24 settembre 2019

Il barbiere di Siviglia (11) - Finale primo

Scritto da Christian

Nel lungo ed elaborato finale del primo atto, il Conte torna in scena per mettere in pratica le idee precedentemente suggeritegli da Figaro, presentandosi in casa di Don Bartolo travestito da soldato ubriaco nella speranza di ottenere il diritto d'alloggio che i comuni cittadini dovevano per legge garantire alle truppe militari di passaggio, e poter così restare da solo con Rosina. Ha però fatto i conti senza l'oste: sia lui che Figaro ignorano infatti che Bartolo è in possesso di un “brevetto d'esenzione” che lo dispensa dal concedere alloggio ai soldati in casa sua. Il Conte non la prende bene e, fingendo di essere adirato, scatena una vera e propria rissa con Bartolo, che nemmeno Figaro, presentatosi all'improvviso, riesce a placare. Il frastuono richiama però l'attenzione della forza pubblica: un drappello di polizia irrompe in casa per chiedere spiegazioni e, udite tutte le campane, dichiara il Conte in arresto. Questi, palesando la propria identità all'ufficiale, viene subito rilasciato, per lo stupore di Bartolo e degli altri presenti (tranne ovviamente il barbiere). E l'atto si conclude con un nulla di fatto, nella confusione generale.

I finali d'atto (lunghe e dinamiche sequenze dove non si distinguono più le singole arie ma la musica fluisce in continuazione, terminando in un concertato polifonico), e in particolar modo quelli del primo atto di un'opera (strutturalmente persino più lunghi e complessi del finale vero e proprio, e dunque spesso il “pezzo forte” della serata), avevano acquisito nella prima metà del diciannovesimo secolo un'importanza fondamentale sia in chiave drammaturgica che dal punto di vista musicale. E Rossini vi sguazza a piene mani con la sua capacità di fondere svariate linee melodiche, concentrando tutti i personaggi della storia e le loro vicissitudini in un unico punto, un vero e proprio culmine di massimo scompiglio e confusione da cui, come una “cima Coppi” da scalare, non può che iniziare una rapida discesa, quella che nel secondo atto condurrà verso il lieto fine. Il finale primo del “Barbiere”, da questo punto di vista, è uno dei suoi capolavori, ed è – insieme all'incipit dell'opera – l'elemento strutturale che maggiormente differenzia la nuova versione della commedia di Beaumarchais da quella precedente di Paisiello (dove il primo atto si concludeva molto più rapidamente, con il Conte che lasciava la casa subito dopo aver passato il biglietto a Rosina). È a questo che si riferisce in particolare l'introduzione al libretto stampato, quando segnala la necessità di inserire nella vecchia struttura «nuove situazioni di pezzi musicali», secondo il rinnovato sistema di convenzioni che era venuto consolidandosi nel primo Ottocento.

L’elemento di maggior attualità stilistica è [...] l’inserimento, nella trama del Barbiere, dei grandi finali d’atto, la cui forma – applicabile sia al genere comico che a quello serio – Rossini andava perfezionando in quegli anni: con il loro perfetto meccanismo, che alterna stasi e concitazione, con l’utilizzo a effetto delle risorse armoniche e dinamiche (l’arcinoto crescendo), Rossini supera i confini del tradizionale realismo buffo per ottenere una comicità ludica estraniante, nevrotica e modernissima.
(Gianni Ruffin)
[I finali d'atto] sono le scene chiave delle rispettive opere, in cui il tempo si sospende nella contemplazione dell'attimo glaciato. Si realizza (e si dimentica subito dopo) l'illusione del pensiero, del ruolo sociale, della volontà di dominio, della vanità di ogni cosa. Sono momenti frananti, in cui morte e vita per un attimo si guardano negli occhi. Il cervello è sostituito dalla musica, il pensiero dal suono. È il momento in cui si è tutti uguali, non esiste più principe né servitore, carnefice e vittima. Si è solo vittime, giacchè il prepotente “cade” e il burlatore ride, sapendo che la commedia dolorosa della vita non per questo si fermerà.
(Vincenzo Carboni)
Preceduto da un breve recitativo/monologo della serva Berta (“Finora in questa camera mi parve di sentir un mormorio...”), che per la prima volta pronuncia delle frasi di senso compiuto (in precedenza si era limitata a... una serie di starnuti!), il finale primo passa da una situazione all'altra con estrema rapidità. Sotto le false vesti del soldato ubriaco (“ruolo” che l'orchestra sottolinea con il motivo del passo militare che accompagna le frasi spezzate del canto: “Ehi, di casa! Buona gente!”; il travestimento non è solo scenico ma anche musicale), Almaviva non resiste alla tentazione di prendersi gioco del padrone di casa, storpiando continuamente il suo nome (che da Bartolo diventa, di volta in volta, Balordo, Bertoldo e Barbaro) e più avanti insultandolo apertamente. Anche all'inizio del secondo atto, quando ricorrerà a un secondo travestimento e si presenterà come vice-maestro di musica (Don Alonso), la prima cosa che farà sarà quella di indisporlo nei propri confronti con la ripetizione ossessiva del saluto “Pace e gioia sia con voi”. Forse non la miglior tattica da usare nei confronti di un vecchio “sospettoso e brontolone”, specialmente quando sarebbe meglio invece ingraziarselo per ottenere ciò che si desidera da lui... Ma le regole del genere comico hanno la prevalenza su tutto, e far ridere il pubblico a spese dell'antagonista di turno ha sempre la precedenza sul realismo della trama.

Da notare come nel duetto fra il dottor Bartolo e il finto soldato, i due personaggi alternino frasi che si scambiano a mo' di dialogo ad altre che invece pensano a parte, fra sé e sé (“Chi è costui? Che brutta faccia...”, “Non si vede! Che impazienza!...”), lo stesso meccanismo che avevamo visto nei duetti precedenti (quelli di Figaro con il Conte e Rosina) e che ritroveremo appunto all'inizio del secondo atto, al momento del successivo travestimento di Almaviva.
Rossini coglie lo stacco tra l’evidenza scenica (il soldato che si presenta ubriaco a casa di Bartolo) e le motivazioni e i pensieri nascosti dei personaggi musicando questa sezione con materiale completamente differente: diventa così palese anche per lo spettatore più ingenuo che la finzione del Conte è per l’appunto un travestimento con secondi fini. Potrebbe sembrare a prima vista uno di quei tanti “a parte” dove, come consuetudine, l’azione del dramma si blocca completamente per dar voce ai sentimenti dei personaggi. In realtà non è del tutto così: proprio in tale momento di pausa apparente Rossini fa sapientemente cascare l’uscita in scena di Rosina, ottenendo il doppio scopo di rendere interessante un di per sé statico “a parte” e di far entrare la ragazza quasi di nascosto, tanto che il Conte stesso non se ne avvede immediatamente.
(Stefano Piana)
Con l'ingresso in scena di Rosina, richiamata dal battibecco, lo scenario musicale cambia di colpo e viene introdotto un nuovo tema, decisamente accelerato e frenetico. I piani si moltiplicano: “Lindoro” e Rosina cercano di parlarsi, di scambiarsi sguardi e cenni d'ìntesa, di passarsi un biglietto, il tutto mentre Bartolo li tiene d'occhio e contemporaneamente cerca nello scrittoio il documento che certifica la sua esenzione dal dare alloggio al soldato. Vedendo che il piano di Figaro ha preso una piega poco favorevole, quando il dottore comincia a leggere il documento (e ancora una volta il canto si muta in “parlato”), il Conte fa salire il livello della confusione rifiutandosi ostinatamente di andarsene ed esigendo di restare in casa anche se non ne ha diritto (stavolta l'insulto, “dottor Somaro”, è voluto e non più figlio di un fasullo fraintendimento).

La musica torna sui toni della marcia militaresca di poco prima, anche in questo caso per nascondere le vere intenzioni di Almaviva, che vuole soltanto distrarre Don Bartolo per poter passare un biglietto a Rosina. La ragazza lo copre con un fazzoletto, ma la mossa non è sfuggita al tutore, che esige di leggerlo. Per fortuna Rosina è abile a sostituire il foglio con “la lista del bucato”, lasciando Bartolo di stucco come un “mammalucco”. È in questo momento che il libretto prevede l'arrivo in scena, quasi di nascosto o sullo sfondo, di due altri personaggi, la serva Berta (giunta ad preannunciare Figaro: “Il barbiere... Uh, quanta gente!”) e Don Basilio, che pur non avendo alcuna particolare funzione drammatica saranno importanti per l'equilibrio generale delle voci nella stretta conclusiva: in particolare a Berta – che si affianca a Rosina come unica altra voce femminile – è affidata la parte più acuta.



Max René Cossotti (Conte), Claudio Desderi (Bartolo), Maria Ewing (Rosina), John Rawnsley (Figaro)
dir: Sylvain Cambreling (1982)

L'azione si fa sempre più tumultuosa: Rosina scoppia a piangere, simulando di essere rimasta offesa per la scarsa fiducia del tutore nei suoi confronti, e questo dà il via a una vera e propria rissa fra il Conte travestito e Bartolo, che viene interrotta dall'irrompere di Figaro, a suo dire richiamato dallo strepito. Il barbiere cerca di salvare in qualche modo la situazione (“Che cosa accadde, signori miei? Che chiasso è questo? Eterni Dei!”), anche fingendo di prendersela con il “soldato ubriaco” (al quale, a parte, raccomanda invece prudenza: “Signor, giudizio, per carità”). Ma ormai è tardi: il piano originale è completamente saltato (altro che “invenzione prelibata”! In un saggio intitolato “Il vero Figaro, o sia Il falso factotum”, Saverio Lamacchia avanza la tesi secondo cui Figaro sia in realtà uno straordinario millantatore: le sue trovate falliscono sempre, e toccherà ad altri – qui al Conte, grazie alla sua borsa e al suo rango, nelle “Nozze” a Susanna e alla Contessa – cercare un modo per salvare la situazione: “al contrario di quanto comunemente si dice, [...] la funzione drammatica di Figaro è quella d'ingarbugliare la matassa piuttosto che dipanarla”).

Già, perché il chiasso ha richiamato l'attenzione delle forze dell'ordine. Un drappello di militari irrompe nella magione (dopo aver educatamente bussato alla porta, con Bartolo che domanda in maniera comica “Chi è?”), congelando all'improvviso la scena e arrestando il flusso musicale, fra lo sconcerto dei personaggi che si chiedono “Quest'avventura, ah, come diavolo mai finirà?”.
Un assieme dominato da note tenute e instabile armonicamente fa rallentare il flusso musicale: lo sconcerto dei personaggi proietta la tensione musicale e teatrale a livelli altissimi utilizzando mezzi quasi opposti a quello sin qui utilizzato del crescendo. La continua aggiunta di elementi alla struttura drammaturgico-musicale ha finito per portarla alla rottura: quello che ne segue è una sorta di disorientante silenzio musicalmente organizzato.
(Stefano Piana)
Davanti alle guardie, ciascun personaggio fornisce la propria versione dei fatti: una a una le voci si accavallano in “una sorta di fugato che finisce per confondere parole e proteste in un insieme allo stesso tempo organizzato e incomprensibile” (Piana). Come l'ufficiale riesca a capire qualcosa è davvero un mistero: fatto sta che, forse dando per scontata la ragione del benestante Bartolo e il torto del povero soldato ubriaco, dichiara che quest'ultimo è in arresto. Al Conte non resta che svelare di nascosto, e in segreto, la propria vera identità all'ufficiale, che dopo un attimo di sorpresa accenna un inchino e fa cenno alle guardie di ritirarsi. Ovviamente a quei tempi la legge non era uguale per tutti.
Lo svelamento da parte del Conte della sua vera identità all’ufficiale, che di conseguenza si ritira in buon ordine omaggiando il potente, rimescola e rimette in gioco tutti i livelli scenico-musicali sin qui messi in campo, lasciando gli altri personaggi «freddi ed immobili» dallo stupore. È il momento ideale per inserire quel largo concertato nel quale come consuetudine i tumultuosi eventi precedenti trovano una sorta di sfogo puramente musicale: il tempo teatrale si blocca e consente alla musica di distendersi in maniera ampia nelle forme che le sono più proprie.
(Stefano Piana)
Luigi Alva (Conte), Fritz Ollendorff (Bartolo), Maria Callas (Rosina), Tito Gobbi (Figaro)
direttore: Alceo Galliera (1957)


Nel largo concertato “Freddo e immobile come una statua”, una sorta di contrappunto a più voci, ciascun personaggio esprime il proprio stupore di fronte all'improvviso cambio di atteggiamento della polizia (tranne naturalmente il Conte, che commenta lo stupore di Bartolo, e Figaro, che invece lo deride con tono canzonatorio). Il tema musicale viene svolto con tre variazioni simili, prima dell'ingresso di Figaro con un tema completamente diverso, quasi a sottolineare come il barbiere sia più un complice divertito dello spettatore che un personaggio come tutti gli altri. Rossini utilizza anche stavolta la musica per distinguere due piani: quello drammaturgico (il Conte e gli altri personaggi) e quello quasi meta-teatrale (Figaro, che commenta come se si rivolgesse al pubblico: “Guarda Don Bartolo!”).

A Stendhal, che pure era un ammiratore di Rossini, questo passaggio non piaceva. Forse non ne coglieva la modernità, o evidentemente era ancora legato agli stilemi di chi lo aveva preceduto (come Cimarosa):
Inverosimile è la immobilità in cui precipita il tutore, alla vista della giustizia del suo paese; forse ci era abituato, i caratteri aridi e ingiusti quali Don Bartolo approfittano della tirannia anziche temerla; è gente che emargina al bilancio. Ho sempre visto che l’immobilità del tutore, mentre tutti cantano «Freddo e immobile come una statua», produce un pessimo effetto. Non appena lo spettatore abbia l’agio di accorgersi che il ridicolo è troppo caricato, non ride più, e la farsa è cattiva. Bisogna stordire lo spettatore come Molière o Cimarosa; ecco uno degli intralci della musica, essa non sa andar presto, mentre le evoluzioni della farsa, per esser buone, devono essere rapide come il baleno. La musica deve darvi direttamente la risata che farebbe nascere una buona commedia, recitata con fuoco.
(Stendhal)
Si giunge infine alla grande stretta che conclude questo lungo finale di primo atto. Dal momento "congelato" di stupore si passa con velocità alla confusione: Bartolo cerca di interloquire con l'ufficiale e con le guardie, ma viene zittito dapprima da loro e poi dagli altri personaggi. A tutti non resta che commentare il caos totale in cui si trovano immersi, paragonato al frastuono che si può provare all'interno di “un'orrida fucina”. Come travolti da una burrasca, incapaci di ragionare o di comprendere qual è il proprio ruolo nella storia, i personaggi si rendono conto di non avere controllo sulla propria vita e sono trascinati da una musica che ondeggia in più direzioni, in un crescendo di emozioni e di sensazioni che si trasmette con estrema facilità anche allo spettatore.
Questo pezzo non offre grosse novità rispetto a brani analoghi: da un punto di vista formale è difatti costituito da un tema a cui segue un crescendo che porta a una sezione intermedia in fortissimo; tutto ciò viene ripetuto e chiosato da una lunga serie di cadenze. Ma la sostanza, l’inventiva e la qualità musicale con cui Rossini riempie tale forma sono davvero formidabili, tanto da far diventare questa stretta una delle chiusure d’atto più famose e trascinanti dell’intera produzione operistica del compositore. Tanti sono i dettagli degni di nota, a partire dal tema iniziale insolitamente lungo e articolato cantato tutto sottovoce assai dai cantanti all’unisono, e accompagnato dal brusio delle rapidissime terzine dei violini e da una particolarissima figurazione dei fiati nella quale trombe, corni, clarinetti e ottavino riempiono nell’ordine ciascuno dei quattro quarti del tempo, arricchiti dal tintinnìo del sistro sull’ultimo quarto. O come durante il crescendo animato dalle implacabili raffiche di terzine velocissime dell’orchestra, dove le parole «Alternando, questo e quello» sono effettivamente avvicendate tra Bartolo e Basilio prima, tra Basilio e i bassi del coro poi, creando un effetto di eco che sembra guidare il cicaleccio degli altri cantanti impegnati in un rapido sillabato di crome. O come, infine, lo splendido effetto di sorpresa che deriva dall’iniziare la ripetizione del tema non già nella tonalità base di Do, ma un tono e mezzo sopra, in Mi bemolle; il che ‘costringe’ il compositore a dover rientrare alla tonalità base durante l’enunciazione del tema e ad inventarsi una discesa modulante dall’effetto elettrizzante. Tutto ciò (e altro) fa di questa stretta una degna conclusione di un finale di notevole complessità scenica, le cui briglie musicali sono saldamente tenute in mano da un Rossini in stato di grazia con mille trovate guidate da un attentissimo controllo formale.
(Stefano Piana)

Luigi Alva (Conte), Enzo Dara (Bartolo), Teresa Berganza (Rosina), Hermann Prey (Figaro),
Stefania Malagú (Berta), Paolo Montarsolo (Basilio)
dir: Claudio Abbado (1971)

Luigi Alva (Conte), Fritz Ollendorff (Bartolo), Maria Callas (Rosina), Tito Gobbi (Figaro),
Gabriella Carturan (Berta), Nicola Zaccaria (Basilio)
direttore: Alceo Galliera (1957)

Se in Mozart i personaggi si incontrano basandosi sulla fiducia che l'altro li condurrà alla propria verità (malgrado perplessità e conflitti borghesemente tutti da comporre), in Rossini soprattutto i concertati sono sì momenti di incontro (o almeno lo dovrebbero essere) ma anche di subitanee trasformazioni in burrasche: qualcosa dell'umano (un del “non umano”?) eccede l'incontro: il desiderio travolge i personaggi portandoli lontano, perché l'incontro è intrinsecamente impossibile. In Rossini il linguaggio – essendo lo spazio dell'incontro con gli altri – non contiene nulla, è vuoto di senso. La natura prende il sopravvento e la tempesta scuote, con i personaggi ridotti a foglie agitate dal vento. L'energia a cui si danno potrebbe condurre al caos, ma grazie alla musica (che tutto sconvolge e contiene) condurrà a un ordine meno bugiardo, meno coperto dai sembianti di Dio, almeno fino alla seguente tempesta.
(Vincenzo Carboni)

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano (“Finora in questa camera”).

BERTA (entrando)
Finora in questa camera
mi parve di sentir un mormorio;
sarà stato il tutor, colla pupilla
non ha un'ora di ben.
Queste ragazze non la voglion capir.
(Si batte alla porta.)
Battono.

CONTE (di dentro)
Aprite.

BERTA
Vengo... Eccì! Ancora dura;
quel tabacco m'ha posta in sepoltura.
(Corre ad aprire.)

Clicca qui per il testo di "Ehi di casa! Buona gente!".

CONTE
Ehi, di casa! Buona gente!
Ehi, di casa! Niun mi sente!

BARTOLO (entrando)
Chi è costui? Che brutta faccia!
È ubbriaco! Chi sarà?

CONTE
Ehi, di casa! Maledetti!

BARTOLO
Cosa vuol, signor soldato?

CONTE
Ah! sì, sì... bene obbligato.

BARTOLO
(Qui costui che mai vorrà?)

CONTE (cerca in tasca)
Siete voi... Aspetta un poco.
Siete voi... dottor Balordo?

BARTOLO
Che balordo? Che balordo?

CONTE (leggendo)
Ah, ah... Bertoldo?

BARTOLO
Che Bertoldo? Che Bertoldo?
Eh, andate al diavolo!
Dottor Bartolo.

CONTE
Ah, bravissimo,
dottor Barbaro. Benissimo,
già v'è poca differenza.

BARTOLO
Un corno!

CONTE
(Non si vede! che impazienza!
Quanto tarda! dove sta?)

BARTOLO
(Io già perdo la pazienza,
qui prudenza ci vorrà.)

CONTE
Dunque voi siete dottore?

BARTOLO
Son dottore sì, signore.

CONTE
Ah, benissimo. Un abbraccio,
qua, collega.

BARTOLO
Indietro!

CONTE
(lo abbraccia per forza)
Qua.
Sono anch'io dottor per cento,
maniscalco al reggimento.
(presentando il biglietto)
Dell'alloggio sul biglietto
osservate, eccolo qua.

BARTOLO
(legge il biglietto)
Dalla rabbia e dal dispetto
io già crepo in verità.
Ah, ch'io fo, se mi ci metto,
qualche gran bestialità!

CONTE
(Ah, venisse il caro oggetto
della mia felicità!
Vieni, vieni; il tuo diletto
pien d'amor t'attendo qua.)

ROSINA (entrando)
Un soldato ed il tutore!
Cosa mai faranno qua?

CONTE
(È Rosina; or son contento.)

ROSINA
(Ei mi guarda, e s'avvicina.)

CONTE (piano a Rosina)
Son Lindoro.

ROSINA
Oh ciel! che sento!
Ah, giudizio, per pietà!

BARTOLO (vedendo Rosina)
Signorina, che cercate?
Presto, presto, andate via.

ROSINA
Vado, vado, non gridate.

BARTOLO
Presto, presto, via di qua.

CONTE
Ehi, ragazza, vengo anch'io.

BARTOLO
Dove, dove, signor mio?

CONTE
In caserma, oh, questa è bella!

BARTOLO
In caserma?... bagattella!

CONTE
Cara!

ROSINA
Aiuto!

BARTOLO
Olà, cospetto!

CONTE (a Bartolo, incamminandosi verso le camere)
Dunque vado.

BARTOLO (trattenendolo)
Oh, no, signore,
qui d'alloggio non può star.

CONTE
Come? Come?

BARTOLO
Eh, non v'è replica:
ho il brevetto d'esenzione.

CONTE (adirato)
Il brevetto?

BARTOLO
Mio padrone,
un momento e il mostrerò.
(va allo scrittoio)

CONTE (a Rosina)
Ah, se qui restar non posso,
deh, prendete...

ROSINA
Ohimè, ci guarda!

BARTOLO (cercando nello scrittoio)
Ah, trovarlo ancor non posso;
ma sì, sì, lo troverò.

CONTE E ROSINA
(Cento smanie io sento addosso.
Ah, più reggere non so.)

BARTOLO
(venendo avanti con una pergamena)
Ecco qua.
(legge)
"Con la presente il Dottor Bartolo, etcetera, esentiamo..."

CONTE
(con un rovescio di mano manda in aria la pergamena)
Eh, andate al diavolo!
Non mi state più a seccar.

BARTOLO
Cosa fa, signor mio caro?

CONTE
Zitto là, dottor somaro.
Il mio alloggio è qui fissato
e in alloggio qui vo' star.

BARTOLO
Vuol restar?

CONTE
Restar, sicuro.

BARTOLO (prendendo un bastone)
Oh, son stufo, mio padrone;
presto fuori, o un buon bastone
lo farà di qua sloggiar.

CONTE (serio)
Dunque lei, lei vuol battaglia?
Ben! Battaglia le vo' dar.
Bella cosa è una battaglia!
Ve la voglio qui mostrar.
(avvicinandosi amichevolmente a Bartolo)
Osservate! questo è il fosso,
l'inimico voi sarete.
(gli dà una spinta)
Attenzion! E gli amici...
(piano a Rosina alla quale si avvicina porgendole la lettera)
Giù il fazzoletto!
(coglie il momento in cui Bartolo l'osserva meno attentamente. Lascia cadere il biglietto e Rosina vi fa cadere sopra il fazzoletto)
...e gli amici stan di qua.
Attenzione!

BARTOLO
Ferma, ferma!

CONTE
(rivolgendosi e fingendo accorgersi della lettera che raccoglie)
Che cos'è? ah!

BARTOLO
Vo' vedere.

CONTE
Sì, se fosse una ricetta!
Ma un biglietto... è mio dovere,
mi dovete perdonar.
(fa una riverenza a Rosina e le dà il biglietto e il fazzoletto)

ROSINA
Grazie, grazie!

BARTOLO
Grazie un corno!
Qua quel foglio, impertinente!
A chi dico? Presto qua.

ROSINA
Ma quel foglio che chiedete
per azzardo m'è cascato;
è la lista del bucato.

BARTOLO
Ah, fraschetta! Presto qua.
(le strappa il foglio con violenza)

(Entrano da una parte Basilio con carte in mano, dall'altra Berta.)

BARTOLO
Ah, che vedo! ho preso abbaglio!
È la lista, son di stucco!

BERTA
Il barbiere... Uh, quanta gente...

ROSINA E CONTE
(Bravo, bravo il mammalucco
che nel sacco entrato è già.)

BARTOLO
Ah, son proprio un mammalucco!
Ah, che gran bestialità!

BERTA E BASILIO
(Non capisco, son di stucco;
qualche imbroglio qui ci sta.)

ROSINA (piangendo)
Ecco qua! sempre un'istoria;
sempre oppressa e maltrattata;
ah, che vita disperata!
Non la so più sopportar.

BARTOLO (avvicinandosile)
Ah, Rosina, poverina....

CONTE (minacciando e afferrandolo per un braccio)
Via qua tu, cosa le hai fatto?

BARTOLO
Ah, fermate, niente affatto...

CONTE (cavando la sciabola)
Ah, canaglia, traditore!

TUTTI (trattenendolo)
Via, fermatevi, signore.

CONTE
Io ti voglio subissar!

TUTTI (eccetto il Conte e Rosina)
Gente! Aiuto, soccorrete(mi/lo)

ROSINA
Ma chetatevi!

CONTE
Lasciatemi!

TUTTI (come sopra)
Gente! aiuto, per pietà!

FIGARO
(entrando col bacile sotto il braccio)
Alto là!
Che cosa accadde,
signori miei?
Che chiasso è questo?
Eterni Dei!
Già sulla piazza
a questo strepito
s'è radunata
mezza città.
(piano al Conte)
Signor, giudizio, per carità.

BARTOLO (additando il Conte)
Quest'è un birbante!

CONTE (additando Bartolo)
Quest'è un briccone!

BARTOLO
Ah, disgraziato!

CONTE
Ah, maledetto!

FIGARO (alzando il bacile e minacciando il Conte)
Signor soldato
porti rispetto,
o questo fusto,
corpo del diavolo,
or la creanza
le insegnerà.
(piano al Conte)
Signor, giudizio, per carità.

CONTE (a Bartolo)
Brutto scimmiotto!

BARTOLO (al Conte)
Birbo malnato!

TUTTI (a Bartolo)
Zitto, dottore!

BARTOLO
Voglio gridare!

TUTTI (al Conte)
Fermo, signore!

CONTE
Voglio ammazzare!

TUTTI
Fate silenzio, per carità.

CONTE
No, voglio ucciderlo, non v'è pietà.

(Si ode bussare con violenza alla porta di strada.)

TUTTI
Zitti, che battono.
Chi mai sarà?

BARTOLO
Chi è?

CORO (di dentro)
La forza,
aprite qua.

TUTTI
La forza! Oh diavolo!

FIGARO E BASILIO
L'avete fatta!

CONTE E BARTOLO
Niente paura.
Venga pur qua.

TUTTI
Quest'avventura,
ah, come diavolo
mai finirà?

(Entra un ufficiale con soldati)

CORO
Fermi tutti. Niun si mova.
Miei signori, che si fa?
Questo chiasso d'onde è nato?
La cagione presto qua.

BARTOLO
Questa bestia di soldato,
mio signor, m'ha maltrattato.

FIGARO
Io qua venni, mio signore,
questo chiasso ad acquetare.

BERTA E BASILIO
Fa un inferno di rumore,
parla sempre d'ammazzare.

CONTE
In alloggio quel briccone
non mi volle qui accettare.

ROSINA
Perdonate, poverino,
tutto effetto fu del vino.

UFFICIALE
Ho inteso.
(al Conte)
Galantuom, siete in arresto.
Fuori presto,
via di qua.
(I soldati si muovono per circondare il Conte.)

CONTE
In arresto? Io?
Fermi, olà.
(Con gesto autorevole trattiene i Soldati che si arrestano. Egli chiama a sé l'Ufficiale, gli dà a leggere un foglio: l'Ufficiale resta sorpreso, vuol fargli un inchino, e il Conte lo trattiene. L'Ufficiale fa cenno ai soldati che si ritirano indietro, e anch'egli fa lo stesso. Quadro di stupore.)

ROSINA, CONTE, BARTOLO, BASILIO E BERTA
Freddo/a ed immobile
come una statua
fiato non restami/gli
da respirar.

FIGARO (ridendo)
Guarda Don Bartolo!
Sembra una statua!
Ah ah! dal ridere
sto per crepar!

BARTOLO (all'Ufficiale)
Ma, signor...

CORO
Zitto tu!

BARTOLO
Ma un dottor...

CORO
Oh, non più!

BARTOLO
Ma se lei...

CORO
Non parlar!

BARTOLO
Ma vorrei...

CORO
Non gridar!
Vada ognun pe' fatti suoi,
si finisca d'altercar.

BARTOLO
Ma sentite...

GLI ALTRI
Zitto su!
Zitto giù!

BARTOLO
Ma ascoltate..

GLI ALTRI
Zitto qua!
Zitto là!

TUTTI
Mi par d'esser con la testa
in un'orrida fucina,
dove cresce e mai non resta
delle incudini sonore
l'importuno strepitar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello
fa con barbara armonia
muri e volte rimbombar.
E il cervello, poverello,
già stordito, sbalordito,
non ragiona, si confonde,
si riduce ad impazzar.



David Kuebler (Conte), Carlos Feller (Bartolo), Cecilia Bartoli (Rosina), Gino Quilico (Figaro),
Edith Kertész-Gabry (Berta), Robert Lloyd (Basilio)
dir: Gabriele Ferro (1988)


Richard Croft (Conte), Renato Capecchi (Bartolo), Jennifer Larmore (Rosina), David Malis (Figaro),
Leonie Schoon (Berta), Simone Alaimo (Basilio)
dir: Alberto Zedda, regia: Dario Fo (1992)

Raúl Giménez (Conte), Alessandro Corbelli (Bartolo), Jennifer Larmore (Rosina),
Håkan Hagegård (Figaro), Barbara Frittoli (Berta), Samuel Ramey (Basilio)
direttore: Jesús López-Cobos (1992)

Il dottor Bartolo, anziano “medico barbogio” (come ne parla il Conte), “un vecchio indemoniato avaro, sospettoso, brontolone” (come lo descrive Figaro), è il principale antagonista dell'opera. Tutore della giovane Rosina, che mantiene di fatto segregata in casa nella paura che possa incontrare qualche pretendente, “per mangiarle tutta l'eredità s'è fitto in capo di volerla sposare”, aveva spiegato il barbiere. Facile vedere nella sua figura il classico personaggio della farsa (o della Commedia dell'Arte) che impersona il parruccone, l'anziana autorità di cui prendersi beffe, tanto più quando cerca di tenere il passo con i giovani (in questo caso anche in campo sentimentale), finendo però per venirne buggerato.

Del novero dei personaggi negativi fa parte Don Bartolo, a cui Rossini affida il ruolo di «buffo parlante» (in contrasto con Figaro, «buffo cantante»), tipologia vocale che ha i maggiori pregi non tanto nel canto spianato, ma nella caricaturale caratterizzazione scenica e nella capacità virtuosistica di declamare sillabati in maniera velocissima quasi a perdifiato. Di tale dote doveva certo eccellere il primo interprete Bartolomeo Botticelli, per cui Rossini scrisse un’aria dove tale tecnica è portata agli estremi limiti.
(Stefano Piana)
Nonostante la lettura più frequente del personaggio sia proprio quella del vecchio sciocco che non si accorge degli intrighi che si dipanano attorno a lui, e di cui dunque è facile prendersi gioco, analizzando meglio il libretto sorge piuttosto naturale un'altra interpretazione, che lo vede come un uomo subdolo, attento e calcolatore, e inoltre capace di un atteggiamento seriamente intimidatorio: un nemico, dunque, da cui guardarsi bene e sul quale solo la combinazione fra l'astuzia di Figaro, la determinazione di Rosina e... la ricca borsa del Conte riuscirà ad avere la meglio. Non a caso, nel recitativo che precede la sua grande aria, Bartolo dimostra di aver già intuito le macchinazioni di Rosina: non gli è sfuggito che la ragazza abbia gettato dal balcone un biglietto (“l'arietta dell'Inutil Precauzione”) per il suo corteggiatore segreto (di cui in realtà tutti conoscono l'identità, tranne la stessa Rosina!), e sospetta a ragione che Figaro gli abbia portato la risposta. Osservando ogni dettaglio della stanza con una cura e un puntiglio degni di Sherlock Holmes, il dottore identifica diversi elementi che vanno a sostegno della sua tesi: un dito della ragazza sporco d'inchiostro, la mancanza di un foglio di carta (di cui tiene rigorosamente il conto!) dalla scrivania, la punta della penna temperata (fino all'invenzione della stilografica, infatti, per scrivere si usava una penna d'oca la cui punta doveva frequentemente essere temperata, proprio come le moderne matite).

La furba ragazza ha una scusa pronta per ciascuna di queste osservazioni. Innanzitutto Figaro è venuto da lei soltanto per fare conversazione: “Mi parlò di cento bagattelle, del figurin di Francia, del mal della sua figlia Marcellina”. Il termine “figurino” si riferisce naturalmente alla moda: Rosina suggerisce che Figaro l'abbia messa al corrente degli ultimi modelli in voga a Parigi. Quanto a Marcellina, questo nome era presente nella commedia originale di Beaumarchais (e nell'opera di Paisiello) ed era attribuito alla domestica della casa di Bartolo, effettivamente malata al momento in cui si svolge il “Barbiere”: il personaggio, che non compariva mai in scena, ritornerà nel seguito “Le nozze di Figaro”. Della figlia di Figaro, che nelle precedenti versioni era senza nome, non sapremo mai nulla: esisterà davvero, o probabilmente è – come tutto il resto di questa scena – un parto estemporaneo della fantasia di Rosina? Da qui in poi, infatti, è tutto un fiorire di invenzioni e di trovate da parte della ragazza: il dito è sporco d'inchiostro perché se l'era scottato e ha usato la china per “temprarlo”; il foglio di carta è servito a fare un cartoccio per mandare dei confetti alla bimba malata; e la penna è servita a disegnare un fiore sul tamburo del ricamo.

Bartolo, dicevamo, non è un ingenuo, e non crede a nessuna di queste scuse. Furibondo, minaccia di rinchiudere ancora più severamente Rosina in camera sua, dando apposita consegna ai servitori: “Cospetton! per quella porta nemmen l'aria entrar potrà”. L'aria del dottore, che presenta echi dal “Signor Bruschino”, è un brano divertente (Bartolo stesso a tratti non sembra difettare di sarcasmo e ironia, come nella frase “E Rosina innocentina”) ma anche assai lungo, virtuosistico e molto difficile, in particolare nella parte rapidamente sillabata (“Signorina, un'altra volta quando Bartolo andrà fuori...”), al punto che pochissimi cantanti riescono a non fermarsi per riprendere fiato. È anche da sottolineare, nel testo, l'utilizzo di termini colloquiali o quantomeno del linguaggio “basso” (come “infinocchiare”, “corbellare”, “cospettone”, ecc.): se da un lato è comprensibile che vengano utilizzati nella foga del momento e in uno scatto d'ira, d'altro canto è decisamente buffo sentirli pronunciare da qualcuno che contemporaneamente intende fare sfoggio della propria cultura e del proprio prestigio sociale (“A un dottor della mia sorte”).
La solenne autorità del dottore è descritta da frasi pompose [...] e di conseguenza l’atteggiamento autorevole di Bartolo (che Rossini ritrae con ironia) finisce per essere anche il Leitmotiv scenico-drammatico dell’intero brano. Viene utilizzato quasi a mo’ di tema di rondò nella prima parte, che è una sorta di processo intentato dal tutore nei confronti di Rosina. La sentenza di condanna provocherà l’adozione di severissime misure di reclusione nei confronti della poveretta e innesca la seconda parte dell’aria, un lungo scilinguagnolo dove il caratteristico sillabato veloce (prova classica di virtuosismo per i buffi) viene portato a conseguenze musicali estreme e costringe l’interprete a un vero tour de force.
(Stefano Piana)
Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano (“Ora mi sento meglio”).

ROSINA
Ora mi sento meglio. Questo Figaro
è un bravo giovinotto.

BARTOLO (entrando)
Insomma, colle buone,
potrei sapere dalla mia Rosina
che venne a far colui questa mattina?

ROSINA
Figaro? Non so nulla.

BARTOLO
Ti parlò?

ROSINA
Mi parlò.

BARTOLO
Che ti diceva?

ROSINA
Oh! mi parlò di cento bagattelle.
Del figurin di Francia,
del mal della sua figlia Marcellina...

BARTOLO
Davvero? Ed io scommetto
che portò la risposta al tuo biglietto.

ROSINA
Qual biglietto?

BARTOLO
Che serve! L'arietta dell'Inutil Precauzione
che ti cadde staman giù dal balcone.
Vi fate rossa? (Avessi indovinato!)
Che vuol dir questo dito
così sporco d'inchiostro?

ROSINA
Sporco? oh, nulla.
Io me l'avea scottato
e coll'inchiostro or or l'ho medicato.

BARTOLO
(Diavolo!) E questi fogli?
Or son cinque, eran sei.

ROSINA
Que' fogli? è vero...
D'uno mi son servita
a mandar dei confetti a Marcellina.

BARTOLO
Bravissima! E la penna
perché fu temperata?

ROSINA
(Maledetto!) La penna...
Per disegnare un fiore sul tamburo.

BARTOLO
Un fiore?

ROSINA
Un fiore.

BARTOLO
Un fiore. Ah! fraschetta!

ROSINA
Davver.

BARTOLO
Zitta!

ROSINA
Credete...

BARTOLO
Basta così!

ROSINA
Signor...

BARTOLO
Non più, tacete.

Clicca qui per il testo di "A un dottor della mia sorte".

BARTOLO
A un dottor della mia sorte
queste scuse, signorina?
Vi consiglio, mia carina,
un po' meglio a imposturar.
I confetti alla ragazza?
Il ricamo sul tamburo?
Vi scottaste? eh via! eh via!
Ci vuol altro, figlia mia,
per potermi corbellar.
Perché manca là quel foglio?
Vo' saper cotesto imbroglio.
Sono inutili le smorfie;
ferma là, non mi toccate!
Figlia mia, non lo sperate
ch'io mi iasci infinocchiar.
Via, carina, confessate;
son disposto a perdonar.
Non parlate? Vi ostinate?
So ben io quel che ho da far.
Signorina, un'altra volta
quando Bartolo andrà fuori,
la consegna ai servitori
a suo modo far saprà.
Ah, non servono le smorfie,
faccia pur la gatta morta.
Cospetton! per quella porta
nemmen l'aria entrar potrà.
E Rosina innocentina,
sconsolata, disperata,
in sua camera serrata
fin ch'io voglio star dovrà.
(Parte.)

Clicca qui per il testo del recitativo che segue ("Brontola quanto vuoi").

ROSINA
Brontola quanto vuoi,
chiudi porte e finestre. Io me ne rido:
già di noi femmine alla più marmotta
per aguzzar l'ingegno
e far la spiritosa, tutto a un tratto,
basta chiuder la chiave e il colpo è fatto.
(Parte.)




Enzo Dara (Bartolo)
dir: Claudio Abbado (1971)


Alfonso Antoniozzi (2005)


Claudio Desderi (1981)

Bruno Praticò (2005)


L'aria di Don Bartolo si rivelò talmente difficile da cantare da essere quasi subito sostituita da un altro brano più semplice (“Manca un foglio”), composto da Pietro Romani (fratello del celebre librettista Felice) nel 1816 su testo di Gaetano Gasparri per il buffo Paolo Rosich in occasione della prima fiorentina dell'opera. Come spiega Stefano Piana, quest'aria “restò stabilmente nella tradizione esecutiva sino a Novecento inoltrato (è attestata ancora nelle prime incisioni discografiche dell’opera)”. Soltanto dalla metà del secolo scorso l'aria originale di Rossini è tornata in pianta stabile “al posto che le compete, e dell’aria di Romani (che pure sembra che non dispiacesse a Rossini) si sono ormai perse le tracce”.

Clicca qui per il testo di "Manca un foglio".

BARTOLO
Manca un foglio, e già suppongo
In che cosa l'impiegaste,
Sporco il dito, e già m'immagino
A qual uso il destinaste.
Quella penna temperata
Spiega ben la rea matassa...
Perchè mai la testa bassa?
State ritta come me.

Io so ben che all'età vostra
Suol venir la frenesia
Che provò la mamma mia
Quando vide il mio papà.
Ma non v'è bisogno alcuno
D'indrizzarvi a questo e a quello
Di cercar col campanello
Ciò che aver potete qua.

Dite un po', che v'è di buono
Nei moderni giovinetti?
Reverenze, sorrisetti,
Tacchi ferrei, affettature,
Occhialin, caricature,
Ciò che insipido ha la moda;
Ma di ciò che ognun si loda
Son sprovvisti, per mia fé.

Ma se poi per mia disgrazia
Voi la sorda mi farete,
Le finestre troverete
Sigillate eternamente.
Farò incetta di chiavacci,
Lucchettini e catenacci,
Serrature, chiavistelli,
Toppe, chiodi, spranghe e arpioni...
Non son poi di quei babbioni
Che si fanno infinocchiar.
(parte)



Elia Fabbian

Teodoro Rovetta

4 settembre 2019

Il barbiere di Siviglia (9) - "Dunque io son?"

Scritto da Christian

Avendo assistito in segreto alla scena precedente e avendo udito il dialogo fra Bartolo e Don Basilio, Figaro vuole mettere in guardia Rosina dalle macchinazioni del tutore, nonché perorare presso di lei la causa dell'amico “Lindoro”. Non sa, naturalmente, che la ragazza è già intenzionata a prendere in mano la situazione. Spavaldo e sicuro di sé, il barbiere è convinto di essere lui a dirigere il gioco e a menare le danze, ma dovrà rendersi conto che Rosina rivaleggia con lui in astuzia e intraprendenza. Già il recitativo che precede il loro duetto è un capolavoro di schermaglie, di dissimulazioni e di “non detto”, in cui Figaro prova a tenere la ragazza sulle spine, centellinando le informazioni sul suo “cugino”, mentre lei fa la ritrosa e la finta timida.

Il barbiere crede di poter impostare il dialogo con la ragazza e il duetto che lo chiude come una sorta di replica del duetto col Conte, tuttavia, già dalle strofe parallele d’apertura l’ascoltatore capisce che l’incontro tra i due avviene su un piano diverso: Rosina non è né docile né sprovveduta, ma furba e piena di iniziative, tanto da prendere in contropiede lo stesso Figaro. Compositore e librettista introducono qui una tecnica che impiegheranno frequentemente nel prosieguo, plasmando nell’interazione tra i protagonisti una sorta di doppio livello drammatico-musicale, uno ‘pubblico’ che corrisponde a ciò che effettivamente viene detto ad alta voce, l’altro più nascosto che rivela ciò che i personaggi pensano veramente e gli scopi occulti che giustificano le loro azioni. I due livelli si intersecano continuamente, e contribuiscono a creare quel raffinato e abilissimo ludus che mantiene in tensione tutta l’opera. Si vedranno meglio i risultati di tale tecnica nel finale primo e lungo tutta la prima parte dell’atto secondo, ma già i primi due versi di Rosina, esitanti, intonati con una linea melodica spezzata, sono seguiti da altri due a parte dal carattere decisamente sbarazzino, vorticosamente vocalizzati. Analogamente Figaro: due versi di circostanza nella strofa e due nei quali si rende conto della furbizia della ragazza e ingaggia con lei una sfida a colpi d’ingegno. Rossini sfrutta abilmente qui la convenzione del parallelismo musicale tra le due strofe di apertura musicando questi ultimi due versi con lo stesso materiale dell’a parte precedente: Figaro sfida così Rosina, riprendendone letteralmente i vocalizzi. La protagonista s’impone verso la fine del dialogo che segue le due strofe: alla richiesta di scrivere «sol due righe di biglietto» al suo innamorato, finge di rispondere timidamente, assecondata da un’abile flessione armonica verso sol del tessuto musicale, poi sferra il colpo decisivo mostrando allo stupito barbiere il biglietto già scritto, il medesimo che teneva già in mano durante la cavatina. È ciò che innesca l’a due che conclude il brano, apparentato con l’analoga sezione di chiusura del precedente duetto. Così come il Conte, l’innamorata Rosina si lancia ora in colorature accompagnate dal borbottio di un Figaro che ammette la propria sconfitta.
(Stefano Piana)
Da notare, quando Figaro descrive a Rosina le caratteristiche dell'innamorata di Lindoro, la parola “grassotta”: a quei tempi essere in carne era indice di buona salute e dunque una caratteristica positiva. Si può inoltre immaginare che Sterbini abbia voluto mettere le mani avanti nel caso di interpreti non troppo esili sul palcoscenico, evitando quel brutto effetto quando i cantanti non hanno il necessario phisique du role (le Violette e le Mimì che muoiono di tisi mentre le cantanti che le interpretano sono donnone...). Comunque, nel caso di cantanti più minute, è possibile sostituire la parola con “magrotta” senza perdere la cadenza o la rima.

Il bellissimo duetto “Dunque io son”, pur essendo più breve, rivaleggia con il precedente “All'idea di quel metallo” per ricchezza tematica e musicale. I due personaggi parlano fra loro e contemporaneamente seguono una propria linea di pensiero, imbastendo un duello di arguzie che alla fine non potrà che vedere vincitrice Rosina (tanto che il barbiere dovrà commentare “Donne, donne, eterni dei, chi vi arriva a indovinar?”). Fra i passaggi più divertenti, quello in cui Rosina passa in un attimo dal predicare cautela (“Venga pur, ma con prudenza”) al non saper contenere il desiderio di vedere immediatamente l'amato (“Io già moro d'impazienza! Ma che tarda? Ma che fa?”). Segnalo poi che la cabaletta che conclude il duetto (“Fortunati affetti miei!”) è un altro caso di autoimprestito: proviene infatti dalla prima opera di Rossini messa in scena, “La cambiale di matrimonio” (“Vorrei spiegarvi il giubilo”).


Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano (“Ma bravi! Ma benone!”).

FIGARO (uscendo con precauzione)
Ma bravi! Ma benone!
Ho inteso tutto. Evviva il buon dottore!
Povero babbuino!
Tua sposa? Eh via, pulisciti il bocchino.
Or che stan là chiusi,
procuriam di parlare alla ragazza:
eccola appunto.

ROSINA (entrando)
Ebbene, signor Figaro?

FIGARO
Gran cose, signorina.

ROSINA
Sì, davvero?

FIGARO
Mangerem dei confetti.

ROSINA
Come sarebbe a dir?

FIGARO
Sarebbe a dire
che il vostro bel tutore ha stabilito
esser dentro doman vostro marito.

ROSINA
Eh, via!

FIGARO
Oh, ve lo giuro;
a stender il contratto
col maestro di musica
là dentro or s'è serrato.

ROSINA
Sì? oh, l'ha sbagliata affè!
Povero sciocco! L'avrà a far con me.
Ma dite, signor Figaro,
voi poco fa sotto le mie finestre
parlavate a un signore...

FIGARO
Ah, un mio cugino,
un bravo giovinotto; buona testa,
ottimo cuor; qui venne
i suoi studi a compire
e il poverin cerca di far fortuna.

ROSINA
Fortuna? Oh, la farà.

FIGARO
Oh, ne dubito assai: in confidenza
ha un gran difetto addosso.

ROSINA
Un gran difetto?

FIGARO
Ah, grande: è innamorato morto.

ROSINA
Sì, davvero?
Quel giovane, vedete
m'interessa moltissimo.

FIGARO
Per bacco!

ROSINA
Non mi credete?

FIGARO
Oh sì!

ROSINA
E la sua bella,
dite, abita lontano?

FIGARO
Qui! Due passi.

ROSINA
Ma è bella?

FIGARO
Oh, bella assai!
Eccovi il suo ritratto in due parole:
grassotta, genialotta,
capello nero, guancia porporina,
occhio che parla, mano che innamora.

ROSINA
E il nome?

FIGARO
Ah, il nome ancora?
Il nome... Ah, che bel nome!
Si chiama...

ROSINA
Ebbene, si chiama?

FIGARO
Poverina! Si chiama...
R, o, Ro... s, i, si...
n, a, na... Rosina.

Clicca qui per il testo di "Dunque io son?".

ROSINA
Dunque io son, tu non m'inganni?
Dunque io son la fortunata!
(Già me l'ero immaginata:
lo sapeva pria di te.)

FIGARO
Di Lindoro il vago oggetto
siete voi, bella Rosina.
(Oh, che volpe sopraffina,
ma l'avrà da far con me.)

ROSINA
Senti, senti ma a Lindoro
per parlar come si fa?

FIGARO
Zitto, zitto, qui Lindoro
per parlarvi or or sarà.

ROSINA
Per parlarmi? Bravo! bravo!
Venga pur, ma con prudenza;
io già moro d'impazienza!
Ma che tarda? ma che fa?

FIGARO
Egli attende qualche segno,
poverin, del vostro affetto;
sol due righe di biglietto
gli mandate, e qui verrà.
Che ne dite?

ROSINA
Non vorrei...

FIGARO
Su, coraggio.

ROSINA
Non saprei...

FIGARO
Sol due righe...

ROSINA
Mi vergogno.

FIGARO
Ma di che? di che? si sa!
(andando allo scrittoio)
Presto, presto; qua un biglietto.

ROSINA
(Richiamandolo, cava dalla tasca il biglietto e glielo dà.)
Un biglietto? eccolo qua.

FIGARO (attonito)
Già era scritto? Ve', che bestia!
Il maestro faccio a lei!
Ah, che in cattedra costei
di malizia può dettar.
Donne, donne, eterni Dei,
chi vi arriva a indovinar?

ROSINA
Fortunati affetti miei!
Io comincio a respirar.
Ah, tu solo, amor, tu sei
che mi devi consolar!
(Figaro parte.)




Teresa Berganza (Rosina), Hermann Prey (Figaro)
dir: Claudio Abbado (1971)


Anna Bonitatibus (Rosina), Leo Nucci (Figaro)
dir: Maurizio Barbacini (2005)


Maria Callas, Tito Gobbi (1957)


Giulietta Simionato, Ettore Bastianini (1956)


Sumi Jo, Dmitri Hvorostovsky (2008)

Beverly Sills, Alan Titus (1976)