretto di Sterbini segue da vicino la trama della commedia di Beaumarchais (prima parte, giova ricordarlo, di una trilogia il cui secondo capitolo è alla base di un'altra celebre opera, "Le nozze di Figaro" di Mozart). Nei prossimi post analizzeremo in dettaglio i contenuti e i vari personaggi della vicenda, ma intanto basti dire che la struttura è fortemente debitrice alla Commedia dell'Arte italiana, tanto da rendere leciti alcuni paragoni (Figaro, per esempio, è ispirato alla figura di Brighella). Naturalmente, questo implica un tono assai diverso da quello che vedremo ne "Le nozze di Figaro" (anche se, cronologicamente, l'opera di Mozart precede quella di Rossini). Nel sequel si prende di mira l'aristocrazia e si parla apertamente di "lotta di classe", mentre in questo prototipo siamo dalle parti della farsa, dove l'antagonista (Don Bartolo) è l'anziano professore/medico parruccone che si illude di tenere il passo dei giovani (e di sposare una ragazza), salvo essere buggerato da questi ultimi. La materia, sebbene divertente, è decisamente più innocua e stereotipata, e a confrontare i protagonisti delle due opere pare quasi, a parte i nomi, di trovarsi di fronte a personaggi diversi (ovviamente anche a causa dei differenti contesti culturali e delle sensibilità dei rispettivi librettisti, Lorenzo Da Ponte e Cesare Sterbini). Curiosamente, proprio un Da Ponte settantacinquenne, emigrato in America, dirigerà la prima rappresentazione del "Barbiere" a New York nel 1825.

[Nel "Barbiere di Siviglia"] il contenuto sociale della rappresentazione è radicalmente mutato. Nelle "Nozze" mozartiane, la règie du jeu era condotta sul filo di un edonismo razionalistico ritmato entro le forme chiuse di una casta sociale autosufficiente che detiene il monopolio dell’arte, e perciò staccata da ogni altra forma di vita sociale che non fosse riconducibile a quei "modelli" e a quei "canoni". In Mozart è ancora l’etica della classe aristocratica che guida, nella sua indifferenza sentimentale, i personaggi già pur borghesi della commedia di Beaumarchais [...]. Rossini s’impadronì di questi "modelli", ma li applicò alla nuova realtà sociale dell’uomo che era scaturita dalla Rivoluzione francese; e lo spirito autocritico della nascente borghesia, che veniva sostituendosi al decrepito mondo aristocratico, è vivamente ritratto nel "Barbiere" rossiniano. L’esperienza neobarocca si tramuta così in gesto ironico; Rossini carica le tinte, senza appesantire, ed i personaggi di Beaumarchais acquistano un nuovo ritmo, una psicologia ancora più terrena e realistica: sono lo specchio di una quotidianità, i cui atteggiamenti e i cui difetti Rossini accentua, senza troppi complimenti, trascinando lo spettatore, dal sorriso alla sonora risata, a riconoscervisi.
(Luigi Rognoni)
Curiosità finale: il libretto di Sterbini fu messo in musica una seconda volta dal compositore parmense Costantino Dall'Argine (1842–1877), la cui versione del "Barbiere" andò in scena per la prima volta a Bologna l'11 novembre 1868, due giorni prima della morte di Rossini: pur non andando incontro a un fiasco come quello del Teatro Argentina (anzi, pare che il pubblico gradì), anche in questo caso il compositore fu criticato per aver "osato tanto" (benché Dall'Argine avesse scritto a Rossini e ottenuto una sorta di benestare) e l'opera venne presto dimenticata.


Alcune delle incisioni più celebri:















Link utili:

Articolo su Wikipedia in italiano
Articolo su Wikipedia in inglese
Libretto completo
Partitura
Programma di sala del teatro La Fenice (2008) [in pdf]
Guida didattica per le scuole (di Carlo Delfrati) [in pdf]