L'inaspettato arrivo di Edgardo sembra quasi arrestare il tempo. Come congelati nei rispettivi sentimenti (furore, spavento o stupore), i personaggi si bloccano per dare vita a un sestetto (talvolta chiamato semplicemente quartetto: in effetti, dopo Enrico, Edgardo, Lucia e Raimondo, i restanti personaggi – ovvero Arturo e Alisa – formano insieme al coro e a Normanno quasi uno sfondo unico) che è sicuramente fra i brani più celebri dell'opera. Tra l'altro il grande concertato a più voci con cui i personaggi si fermano assorti in sé stessi, a commentare il proprio e l'altrui stato d'animo, è uno dei luoghi più tipici del melodramma italiano, buffo o serio che sia: basti pensare a certe pagine di Rossini ("Freddo e immobile come una statua" dal Barbiere di Siviglia) o di Verdi ("S'appressan gli istanti" dal Nabucco).

In una connessione tanto embricata di luoghi, episodi e tempi scenici, inclinata in modo da far rotolare a valanga gli eventi, il tableau improvvisamente statico del sestetto, col colpo di scena dell’arrivo di Edgardo, vira controcorrente e impone un arresto "innaturale": non solo il consueto distillato delle emozioni in campo, bloccate in un tempo sospeso, ma l’unico momento in cui la vicenda è immobilizzata (a forza), invece di precipitare.
(Paolo Fabbri)


Il sestetto si apre con il canto all'unisono dei due rivali, Enrico ("Chi raffrena il mio furore") ed Edgardo ("Chi mi frena in tal momento"): cosa curiosa, visto che la musica sembra volerli accomunare anziché porli su piani contrapposti. In effetti, più che rivolgersi l'uno all'altro, entrambi vanno con il pensiero a Lucia: Enrico, per la prima volta, sembra pentirsi delle proprie azioni e provare pietà per la sorella ("È mio sangue! L’ho tradita!"). Edgardo, nonostante ritenga di trovarsi di fronte a un tradimento da parte della donna, è contrastato ("T’amo, ingrata, t’amo ancor!"). Pian piano si aggiungono poi gli altri personaggi, da Lucia stessa a Raimondo (che intonano la seconda strofa), e infine da Arturo ad Alisa, accompagnati dal coro (che ripete alcuni dei versi di Edgardo: "Come rosa inaridita / ella sta fra morte e vita!").
L’arrivo di Edgardo crea «scompiglio», dando luogo al celebratissimo concertato, tradizionalmente noto come quartetto o sestetto. Ognuno rimane paralizzato nei propri pensieri, tutti rivolti, però, verso Lucia. Per un attimo i vari personaggi si rendono conto di avere passato il segno: dopo che Lucia si è sposata gli eventi non possono che precipitare, uscendo da qualsivoglia controllo umano. Tutti sembrano presagire un epilogo tragico e Donizetti dilata tale percezione in questo straordinario momento di sospensione. Il cuore drammatico non è dunque individuabile nelle singole reazioni suscitate dall’arrivo del tenore, bensì nel senso di pietà nei confronti della protagonista, ormai distrutta dal comportamento di quanti la circondano. C’è un afflato comune nel brano, perfettamente realizzato dal compositore che ne affida l’apertura ai due grandi rivali le cui voci procedono in sintonia, pressoché parallele. Certo un avvio inaspettato non tanto per il confronto diretto fra i due, ma per il fatto che tale confronto non si configuri come scontro, cosa che sarebbe legittimo aspettarsi. La medesima melodia viene ripresa da Lucia e da Raimondo, mentre tenore e baritono si producono in figure contrappuntistiche. Segue il crescendo lirico condotto dai violini primi e, da prassi, ripetuto. Qui entrano anche Arturo, Alisa e il coro. Tutti sembrano trascinati da un unico impeto. Ulteriore elemento di unità è l’accompagnamento pizzicato degli archi che permane intatto lungo l’intero pezzo. Un concertato in qualche modo anomalo, perché, se la situazione avrebbe potuto originare posizioni fra loro in conflitto, la musica conferisce invece un senso di comunanza a figure totalmente opposte. È la classica quiete prima della tempesta, che imprime alla successiva catastrofe una forza ancora maggiore.
(Federico Fornoni)

Clicca qui per il testo di "Chi mi frena in tal momento".

ENRICO
(Chi raffrena il mio furore,
e la man che al brando corse?
Della misera in favore
nel mio petto un grido sorse!
È mio sangue! L’ho tradita!
Ella sta fra morte e vita!…
Ahi! che spegnere non posso
i rimorsi del mio cor!)

EDGARDO
(Chi mi frena in tal momento?…
Chi troncò dell’ire il corso?
Il suo duolo, il suo spavento
son la prova d’un rimorso!…
Ma, qual rosa inaridita,
ella sta fra morte e vita!…
Io son vinto… son commosso…
t’amo, ingrata, t’amo ancor!)

LUCIA (riavendosi, ad Alisa)
(Io sperai che a me la vita
tronca avesse il mio spavento…
ma la morte non m’aita…
vivo ancor per mio tormento!
Da’ miei lumi cadde il velo…
mi tradì la terra e il cielo!…
Vorrei piangere e non posso…
m'abbandona il pianto ancor!)

RAIMONDO, ARTURO, ALISA, NORMANNO E CORO
(Qual terribile momento!…
Più formar non so parole!…
Densa nube di spavento
par che copra i rai del sole!
Come rosa inaridita
ella sta fra morte e vita!…
Chi per lei non è commosso
ha di tigre in petto il cor.)




Alfredo Kraus (Edgardo), Pablo Elvira (Enrico), Joan Sutherland (Lucia),
Paul Plishka (Raimondo), Jeffrey Stamm (Arturo), Ariel Bybee (Alisa)
dir: Richard Bonynge (1982)


Joseph Calleja (Edgardo), Ludovic Tézier (Enrico), Natalie Dessay (Lucia),
Yuon Kwangchul (Raimondo), Matthew Plenk (Arturo), Theodora Hanslowe (Alisa)
dir: Patrick Summers (2011)


Giuseppe Di Stefano, Tito Gobbi, Maria Callas, Raffaele Arié, Valiano Natali, Anna Maria Canali
dir: Tullio Serafin (1953)


Giuseppe Di Stefano, Rolando Panerai, Maria Callas, Nicola Zaccaria, Giuseppe Zampieri, Luisa Villa
dir: Herbert von Karajan (1955), con bis!


Renato Cioni, Robert Merrill, Joan Sutherland, Cesare Siepi, Kenneth MacDonald, Ana Raquel Satre
dir: John Pritchard (1961)

Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli, Beverly Sills,
Justino Diaz, Adolf Dallapozza, Patricia Kern
dir: Thomas Schippers (1970)



Un vero e proprio documento storico: una registrazione del sestetto con Enrico Caruso, sincronizzato con un video del 1908 (opera di Georges Mendel, pioniere del cinema sonoro, il cui phono-cinématographe, o phono-cinéthéâtre, permetteva di riprodurre insieme le registrazioni del cinematografo e del grammofono)



Una scena dal film "Il grande Caruso" (1951) di Richard Thorpe: il tenore, che apprende della nascita della figlia proprio mentre è impegnato nel sestetto, è interpretato da Mario Lanza.



Una scena dal film "The Departed - Il bene e il male" (2006) di Martin Scorsese, in cui il personaggio interpretato da Jack Nicholson assiste alla "Lucia di Lammermoor". Più tardi nel film, la suoneria del suo cellulare è appunto la melodia del sestetto.

27 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (8) - Il contratto nuziale

Scritto da Christian

Il finale del secondo atto (ovvero del primo atto della seconda parte, se seguiamo la denominazione voluta dal librettista) si attiene alla struttura convenzionale del melodramma italiano, e ricorda in particolare quelli delle opere rossiniane. Siamo nella sala del castello destinata al ricevimento per le nozze di Lucia e Arturo. Tutto è pronto: Enrico accoglie lo sposo, dal cui favore dipende per risollevare le sorti del proprio casato. Non manca una sorta di coro nuziale ("Per te d'immenso giubbilo"), e Arturo stesso si presenta con una cavatina alquanto semplice ("Per poco fra le tenebre"). Sulla convenzionalità o, addirittura, la "grossolanità" di questa sezione dell'opera si può dire parecchio, vedi per esempio il seguente pezzo.

Secondo tradizione il Finale centrale si apre con un vasto coro. Si tratta del coro nuziale, anche se le parole di Cammarano lo delineano più che altro come la ratifica di un patto d’alleanza suggellato dalla stretta di mano fra i contraenti. Il compositore scrive comunque un pezzo brioso in Sol secondo lo schema ABA, con al centro l’intervento di Arturo alla dominante. L’assoluta simmetria formale, la banalità armonica, l’isoritmia, la strumentazione a piena orchestra, la condotta delle parti con costante raddoppio della melodia e accompagnamento regolarissimo, sono tutti elementi all’insegna della grossolanità. Ovviamente le scelte musicali riflettono la bassezza del mondo che tale musica rappresenta, ed è uno dei tanti tratti donizettiani che anticipano le strategie di Verdi [per esempio nel "Rigoletto"]. Inoltre la rozza gaiezza di questo brano crea un fortissimo contrasto con la complessità psicologica di Lucia e con il dramma che a breve seguirà.
(Federico Fornoni)
In attesa che giunga Lucia, Enrico utilizza a sua volta la scusa della madre da poco deceduta per giustificare in anticipo ad Arturo come mai vedrà la fanciulla in preda alla "mestizia" anziché lieta per le nozze: "Dal duolo oppressa e vinta / piange la madre estinta…" (quest'ultimo verso è addirittura ripetuto una seconda volta, al momento dell'ingresso della protagonista). Non pago di ciò, interrompe sbrigativamente l'accenno di dialogo fra Arturo e Lucia, per evitare che i due si parlino prima di aver siglato il contratto nuziale. Al personaggio di Arturo è riservato poco approfondimento, tanto dal punto di vista drammaturgico (sappiamo solo che sembra sinceramente innamorato di Lucia: "Ti piaccia i voti accogliere / del tenero amor mio…") che da quello musicale: il ruolo è quello del classico "tenorino amoroso", una figura che stava ormai sparendo dal panorama del melodramma italiano, destinato a essere soppiantato da tenori di ben più ampio volume vocale.
Il tempo d’attacco ha avvio con un dialogo tra Enrico ed Arturo che assume un tono di conversazione grazie al parlante, la cui melodia è affidata ai violini primi. La ripresa del parlante viene bruscamente interrotta dall’arrivo di Lucia. Non solo sono troncate le parole di Enrico, ma anche la frase musicale. L’ingresso della giovane è palesato da un repentino passaggio a do che bene esprime la sua condizione d’animo. Ancora una volta è lo strumento solista, in questo caso un violoncello (cui rispondono violini primi e oboe), a esprimere tutta l’angoscia interiore della sposa. Da notare che nella versione tradizionale la frase è affidata alla fila dei violoncelli, mentre Donizetti nella partitura autografa annota «solo». Il discorso melodico diviene pian piano meno frammentario, le voci si intrecciano sempre più finché la musica viene a configurarsi in guisa di concertato. È il momento delle nozze, "celebrate" con una struggente melodia discendente. Ciò dice tutto di questo matrimonio. Il tema viene mozzato su un accordo di settima di dominante, e Lucia firma l’atto su una pausa coronata in modo che l’attenzione sia convogliata sul suo gesto.
(Federico Fornoni)
A una Lucia che, fra sé e sé, si vede ormai come una vera e propria martire ("Io vado al sacrifizio!…"), Enrico impone di firmare l'atto di matrimonio, un documento (burocratico) che si contrappone ovviamente al giuramento che la fanciulla aveva fatto con Edgardo nel primo atto. E proprio Edgardo, pochi secondi dopo che il contratto è stato firmato ("La mia condanna ho scritta!", afferma Lucia), si presenta a sorpresa e precipitosamente alla porta del castello, di ritorno dalla Francia, "con intempestività tutta melodrammatica", annunciato dal fragore delle percussioni e suscitando grande scompiglio fra i presenti, molti dei quali (Arturo compreso) erano già al corrente delle sue presunte mire su Lucia.

Clicca qui per il testo di "Per te d’immenso giubbilo - Per poco fra le tenebre".

(Sala preparata pel ricevimento di Arturo. Nel fondo porta praticabile. Enrico, Arturo, Normanno, cavalieri e dame congiunti di Asthon, paggi, armigeri, abitanti di Lammermoor e domestici, tutti inoltrandosi dal fondo.)

ENRICO, NORMANNO, CORO
Per te d’immenso giubbilo
tutto s’avviva intorno,
per te veggiam rinascere
della speranza il giorno.
Qui l’amistà ti guida,
qui ti conduce amor,
qual astro in notte infida,
qual riso nel dolor.

ARTURO
Per poco fra le tenebre
sparì la vostra stella;
io la farò risorgere
più fulgida e più bella.
La man mi porgi Enrico…
ti stringi a questo cor.
A te ne vengo amico,
fratello, e difensor.

Clicca qui per il testo di "Dov'è Lucia?".

ARTURO
Dov’è Lucia?

ENRICO
Qui giungere or la vedrem…
(in disparte ad Arturo)
Se in lei
soverchia è la mestizia,
maravigliar non dei.
Dal duolo oppressa e vinta
piange la madre estinta…

ARTURO
M’è noto. – Or solvi un dubbio:
fama suonò, ch’Edgardo
sovr’essa temerario
alzare osò lo sguardo…

ENRICO
È vero… quel folle ardìa, ma…

NORMANNO, CORO
S’avanza qui Lucia.

ENRICO (ad Arturo)
Piange la madre estinta…

(Esce Lucia sostenuta da Raimondo ed Alisa, essa è nel massimo abbattimento.)

ENRICO (presentando Arturo a Lucia)
Ecco il tuo sposo…

(Lucia fa un movimento come per retrocedere)

ENRICO (sommessamente a Lucia)
Incauta!…
Perder mi vuoi?

LUCIA
(Gran Dio.)

ARTURO
Ti piaccia i voti accogliere
del tenero amor mio…

ENRICO
(accostandosi ad un tavolino su cui è il contratto nuziale, e troncando destramente le parole ad Arturo)
Omai si compia il rito.
(ad Arturo)
T’appressa.

ARTURO
Oh dolce invito!

(Avvicinandosi ad Enrico che sottoscrive il contratto, egli vi appone quindi la sua firma. Intanto Raimondo ed Alisa conducono la tremebonda Lucia verso il tavolino.)

LUCIA
(Io vado al sacrifizio!…)

RAIMONDO
(Reggi buon Dio l’afflitta.)

ENRICO
(piano a Lucia, e scagliandole tremende occhiate)
Non esitar. Scrivi!

LUCIA
(segna l’atto)
(Me misera!…
La mia condanna ho scritta!)

ENRICO
(Respiro!)

LUCIA
(Io gelo ed ardo!
Io manco!…)
(s'appoggia a Raimondo)

TUTTI
Qual fragor!…
Chi giunge?…

EDGARDO
(con voce terribile, ravvolto in gran mantello)
Edgardo.

GLI ALTRI
Edgardo!…

LUCIA
Oh fulmine!…
(cade svenuta in braccio di Bidebent e Alisa la soccorre)

GLI ALTRI
Oh terror!…

(Edgardo s’avanza lentamente. Lo scompiglio è universale. Alisa, col soccorso di alcune dame, solleva Lucia, e l’adagia su una seggiola.)




"Per te d’immenso giubbilo"
Jeffrey Stamm (Arturo)
dir: Richard Bonynge (1982)


"Dov'è Lucia?"
Jeffrey Stamm (Arturo), Pablo Elvira (Enrico), Joan Sutherland (Lucia)
dir: Richard Bonynge (1982)


"Per te d’immenso giubbilo"
Adolf Dallapozza (1970)


"Dov'è Lucia?"
Adolf Dallapozza, Piero Cappuccilli (1970)


"Per te d’immenso giubbilo"
Kenneth Collins (1972)

"Dov'è Lucia?"
David Lee, Ludovic Tézier (2014)

24 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (7) - "Ah! cedi, cedi"

Scritto da Christian

Al duetto di Lucia con Enrico ne segue uno con Raimondo, in cui la pressione psicologica sulla protagonista prosegue senza soluzione di continuità. Insieme alla prima scena dell'ultimo atto (quella della torre di Wolfcrag, che mette a confronto Enrico con Edgardo), questa viene talvolta tagliata dall'opera. Ma è un peccato, e non solo perché è una delle poche – insieme alla cavatina di Arturo – a dare spazio a uno dei personaggi secondari, rompendo così l'egemonia pressoché totale del terzetto di protagonisti. Lo stesso librettista Cammarano, nel caso che il duetto venisse omesso, si raccomandava di mantenere almeno il recitativo fra Raimondo e Lucia che lo precede.

La scena ha infatti una notevole importanza nell'economia della vicenda. Innanzitutto ci mostra come Lucia sia davvero sola nella sua situazione: Edgardo è lontano (adesso anche spiritualmente), e persino l'unico abitante del castello che aveva mostrato per lei comprensione e simpatia, ovvero Raimondo, cerca di convincerla a "piegarsi al destino", proprio come, nell'atto precedente, aveva fatto la damigella Alisa ("Ah! Lucia, Lucia desisti / da un amor così tremendo": significativamente, in tutto il prosieguo dell'opera, quando Alisa sarà in scena canterà sempre gli stessi versi di Raimondo). Inoltre, è proprio durante questa scena che Lucia decide di accettare il matrimonio combinato con Arturo: alla fine del duetto precedente con Enrico, infatti, non era ancora convinta a volersi sposare, anzi invocava piuttosto la morte.

L'educatore Raimondo è per Lucia anche un confidente e un amico, eppure pare sordo ai suoi sentimenti, consigliandola (a fin di bene) di seguire i desideri del fratello. E non può che esser così, in quanto come uomo di chiesa è il custode dell'ordine costituito. Con parole che pesano come macigni, per esempio, le spiega come il giuramento da lei stretto con Edgardo (che ci era sembrato una vera e propria cerimonia di nozze davanti a Dio!) non ha alcun valore, in quanto "i nuzïali voti che il ministro di Dio non benedice, né il ciel né il mondo riconosce". Insomma, le istituzioni (e il diritto codificato) per lui hanno la precedenza sull'individuo (e i desideri personali). La povera Lucia, come plagiata dalla volontà altrui, non può che commentare: "Ah! cede persuasa la mente... / ma sordo alla ragion resiste il core".

Nel dialogo che precede il duetto viene approfondita la questione della mancata corrispondenza fra Lucia ed Edgardo. La ragazza sospettava che fossero le sue lettere a non giungere all'amato per via delle macchinazioni del fratello (tanto che proprio Raimondo, per aiutarla, ha fatto giungere in Francia "per secura mano" una sua missiva). E invece, come sappiamo, è il contrario: sono le lettere di Edgardo a non giungere a lei, essendo state tutte intercettate e bloccate da Normanno ed Enrico.

Infine, nel cantabile "Ah! cedi, cedi", per convincere Lucia ad accettare la mano di Arturo, Raimondo si appella ai valori della famiglia e al rimorso che ne seguirebbe se la fanciulla rifiutasse le nozze combinate. E tira in ballo addirittura "l’estinta genitrice", ossia la madre morta ("o la madre nell’avello / fremerà per te d’orror"). Come commentano i critici, il richiamo al dovere nei confronti della famiglia è "una carta spesso utilizzata nel melodramma italiano in occasioni simili", ovvero per per chiedere un sacrificio: basti pensare al duetto fra Germont e Violetta nel secondo atto della "Traviata".

Donizetti sottolinea la portata di questo passo non solo ripetendo le due parole fondamentali, «madre» e «fremerà», ma anche attraverso uno slittamento nell’area della dominante laddove ci si sarebbe piuttosto aspettati un ritorno alla tonica, qui anticipato nella frase contrastante. In questo modo quella che dovrebbe essere la frase conclusiva della forma lirica si configura piuttosto come un’entità autonoma, guadagnando in importanza e visibilità. (...) La sezione conclusiva dell’aria ristabilisce, almeno per il momento, l’ordine costituito che l’amore tra Lucia ed Edgardo aveva rischiato di compromettere. Si tratta di un brano che, grazie all’utilizzo del marziale ritmo puntato e al ricorso a trombe, tromboni, timpani e gran cassa, aggiunge un che di eroico alla scelta di Lucia. D’altra parte già i versi sembrano ritrarre il sacrificio di una martire.
(Federico Fornoni)
Lucia, infatti, si arrende ("Taci… taci: ah, vincesti… / non son tanto snaturata"). E il duetto (ormai quasi un'aria di Raimondo con i pertichini di Lucia: "Al ben de’ tuoi qual vittima") si conclude con un finale convenzionalmente "rossiniano". Si noti che la fanciulla, convinta che Edgardo l'abbia tradita e dunque di non aver più nessun punto di riferimento, in questo momento non parli più di morte ma solo di una lunga agonia ("Lungo, crudel supplizio / la vita a me sarà!").


Clicca qui per il testo di "Ebben? – Di tua speranza…".

LUCIA
(vedendo giungere Raimondo, gli sorge all’incontro ansiosissima)
Ebben?

RAIMONDO
Di tua speranza
l’ultimo raggio tramontò! Credei
al tuo sospetto, che il fratel chiudesse
tutte le strade, onde sul franco suolo
all’uom che amar giurasti
non giungesser tue nuove: io stesso un foglio
da te vergato, per secura mano
recar gli feci… invano!
Tace mai sempre… Quel silenzio assai
d’infedeltà ti parla!

LUCIA
E me consigli?…

RAIMONDO
Di piegarti al destino.

LUCIA
E il giuramento?…

RAIMONDO
Tu pur vaneggi! I nuzïali voti
che il ministro di Dio non benedice
né il ciel, né il mondo riconosce.

LUCIA
Ah! cede persuasa la mente…
ma sordo alla ragion resiste il core.

RAIMONDO
Vincerlo è forza.

LUCIA
Oh sventurato amore!

Clicca qui per il testo di "Ah! cedi, cedi - Al ben de' tuoi qual vittima".

RAIMONDO
Ah! Cedi, cedi, o più sciagure
ti sovrastano, infelice…
Per le tenere mie cure,
per l’estinta genitrice
il periglio d’un fratello
deh ti mova; e cangi il cor…
o la madre nell’avello
fremerà per te d’orror.

LUCIA
Taci… taci: ah, vincesti…
non son tanto snaturata.

RAIMONDO
Oh! qual gioia in me tu desti!
Oh qual nube hai dissipata!…
Al ben de’ tuoi qual vittima
offri, Lucia, te stessa;
e tanto sacrifizio
scritto nel ciel sarà.
Se la pietà degli uomini
a te non fia concessa,
v’è un Dio, v’è un Dio, che tergere
il pianto tuo saprà.

LUCIA
Guidami tu… tu reggimi…
son fuori di me stessa!…
Lungo, crudel supplizio
la vita a me sarà!
Sì, oh Dio. Son fuor di me.
Edgardo ingrato!
(partono)




Youn Kwangchul (Raimondo), Natalie Dessay (Lucia)
dir: Patrick Summers (2011)


Paul Plishka (Raimondo), Joan Sutherland (Lucia)
dir: Richard Bonynge (1982)


Cesare Siepi, Joan Sutherland (1961)

Justino Diaz, Beverly Sills (1970)

20 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (6) - "Appressati, Lucia"

Scritto da Christian

Il secondo e il terzo atto della "Lucia" formano la seconda parte dell'opera, quella che il librettista ha intitolato "Il contratto nuziale" e in cui, dopo le presentazioni dei personaggi nell'atto precedente, si svolge la vera e propria azione drammaturgica, in un susseguirsi di scene concatenate l'una all'altra. Si comincia nelle stanze private di Enrico, nel castello di Ravenswood, con il confronto fra Lord Asthon e la sorella. Questo è preceduto da un breve dialogo introduttivo fra lo stesso Enrico e l'infido Normanno, nel quale apprendiamo che durante l'assenza di Edgardo tutte le lettere da lui inviate a Lucia sono state intercettate per evitare che giungessero a destinazione. Per convincere la sorella a sposare immediatamente Arturo, l'uomo da lui scelto (nel castello stanno già arrivando tutti i parenti!), Enrico intende mostrarle una finta lettera, dalla quale si evincerebbe che Edgardo si è innamorato di un'altra donna. Un vero e proprio inganno, che ricorda quello ordito da Don Bartolo ai danni di Rosina ne "Il barbiere di Siviglia".

L'ingresso in scena di Lucia, che "avanza macchinalmente", era originariamente commentato così dal libretto: "La pallidezza del suo volto, il guardo smarrito, e tutto in lei annunzia i patimenti ch’ella sofferse, ed i primi sintomi d’un’alienazione mentale". L'assenza di notizie da parte dell'amato Edgardo, unico suo possibile conforto, l'ha evidentemente provata. Eppure non sembra aver perso la sua decisione di opporsi ai voleri del fratello, che nell'apertura del loro duetto ("Il pallor funesto, orrendo") accusa apertamente di crudeltà e insensibilità ("Perdonare ti possa Iddio / l’inumano tuo rigor").

Lucia [è] affranta e distrutta dal dolore. Lo dicono le didascalie di Cammarano, ma soprattutto lo dice la musica di Donizetti. La poveretta non riesce a proferir parola, così in suo luogo "parla" il clarinetto (nella versione tradizionale sostituito da un oboe) che, in poche battute, ci mette a parte delle pene patite dalla giovane con una languente melodia che riunisce tutte le caratteristiche del lamento: tonalità minore, arco melodico discendente, acciaccatura, semitono dolente. Di nuovo, lo strumento solista si fa carico di comunicare lo stato interiore della protagonista: in questo caso uno stato non tanto di alienazione, a dispetto delle indicazioni del libretto, ma di profonda prostrazione. [...] Lucia prova finalmente ad esprimere a parole la sua angoscia e lo fa con un parlante in cui accusa il fratello e grazie al quale cominciano a notarsi gli effetti prodotti su una mente già debole da tanta sofferenza. In fase cadenzale il soprano si lancia infatti in una serie di rapide scale di semicrome che richiamano la scrittura della cavatina. Enrico replica con identico parlante, ma alla dominante e con una vocalità alquanto meno fiorita. In questo tempo d’attacco Asthon dà il via alla terribile pressione psicologica sulla sorella per forzarla a dimenticare Edgardo e a maritarsi con il partito da lui scelto. Pertanto, dopo la tirata del baritono, il dialogo si intensifica. Enrico propone un «nobil sposo» e la reazione di Lucia è sottolineata da un brusco cambio di scrittura e da un intervallo semitonale nella voce che ricorrerà anche nella scena della pazzia. [...] L’aspro scontro armonico e melodico tra il Sol e il Fa è un cuneo piantato nell’anima di Lucia. La sua follia non è solo evasione dalla realtà, ma concreto e fisico dolore.
(Federico Fornoni)
La finta lettera di Edgardo, mostrata da Enrico a Lucia, fa precipitare questa nella disperazione (con il cantabile "Soffriva nel pianto"). Il suo dolore non sembra toccare il fratello, che "persiste nel suo intento, denigrando Edgardo e giocando sui sensi di colpa di Lucia". Pur cantando su un testo identico ("Quel core infedele ad altra si diè!"), i due personaggi esprimono stati d'animo quanto mai diversi, che la musica sottolinea con le sue differenti sfumature: "il lirismo del soprano è segno di ripiegamento interiore, il declamato del baritono del fatto che il personaggio sta esternando i propri pensieri".

I suoni di festa che provengono dall'esterno, tramite la banda e i corni, annunciano l'arrivo al castello di Arturo, il promesso sposo. Enrico incalza la sorella per spingerla ad accettare le nozze, aggiungendole ulteriore pressione con alcuni accenni alla propria pericolante situazione politica ("Spento è Guglielmo… ascendere vedremo il trono Maria… / Prostrata è nella polvere la parte ch’io seguìa…"). Si sta parlando di Maria Stuarda (Mary Stuart, 1542-1587), ma la collocazione storica della vicenda merita qualche approfondimento. Il romanzo di Walter Scott, infatti, era ambientato a inizio Settecento (appena prima dell'Atto di Unione del 1707 – che univa Inghilterra e Scozia in un regno unico – nella versione originale, e appena dopo nella revisione successiva), anche se si basava su un fatto realmente accaduto nel 1669. Cammarano e Donizetti, invece, scelgono di retrodatare l'azione di oltre un secolo, ovvero "al declinare del secolo XVI", come si legge nella didascalia iniziale del libretto. Questo spiega il riferimento a Maria Stuarda, ma non gli accenni anacronistici a "Guglielmo" (Guglielmo III d'Inghilterra, che morì nel 1702), in questo dialogo, e ad "Athol" (probabilmente John Murray, primo duca di Atholl, 1660-1724) nelle parole di Edgardo alla fine del primo atto (parole che, a onor del vero, furono eliminate da Donizetti nella partitura).
La banda fuori scena annuncia l’arrivo al castello del promesso sposo. Enrico mette Lucia davanti al fatto compiuto. Le spiega inoltre che lei è la sola a poterlo salvare dall’annientamento politico, mentre la musica, con il tremolo degli archi, il pedale del primo fagotto e delle viole, e la figura nel registro grave del secondo fagotto e dei violoncelli, comunica l’ansia di cui sono portatrici le sue parole, ansia che probabilmente vuole trasmettere alla sorella per farla propendere verso la decisione a lui favorevole.
(Federico Fornoni)
Mentre Enrico la incalza ("Dal precipizio Arturo può sottrarmi (...) Salvarmi devi!"), Lucia tenta di resistere rimarcando ancora una volta il suo giuramento a Edgardo ("Ad altri giurai…"), come se la missiva appena letta non significasse nulla. E in effetti dentro di sé non ha ancora cambiato idea (nella scena successiva, dirà a Raimondo: "Ah! cede persuasa la mente… ma sordo alla ragion resiste il core"). Il duetto si conclude con una cabaletta ("Se tradirmi tu potrai") in cui Enrico, "con accento rapido, ma energico", "tenta il colpo finale: se Lucia non sposerà Arturo lui verrà condannato a morte e il suo fantasma tornerà a perseguitarla. L’intero duetto è dunque un crescendo drammatico all’interno del quale la protagonista si trova stritolata, senza poter avere altro sfogo che lo squilibrio mentale e il lamento dolente" (Fornoni). Si noti come Lucia in tutto il duetto parli ripetutamente di morte ("L’istante di morte è giunto per me", "La tomba a me s’appresta!", "Io son tanto sventurata, / che la morte è un ben per me!").


Clicca qui per il testo di "Lucia fra poco a te verrà".

(Appartamenti di Lord Asthon. Enrico è seduto presso un tavolino: Normanno sopraggiunge.)

NORMANNO
Lucia fra poco a te verrà.

ENRICO
Tremante l’aspetto.
A festeggiar le nozze illustri
già nel castello i nobili parenti
giunser di mia famiglia; in breve Arturo
qui volge…
(sorgendo agitatissimo)
E s’ella pertinace osasse
d’opporsi?…

NORMANNO
Non temer: la lunga assenza
del tuo nemico, i fogli
da noi rapiti, e la bugiarda nuova
ch’egli s’accese d’altra fiamma, in core
di Lucia spegneranno il vile amore.

ENRICO
Ella s’avanza!… Il simulato foglio
porgimi, ed esci sulla via che tragge
(Normanno gli dà un foglio)
alla città regina di Scozia;
e qui fra plausi e liete grida
conduci Arturo.

(Normanno esce.)

Clicca qui per il testo di "Appressati, Lucia - Il pallor funesto, orrendo - Soffriva nel pianto".

(Lucia si arresta presso la soglia.)

ENRICO
Appressati, Lucia.

(Lucia si avanza macchinalmente, e figgendo lo sguardo immobile negli occhi di Enrico.)

ENRICO
Sperai più lieta in questo dì vederti,
in questo dì, che d’imeneo le faci
si accendono per te. – Mi guardi, e taci!

LUCIA
Il pallor funesto, orrendo
che ricopre il volto mio,
ti rimprovera tacendo
il mio strazio… il mio dolore.
Perdonare ti possa Iddio
l’inumano tuo rigor.

ENRICO
A ragion mi fe’ spietato
quel che t’arse indegno affetto…
Ma si taccia del passato…
tuo fratello io sono ancor.
Spenta è l’ira nel mio petto,
spegni tu l’insano amor.
Nobil sposo…

LUCIA
Cessa… cessa.

ENRICO
Come?

LUCIA
Ad altr’uom giurai mia fé.

ENRICO (iracondo)
Nol potevi…

LUCIA
Enrico!…

ENRICO (raffrenandosi)
Or basti.
Questo foglio appien ti dice,
(porgendole il foglio, ch’ebbe da Normanno)
qual crudel, qual empio amasti.
Leggi.

LUCIA
(legge: la sorpresa ed il più vivo affanno si dipingono nel suo volto, ed un tremito l’investe dal capo alle piante)
Il core mi balzò!

ENRICO
(accorrendo in di lei soccorso)
Tu vacilli!…

LUCIA
Me infelice!…
Ahi!… la folgore piombò!
Soffriva nel pianto… languia nel dolore…
la speme… la vita riposi in un core…
L’istante di morte è giunto per me.
Quel core infedele ad altra si diè!…

ENRICO
Un folle ti accese, un perfido core:
tradisti il tuo sangue per vil seduttore…
Ma degna dal cielo ne avesti mercé:
quel core infedele ad altra si diè!

(Si ascoltano echeggiare in lontananza festivi suoni.)

LUCIA
Che fia!…

ENRICO
Suonar di giubbilo
senti la riva?

LUCIA
Ebbene?

ENRICO
Giunge il tuo sposo.

LUCIA
Un brivido
mi corse per le vene!

ENRICO
A te s’appresta il talamo…

LUCIA
La tomba a me s’appresta!

ENRICO
Ora fatale è questa!
M’odi.
Spento è Guglielmo… ascendere
vedremo il trono Maria…
Prostrata è nella polvere
la parte ch’io seguìa…

LUCIA
AH, io tremo!…

ENRICO
Dal precipizio
Arturo può sottrarmi,
sol egli…

LUCIA
Ed io?…

ENRICO
Salvarmi devi.

LUCIA
Enrico…

ENRICO
Vieni allo sposo.

LUCIA
Ad altri giurai…

ENRICO
Devi salvarmi.

LUCIA
Ma!…

ENRICO (in atto di uscire)
Il devi.

LUCIA
Oh ciel!…

ENRICO (ritornando a Lucia, e con accento rapido, ma energico)
Se tradirmi tu potrai,
la mia sorte è già compita…
tu m’involi onore, e vita;
tu la scure appresti a me…
Ne’ tuoi sogni mi vedrai
ombra irata e minacciosa!…
Quella scure sanguinosa
starà sempre innanzi a te!

LUCIA (volgendo al cielo gli occhi gonfi di lagrime)
Tu che vedi il pianto mio…
tu che leggi in questo core,
se reietto il mio dolore
come in terra in ciel non è,
tu mi togli, eterno Iddio
questa vita disperata…
io son tanto sventurata,
che la morte è un ben per me!

(Enrico parte affrettatamente. Lucia si abbandona su d’una seggiola.)




Ludovic Tézier (Enrico), Natalie Dessay (Lucia)
dir: Patrick Summers (2011)


Rolando Panerai, Maria Callas (1955)


Piero Cappuccilli, Beverly Sills (1970)


Sherrill Milnes, Joan Sutherland (1971)

Matteo Manuguerra, Edita Gruberová (1978)

16 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (5) - "Verranno a te sull'aure"

Scritto da Christian

Quando Edgardo infine giunge, Alisa si fa da parte per consentire a Lucia di incontrarlo da sola. L'uomo spiega subito all'amata il perché ha voluto vederla "ad ora inusitata" (siamo infatti di sera, mentre in precedenza Normanno ci aveva riferito che Lucia è solita incontrarsi con il suo misterioso amante ad "ogni alba"): prima che sorga il sole dovrà salpare per la Francia per motivi politici e diplomatici, ovvero per andare a "trattar (...) le sorti della Scozia"). Due versi del libretto di Cammarano che Donizetti scelse di non musicare approfondivano la cosa più in dettaglio: "Il mio congiunto, Athol, riparator di mie sciagure, a tanto onor m’innalza", diceva Edgardo. Il nome si riferisce a uno dei nobili di Atholl, forse al marchese John Murray (1631-1703) o più probabilmente a suo figlio (1660-1724), primo duca di Atholl.

Il titolo che il librettista ha voluto dare alla prima parte dell'opera (vale a dire a questo primo atto), "La partenza", si riferisce proprio alla separazione forzata dei due amanti. Ma prima di partire, mosso dall'amore verso Lucia, Edgardo spiega che vorrebbe incontrare Enrico e stringere la pace con lui, mettendo fine alla faida fra i Ravenswood e gli Asthon: e questo nonostante proprio Enrico abbia sterminato la sua famiglia, abbia ucciso suo padre e gli abbia sottratto il castello. Lucia, che ben conosce l'indole del fratello, lo dissuade, chiedendogli di mantenere ancora segreto il loro amore. E nel sentire che Enrico ancora vorrebbe ucciderlo, ponendo fine alla stirpe dei Ravenswood, Edgardo è preso a sua volta dal furore, prorompendo in quei propositi di vendetta che, evidentemente, aveva messo solo momentaneamente da parte ("Ma ti vidi… e in cor mi nacque / altro affetto, e l’ira tacque… / Pur quel voto non è infranto… / io potrei compirlo ancor!").

Da notare come Edgardo, a differenza di Enrico e di Lucia, non ha un'entrata in scena convenzionale (una cavatina), perché quella che dovrebbe essere la sua aria ("Sulla tomba che rinserra") si trasforma quasi subito in un duetto con la prima donna: dapprima sul tema del contrasto di sentimenti (l'ira e la vendetta per lui, il richiamo al silenzio e all'amore per lei), dove al cantabile di Edgardo, così sillabato e quasi ossessivo, Lucia risponde con dolcezza e un lirismo più intenso, e poi su quello dello slancio appassionato. Come accennavo in un post precedente, siamo evidentemente dalle parti di Romeo e Giulietta, con la speranza che l'amore possa sconfiggere l'odio che divide le due famiglie, contro un destino inevitabile.

Il tenore, a differenza degli altri protagonisti, non ha un’aria di sortita, perciò è in questo duetto che presenta il suo punto di vista, a partire dal recitativo, dove racconta dell’inimicizia con Asthon e degli abusi che questi ha perpetrato contro la sua famiglia. Non è un caso che, quando viene nominato il fratello di Lucia, «Pria di lasciarti Asthon mi vegga» e «Di mia stirpe il reo persecutor», la tonalità viri al modo minore, mentre un inquietante accompagnamento viene disegnato dai bassi. Poeticamente il tempo d’attacco avrebbe inizio con le parole «Ei mi abborre», ma Donizetti non crea uno stacco con il recitativo precedente. Piuttosto la musica imprime un’accelerazione ritmica e agogica, in coincidenza di una maggiore ricchezza strumentale. Ciò contribuisce ad incrementare la tensione in vista della sezione successiva, spingendo verso di essa. All’effetto concorre anche il carattere modulante che prepara la tonalità del cantabile.
(Federico Fornoni)
Lucia riesce a ricondurre l’amato alla calma, e anziché di morte e guerra si torna a parlare di amore. La sezione intermedia del duetto ("Qui, di sposa eterna fede") ci mostra il giuramento con lo scambio degli anelli. Anche l'unione delle due voci "riflette l’indissolubilità del legame". È praticamente una cerimonia di matrimonio (o di fidanzamento) più che una semplice promessa: una cerimonia senza prete e senza testimoni, fatta solo davanti alla natura e alla divinità ("Dio ci ascolta, Dio ci vede… / tempio ed ara è un core amante"). Più avanti, nel colloquio fra Lucia e Raimondo, quest'ultimo dirà alla ragazza che "i nuzïali voti che il ministro di Dio non benedice, né il ciel né il mondo riconosce", rendendo esplicito il contrasto (che in fondo permea tutta l'opera e il personaggio di Lucia in particolare) fra i sentimenti "naturali" dell'individuo e il peso oppressivo delle istituzioni codificate. In ogni caso, una nota a piè di pagina nel libretto di Cammarano spiega che:
Ne’ tempi a cui rimonta questo avvenimento, fu in Iscozia comune credenza, che il violatore di un giuramento fatto con certe cerimonie, soggiacesse in questa terra ad un’esemplare punizione celeste, quasi contemporanea all’atto dello spergiuro. Perciò allora i giuramenti degli amanti, lungi dal riguardarsi come cosa di lieve peso, avevano per lo meno l’importanza di un contratto di nozze. La più usitata di queste cerimonie era che i due amanti rompevano e si partivano una moneta. Si è sostituito il cambio dell’anello, come più adatto alla scena.
Prima di separarsi e di dirsi addio, Lucia si raccomanda ad Edgardo con particolare intensità (e quasi senza accompagnamento orchestrale) affinché le scriva: "Ah! talor del tuo pensiero / venga un foglio messaggiero / e la vita fuggitiva / di speranze nudrirò". L'accenno ha particolare importanza, perché in seguito proprio sul mancato arrivo delle lettere di Edgardo si fonderà il ricatto psicologico ordito da Enrico (e da Normanno) ai danni di Lucia per convincerla a sposare Arturo.

La cabaletta finale ("Verranno a te sull'aure"), che conclude questa prima parte, ci presenta l'addio dei due amanti. Dapprima intonata da lei, poi da lui, e infine ripresa insieme "a una voce, invece che duettare in dialogo o magari per terze o seste: una soluzione di spoglia, disarmante semplicità che, unita al raddoppio orchestrale, fa davvero volare una melodia alata" (Paolo Fabbri).
La cabaletta è costruita su una delle più memorabili melodie dell’intero repertorio lirico. Questo brano è conseguenza del giuramento che i due si sono scambiati nel tempo di mezzo. Qui Donizetti insiste sulla natura assoluta del legame che unisce Edgardo e Lucia. Soprano e tenore ripetono nei rispettivi interventi il medesimo tema, nella stessa tonalità, a distanza di ottava, e pronunciano perfino le stesse parole. Anche la ripresa a 2 (preceduta da una nuova esortazione di Lucia a Edgardo a scriverle) segue lo stesso principio. Ciò significa che i cantanti toccano, nei relativi registri, esattamente le stesse altezze quasi cantassero con un’unica voce. È fondamentale sotto il profilo drammatico far passare il messaggio di una sintonia perfetta, per elevare all’ennesima potenza i successivi sconvolgimenti. Inoltre proprio per via di questa sintonia, agli occhi di Edgardo, il "tradimento" di Lucia apparirà ancor più terribile. Giusto prima dell’addio, infatti, insiste sulla sacralità del loro amore e del gesto appena compiuto. Le parole «Rammentati, ne stringe il ciel!» sono musicate su un Sol ribattuto in modo che il pubblico le intenda senza difficoltà, mentre l’orchestra tiene un lunghissimo accordo di settima diminuita di cattivo auspicio.
(Federico Fornoni)


Clicca qui per il testo di "Egli s’avanza…".

ALISA
Egli s’avanza… Da vicina soglia
io cauta veglierò.
(parte ma di quando in quando si affaccia)

EDGARDO
Lucia, perdona
se ad ora inusitata
io vederti chiedea: ragion possente
a ciò mi trasse. Pria che in ciel biancheggi
l’alba novella, dalle patrie sponde
lungi sarò.

LUCIA
Che dici!…

EDGARDO
Pe’ franchi lidi amici
sciolgo le vele: ivi trattar m’è dato
le sorti della Scozia. [Il mio congiunto,
Athol, riparator di mie sciagure,
a tanto onor m’innalza.]

LUCIA
E me nel pianto
abbandoni così!

EDGARDO
Pria di lasciarti
Asthon mi vegga… Io stenderò placato
a lui la destra, e la tua destra, pegno
fra noi di pace, chiederò.

LUCIA
Che ascolto!…
Ah! no… rimanga nel silenzio sepolto
per or l’arcano affetto…

EDGARDO (con amarezza)
Intendo! – Di mia stirpe
il reo persecutor de' mali miei
ancor pago non è! Mi tolse il padre…
il mio retaggio avito...
Né basta? Che brama ancor
quel cor feroce e rio?
La mia perdita intera, il sangue mio?
Egli m'odia...

LUCIA
Ah! no…

EDGARDO (con forza)
Mi abborre…

LUCIA
Calma, oh ciel! quell’ira estrema.

EDGARDO
Fiamma ardente in sen mi scorre!
M’odi.

LUCIA
Edgardo!…

EDGARDO
M’odi, e trema.

Clicca qui per il testo di "Sulla tomba che rinserra - Verranno a te sull’aure".

EDGARDO
Sulla tomba che rinserra
il tradito genitore,
al tuo sangue eterna guerra
io giurai nel mio furore;
ma ti vidi… e in cor mi nacque
altro affetto, e l’ira tacque…
Pur quel voto non è infranto…
io potrei compirlo ancor!

LUCIA
Deh! ti placa… deh! ti frena…
Può tradirne un solo accento!
Non ti basta la mia pena?
Vuoi ch’io mora di spavento?
Ceda, ceda ogn’altro affetto;
solo amor t’infiammi il petto…
Ah! un più nobile, più santo
d'ogni voto è un puro amor!

EDGARDO (con subita risoluzione)
Qui, di sposa eterna fede
qui mi giura, al cielo innante.
Dio ci ascolta, Dio ci vede…
tempio ed ara è un core amante;
al tuo fato unisco il mio.
(ponendo un anello al dito a Lucia)
Son tuo sposo.

LUCIA
E tua son io.
(porgendo a sua volta il proprio anello a Edgardo)
A’ miei voti amore invoco.

EDGARDO
A’ miei voti invoco il ciel.

LUCIA, EDGARDO
Ah, soltanto il nostro foco
spegnerà di morte il gel.

EDGARDO
Separarci omai conviene.

LUCIA
Oh parola a me funesta!
Il mio cor con te ne viene.

EDGARDO
Il mio cor con te qui resta.

LUCIA
Ah! Edgardo!
Ah! talor del tuo pensiero
venga un foglio messaggiero,
e la vita fuggitiva
di speranze nudrirò.

EDGARDO
Io di te memoria viva
sempre, o cara serberò.

LUCIA, EDGARDO
Verranno a te sull’aure
i miei sospiri ardenti,
udrai nel mar che mormora
l’eco de’ miei lamenti…
Pensando ch’io di gemiti
mi pasco, e di dolor,
spargi un'amara lagrima
su questo pegno allor.

LUCIA
Il tuo scritto sempre viva
la memoria in me terrà.

EDGARDO
Cara! Sì, sì. Lucia, sì, sì.
Io parto…

LUCIA
Addio…

EDGARDO
Rammentati!
Ne stringe il ciel!…

LUCIA
Edgardo!

(Lucia cade svenuta)




Carlo Bergonzi (Edgardo), Renata Scotto (Lucia)
dir: Bruno Bartoletti (1967)


Vincenzo La Scola (Edgardo), Mariella Devia (Lucia)
dir: Stefano Ranzani (1992)


Giuseppe Di Stefano, Maria Callas (1955)


Carlo Bergonzi, Beverly Sills (1970)


José Carreras, Montserrat Caballé (1977)

Luciano Pavarotti, Joan Sutherland (1979)

12 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (4) - "Regnava nel silenzio"

Scritto da Christian

Introdotta da un'ampia sezione musicale con l'arpa, la protagonista entra finalmente in scena. Siamo all'imbrunire ("sorge la luna", ci dice il libretto), e Lucia avanza nel parco del castello, in compagnia della damigella Alisa, per incontrarsi con l'amato Edgardo. Cammarano, riprendendo la traduzione italiana del 1824 del romanzo di Walter Scott, indugia nel descrivere l'ambiente circostante: "Nel fondo della scena un fianco del castello, con picciola porta praticabile. Sul davanti la così detta fontana della Sirena, fontana altra volta coperta da un bell’edifizio, ornato di tutti i fregi della gotica architettura, al presente dai rottami di quest’edifizio sol cinta. Caduto n’è il tetto, rovinate le mura, e la sorgente che zampilla di sotterra, si apre il varco fra le pietre e le macerie postele intorno, formando indi un ruscello".

Nel vedere che Edgardo non è ancora arrivato, Lucia si mostra agitata. Alisa cerca di convincerla a tornare nel castello, spiegandole che è pericoloso incontrarsi con l'amato, ma Lucia ribatte che è proprio sua intenzione quella di metterlo al corrente del pericolo rappresentato dal fratello. E spiega poi il motivo della sua particolare inquietudine. In una visione (non è chiaro se si è trattato di un sogno notturno, oppure di un'apparizione a occhi aperti!) ha visto il fantasma di una donna che è morta in quel luogo, molti anni prima, uccisa per gelosia da un nobile della famiglia Ravenswood. Il tutto, naturalmente, non fa che accrescere di tristi presagi la già cupa situazione.

La cavatina di Lucia è preceduta da un lungo assolo dell’arpa. L’adozione di un’introduzione strumentale nelle arie di sortita delle primedonne era una scelta che spesso ricorreva nelle opere di quegli anni, ma qui riveste una funzione drammatica essenziale nell’economia della personalità della protagonista. Nel melodramma italiano ottocentesco il ricorso ad uno strumento solista ha un significato ben preciso: conferire concretezza sonora ai pensieri del personaggio. In questo modo lo spettatore è messo nella condizione di percepire l’attività mentale di chi è in scena e di comprendere senza difficoltà che in quel momento quel dato personaggio è immerso nelle proprie riflessioni. Lucia di Lammermoor è un’opera centrata sull’indagine psicologica dell’eroina, e Donizetti, con questo semplice gesto, lo chiarisce immediatamente. Non a caso molti dei successivi interventi della giovane si gioveranno di una sorta di alter ego strumentale. Significativa è poi la scelta dell’arpa. Da un lato la funzione è ambientale. L’arpa, nell’immaginario dell’epoca – ma anche in quello attuale –, era legata alle saghe delle isole britanniche, alla Scozia e all’Irlanda in particolare (il compositore aveva già adottato lo strumento nella precedente "Maria Stuarda"), e in questa scena ritroviamo tutti i topoi della Scozia letta attraverso la lente romantica: il castello, le rovine, la luna, il fantasma. Ma c’è anche un motivo esclusivamente drammatico. L’arpa era spesso utilizzata nei momenti di preghiera che presupponevano un distacco da quanto è terreno, effetto accentuato dal timbro etereo dello strumento. Ancor prima che Lucia proferisca parola, si comprende, dunque, che in quell’istante è lontana dalla realtà. Nel recitativo che segue inizia ad apparire evidente a cosa sia dovuta questa lontananza. Lucia racconta dell’omicidio passionale avvenuto nei pressi della fonte e di come il fantasma della donna uccisa le si sia manifestato. Donizetti ricorre ad accordi in tremolo per evidenziare come questa vicenda abbia profondamente turbato la psiche di Lucia. L’intero numero nella versione di tradizione è abbassato di un semitono rispetto all’autografo.
(Federico Fornoni)
Divisa in tre strofe, la cavatina "Regnava nel silenzio" (ma definirla una semplice "cavatina" è quasi riduttivo) è ricca anche nel testo di quelle che molti critici hanno definito “suggestioni elegiache leopardiane” e “cupe reminiscenze ossianiche” (dai "Canti di Ossian", raccolta di poesie preromantiche di James MacPherson che influenzarono, fra gli altri, lo Sturm und Drang, Goethe e Foscolo). La musica di Donizetti fonde il contesto lirico e melodico con una frammentazione quasi da recitativo, insinuandovi poi una coloratura (nella seconda strofa) che suggerisce "un allontanamento dalla realtà oggettiva", tipica di "situazioni quali sogni amorosi, legami con la divinità, alienazioni mentali". La strofa conclusiva, infine, è "un susseguirsi di arpeggi, trilli, cambi di registro che disarticolano il discorso melodico, fino ad inglobarlo".
L’incapacità di concludere le strofe musicali, gli sbalzi vocali, il progressivo incremento della coloratura sono tutti segnali tesi a evidenziare problematiche interiori. Non siamo cioè in presenza dell’innocua presentazione del personaggio femminile e dei suoi sentimenti, ma, alla prima uscita in scena, abbiamo un quadro già molto chiaro della complessità del suo essere. C’è un altro dato da sottolineare: ognuna delle tre strofe è in una tonalità diversa (...). Un altalenare che è specchio dello squilibrio della protagonista.
(Federico Fornoni)
Ad Alisa, che implora la sua signora (quasi interrompendo la sua espressione musicale) di abbandonare l'amore per Edgardo, Lucia replica che è impossibile: "Egli è luce a’ giorni miei, / e conforto al mio penar". Un amore assoluto, praticamente l'unica fonte di vita e di speranza. Ma perché Lucia è innamorata di Edgardo? L'opera inizia presentandoci questo amore come un dato di fatto. Certo, l’episodio del toro imbizzarrito (raccontato da Normanno nella scena precedente) è stato l’elemento scatenante – la fanciulla salvata dall’eroe/principe azzurro! – ma non è da escludere che proprio il fatto che Edgardo sia il nemico del fratello rappresenti un rinforzo, anziché una dissuasione, per una Lucia che inconsciamente cerca di sfuggire alle costrizioni della società e alle imposizioni della famiglia (“Quando [Lucia] prende le sue decisioni lo fa con grande coraggio, anche se esse sovvertono l’ordine familiare”, nota Leonardo Mello).

Nella cabaletta "Quando rapito in estasi", la protagonista esprime dunque i suoi sentimenti d'amore: il canto si fa più lieto e speranzoso, ricco di colorature e vocalizzi belcantistici, e anche la musica passa dal modo minore al modo maggiore. Torna inoltre l'accompagnamento dell'arpa, cui si aggiungono i flauti. Ma tanta letizia è soltanto apparente, visto che un sottotesto di tensione drammatica rimane ben presente, come a suggerire "un disagio psichico latente" in un personaggio che mostra pericolosi sbalzi d'umore nel giro di pochi istanti.

E in effetti nel libretto di Salvadore Cammarano, a differenza del romanzo di Scott (dove cominciava a mostrare sintomi di delirio soltanto nel finale), il personaggio di Lucia è adombrato di follia sin dall'inizio, e contrastato in ogni suo aspetto. Come abbiamo visto, sin da questa sua prima apparizione ci viene descritta come "agitata" e in preda a visioni. Soggetta a forti pressioni sociali da parte del fratello (ma anche, come vedremo, dal confidente Raimondo), in realtà non sembra avere dubbi su cosa scegliere fra il dovere verso la famiglia e i sentimenti verso l'amato: ma proprio questa sua incapacità di mettere in discussione il proprio mondo e i propri sentimenti la farà precipitare nella tragedia, più avanti, in un "tesissimo clima di angoscia permanente, di visione sinistra, di oscurità gotica e luttuosa" in cui "la sofferenza psichica della protagonista, dilatata e amplificata, è invece l’innovativo fulcro drammatico, l’elemento morboso che estende la sua opaca natura di incubo all’intera vicenda", "una lunga e articolata serie di esplorazioni drammatiche del disagio psichico, che [in tutta l'opera di Cammarano] seguirà un tortuoso percorso tra nevrosi e follia comprendente, tra l’altro, le tensioni emotive e le temporanee psicopatie di "Pia de’ Tolomei" e di Elisabetta del "Devereux", nonché la sofferenza diffusa dell’impressionante "Merope", e fino all’involontario traguardo del "Trovatore", che è anche e soprattutto la storia della grave affezione psicopatologica di Azucena" (Emanuele D’Angelo).

Il ruolo di Lucia, che richiede la voce di un soprano drammatico d’agilità, è stato uno dei cavalli di battaglia di Maria Callas. Come si legge nella sua voce su Wikipedia:
Il ruolo vocale all'interno del quale la rivoluzione-restaurazione di Callas fu più sconcertante, sia per il pubblico che per la critica dell'epoca, fu probabilmente Lucia di Lammermoor, che in quegli anni tutti erano abituati a sentire affidata ai "sopranini" leggeri modello usignolo, i quali, oltre ad avere un'agguerrita tecnica virtuosistica, schiarivano ulteriormente il colore della voce per accentuare l'innocenza e la pudicizia del personaggio. Callas invece si avvicinò a Lucia con una voce senz'altro più debordante e una concezione interpretativa anche più tragica di quanto il tessuto orchestrale dell'opera lasciasse pensare. Il risultato fu però sbalorditivo e convincente, tanto che un direttore come Herbert von Karajan si avvicinò all'opera romantica italiana dopo aver sentito la sua incisione EMI del 1953, e ne produsse, curando anche la regia, una storica edizione scaligera nella stagione 1953-1954.

Clicca qui per il testo di "Ancor non giunse!".

(Ingresso d'un parco. – Nel fondo della scena un fianco del castello, con picciola porta praticabile. Sul davanti la così detta fontana della Sirena, fontana altra volta coperta da un bell’edifizio, ornato di tutti i fregi della gotica architettura, al presente dai rottami di quest’edifizio sol cinta. Caduto n’è il tetto, rovinate le mura, e la sorgente che zampilla di sotterra, si apre il varco fra le pietre e le macerie postele intorno, formando indi un ruscello. – È sull’imbrunire. Sorge la luna.)

LUCIA
(viene dal castello, seguita da Alisa: sono entrambe nella massima agitazione. Ella si volge d’intorno, come in cerca di qualcuno; ma osservando la fontana, ritorce altrove lo sguardo)
Ancor non giunse!…

ALISA
Incauta!… a che mi traggi!…
Avventurarti, or che il fratel qui venne,
è folle ardir.

LUCIA
Ben parli! Edgardo sappia
qual ne circonda orribile periglio…

ALISA
Perché d’intorno il ciglio
volgi atterrita?

LUCIA
Quella fonte mai,
senza tremar, non veggo… ah! tu lo sai.
Un Ravenswood, ardendo
di geloso furor, l’amata donna
colà trafisse, e l’infelice cadde
nell’onda, ed ivi rimanea sepolta…
M’apparve l’ombra sua…

ALISA
Che dici!…

LUCIA
Ascolta.

Clicca qui per il testo di "Regnava nel silenzio - Quando rapito in estasi".

LUCIA
Regnava nel silenzio
alta la notte e bruna…
Colpìa la fonte un pallido
raggio di tetra luna…
quando un sommesso gemito
fra l’aure udir si fe’,
ed ecco su quel margine
l’ombra mostrarsi a me!
Ah! Qual chi favella muoversi
il labbro suo vedea,
e con la mano esanime
chiamarmi a sé parea.
Stette un momento immobile,
poi ratta dileguò,
e l’onda pria sì limpida,
di sangue rosseggiò!

ALISA
Chiari, oh Dio! ben chiari e tristi
nel tuo dir presagi intendo!
Ah! Lucia, Lucia desisti
da un amor così tremendo.

LUCIA
Egli è luce a’ giorni miei,
e conforto al mio penar.

Quando rapito in estasi
del più cocente ardore
col favellar del core
mi giura eterna fé,
gli affanni miei dimentico,
gioia diviene il pianto…
parmi che a lui d’accanto
si schiuda il ciel per me!

ALISA
Giorni di amaro pianto
si apprestano per te!




Mariella Devia (Lucia)
dir: Stefano Ranzani (1992)


Maria Callas (1959)


Joan Sutherland (1964)


Anna Moffo (1966)


Renata Scotto (1967)


Beverly Sills (1970)

Anna Netrebko (2003)


Nella versione francese del 1839, dove fra l'altro mancano sia l'arpa che il personaggio di Alisa, Donizetti sostituì la cavatina "Regnava nel silenzio" con un altro brano, "Que n'avons nous des ailes". Quest'ultimo non è altro che la traduzione dell'aria "Perché non ho del vento", adattata dalla "Rosmonda d'Inghilterra" (1834), che il compositore aveva scritto per il soprano Fanny Tacchinardi Persiani, prima interprete del ruolo di Lucia, che già l'aveva usata in sostituzione della cavatina in occasione della ripresa dell'opera a Venezia nel 1837, dando il via a una tradizione che fu seguita da molte altre dive durante l'Ottocento.

Clicca qui per il testo di "Perché non ho del vento".

LUCIA
Ancor non giunse, ahi lassa!
E l’ora è questa, l’ora fatal…
Che in queste mura invano lo richiama l’amor.
Oh! Qual terrore! Funesto presagir mi desta in cor!
O fonte, o cari luoghi consci de’ miei sospiri,
ove beata al seno lo stringea.
Lo rivedrò più mai!... Funesta idea!...
Edgardo… se non tornassi più!...
Se i giuramenti obbliar tu potessi.
Ah! più discaccio questo orrendo pensier;
Torna alla mente atterrita,
vieni Edgardo mio!... vieni, mia vita.

Perché non ho del vento
L’infaticabil volo,
sempre in estraneo suolo
ti seguirei, mio ben;
Ove tu sei sen volino
I miei sospiri almen!...
Ah! sì, invan da te mi parte
di rio destin tenore:
vince ogni forza amore;
teco son io, mio ben;
i nostri cori, ah! no disgiungere
no, non può nemmeno il Ciel.

Torna, torna, o caro oggetto,
a bearmi d’un tuo sguardo,
vieni, tenero mio Edgardo,
i miei giorni a consolar.
Ch’io mi posi sul tuo petto,
ch’io ti parli ancor d’amore,
e gli affanni del mio core
io potrò dimenticar.
Ah Edgardo!... ah vieni!...

Clicca qui per il testo di "Que n'avons nous des ailes".

LUCIE
Que n'avons-nous des ailes?
Au loin portés par elles
Hors des routes mortelles,
Vers les étoiles d'or,
Nos deux esprits fidèles
Uniraient leur essor.
Quand la haine barbare
Ici-bas nous sépare,
Levons les yeux; un phare
Brille au port éternel;
Ceux qu'ici l'on sépare
Sont unis dans le ciel.

Toi par qui mon coeur rayonne,
Ton amour que Dieu me donne,
Sur mon front, chaste couronne,
Fait resplendir le bonheur.
De nos transports la pensée
Enbaume l'heure passée,
Et, dans l'âme encor bercée,
Met l'espoir comme une fleur.



"Perché non ho del vento"
Beverly Sills (1968)

"Que n'avons nous des ailes"
Natalie Dessay (2002)

9 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (3) - "Cruda, funesta smania"

Scritto da Christian

Partiti i cacciatori, Normanno viene raggiunto da Enrico Asthon, signore del castello, in compagnia di Raimondo Bidebent, confidente di famiglia e uomo di chiesa. Enrico non perde tempo a svelare i suoi crucci, raccontando anche a noi spettatori il contesto e i retroscena della vicenda: la famiglia Asthon versa in cattive acque, tanto dal punto di vista economico che da quello politico ("de’ miei destini impallidì la stella"), mentre il suo acerrimo rivale Edgardo Ravenswood, al quale ha peraltro usurpato il castello anni prima, sta risollevando le proprie sorti e guadagnando potere (ci sarà poi detto che è arrivato a rivestire una posizione politica e diplomatica di notevole rilievo, essendo addirittura coinvolto nei negoziati in Francia per decidere il futuro della Scozia). L'unica speranza per Enrico sarebbe quella di offrire la propria sorella Lucia in sposa a un uomo potente, Lord Arturo Bucklaw: ma la ragazza rifiuta di accettare un matrimonio di convenienza.

Il compassionevole Raimondo prova a calmare l'ira di Enrico (personaggio assai propenso ad esplosioni di furore) e a giustificare la ritrosia di Lucia a sacrificarsi, spiegando che probabilmente soffre ancora per la recente morte della madre. Ma l'infido Normanno rivela che Lucia è invece innamorata di un uomo misterioso, che qualche tempo prima, mentre la ragazza passeggiava all'esterno del castello, l'avrebbe salvata da un toro infuriato: e suggerisce che l'uomo, con cui Lucia continua a incontrarsi segretamente ogni mattina, possa essere nient'altri che Edgardo Ravenswood.

Donizetti sottolinea i momenti salienti di questo scambio dialogico con precise soluzioni musicali. L’inimicizia mortale tra Enrico ed Edgardo e tra le rispettive famiglie è posta in rilievo attraverso una frase discendente dei tromboni e dei bassi; l’annuncio, da parte di Normanno, che Lucia ama uno sconosciuto è segnato da uno spostamento verso la tonalità di Do; la narrazione del primo incontro tra la giovane e il suo innamorato è un vero e proprio parlante, tonalmente e formalmente conchiuso; la notizia che questo amante è un acerrimo nemico di Enrico posa sul tremolo degli archi e sulla salita cromatica dei fiati, gesto che imprime una tensione assoluta nella vicenda.
(Federico Fornoni)
Enrico, ovviamente, non la prende bene, tanto che nella sua furia (la cavatina "Cruda, funesta smania") giunge ad augurarsi la morte della sorella ("Se ti colpisse un fulmine, fora men rio dolor"). Per lui si tratta di un vero e proprio tradimento nei propri confronti e in quelli della famiglia. D'altronde, come è evidente, il canovaccio è quello di Romeo e Giulietta, un classico sempreverde (dai tempi di Shakespeare a quelli di "West Side Story"!). Il ritorno dei cacciatori, che in coro ("Come vinti da stanchezza") confermano di aver appurato l'identità dello sconosciuto, vale a dire Edgardo, scatena ulteriormente la collera di Enrico, nonostante i tentativi di Raimondo di tenerla a freno. Nella cabaletta conclusiva, "La pietade in suo favore", accompagnato dai colori guerrerschi dei fiati e delle trombe, il baritono afferma di non aver intenzione di perdonare la sorella, ma solo di vendicare l'affronto ("L’empia fiamma che vi strugge / io col sangue spegnerò"). Fra sé e sé, Raimondo profetizza: "Ahi! qual nube di terrore / questa casa circondò!".

I riferimenti (di Raimondo, ma anche di Normanno) alla recente morte della madre di Lucia e di Enrico ci consentono di sottolineare una delle principali differenze fra il libretto di Cammarano e il romanzo originale di Walter Scott. In quest'ultimo, infatti, Enrico non è altro che un ragazzino, e il ruolo di antagonista è ricoperto proprio dalla madre di Lucia, Lady Ashton, che a differenza del padre (anch'egli ancora in vita), che vedrebbe di buon occhio l'unione della figlia con Edgar Ravenswood anche se sempre per motivi politici, vi si oppone con ostinazione. "La soppressione di sir William e Lady Ashton, e la sostituzione di quest’ultima con un fratello-padre-padrone, consentiva a Donizetti di avere sulla scacchiera solo tre pezzi principali: un triangolo drammaturgico essenziale, unitario, fatto di attrazioni e antagonismi netti, senza incroci o ambiguità" (Paolo Fabbri). Siamo infatti di fronte, anche sul piano vocale (soprano, tenore, baritono), al triangolo di personaggi tipico del melodramma italiano.

C'è anche un altro punto in cui il libretto dell'opera si discosta dal romanzo di Scott, e cioè il "ribaltamento dello status sociale ed economico delle due famiglie contendenti. In "Lucia" infatti i Ravenswood, in un contesto politico burrascoso, hanno riottenuto la benevolenza della fazione al momento dominante, e occupano una posizione diplomatica di tutto rilievo. (...) Gli Asthon, al contrario, versano in cattive acque". Specularmente opposto è invece il destino dei due clan nelle pagine di Walter Scott, dove si nota "la contrapposizione tra il lignaggio antico dei Ravenswood e la recente nobiltà degli Asthon, che però (...) soppiantano i primi nel prestigio sociale e nelle disponibilità finanziarie".


Clicca qui per il testo di "Tu sei turbato!".

(Enrico si avanza fieramente accigliato: Raimondo lo segue mesto e silenzioso. – Breve pausa)

NORMANNO
(accostandosi rispettosamente ad Enrico)
Tu sei turbato!

ENRICO
E n’ho ben donde. – Il sai:
de’ miei destini impallidì la stella…
intanto Edgardo… quel mortale nemico
di mia prosapia, dalle sue rovine
erge la fronte baldanzosa e ride!
Solo una mano raffermar mi puote
nel vacillante mio poter… Lucia
osa respinger quella mano!… Ah! suora
non m’è colei!

RAIMONDO
(in tuono di chi cerca calmare l’altrui collera)
Dolente vergin, che geme sull’urna recente
di cara madre, al talamo potria
volger lo sguardo? Rispettiamo un core,
che trafitto dal duol schivo è d’amore.

NORMANNO
Schivo d’amor?… Lucia
d’amore avvampa.

ENRICO
Che favelli!…

RAIMONDO
(Oh detto!…)

NORMANNO
M’udite. Ella sen gìa colà, del parco
nel solingo vïal, dove la madre
giace sepolta. Impetuoso toro
ecco su lei s’avventa…
Quando per l’aria rimbombar si sente
un colpo, e al suol repente
cade la belva.

ENRICO
E chi vibrò quel colpo?

NORMANNO
Tal… che il suo nome ricoprì d’un velo.

ENRICO
Lucia forse?…

NORMANNO
L’amò.

ENRICO
Dunque il rivide?

NORMANNO
Ogni alba.

ENRICO
E dove?

NORMANNO
In quel vïale.

ENRICO
Io fremo!
Né tu scovristi il seduttor?…

NORMANNO
Sospetto io n’ho soltanto.

ENRICO
Ah! parla.

NORMANNO
È tuo nemico.

RAIMONDO
(Oh ciel!…)

NORMANNO
Tu lo detesti.

ENRICO
Esser potrebbe!… Edgardo?

RAIMONDO
Ah!…

NORMANNO
Lo dicesti.

Clicca qui per il testo di "Cruda, funesta smania - La pietade in suo favore".

ENRICO
Cruda… funesta smania
tu m’hai svegliata in petto!
È troppo, è troppo orribile
questo fatal sospetto!
Mi fa gelare e fremere!…
Solleva in fronte il crin!
Colma di tanto obbrobrio
chi suora a me nascea!
(con terribile impulso di sdegno)
Pria che d’amor sì perfido
a me svelarti rea,
se ti colpisse un fulmine,
fora men rio dolor.

NORMANNO
Pietoso al tuo decoro,
io fui con te crudel!

RAIMONDO
(La tua clemenza imploro;
tu lo smentisci, o ciel.)

CORO DI CACCIATORI (entrando, a Normanno)
Il tuo dubbio è omai certezza.

NORMANNO (ad Enrico)
Odi tu?

ENRICO
Narrate.

CORO
(Oh giorno!)
Come vinti da stanchezza,
dopo lungo errare intorno,
noi posammo della torre
nel vestibulo cadente:
ecco tosto lo trascorre
in silenzio un uom pallente.
Come appresso ei n’è venuto
ravvisiam lo sconosciuto.
Ei su rapido destriero
s’involò dal nostro sguardo…
Qual s’appella un falconiero
ne apprendeva.

ENRICO
E quale?

CORO
Edgardo.

ENRICO
Egli!… Oh, rabbia che m’accendi,
contenerti un cor non può!

RAIMONDO
Ah! non credere… deh! sospendi…
ella… m’odi…

ENRICO
Udir non vo’.
La pietade in suo favore
miti sensi invan ti detta…
Se mi parli di vendetta
solo intender ti potrò.
Sciagurati!… Il mio furore
già su voi tremendo rugge…
L’empia fiamma che vi strugge
io col sangue spegnerò.

NORMANNO, CORO
Ti raffrena al nuovo albore
ei da te fuggir non può.

RAIMONDO
(Ahi! qual nube di terrore
questa casa circondò!)




Renato Bruson (Enrico)
dir: Stefano Ranzani (1992)


Ettore Bastianini (1959)


Piero Cappuccilli (1970)


Robert Merrill (1948)

Giorgio Zancanaro (1986)

7 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (2) - Preludio e coro

Scritto da Christian

Le prime note dell'opera, quelle del breve preludio che la introduce (com'era ormai consuetudine per Donizetti, che aveva già abbandonato da alcuni anni l'uso di una sinfonia più lunga e distesa per aprire le sue opere, preferendo far sollevare il sipario dopo aver costruito rapidamente l'atmosfera) fissano da subito "il clima cupo del dramma e della sua ambientazione, grazie alla scelta di modo minore e andamento agogico lento, all’orchestrazione dominata dai mesti colpi di cassa e timpani e dal colore plumbeo dei corni, all’utilizzo di accordi dissonanti di settima in tremolo presi in fortissimo senza preparazione e, ancora, al ritmo da marcia funebre scandito da trombe, tromboni e percussioni" (Federico Fornoni).


Preludio
dir: Tullio Serafin (1959)

Quando si alza il sipario, la musica che accompagna il coro introduttivo appare subito vivacemente in contrasto con la lenta solennità del preludio: "la tonalità passa infatti al modo maggiore ma, soprattutto, la scrittura, con quelle note ribattute staccate e rapidissime di ottoni e legni, produce un effetto eroico". Ci troviamo nell'atrio del castello di Ravenswood (anche se la partitura dice nel giardino), sulle colline di Lammermoor in Scozia, dove risiede il clan degli Asthon (ci sarà spiegato più avanti come Enrico, lord degli Asthon, abbia sottratto il castello ai rivali Ravenswood dopo averli sconfitti). Normanno, il capo delle guardie, sta impartendo ordini a un gruppo di abitanti del castello, che si apprestano a partire per una battuta da caccia, imponendo loro di setacciare tutti i dintorni, dalle "spiagge vicine" alle "vaste rovine" della torre di Wolfcrag (o Wolferag, come è talvolta erroneamente chiamata). Il motivo? Per ora non ci è dato saperlo, visto che il coro parla genericamente di un "sì turpe mistero". Gli spettatori sono dunque catapultati subito all'interno della storia ma non ne conoscono ancora gli antefatti, che saranno svelati anche a loro man mano che i personaggi stessi (nella fattispecie Enrico, nel recitativo che segue) ne vengono a conoscenza.

Clicca qui per il testo di "Percorrete le spiagge vicine".

NORMANNO E CORO
Percorrete / Percorriamo le spiagge vicine,
della torre le vaste rovine:
cada il vel di sì turpe mistero,
lo domanda... lo impone l’onor.
Splenderà l'esecrabile vero
come lampo fra nubi d’orror!

(Il coro parte rapidamente)



Preludio e coro
dir: Thomas Schippers (1970)

Preludio e coro
dir: Jesús López-Cobos (2014)

2 aprile 2020

Lucia di Lammermoor (1) - Introduzione

Scritto da Christian

Lucia di Lammermoor
Dramma tragico in tre atti
Libretto di Salvadore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti

Prima rappresentazione: Napoli (Teatro San Carlo),
26 settembre 1835

Personaggi e voci:
- Lord Enrico Asthon (baritono)
- Lucia (soprano), sua sorella
- Sir Edgardo di Ravenswood (tenore)
- Lord Arturo Bucklaw (tenore)
- Raimondo Bidebent (basso), educatore e confidente di Lucia
- Alisa (mezzosoprano), damigella di Lucia
- Normanno (tenore), capo degli armigeri di Ravenswood
- Dame e cavalieri, congiunti di Asthon, abitanti di Lammermoor, paggi, armigeri, domestici di Asthon



Tratta dal romanzo "La sposa di Lammermoor" (The Bride of Lammermoor) di Walter Scott, la "Lucia di Lammermoor" è la più celebre fra le opere serie di Gaetano Donizetti, compositore assai prolifico (ben 67 melodrammi in meno di trent'anni di attività!) e fra i maggiori del primo Ottocento, nonché – insieme a Bellini – il più importante rappresentante del "bel canto" italiano nel periodo che intercorre fra la fine dell'attività di Rossini e l'inizio di quella di Verdi, fra i quali può essere considerato il trait d'union.

È un'opera intrisa di quel romanticismo che all'inizio dell'Ottocento si era sparso in tutta Europa in ogni settore artistico, e che in campo letterario aveva trovato nella narrativa a sfondo storico una delle sue forme più diffuse e popolari. Il romanzo di Scott, pubblicato nel 1819 (e in traduzione italiana nel 1824), aveva acquisito subito una notevole fama, anche per via della sua ambientazione suggestiva in una Scozia che nell'immaginario collettivo era il teatro di violente guerre e faide fra clan rivali, sullo sfondo di brughiere selvagge e castelli diroccati. E il tragico amore della protagonista, che sfocia nella pazzia di fronte agli eventi avversi, non poteva non risvegliare profondamente le emozioni dei lettori. La popolarità del romanzo fu tale che, prima di quella di Donizetti, erano già apparse sulle scene ben cinque opere liriche ad esso ispirate, di cui quattro italiane ("Le nozze di Lammermoor" di Michele Carafa, 1829; "La fidanzata di Lammermoor" di Luigi Rieschi, 1831; "Ida" di Giuseppe Bornaccini, 1833; "La fidanzata di Lammermoor" di Alberto Mazzuccato, 1834) e una danese ("Bruden fra Lammermoor" di Ivar Frederick Bredal, 1832, su libretto di Hans Christian Andersen!).

Se si vuole l’exemplum del melodramma romantico italiano, è difficile trovar di meglio di Lucia. «Un amore ardente e sventurato, un giuramento infranto per l’intrigo, le angosce, le gelosie, gli odi di famiglia, la disperazione, la morte formano un quadro luttuoso» (scriveva un recensore della “prima”) collocato in epoche fosche – il pieno Cinquecento – e ambientato nel selvaggio Nord. Vi si trovano cori e corni di cacciatori, arpe verginali, apparizioni sinistre, castelli diroccati, la brughiera desolata, l’«uragano» notturno che proietta nella Natura il tumulto dell’Io (Edgardo: «Orrida è questa notte / come il destino mio!»), la scena-madre di delirio (quanto diversa dal rarefatto lirismo di Elvira, nei Puritani!), la sfida mortale all’ombra dei sepolcri aviti, il suicidio.
(Paolo Fabbri)
Ambientato "al declinare del secolo XVI", il melodramma ha come assoluta protagonista Lucia (Lucy) Asthon, che il fratello Enrico vorrebbe far sposare al nobile Arturo Bucklaw per rafforzare il proprio prestigio politico. Lucia è invece innamorata di Edgardo (Edgar) Ravenswood, nemico acerrimo della sua famiglia, con cui si incontra ogni giorno di nascosto e col quale si è promessa eterno amore. Quando Enrico, approfittando della momentanea partenza di Edgardo per la Francia, la convince con un raggiro che l'uomo che ama in realtà l'inganna, Lucia accetta di sposare Arturo. Ma il ritorno di Edgardo, che ignorando le ragioni del suo tradimento la rinnega, fanno scattare in lei la pazzia: durante la prima notte di nozze, Lucia uccide Arturo, prima di lasciarsi morire a sua volta. Il personaggio è tanto complesso dal punto di vista psicologico quanto da quello musicale, e Donizetti scrive per lei alcune delle pagine più ispirate non solo della sua produzione ma dell'intero panorama operistico italiano. Autentico banco di prova per ogni soprano, in quanto richiede al tempo stesso grandi capacità drammatiche e abilità di coloratura, il ruolo è stato reso celebre soprattutto da Maria Callas, vera e propria spartiacque, che l'ha portato in scena più volte negli anni Cinquanta del ventesimo secolo. Altre interpreti notevoli sono state Renata Scotto, Beverly Sills, Joan Sutherland, Edita Gruberova e, in tempi più recenti, Mariella Devia.

L'opera fu commissionata a Donizetti dal teatro San Carlo di Napoli, dove andò in scena nel settembre del 1835 con Fanny Tacchinardi Persiani nel ruolo di Lucia. La composizione aveva richiesto meno di sei settimane, fra il giugno e il luglio dello stesso anno. Il successo fu subito trionfale, tanto che il melodramma – mai uscito dal repertorio – venne rapidamente allestito in diverse altre città italiane, spesso con piccole o grandi variazioni autorizzate dallo stesso Donizetti per andare incontro alle esigenze delle varie cantanti. In occasione della rappresentazione parigina del 1839 fu però lo stesso compositore ad approntare una versione in lingua francese, rielaborata musicalmente con diversi tagli e sostituzioni di arie.

Il libretto di Salvadore Cammarano, pur mantenendo di base la trama del romanzo di Scott (a sua volta ispirata a eventi realmente accaduti nel 1669 presso le colline di Lammermuir, dal gaelico An Lomair Mòr), ne modifica parecchi elementi, dalla collocazione storica alla sostituzione dell'antagonista, che nel libro era la madre di Lucia, Lady Ashton, e non il fratello Enrico. Altrettanto significativo è il fatto che nel romanzo Arturo non viene ucciso da Lucia ma soltanto ferito. Infine, i toni usati da Scott erano meno melodrammatici e comprendevano anche elementi comici e soprannaturali. Non mancano comunque, nei versi del poeta napoletano, suggestioni cupe, liriche e romantiche, a tratti quasi leopardiane (curiosità: all'epoca Giacomo Leopardi risiedeva proprio a Napoli). All'inizio del libretto, Cammarano scrive:
La promessa sposa di Lammermoor, istorico romanzo dell’Ariosto scozzese, mi parve subbietto più che altro acconcio per le scene: però non deggio tacere, che nel dargli la forma drammatica, sotto di cui oso presentarlo, mi si opposero non pochi ostacoli, per superare i quali fu mestieri allontanarmi più che non pensava dalle tracce di Walter Scott. Spero quindi, che l’aver tolto dal novero de’ miei personaggi taluno di quelli che pur sono fra i principali del romanzo, e la morte del Sere di Ravenswood diversamente da me condotta (per tacere di altre men rilevanti modificazioni) spero che tutto questo non mi venga imputato come a stolta temerità; avendomi soltanto a ciò indotto i limiti troppo angusti delle severe leggi drammatiche.
Da segnalare che il cognome Ashton (questa la grafia corretta del romanzo di Scott) diventa Asthon nel libretto dell'opera, con l'inversione di due lettere e un cambio di pronuncia: un errore dovuto non a Cammarano ma alla prima traduzione italiana del romanzo, a opera di Gaetano Barbieri nel 1824.

Donizetti, che lavorava sempre a fianco dei suoi librettisti, modificò in fase di composizione alcuni versi che sulla partitura risultano perciò differenti rispetto a quelli riportati nel libretto a stampa (la modifica più evidente è l'inizio della cabaletta di Lucia "Spargi d'amaro pianto", che in origine avrebbe dovuto essere "Spargi di qualche pianto"). Cammarano divise la vicenda in due parti ("La partenza" e "Il contratto nuziale", quest'ultima divisa a sua volta in due atti), ma di fatto siamo di fronte a un'opera in tre atti.

Il momento più celebre, naturalmente, è la cosiddetta "scena della pazzia" del terzo atto ("Il dolce suono"), una lunga ed elaborata sequenza musicale che nel corso degli anni, anche per iniziativa delle varie cantanti e delle loro improvvisazioni, ha visto stabilirsi e succedersi parecchie "tradizioni" interpretative, come la lunga cadenza accompagnata con il flauto (originariamente era previsto uno strumento altamente insolito quale la glassarmonica, o armonica a bicchieri). La pazzia di Lucia, dovuta non solo ai tormenti amorosi ma anche alle pressioni dell'ambiente esterno alle quali è soggetta (a partire da un matrimonio politico, imposto dalla "ragion di stato"), la rende uno dei personaggi più tragici dell'intera storia del melodramma romantico, ricca di sfaccettature e ancora attuale dal punto di vista dell'analisi psicologica. Non a caso, come si legge in un programma di sala del 2004, "il successo di quest’opera (...) deriva anche dal fatto di fare appello alla sensibilità contemporanea, al dramma della donna nel contesto familiare della società borghese ottocentesca. Un’identificazione evidente, fra l’altro, nelle pagine indimenticabili dedicate a Lucia nella "Madame Bovary" di Gustave Flaubert", dove un capitolo è quasi interamente riservato a una rappresentazione dell'opera cui la protagonista assiste e dove incontra il giovane studente Léon.


Alcune delle incisioni più celebri:















Link utili:

Articolo su Wikipedia in italiano
Articolo su Wikipedia in inglese
Libretto
Libretto della versione francese
Programma di sala del teatro La Fenice (2011) [in pdf]
Dissertazione di Carol J. Money sulle alterazioni della "Lucia" (2016) [in pdf]
Partitura