30 gennaio 2014

Don Giovanni (21) - Don Giovanni e il dionisiaco

Scritto da Marisa

In tutta l'opera, quando è in scena Don Giovanni, c'è una particolare coloritura musicale che accompagna le sue imprese, lo rende riconoscibile o lo catapulta irresistibilmente al centro dell'azione, come ad esempio nella festa di matrimonio tra Zerlina e Masetto: è l'atmosfera che svela il mondo dionisiaco, lo sfrenato dio della gioia di vivere e dell'ebbrezza, ma anche della tragedia. Soprattutto però è nella famosa aria dello champagne – che prelude alla festa mascherata – e nella sua smodata concitazione che si manifesta in pieno il volto del dio che muove e governa la sfrenata vitalità di Don Giovanni: Dioniso, con tutte le implicazioni che il complesso archetipico legato a questa divinità comporta. Nell'ultimo proclama, poi (”Vivan le femmine! Viva il buon vino! Sostegno e gloria d'umanità!”), ne vediamo sancita la irrinunciabile appartenenza, quasi una fede e una religione, uno stile di vita stile indomabile. Se Eros rende il personaggio particolarmente incline a cogliere la specifica femminilità in ogni donna e ad esaltarla risvegliando in ognuna il centro stesso dell'intima identità erotico-mistica, Dioniso (che comunque non può essere dissociato da Eros) ne guida la frenesia e l'estasi orgiastica.

Apollo e Dioniso, i divini fratelli figli di Zeus, sono sempre stati sentiti come modelli archetipici di due aspetti opposti e complementari, due stili di sentire e vivere che stanno alla base di tendenze comportamentali, di filosofie e di generi artistici diversi.
Il mondo greco della classicità ha cercato di organizzarsi intorno ad Apollo, fortemente voluto come garante del logos, dell'ordine che doma il caos primordiale, della solarità della coscienza patriarcale che emerge e trionfa sull'oscurità del mondo lunare matriarcale, della bellezza patrocinata dalle Muse, della necessità e possibilità di conoscenza (“Conosci te stesso” è il motto inciso sul frontone del tempio delfico), dell'interpretazione dei sogni e delle profezie. Tutto questo rassicura e protegge dalle paure primordiali di perdere il controllo, di abbandonarsi ed essere travolti da quelle forze selvagge sempre latenti che risiedono nelle profondità della psiche e che appartengono all'altra faccia della medaglia di pertinenza del fratello-antagonista, anche se a volte il prezzo da pagare è la freddezza del distacco e la crudeltà raffinata di Apollo che utilizza le sue frecce e la peste come hybris.

Dioniso, col suo sfrenato corteo di menadi invasate e satiri ebbri, viene da lontano, da quelle parti del mondo antico (la Tracia, la Lidia e la grande Siria), dove la religione orgiastica delle grandi dee madri primordiali e dei loro giovani figli-amanti (prima fra tutte la coppia Cibele e Attis) era dominante, passando per la Creta minoica ed arrivando in Grecia, accolto non sempre favorevolmente, anzi spesso (come testimonia Euripide nelle “Baccanti”) con ostilità e grande conflittualità, proprio perché rappresenta tutto quello che la cultura greca, organizzata intorno ad Apollo, avrebbe voluto rimuovere e allontanare, ma che sempre ritorna con la sua carica di vitalità e di energia istintuale. Prima ancora che nel teatro bisogna collocare Dioniso, il potente dio delle donne, nel silenzioso e lussureggiante elemento vegetativo ed erboreo, in cui la vite, la più indomita e pervasiva pianta mediterranea, spadroneggia dispensando ebbrezza e follia.



Un grande appassionato del mitico mondo del matriarcato, Bachofen, così si esprime:

La forza magica con cui il signore fallico dell'esuberante vita naturale ha condotto su nuove strade il mondo delle donne si manifesta in fenomeni che trascendono i limiti della nostra esperienza, nonché quelli della nostra forza di immaginazione; e tuttavia relegare questi fenomeni nel regno dell'invenzione poetica significherebbe una scarsa confidenza con le oscure profondità della natura umana, con la forza di una religione che appagava i bisogni sensuali e sovrasensibili, con l'eccitabilità del mondo sentimentale femminile, che tanto indissolubilmente combina l'immanente e il trascendente, e infine una totale incomprensione del grandissimo fascino della lussureggiante natura meridionale. In tutti gli stadi del suo sviluppo il culto dionisiaco ha mantenuto lo stesso carattere che aveva quando per la prima volta fece il suo ingresso nella storia. Con la sua sensualità e il significato che dà all'offerta dell'amore sessuale, intimamente connaturato alla condizione femminile, esso è entrato in un rapporto d'elezione con il mondo delle donne piegandolo in una direzione affatto nuova. In quel mondo ha trovato le sue più leali alleate, le sue serventi più assidue, e sul suo entusiasmo ha fondato tutta la propria forza. Dioniso è il dio delle donne nel senso più pieno della parola, la fonte di tutte le speranze sensuali e sovrasensibili delle donne, il centro dell'intera esistenza femminile; perciò egli è stato riconosciuto dapprima da loro in tutta la sua gloria, si è rivelato a loro, e sono state le donne a propagare il suo culto e a portarlo alla vittoria.
(Johann Jakob Bachofen, Il matriarcato)
E come, parlando del dionisiaco, rinunciare a Nietzsche e alla sua estatica visione derivata dall'incantesimo della musica di Wagner, la massima espressione per lui dell'irruzione del dionisiaco, che trova solo nella musica la sua espressione più completa? Una breve citazione per rendere la complessità della sua visione, da cui non si può più prescindere:
Sotto l'incantesimo del dionisiaco non solo si restringe il legame tra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l'uomo. La terra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci delle terre rocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso è tutto coperto di fiori e di ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre. Si trasformi l'inno alla gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al dionisiaco. Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la “moda sfacciata” hanno stabilite tra gli uomini. Ora nel vangelo dell'armonia universale, ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria. Cantando e danzando, l'uomo si manifesta come membro di una comunità superiore: ha disimparato a camminare e a parlare ed è sul punto di volarsene al cielo danzando. Dai suoi gesti parla l'incantesimo. Come ora gli animali parlano, e la terra dà latte e miele, così anche risuona in lui qualcosa di soprannaturale: egli sente se stesso come dio, egli si aggira ora in estasi e in alto, così come in sogno vide aggirarsi gli dei. L'uomo non è più artista, è divenuto opera d'arte: si rivela qui tra i brividi dell'ebbrezza il potere artistico dell'intera natura, con il massimo appagamento estatico dell'unità originaria.
(Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia)
Come vediamo, quel divino che era stato cacciato col famoso proclama “Dio è morto!” ritorna dalla natura stessa ed ha il volto di Dioniso! Questa è la visione idealizzata che Nietzsche cercò di tenere distinta dal “Barbaro dionisiaco” con la sua “smodata frenesia sessuale”, ma che in Don Giovanni non si possono separare perché la sublime musica di Mozart ha per oggetto proprio quella smodata e dirompente eccitazione che tutto travolge e che dilaga come un fiume in piena.

Il principio cosmico rappresentato da Dioniso come dirompente energia vitale che sta alla base della vita stessa è indistruttibile ed eterna e, come la linfa che in primavera rinnova la vite dopo che la vendemmia ha spogliato la pianta e la fermentazione ha trasformato in succo inebriante i pesanti grappoli, vuole sempre riemergere, nonostante la tragedia e la follia che sempre ne accompagnano l'irrazionale e appassionato procedere. Così Don Giovanni, anche se muore nel suo aspetto personale trascinato dalla legge del padre con la sua inesorabilità temporale, nella sua qualità di incarnazione ed interprete del dionisiaco è invece immortale e questo è stato intuito da alcuni registi, come Robert Carsen che, nella rappresentazione alla Scala per la prima del 2011, lo fa giustamente riemergere sorridente e spavaldo in chiusura dello spettacolo.

25 gennaio 2014

Don Giovanni (20) - “Fin ch'han dal vino”

Scritto da Christian

Siamo al tramonto. Il giorno volge al termine, e Don Giovanni, incurante dei nuvoloni che si stanno addensando su di lui, pregusta già le conquiste che farà alla gran festa serale organizzata nel suo palazzo. Gli è andata male con Zerlina? Elvira l'ha messo in difficoltà davanti a Donna Anna? Tutto sembra già dimenticato, e il suo pensiero si rivolge ora alle "contadinotte" incontrate al ballo nuziale che, come da suoi ordini, Leporello ha portato in precedenza al palazzo.

Unico pezzo solistico per Don Giovanni nel primo atto (mentre nel secondo ci saranno la serenata "Deh, vieni alla finestra" e l'arietta "Metà di voi qua vadano"), la cosiddetta "aria dello champagne" è caratterizzata da un ritmo vivace, spumeggiante, frenetico e quasi ossessivo, che riflette perfettamente la rapidità di pensiero e di azione del nostro protagonista, il suo impulso vitale e orgiastico, il suo carattere così poco propenso alla riflessione e il disinteresse per le conseguenze delle sue azioni. Una sorta di manifesto programmatico, tanto quanto lo era il brano del catalogo. Gli accenni al vino e alle danze ("senza alcun ordine": si mischieranno insieme il minuetto, la follia e l'alemanna, tre tipi di ballo o temi musicali con tempi piuttosto diversi fra loro, e vedremo nel prosieguo come Mozart renderà questo effetto di mescolanza di ritmi sovrapposti) sono tutti focalizzati sul risultato finale: "Ah, la mia lista / doman mattina / d'una decina / devi aumentar" dice a Leporello, allundendo al già noto catalogo delle conquiste.

Nel recitativo che precede l'aria, vediamo innanzitutto Leporello lamentarsi ancora una volta dei compiti che è costretto a svolgere per il suo padrone, rivolgendosi addirittura agli spettatori ("Guardate con qual indifferenza se ne viene!"), scimmiottando irriverentemente le sue parole ("Don Giovannino mio, va tutto male"... "Bravo, in coscienza mia!"), e non risparmiando le consuete critiche al suo modo di fare ("A forza di chiacchiere, di vezzi e di bugie / ch'ho imparato sì bene a star con voi..."). Ma alla fine, come sempre, dimostra di aver lavorato in maniera efficente per lui (placando la furia di Masetto, allontanando Donna Elvira dal palazzo) e ne riceve gli elogi.

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

LEPORELLO
(entrando)
Io deggio ad ogni patto
per sempre abbandonar questo bel matto...
(entra Don Giovanni)
Eccolo qui: guardate
con qual indifferenza se ne viene!

DON GIOVANNI
Oh, Leporello mio, va tutto bene!

LEPORELLO
Don Giovannino mio, va tutto male!

DON GIOVANNI
Come, va tutto male?

LEPORELLO
Vado a casa,
come voi m'ordinaste,
con tutta quella gente.

DON GIOVANNI
Bravo!

LEPORELLO
A forza di chiacchiere, di vezzi e di bugie,
ch'ho imparato sì bene a star con voi,
cerco d'intrattenerli...

DON GIOVANNI
Bravo!

LEPORELLO
Dico mille cose a Masetto per placarlo,
per trargli dal pensier la gelosia...

DON GIOVANNI
Bravo, in coscienza mia!

LEPORELLO
Faccio che bevano e gli uomini e le donne.
Son già mezzo ubbriachi:
altri canta, altri scherza,
altri séguita a ber...
In sul più bello, chi credete che càpiti?

DON GIOVANNI
Zerlina.

LEPORELLO
Bravo! E con lei chi venne?

DON GIOVANNI
Donn'Elvira.

LEPORELLO
Bravo! E disse di voi...

DON GIOVANNI
Tutto quel mal che in bocca le venia.

LEPORELLO
Bravo, in coscienza mia!

DON GIOVANNI
E tu cosa facesti?

LEPORELLO
Tacqui.

DON GIOVANNI
Ed ella?

LEPORELLO
Seguì a gridar.

DON GIOVANNI
E tu?

LEPORELLO
Quando mi parve che già fosse sfogata,
dolcemente fuor dell'orto la trassi,
e con bell'arte, chiusa la porta a chiave, io mi cavai,
e sulla via soletta la lasciai.

DON GIOVANNI
Bravo! Bravo! Arcibravo!
L'affar non può andar meglio.
Incominciasti, io saprò terminar:
troppo mi premono queste contadinotte;
le voglio divertir finché vien notte.

Clicca qui per il testo del brano.

DON GIOVANNI
Fin ch'han dal vino
calda la testa,
una gran festa
fa' preparar.
Se trovi in piazza
qualche ragazza,
teco ancor quella
cerca menar.
Senza alcun ordine
la danza sia:
chi 'l minuetto,
chi la follia,
chi l'alemanna
farai ballar.
Ed io frattanto,
dall'altro canto
con questa e quella
vo' amoreggiar.
Ah! la mia lista
doman mattina
d'una decina
devi aumentar.



Samuel Ramey


Cesare Siepi


Ezio Pinza


Nicolai Ghiaurov


Simon Keenlyside


Bryn Terfel

Dietrich Fischer-Dieskau (in tedesco)

20 gennaio 2014

Don Giovanni (19) - Don Ottavio

Scritto da Marisa

Se qualcuno considera ancora Don Ottavio con sufficienza e lo ridicolizza come un individuo piuttosto inetto e patetico, si riascolti bene le arie dedicate a lui da Mozart, pagine musicali tra le più sublimi dell'opera. Bisogna partire da questa musica per capire Don Ottavio e leggerlo in relazione a Don Giovanni, perché solo dal confronto con lui (cosa del resto vera per tutti gli altri personaggi) prende forma nella propria identità e contribuisce a sua volta a meglio definire e far risaltare il protagonista.
È vero che entra in scena proclamando “Tutto il mio sangue verserò, se bisogna...” e lo vediamo fare grandi promesse di vendetta senza mai passare all'azione, e questo lo rende poco credibile, ma cerchiamo di andare oltre queste dichiarazioni che, pur esprimendo un autentico desiderio, provengono da una natura per nulla portata all'azione e danno ancora più risalto alla rapidità dell'agire di Don Giovanni.

Nella prima grande aria, “Dalla sua pace la mia dipende...”, c'è la dichiarazione che il centro stesso e unico senso della propria vita è nella relazione con la donna amata: anzi, più che nella relazione (che presuppone comunque il riconoscimento della dualità e quindi una certa distanza e differenziazione), nel benessere e nella “pace” di lei, come se lui non avesse vita autonoma o separazione alcuna, ma dipendesse totalmente dagli stati emotivi di lei. Cosa ci può essere di più lontano dal modo di essere e di vivere di Don Giovanni, centrato solo sul proprio piacere, specchio fuggevole della bellezza femminile e mai fedele? Eppure siamo sempre nel dominio di Eros, di “quell'amor ch'è palpito dell'universo intero...” come dice un altro grande della musica, ed è in questo comune terreno che bisogna misurare la distanza, perché il campo di Eros è molto vasto e ognuno si colloca nella posizione che la propria componente individuale permette, e qui ne vediamo gli estremi, come se i due fungessero proprio da indicatori di tale vastità, esagerazioni di tendenze che possiamo ritrovare in tutti, magari in momenti diversi.
È come se avessimo davanti l'intero spettro elettromagnetico, dagli infrarossi agli ultravioletti: la grande differenza e le conseguenti applicazioni dipendono solo dalla diversa frequenza, ma la natura del fenomeno rimane la stessa. Così possiamo collocare Don Giovanni nel campo dell'infrarosso, dove l'energia è più fisica e terrestre, mentre Don Ottavio appartiene all'ultravioletto, dove le vibrazioni si fanno più sottili e spirituali, con meno urgenza istintuale.

Sappiamo che il campo di Don Giovanni è molto vasto (“Non ho veduto mai naturale più vasto”, conferma Leporello), come se occupasse la base di una piramide, mentre tutto l'interesse di Don Ottavio risiede in un punto solo, l'esistenza di Donna Anna, come se questo coincidesse con il vertice della piramide. Ora poligamia e monogamia, dispersione e concentrazione della libido, sono gli eterni aspetti che occupano la fantasia e il comportamento degli uomini. E tutta la civiltà e l'etica sessuale si declinano entro questi poli, perché una fedeltà senza alcuna tentazione non rappresenta un valore etico, ma solo fissazione monolitica derivata dalla proiezione su un unico oggetto d'amore.
In realtà, nel caso dei nostri due eroi, non si può parlare né di poligamia né di monogamia, perché l'investimento affettivo di Don Giovanni è talmente effimero – anzi nullo, visto che si tratta esclusivamente di investimento erotico – da non potersi realizzare nessuna condizione matrimoniale seppur breve (le sue sono solo promesse al fine di intrappolare le donne che non riesce ad avere in altro modo), mentre l'atteggiamento di Don Ottavio è talmente poco concreto da renderlo più adatto alla contemplazione estatica della donna che a un vero matrimonio. Siamo quindi fuori per tutti e due dal campo dell'eros che si incarna in una relazione durevole e concreta, piena di responsabilità come il matrimonio, e rimaniamo in un piano ideale, nel piano mitico e archetipico dunque, in cui gli uomini non possono realmente muoversi, pena la follia (anche se a volte si parla di “divina follia”), il grottesco e l'alienazione.
Come è pericoloso per una donna imbattersi in Don Giovanni, così è poco augurabile un fidanzato come Don Ottavio, apparentemente perfetto perché tutto proteso verso il bene dell'amata, ma in realtà anche lui incapace di un vero rapporto, perché alienandosi in lei perde completamente l'energia maschile e il proprio centro. Per una vera relazione occorre ritirare la proiezione d'anima dalla donna amata, almeno quel tanto che permetta di porsi in modo più autonomo e reale.

L'ultima osservazione che rinforza l'idea che Don Ottavio rappresenti il polo archetipico estremo rispetto a Don Giovanni, l'altra faccia della stessa medaglia, deriva dalla constatazione che entrambi non cambiano né possono cambiare (a differenza di tutti gli altri personaggi), come vediamo dal finale dell'opera: Don Giovanni non può pentirsi perché questo muterebbe la sua natura e Don Ottavio non può smettere di spasimare per Donna Anna in modo piuttosto sterile, senza accorgersi nemmeno del cambiamento di lei e rimanendo in perpetua attesa. L'uno è destinato alla coazione dell'azione senza possibilità di ripensamenti e di soste, l'altro è incapace di qualsiasi azione, tutto preso e perso nell'adorazione della proiezione della "sua" Anima.

15 gennaio 2014

Don Giovanni (18) - “Dalla sua pace”

Scritto da Christian

Come dicevamo, a differenza della sua promessa sposa Anna, Don Ottavio non è ancora convinto al cento per cento della colpevolezza di Don Giovanni ("Come mai creder deggio / di sì nero delitto / capace un cavaliero?"), e si propone di tenere prudentemente il piede in due scarpe. Le opzioni sono due: dimostrare all'amata che ha torto nell'accusare il nobiluomo, oppure – se avesse ragione – esaudire il suo desiderio di vendetta ("Disingannarla voglio / o vendicarla").

Delle due arie di Don Ottavio, solo la seconda (la più celebre "Il mio tesoro intanto") era presente nel libretto originale al tempo della "prima" di Praga nel 1787. Quando l'anno seguente il "Don Giovanni" fu rappresentato al Burgtheater di Vienna su espresso desiderio dell’imperatore Giuseppe II, Mozart apportò alcune modifiche alla partitura e in particolare, per venire incontro alle esigenze del tenore Francesco Morella, sostituì quel pezzo con un'altra aria, meno impegnativa, che è appunto "Dalla sua pace" (K. 540a). Oggi si tende a conservare entrambi i brani, uno nel primo atto e uno nel secondo, anche perché si tratta delle uniche due arie per tenore dell'intera opera (gli altri personaggi maschili sono tutti baritoni o bassi). E ciò nonostante siano due pezzi – pur bellissimi! – narrativamente "statici", ovvero che impongono delle "ingiustificate battute d'arresto al ritmo drammatico" (lo stesso si può dire per l’aria "Mi tradì quell’alma ingrata" di Donna Elvira, composta parimenti in occasione della ripresa viennese dell'opera). In fin dei conti è difficile rinunciare, pur in nome della "teatralità", a pagine così sublimi dal punto di vista musicale. Particolarmente dolce, in questo caso, il momento in cui il cantante riprende per la seconda volta il tema principale "Dalla sua pace".

A questo punto dovremmo parlare un po' del personaggio di Don Ottavio, sul quale c'è moltissimo da dire. In attesa che se ne occupi in maniera più approfondita Marisa nel prossimo post, io lascio ancora la parola a un critico che ne sa più di me.

Accanto alla maestà tragica di Donna Anna, il suo promesso sposo Don Ottavio ha sempre fatto la figura dell’inetto, giungendo a sembrare a Giovanni Macchia «la figura più femminile di tutta l’opera». In realtà sul personaggio si è incrostata una cattiva tradizione esecutiva, che ha trasformato un ruolo di tenore nobile (non si dimentichi che il primo interprete Morella quattro anni dopo avrebbe vestito i panni davidiani dell’imperatore Tito) in un tenorino di grazia [...]. Inoltre sul povero Don Ottavio non cesseranno mai di pesare quei quasi comici interventi nello straordinario recitativo accompagnato con cui Donna Anna gli narra della tentata violenza da parte di Don Giovanni (in particolare, è la sua reazione «Ohimè respiro» a scatenare giuste ironie). Invece, Don Ottavio è lo strumento della vendetta di Donna Anna, e la sua unica colpa consiste nella pretesa di fermare Don Giovanni per via legale («un ricorso vo’ fare a chi si deve»), ignorando che con le carte bollate non si punisce la ybris degli eroi. Il duca Ottavio appartiene insomma alla stessa razza dei Commendatori, ma senza poter esibire un mandato celeste di fronte al suo antagonista, ed è quindi costretto a rappresentare i limiti della legge razionale, come l’abate Sieyès di fronte al generale Bonaparte.
(Alberto Batisti)
Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

DON OTTAVIO
Come mai creder deggio
di sì nero delitto
capace un cavaliero!
Ah, di scoprire il vero
ogni mezzo si cerchi!
Io sento in petto
e di sposo e d'amico
il dover che mi parla:
disingannarla voglio, o vendicarla.

Clicca qui per il testo del brano.

DON OTTAVIO
Dalla sua pace
la mia dipende,
quel che a lei piace
vita mi rende,
quel che le incresce
morte mi dà.
S'ella sospira,
sospiro anch'io;
è mia quell'ira,
quel pianto è mio;
e non ho bene,
s'ella non l'ha.



Gӧsta Winbergh


Luigi Alva


Alfredo Kraus


Fritz Wunderlich


Beniamino Gigli


Placido Domingo


Luciano Pavarotti


Michael Schade

Nicolai Gedda

10 gennaio 2014

Don Giovanni (17) - Donna Anna, l'ambivalenza

Scritto da Marisa

Il primo ad accorgersi, o per lo meno ad esplicitare l'ambiguità dei sentimenti di Donna Anna, è stato il grande Puškin, che nel microdramma “Il convitato di pietra” rimaneggia la vicenda rendendola inequivocabile. Del resto è stato lo stesso Puškin a sdoganare nel suo “Mozart e Salieri” la versione dell'avvelenamento di Mozart da parte del compositore rivale, cosa sicuramente non vera a livello storico ma di grande pregnanza e valore a livello immaginale e psicologico, perché ha colto tutto il lato terribile e distruttivo dell'invidia e il dramma di chi vive la genialità, che è sempre uno stato di grazia e un dono assoluto, come una terribile ingiustizia rispetto alla fatica e ai sacrifici di una vita spesa unicamente per raggiungere una meta impossibile al comune talento.

Puškin colloca l'incontro tra Don Giovanni e Donna Anna nel cimitero in cui lui si è nascosto dopo essere tornato furtivamente a Madrid (da dove era stato bandito) e dove è sepolto Don Alvaro, il marito ucciso da Don Giovanni stesso (sembra del tutto casualmente o comunque non per la moglie, perché lui non la conosceva ancora). Lei vi si reca completamente vestita a lutto, tanto che il libertino chiede al frate che l'accompagna chi sia la donna velata e se sia bella, concependo immediatamente il disegno di sedurla, dapprima vestito da frate per poterla avvicinare e subito dopo presentandosi come Don Diego. Soltanto quando lei, ormai innamorata, gli accorda l'invito a casa sua, si rivela col suo vero nome e, pur dopo un violento conflitto nell'animo di Donna Anna che aveva promesso odio eterno all'uccisore del marito, riesce ad ottenerne ancora l'amore, grazie all'irresistibile e collaudatissima arte. La punizione arriva ugualmente dalla statua che in questo caso è quella di Don Alvaro, il marito ucciso e sbeffeggiato, invitata sacrilegamente a cena nella casa stessa della moglie.

Mi viene in mente, ma non so quanto Puškin ne fosse consapevole, che questa variante ancora più cinica riecheggia il comportamento di Riccardo III nella scena in cui lo scellerato principe seduce la cognata Anna (l'omonimia è sconcertante!) proprio davanti al cadavere del marito, il Principe di Galles, da lui stesso ammazzato... Ma Riccardo è dentro un'altra costellazione archetipica: la passione per il potere (Saturno che divora i suoi figli per restare il sovrano assoluto) e tutto il resto, compreso il corteggiamento serrato a Lady Anna, è finzione per raggiungere lo scopo, tanto che lo vedremo presto ripudiarla per sposare la nipote Elisabetta quando questo matrimonio si rivela più utile al consolidamento del potere, mentre Don Giovanni è sempre mosso dall'urgenza erotica e, in questo caso, la situazione è così intrigante da aumentare l'eccitazione della conquista, anche se momentanea.

Nell'opera di Mozart il conflitto nell'anima di Donna Anna è molto più nascosto e mai esplicitato, ma lo si può rintracciare in ogni apparizione, in ogni sua aria. Già all'inizio la vediamo in piena contraddizione: è appena stata oggetto di presunta violenza e si aggrappa disperatamente proprio al “violentatore” impedendogli di fuggire. “Non sperar, se non mi uccidi, ch'io ti lasci fuggir mai” sono le prime concitate parole che sentiamo da lei, e questo, se da un lato possono indicare la rabbia e il desiderio di assicurare alla giustizia il malfattore, dall'altra indicano il desiderio di trattenerlo comunque presso di sé. Tale ambivalenza, che serpeggia per tutto il resto dell'opera, rende tragica la figura di donna Anna e le conferisce un notevole spessore psicologico. Quando accoratamente piange la morte del padre, in tanta disperata tenerezza, non sentiamo contemporaneamente il dolore per un amante perso per sempre? E che dire della freddezza con cui tratta Don Ottavio, tanto che al suo primo apparire non lo riconosce nemmeno (“Tu sei...! Perdon... Mio bene...”), come se fosse ancora tutta occupata dalla violenta emozione procuratale dal recente assalto di un maschile completamente diverso da quello di un fidanzato così rispettoso...?

Nel famoso recitativo in cui, sollecitata, racconta tutto l'episodio della presunta violenza a Don Ottavio – strano che fino ad allora l'abbia taciuto come un segreto del cuore – confessa che in un primo tempo aveva scambiato l'intruso per il fidanzato stesso (possiamo pensare quindi che sia stato accolto amorevolmente) e solo a causa dell'impetuosa pressione, così diversa dal suo abituale comportamento, si rende conto non trattarsi di lui; da questo segue una lotta corpo a corpo da cui sembra uscirne vincitrice, nel senso che l'uomo scappa, ma viene inseguito... Ora una lotta corpo a corpo con Don Giovanni, il rappresentante più autentico del coinvolgimento erotico-dionisiaco, lascia sicuramente nelle più profonde ed intime fibre del corpo femminile un segno che difficilmente può essere annullato in breve tempo; ed infatti ancora alla fine del dramma vediamo Donna Anna chiedere un anno di tempo, con la plausibile scusa del lutto paterno, prima di concedersi a Don Ottavio, che da sempre l'adora.

Il conflitto che lacera l'animo di Donna Anna è quello tra il sentimento nobile, nutrito da una lunga “affinità elettiva” coltivata con Don Ottavio, e il coinvolgimento erotico-sessuale, che Don Giovanni le ha fatto conoscere in modo del tutto inatteso, anche brutale, ma che ha indubbiamente fatto riecheggiare una corda vitale, per quanto rimossa, anzi proprio perché rimossa più pronta ad esplodere e sentita come colpevole ed inconfessabile. Conosciamo conflitti leggendari tra passione-sentimento e affetto e dovere coniugale. Pensiamo a Tristano e Isotta, a Lancillotto e Ginevra per esempio. In questi casi, che hanno segnato la storia occidentale dell'amore nelle sue forme più romantiche e sublimi, il conflitto, pur riguardando un amore colpevole, viene nobilitato dall'alto sentire degli amanti e giustificato dalla dicotomia “passione”-”matrimonio” rappresentata archetipicamente da Afrodite e Hera: l'una signora degli impulsi amorosi e l'altra custode del sacro legame del matrimonio, aspetti diversi che solo lo sviluppo culturale dal medioevo in poi ha cercato di unificare e far combaciare.

Per Donna Anna la situazione è diversa perché Don Ottavio non è – o per lo meno non è ancora – suo marito e tra i due fino al momento del fatidico avvenimento c'è sì sentimento, ma sembra che manchi la passione che invece è presente in Tristano e Isotta e nella coppia Lancillotto-Ginevra, e Donna Anna se ne accorge soltanto dopo la brutale intrusione dello sconosciuto. Don Giovanni, come è nel suo archetipo che Rilke ha sottolineato, ha quindi in questo caso la precisa funzione di risvegliare, anche se bruscamente, la femminilità assopita e portare la donna ad una nuova – anche se dolorosa – consapevolezza di se stessa e del suo centro vitale.

5 gennaio 2014

Don Giovanni (16) - “Or sai chi l'onore”

Scritto da Christian

In un drammatico recitativo accompagnato dall'orchestra ("Don Ottavio, son morta!"), Donna Anna prende consapevolezza del fatto che proprio Don Giovanni è il responsabile della morte di suo padre, e si appresta a raccontare a Don Ottavio, in dettaglio, i tragici eventi della notte precedente (certo sembra strano che non glieli avesse ancora narrati: nell'opera di Bertati e Gazzaniga, cui Da Ponte si è ispirato per il suo libretto, lo faceva immediatamente dopo la scoperta del cadavere del padre, per poi uscire subito di scena: "Finché il reo non si scopre, e finché il padre vendicato non resta, in un ritiro voglio passar i giorni; né alcun mai vi sarà, che me n' distorni"). È da questo momento che comincia la vera "caccia" – da parte degli altri personaggi, pronti ormai ad allearsi fra loro – a Don Giovanni, nel vano tentativo di porre fine alle sue "scorrerie".

Molto si è scritto e riflettuto sul fatto che il racconto di Donna Anna sia, appunto, di parte: è la sua versione dei fatti, anche se non abbiamo motivo di dubitare che sia veritiera, non rare sono le produzioni e gli allestimenti che lasciano sospettare che la nobildonna sia stata, almeno in parte, vittima "consenziente". D'altronde lo stesso testo suggerisce alcune di queste letture: nel vedere un uomo entrare furtivamente nelle sue stanze, Anna inizialmente non si scompone e crede anzi che si tratti di Don Ottavio. A parte che quest'ultimo non sembra proprio il tipo da penetrare nottetempo nelle camere altrui, già il pensiero lascia intendere come Donna Anna si aspettasse (e forse si augurasse) un'avventura del genere. Che avesse riconosciuto Don Giovanni, almeno inconsciamente, e si sia scagliata contro di lui solo nell'istante in cui si è resa conto – di fronte a Donna Elvira – di non essere il solo oggetto delle sue attenzioni? Si tratta di illazioni, ovviamente: ma su questo tema, registi, coreografi, interpreti e persino filosofi e scrittori ci hanno ricamato a volontà. Uno su tutti è Puškin, di cui parlerà Marisa nel prossimo post.

Al lungo recitativo segue un'aria piena di ira e furore ("Or sai chi l'onore"), come sottolinea il turbolento accompagnamento musicale, in cui la donna intima ad Ottavio di ripeterle la promessa che già le aveva fatto: quella di vendicare lei e il padre ucciso. Stavolta l'oggetto della vendetta è esplicito, visto che si sa "chi fu il traditore". Il fatto che si tratti di un'aria, e non di un duetto come il precedente "Fuggi, crudele, fuggi", lascia intendere come la certezza di Donna Anna sulla colpevolezza di Don Giovanni non sia ancora condivisa appieno da Don Ottavio, che cercherà ancora una conferma.

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

DON GIOVANNI
Povera sventurata!
I passi suoi voglio seguir:
non voglio che faccia un precipizio.
Perdonate, bellissima Donn'Anna:
se servirvi poss'io, in mia casa v'aspetto.
Amici, addio!
(parte)

DONNA ANNA
Don Ottavio... son morta!

DON OTTAVIO
Cosa è stato?

DONNA ANNA
Per pietà, soccorretemi!

DON OTTAVIO
Mio bene, fate coraggio!

DONNA ANNA
Oh, dèi! Quegli è il carnefice
del padre mio...

DON OTTAVIO
Che dite!

DONNA ANNA
Non dubitate più: gli ultimi accenti
che l'empio proferì tutta la voce
richiamar nel cor mio di quell'indegno
che nel mio appartamento...

DON OTTAVIO
Oh, ciel! Possibile
che sotto il sacro manto d'amicizia...
Ma come fu, narratemi,
lo strano avvenimento.

DONNA ANNA
Era già alquanto avanzata la notte,
quando nelle mie stanze, ove soletta
mi trovai per sventura, entrar io vidi
in un mantello avvolto
un uom che al primo istante
avea preso per voi:
ma riconobbi poi
che un inganno era il mio...

DON OTTAVIO
Stelle!... Seguite.

DONNA ANNA
Tacito a me s'appressa,
e mi vuole abbracciar; sciogliermi cerco,
ei più mi stringe; io grido.
Non viene alcun.
Con una mano cerca d'impedire la voce,
e coll'altra m'afferra
stretta così, che già mi credo vinta.

DON OTTAVIO
Perfido!... E alfin?...

DONNA ANNA
Alfin il duol, l'orrore
dell'infame attentato
accrebbe sì la lena mia, che, a forza
di svincolarmi, torcermi e piegarmi,
da lui mi sciolsi.

DON OTTAVIO
Ohimè! respiro.

DONNA ANNA
Allora rinforzo io stridi miei.
Chiamo soccorso: fugge il fellon.
Arditamente il seguo
fin nella strada per fermarlo,
e sono assalitrice d'assalita!
Il padre v'accorre, vuol conoscerlo;
e l'indegno, che del povero vecchio era più forte,
compie il misfatto suo col dargli morte.

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DONNA ANNA
Or sai chi l'onore
rapire a me volse,
chi fu il traditore,
che il padre mi tolse.
Vendetta ti chieggio;
la chiede il tuo cor.
Rammenta la piaga
del misero seno,
rimira di sangue
coperto il terreno,
se l'ira in te langue
d'un giusto furor.



Adrianne Pieczonka


Anna Tomowa-Sintow


Edita Gruberova


Renée Fleming


Mariella Devia


Anna Netrebko


Diana Damrau


Maria Callas

Lisa Della Casa


Marina Rebeka