L'opera si apre in maniera diversa rispetto alla commedia di Beumarchais da cui è tratta e alla precedente versione messa in musica da Paisiello, dove assistevamo subito all'incontro fra Figaro e il Conte, preceduto giusto da un breve monologo di quest'ultimo, da solo in scena sotto le finestre dell'amata Rosina. Sterbini e Rossini aggiungono invece una lunga introduzione, con un servo del Conte, Fiorello (personaggio inventato per l'occasione), che conduce silenziosamente in piazza alcuni suonatori, ingaggiati per accompagnare l'imminente serenata del suo padrone. Lo scopo di questa aggiunta non è soltanto quello di differenziarsi a ogni costo dai predecessori e di mostrare agli spettatori paganti che in effetti stavano assistendo a qualcosa di diverso («nuove situazioni di pezzi musicali», si promettevano nel testo allegato al libretto, intitolato "Avvertimento al pubblico"), ma anche giustificare in qualche modo il nuovo titolo "Almaviva" (il materiale espande infatti lo spazio e il ruolo del Conte, ritardando l'arrivo in scena del "titolare" Figaro) e soprattutto andare incontro ai gusti ormai mutati dei melomani, che all'inizio del diciannovesimo secolo – rispetto a qualche decennio prima – si attendono all'inizio dell'opera non un semplice recitativo ma una scena ampia, dinamica e totalmente musicata, magari anche con la presenza di un coro (per lo stesso motivo sarà introdotto il concertato finale al termine del primo atto).

A Fiorello, primo personaggio a entrare in scena, in questa introduzione è affidata una parte abbastanza estesa, il che rende curiosa la sua totale scomparsa (non verrà più nemmeno menzionato) nel resto dell'opera. In ogni caso, l'inizio è sicuramente d'atmosfera, ambientato com'è alle prime luci dell'alba in una piazza silenziosa (e ancora addormentata) di Siviglia. Proprio perché tutti dormono (e presumibilmente anche Rosina: che idea quella di svegliarla così presto!), Fiorello si premura che i musicisti prestino cautela nel muoversi e nel disporsi sotto il balcone. Il coro dunque canta sottovoce (ma non troppo). Da notare come l'accompagnamento musicale di questa prima sezione ("Piano, pianissimo") sia stato trasposto pari pari da Rossini da una sua opera precedente, il "Sigismondo" (l'introduzione del secondo atto, "In segreto a che ci chiama"): si tratta solo del primo di una lunga serie di "autoimprestiti" che caratterizzano l'intera opera (e la produzione di Rossini in generale), come abbiamo già spiegato nei post precedenti.

Arriva infine il Conte (non è chiaro – nemmeno in Beaumarchais – se "Almaviva" sia il suo nome proprio, o quello del suo casato), che si assicura che tutto sia a posto, ripetendo le stesse parole di Fiorello ("Piano, pianissimo") con l'identica melodia. La cosa divertente (magia del teatro!) è che "Fiorello, e poi il Conte vanno avanti per ben 78 battute a ripetere (e a ripetersi fra loro) "Piano, pianissimo...", con il risultato di suscitare proprio il deprecato rumore, se non proprio il chiasso" (Delfrati). Qualcosa di simile avverrà anche prima del finale del secondo atto ("Zitti zitti, piano piano, non facciamo confusione..." nel terzetto fra il Conte, Figaro e Rosina).

[Il Conte] è un personaggio che presenta un carattere piuttosto sfaccettato; Rossini scrisse la parte per uno dei tenori più famosi del tempo, ossia per quel Manuel García (nato, ironia della sorte, proprio a Siviglia) che qualche mese prima aveva tenuto a battesimo l’impegnativa parte di Norfolk (il ‘cattivo’) nell’“Elisabetta regina d’Inghilterra”. Due sono i momenti nell’opera dove il formidabile virtuosismo esecutivo di García (che da alcuni contemporanei era addirittura considerato eccessivo) poteva esprimersi al suo meglio: nella raffinata e impegnativa serenata dell’introduzione e nella grande aria finale, dove le difficoltà tecniche raggiungono un livello davvero impressionante. Non è un caso che si tratti proprio dei due momenti in cui il Conte esprime tutta la sua natura aristocratica, nutrita di un sentimento amoroso elevato che lo porterà a rappresentarsi come il nobile salvatore dell’innocente oppressa; tutto ciò è naturalmente evidenziato per contrasto dal continuo rapporto che il personaggio coltiva con Figaro, ancorato ai valori più prosaici del danaro e della scaltrezza. Ma non è questa la sola faccia che il Conte mostra agli spettatori: egli si presenterà durante l’opera con ben tre travestimenti diversi (quasi un record in un genere operistico in cui espedienti di questo tipo pure costituivano la regola), a cui corrispondono [...] altrettante caratterizzazioni musicali: si va dalla toccante e semplice melodia con cui Lindoro fa definitivamente breccia nel cuore di Rosina, alle frasi irregolari e spezzate del soldato ubriaco, sino alla cantilenante nenia di Don Alonso. Un campionario di caratterizzazioni insomma che richiedeva a García (e agli interpreti di oggi), oltre che una grande padronanza della tecnica vocale, una capacità attoriale non indifferente, che il celebre tenore possedeva in misura ragguardevole.
(Stefano Piana)

Clicca qui per il testo di "Piano, pianissimo".

(Una piazza della città di Siviglia. Il momento dell'azione è sul terminar della notte. A sinistra è la casa di Bartolo, con balcone praticabile, circondato da gelosia, che deve aprirsi e chiudersi - a suo tempo - con chiave. Fiorello, con lanterna nelle mani, introducendo sulla scena vari suonatori di strumenti. Indi il Conte avvolto in un mantello.)

FIORELLO (avanzandosi con cautela)
Piano, pianissimo,
senza parlar,
tutti con me
venite qua.

CORO
Piano, pianissimo,
eccoci qua.

TUTTI
Tutto è silenzio;
nessun qui sta
che i nostri canti
possa turbar.

CONTE (sottovoce)
Fiorello, olà!

FIORELLO
Signor, son qua.

CONTE
Ebben! gli amici?

FIORELLO
Son pronti già.

CONTE
Bravi, bravissimi,
fate silenzio;
piano, pianissimo,
senza parlar.

CORO
Piano, pianissimo,
senza parlar.
(I suonatori accordano gli istrumenti, e il Conte canta accompagnato da essi.)



Paolo Barbacini (Fiorello), Raul Giménez (Conte)
dir: Maurizio Barbacini (Parma, 2005)


Mario Carlin, Luigi Alva
dir: Alceo Galliera (1957)

Joseph Galiano, Nicolai Gedda
dir: James Levine (1996)



Preceduta da un forte accordo (che siano i suonatori che intonano i loro strumenti?), inizia la musica di accompagnamento della serenata cantabile, "Ecco ridente in cielo" (qui la melodia, incredibilmente, è un autoimprestito dal coro "Sposa del grande Osiride", la solenne preghiera che apriva il primo atto dell'"Aureliano in Palmira"). Sappiamo che il testo di Beaumarchais, poco più avanti, prevede un'altra serenata, decisamente più semplice ("alla buona", accompagnandosi con una chitarra), che il Conte canterà a Rosina sotto i falsi panni di Lindoro. La scelta di raddoppiare la situazione, mettendo in scena una prima serenata (ben più sontuosa, con tutta un'orchestra di accompagnamento) seguita poco dopo da una seconda canzone, serve anche a mettere in risalto la differenza di mezzi, oltre che di stile, fra il "ricco" Conte e il "povero" Lindoro. Un saggio di Serena Facci (contenuto nel programma di sala del Teatro La Fenice del 2008, qui in pdf) analizza e confronta fra di loro le due serenate. Qui voglio soltanto aggiungere che il Conte non è l'unico a “cantare” diegeticamente (e dunque non nell'illusione scenica) all'interno dell'opera: lo faranno anche Figaro (con la sua cavatina), Rosina (nella lezione di piano) e persino Bartolo (nella medesima scena), dunque tutti i personaggi più importanti della vicenda. D'altronde:
Non si può comprendere appieno il senso di un genere come la “serenata sotto la finestra”, se non si considera quale doveva essere l’ambiente sonoro dei centri urbani (Parigi, Siviglia, Napoli o Roma), in epoca pre-industriale e pre-registrazione sonora, quando cioè la voce umana poteva essere protagonista del sound ambientale e, inoltre, l’unico modo per ascoltare la musica era eseguirla. Il canto, il mezzo più economico di fare musica, era pervasivo, presente sia nelle occasioni di lavoro, sia in quelle ricreative. Di giorno come di notte.
(Serena Facci)
La serenata (o, forse più precisamente, «mattinata») del Conte [è] un’aria completa, composta come consuetudine da un cantabile in tempo moderato a cui segue una cabaletta in tempo più veloce dal piglio virtuosistico. Su un accompagnamento orchestrale a tratti piuttosto elaborato (soprattutto in certe figurazioni dei legni) e arricchito dalla presenza delle chitarre e dei sistri, il Conte sfoggia un’elegante ed elaborata linea melodica non scevra da arabeschi e da increspature armoniche.
(Stefano Piana)
L'aria del Conte è effettivamente ricchissima di ornamenti e di virtuosismi vocali, che a un ascoltatore abituato al melodramma tardo ottocentesco potrebbero sembrare persino esagerati o caricaturali. In realtà si tratta, oltre che di un ottimo esempio di "bel canto", di una chiara dimostrazione di quella fede nel “bello ideale” che caratterizzava la poetica di Rossini e di cui abbiamo accennato nel post precedente. Il compositore qui non sta prendendosi gioco del nobile Almaviva, come qualcuno potrebbe pensare: le ornamentazioni fanno parte del gusto del personaggio.
La straripante ornamentazione non è affatto, come parve più tardi quando si era persa l'esperienza di quella suola di canto, manifestazione di meccanico virtuosismo sovrapposta alla “vera” melodia, ma essa stessa espressione di bellezza, oggetto di godimento estetico; essa presuppone, per essere correttamente intesa, un tipo di emissione del suono piena e morbida, assolutamente non forzata, il contrario di quel canto “drammatico” che cominciava a imporsi e che Rossini stesso chiamerà «canto declamato, cioè abbaiato e stonato». […] [Per la poetica rossiniana] il virtuosismo vocale, il canto fiorito, non è in contraddizione col “dramma” perché il compito della musica non è quello di esprimere i contenuti drammatici.
(Fabrizio Della Seta)

Clicca qui per il testo di "Ecco ridente in cielo".

CONTE
Ecco, ridente in cielo
spunta la bella aurora,
e tu non sorgi ancora
e puoi dormir così?
Sorgi, mia dolce speme,
vieni, bell'idol mio;
rendi men crudo, oh Dio,
lo stral che mi ferì.
Tacete! già veggo
quel caro sembiante;
quest'anima amante
ottenne pietà.
Oh istante d'amore!
Oh dolce contento!
Soave momento
che eguale non ha!



Luigi Alva (Conte)
dir: Claudio Abbado (1971)


Francisco Araiza (1987)


Alfredo Kraus (1987)


Raul Giménez (2005)

Juan Diego Flórez (2009)


Terminata la serenata (ma non l'aria, che volge ora nella sua seconda parte), il Conte rivolge il proprio canto a Fiorello e ai suonatori ("Tacete, già veggo quel caro sembiante") prima di bearsi del proprio successo ("Oh, istante d'amore! Oh, dolce contento!..."). Ha intravisto Rosina muoversi dietro la finestra? Oppure si trattava soltanto di un'impressione (o, più significativamente, di una sua illusione)?... In effetti, ad aria conclusa, Almaviva cerca conforto in Fiorello che gliela nega ("Ehi, Fiorello... Dì, la vedi?" "Signor no"). Riprendendo il tema iniziale (quello di "Piano, pianissimo"), il servo ricorda al suo padrone che ormai è l'alba ("Signor Conte, il giorno avanza": eh sì, la "bella aurora" di cui proprio il Conte aveva cantato è ormai spuntata) e che è necessario pagare i suonatori per congedarli. Qui nasce la situazione caotica e paradossale che conclude questa introduzione: per rigraziare il signore del denaro ricevuto e della sua magnanimità, i musicisti si accalcano attorno a lui e producono proprio quello strepito e quel rumore che sin dall'inizio si era cercato di evitare.
I concertati (ossia i brani in cui le varie voci sovrappongono linee melodiche diverse, e spesso anche parole diverse) sono la ‘risorsa in piu’ del linguaggio musicale rispetto a quello verbale. Nelle opere buffe Rossini li usa molto spesso proprio per accentuare la comicita della situazione. Gli basta trovare nel libretto un personaggio che invita gli altri ad agire «zitti, zitti, piano, piano; senza fare confusione» (una situazione che troviamo anche in "Cenerentola"), perche la sua fantasia scateni un’orgia di sonorita: all’orchestra si aggiungono le voci, che cantano tutte insieme, e ognuna per conto suo. Una specie di ‘sonorizzazione del caos’.
(Carlo Delfrati)
La constatazione dell’inutilità dell’esibizione e la conseguente mogia distribuzione della paga ai suonatori (un’efficace ‘discesa’ drammatica rispetto all’ambiziosa tirata precedente) sono accompagnate dai temi [già] utilizzati nella scena d’apertura. Per permettere al compositore di chiudere con una stretta, in ossequio alle consuetudini, il librettista inventa una piccola scena nella quale la spropositata gratitudine dei suonatori irrita il Conte e Fiorello; trovata, questa, che scenicamente contribuisce a dipingere la prodigalità di Almaviva (sarà una costante durante tutta l’opera).
(Stefano Piana)
In effetti, nel prosieguo del "Barbiere" vedremo che il munifico Conte non ha certo la borsa stretta: elargirà soldi a destra e manca (a Figaro, a Basilio, e alla fine persino a Bartolo...). È sbagliato dunque interpretare questa scena iniziale, come ho visto fare in alcuni allestimenti (per esempio nel film del 1971 diretto da Jean-Pierre Ponnelle), come se il chiasso dei suonatori fosse dovuto alla loro protesta e al rancore per aver ricevuto troppo poco denaro (leggendo dunque il "Mille grazie, mio signore" in chiave sarcastica).

Allontanatosi i suonatori ("Gente indiscreta!"), il Conte decide di voler rimanere sotto il balcone di Rosina, sperando di rivederla e di poterle parlare da solo. Intima allora a Fiorello di ritirarsi ("Vado. Là in fondo attenderò suoi ordini", replica il servo, senza sapere che il suo padrone – e con lui l'intera opera, se si eccettua un brevissimo recitativo – si dimenticherà completamente di lui!). In lontananza già si sente arrivare Figaro cantando, al che il Conte preferisce nascondersi sotto le arcate del palazzo ("Chi è mai quest'importuno? Lasciamolo passare"). Ci troviamo di fatto nella situazione in cui si aprivano la commedia di Beaumarchais e l'opera di Paisiello.

Clicca qui per il testo di "Ehi, Fiorello? - Mio signore".

CONTE
Ehi, Fiorello?

FIORELLO
Mio signore.

CONTE
Dì, la vedi?

FIORELLO
Signor no.

CONTE
Ah, ch'è vana ogni speranza!

FIORELLO
Signor Conte, il giorno avanza.

CONTE
Ah! che penso! che farò?
Tutto è vano, buona gente!

CORO (sottovoce)
Mio signor...

CONTE
Avanti, avanti.
(Dà la borsa a Fiorello, il quale distribuisce i denari a tutti.)
Piu' di suoni, più di canti
io bisogno omai non ho.

FIORELLO
Buona notte a tutti quanti,
più di voi che far non so.

(I suonatori circondano il Conte ringraziandolo e baciandogli la mano e il vestito. Egli, indispettito per lo strepito che fanno, li va cacciando. Lo stesso fa anche Fiorello.)

CORO
Mille grazie, mio signore,
del favore, dell'onore.
Ah, di tanta cortesia
obbligati in verità.
(Oh, che incontro fortunato!
È un signor di qualità.)

CONTE
Basta, basta, non parlate,
Ma non serve, non gridate.
Maledetti, andate via!
Ah, canaglia, via di qua!
Tutto quanto il vicinato
questo chiasso sveglierà.

FIORELLO
Zitti, zitti, che rumore!
Ma che onore? che favore?
Maledetti, andate via!
Ah, canaglia, via di qua!
Ve', che chiasso indiavolato!
Ah, che rabbia che mi fa!

(I suonatori partono.)

Clicca qui per il testo del recitativo che segue ("Gente indiscreta!").

CONTE
Gente indiscreta!

FIORELLO
Ah, quasi con quel chiasso importuno
tutto quanto il quartiere han risvegliato.
Alfin sono partiti!

CONTE (guardando verso la ringhiera)
E non si vede!
È inutile sperar.
(Passeggia riflettendo.)
Eppur qui voglio
aspettar di vederla. Ogni mattina
ella su quel balcone a prender fresco
viene sull'aurora.
Proviamo. Olà, tu ancora
ritirati, Fiorel.

FIORELLO
Vado. Là in fondo
attenderò suoi ordini.
(Si ritira.)

CONTE
Con lei se parlar mi riesce,
non voglio testimoni. Che a quest'ora
io tutti i giorni qui vengo per lei
dev'essersi avveduta. Oh, vedi, amore
a un uomo del mio rango
come l'ha fatta bella! Eppure, eppure
dev'essere mia sposa.
(Si sente da lontano venire Figaro cantando.)
Chi è mai quest'importuno?
Lasciamolo passar; sotto quegli archi,
non veduto, vedrò quanto bisogna;
già l'alba appare e amor non si vergogna.
(Si nasconde sotto il portico.)




Luigi Alva, Renato Cesari (1971)

Michele Angelini, David Lagares (2016)