Quando Edgardo infine giunge, Alisa si fa da parte per consentire a Lucia di incontrarlo da sola. L'uomo spiega subito all'amata il perché ha voluto vederla "ad ora inusitata" (siamo infatti di sera, mentre in precedenza Normanno ci aveva riferito che Lucia è solita incontrarsi con il suo misterioso amante ad "ogni alba"): prima che sorga il sole dovrà salpare per la Francia per motivi politici e diplomatici, ovvero per andare a "trattar (...) le sorti della Scozia"). Due versi del libretto di Cammarano che Donizetti scelse di non musicare approfondivano la cosa più in dettaglio: "Il mio congiunto, Athol, riparator di mie sciagure, a tanto onor m’innalza", diceva Edgardo. Il nome si riferisce a uno dei nobili di Atholl, forse al marchese John Murray (1631-1703) o più probabilmente a suo figlio (1660-1724), primo duca di Atholl.
Il titolo che il librettista ha voluto dare alla prima parte dell'opera (vale a dire a questo primo atto), "La partenza", si riferisce proprio alla separazione forzata dei due amanti. Ma prima di partire, mosso dall'amore verso Lucia, Edgardo spiega che vorrebbe incontrare Enrico e stringere la pace con lui, mettendo fine alla faida fra i Ravenswood e gli Asthon: e questo nonostante proprio Enrico abbia sterminato la sua famiglia, abbia ucciso suo padre e gli abbia sottratto il castello. Lucia, che ben conosce l'indole del fratello, lo dissuade, chiedendogli di mantenere ancora segreto il loro amore. E nel sentire che Enrico ancora vorrebbe ucciderlo, ponendo fine alla stirpe dei Ravenswood, Edgardo è preso a sua volta dal furore, prorompendo in quei propositi di vendetta che, evidentemente, aveva messo solo momentaneamente da parte ("Ma ti vidi… e in cor mi nacque / altro affetto, e l’ira tacque… / Pur quel voto non è infranto… / io potrei compirlo ancor!").
Da notare come Edgardo, a differenza di Enrico e di Lucia, non ha un'entrata in scena convenzionale (una cavatina), perché quella che dovrebbe essere la sua aria ("Sulla tomba che rinserra") si trasforma quasi subito in un duetto con la prima donna: dapprima sul tema del contrasto di sentimenti (l'ira e la vendetta per lui, il richiamo al silenzio e all'amore per lei), dove al cantabile di Edgardo, così sillabato e quasi ossessivo, Lucia risponde con dolcezza e un lirismo più intenso, e poi su quello dello slancio appassionato. Come accennavo in un post precedente, siamo evidentemente dalle parti di Romeo e Giulietta, con la speranza che l'amore possa sconfiggere l'odio che divide le due famiglie, contro un destino inevitabile.
Il tenore, a differenza degli altri protagonisti, non ha un’aria di sortita, perciò è in questo duetto che presenta il suo punto di vista, a partire dal recitativo, dove racconta dell’inimicizia con Asthon e degli abusi che questi ha perpetrato contro la sua famiglia. Non è un caso che, quando viene nominato il fratello di Lucia, «Pria di lasciarti Asthon mi vegga» e «Di mia stirpe il reo persecutor», la tonalità viri al modo minore, mentre un inquietante accompagnamento viene disegnato dai bassi. Poeticamente il tempo d’attacco avrebbe inizio con le parole «Ei mi abborre», ma Donizetti non crea uno stacco con il recitativo precedente. Piuttosto la musica imprime un’accelerazione ritmica e agogica, in coincidenza di una maggiore ricchezza strumentale. Ciò contribuisce ad incrementare la tensione in vista della sezione successiva, spingendo verso di essa. All’effetto concorre anche il carattere modulante che prepara la tonalità del cantabile.Lucia riesce a ricondurre l’amato alla calma, e anziché di morte e guerra si torna a parlare di amore. La sezione intermedia del duetto ("Qui, di sposa eterna fede") ci mostra il giuramento con lo scambio degli anelli. Anche l'unione delle due voci "riflette l’indissolubilità del legame". È praticamente una cerimonia di matrimonio (o di fidanzamento) più che una semplice promessa: una cerimonia senza prete e senza testimoni, fatta solo davanti alla natura e alla divinità ("Dio ci ascolta, Dio ci vede… / tempio ed ara è un core amante"). Più avanti, nel colloquio fra Lucia e Raimondo, quest'ultimo dirà alla ragazza che "i nuzïali voti che il ministro di Dio non benedice, né il ciel né il mondo riconosce", rendendo esplicito il contrasto (che in fondo permea tutta l'opera e il personaggio di Lucia in particolare) fra i sentimenti "naturali" dell'individuo e il peso oppressivo delle istituzioni codificate. In ogni caso, una nota a piè di pagina nel libretto di Cammarano spiega che:(Federico Fornoni)
Ne’ tempi a cui rimonta questo avvenimento, fu in Iscozia comune credenza, che il violatore di un giuramento fatto con certe cerimonie, soggiacesse in questa terra ad un’esemplare punizione celeste, quasi contemporanea all’atto dello spergiuro. Perciò allora i giuramenti degli amanti, lungi dal riguardarsi come cosa di lieve peso, avevano per lo meno l’importanza di un contratto di nozze. La più usitata di queste cerimonie era che i due amanti rompevano e si partivano una moneta. Si è sostituito il cambio dell’anello, come più adatto alla scena.Prima di separarsi e di dirsi addio, Lucia si raccomanda ad Edgardo con particolare intensità (e quasi senza accompagnamento orchestrale) affinché le scriva: "Ah! talor del tuo pensiero / venga un foglio messaggiero / e la vita fuggitiva / di speranze nudrirò". L'accenno ha particolare importanza, perché in seguito proprio sul mancato arrivo delle lettere di Edgardo si fonderà il ricatto psicologico ordito da Enrico (e da Normanno) ai danni di Lucia per convincerla a sposare Arturo.
La cabaletta finale ("Verranno a te sull'aure"), che conclude questa prima parte, ci presenta l'addio dei due amanti. Dapprima intonata da lei, poi da lui, e infine ripresa insieme "a una voce, invece che duettare in dialogo o magari per terze o seste: una soluzione di spoglia, disarmante semplicità che, unita al raddoppio orchestrale, fa davvero volare una melodia alata" (Paolo Fabbri).
La cabaletta è costruita su una delle più memorabili melodie dell’intero repertorio lirico. Questo brano è conseguenza del giuramento che i due si sono scambiati nel tempo di mezzo. Qui Donizetti insiste sulla natura assoluta del legame che unisce Edgardo e Lucia. Soprano e tenore ripetono nei rispettivi interventi il medesimo tema, nella stessa tonalità, a distanza di ottava, e pronunciano perfino le stesse parole. Anche la ripresa a 2 (preceduta da una nuova esortazione di Lucia a Edgardo a scriverle) segue lo stesso principio. Ciò significa che i cantanti toccano, nei relativi registri, esattamente le stesse altezze quasi cantassero con un’unica voce. È fondamentale sotto il profilo drammatico far passare il messaggio di una sintonia perfetta, per elevare all’ennesima potenza i successivi sconvolgimenti. Inoltre proprio per via di questa sintonia, agli occhi di Edgardo, il "tradimento" di Lucia apparirà ancor più terribile. Giusto prima dell’addio, infatti, insiste sulla sacralità del loro amore e del gesto appena compiuto. Le parole «Rammentati, ne stringe il ciel!» sono musicate su un Sol ribattuto in modo che il pubblico le intenda senza difficoltà, mentre l’orchestra tiene un lunghissimo accordo di settima diminuita di cattivo auspicio.(Federico Fornoni)
Clicca qui per il testo di "Egli s’avanza…".
ALISA
Egli s’avanza… Da vicina soglia
io cauta veglierò.
(parte ma di quando in quando si affaccia)
EDGARDO
Lucia, perdona
se ad ora inusitata
io vederti chiedea: ragion possente
a ciò mi trasse. Pria che in ciel biancheggi
l’alba novella, dalle patrie sponde
lungi sarò.
LUCIA
Che dici!…
EDGARDO
Pe’ franchi lidi amici
sciolgo le vele: ivi trattar m’è dato
le sorti della Scozia. [Il mio congiunto,
Athol, riparator di mie sciagure,
a tanto onor m’innalza.]
LUCIA
E me nel pianto
abbandoni così!
EDGARDO
Pria di lasciarti
Asthon mi vegga… Io stenderò placato
a lui la destra, e la tua destra, pegno
fra noi di pace, chiederò.
LUCIA
Che ascolto!…
Ah! no… rimanga nel silenzio sepolto
per or l’arcano affetto…
EDGARDO (con amarezza)
Intendo! – Di mia stirpe
il reo persecutor de' mali miei
ancor pago non è! Mi tolse il padre…
il mio retaggio avito...
Né basta? Che brama ancor
quel cor feroce e rio?
La mia perdita intera, il sangue mio?
Egli m'odia...
LUCIA
Ah! no…
EDGARDO (con forza)
Mi abborre…
LUCIA
Calma, oh ciel! quell’ira estrema.
EDGARDO
Fiamma ardente in sen mi scorre!
M’odi.
LUCIA
Edgardo!…
EDGARDO
M’odi, e trema.
Clicca qui per il testo di "Sulla tomba che rinserra - Verranno a te sull’aure".
EDGARDOSulla tomba che rinserra
il tradito genitore,
al tuo sangue eterna guerra
io giurai nel mio furore;
ma ti vidi… e in cor mi nacque
altro affetto, e l’ira tacque…
Pur quel voto non è infranto…
io potrei compirlo ancor!
LUCIA
Deh! ti placa… deh! ti frena…
Può tradirne un solo accento!
Non ti basta la mia pena?
Vuoi ch’io mora di spavento?
Ceda, ceda ogn’altro affetto;
solo amor t’infiammi il petto…
Ah! un più nobile, più santo
d'ogni voto è un puro amor!
EDGARDO (con subita risoluzione)
Qui, di sposa eterna fede
qui mi giura, al cielo innante.
Dio ci ascolta, Dio ci vede…
tempio ed ara è un core amante;
al tuo fato unisco il mio.
(ponendo un anello al dito a Lucia)
Son tuo sposo.
LUCIA
E tua son io.
(porgendo a sua volta il proprio anello a Edgardo)
A’ miei voti amore invoco.
EDGARDO
A’ miei voti invoco il ciel.
LUCIA, EDGARDO
Ah, soltanto il nostro foco
spegnerà di morte il gel.
EDGARDO
Separarci omai conviene.
LUCIA
Oh parola a me funesta!
Il mio cor con te ne viene.
EDGARDO
Il mio cor con te qui resta.
LUCIA
Ah! Edgardo!
Ah! talor del tuo pensiero
venga un foglio messaggiero,
e la vita fuggitiva
di speranze nudrirò.
EDGARDO
Io di te memoria viva
sempre, o cara serberò.
LUCIA, EDGARDO
Verranno a te sull’aure
i miei sospiri ardenti,
udrai nel mar che mormora
l’eco de’ miei lamenti…
Pensando ch’io di gemiti
mi pasco, e di dolor,
spargi un'amara lagrima
su questo pegno allor.
LUCIA
Il tuo scritto sempre viva
la memoria in me terrà.
EDGARDO
Cara! Sì, sì. Lucia, sì, sì.
Io parto…
LUCIA
Addio…
EDGARDO
Rammentati!
Ne stringe il ciel!…
LUCIA
Edgardo!
(Lucia cade svenuta)
Carlo Bergonzi (Edgardo), Renata Scotto (Lucia)
dir: Bruno Bartoletti (1967)
Vincenzo La Scola (Edgardo), Mariella Devia (Lucia)
dir: Stefano Ranzani (1992)
Giuseppe Di Stefano, Maria Callas (1955) | Carlo Bergonzi, Beverly Sills (1970) |
José Carreras, Montserrat Caballé (1977) | Luciano Pavarotti, Joan Sutherland (1979) |
1 commenti:
la solennità, oltre che l'estrema bellezza e suggestività del giuramento e dello scambio di pegni e di fede dei due amanti, mi fa pensare che in Scozia l'antica religione celtica molto legata alla Natura rimane nell'inconscio più radicata di quel che si pensi e riaffiora nei momenti culminanti.
Nonostante tutta la rovina che il cristianesimo,con il suo disprezzo per la materialità e la natura ha contribuito a perpretare, nei paesi nordici non sono molto più amati e rispettati quelli che erano il simbolo vivente della divinià, gli alberi?
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