Introdotta da un'ampia sezione musicale con l'arpa, la protagonista entra finalmente in scena. Siamo all'imbrunire ("sorge la luna", ci dice il libretto), e Lucia avanza nel parco del castello, in compagnia della damigella Alisa, per incontrarsi con l'amato Edgardo. Cammarano, riprendendo la traduzione italiana del 1824 del romanzo di Walter Scott, indugia nel descrivere l'ambiente circostante: "Nel fondo della scena un fianco del castello, con picciola porta praticabile. Sul davanti la così detta fontana della Sirena, fontana altra volta coperta da un bell’edifizio, ornato di tutti i fregi della gotica architettura, al presente dai rottami di quest’edifizio sol cinta. Caduto n’è il tetto, rovinate le mura, e la sorgente che zampilla di sotterra, si apre il varco fra le pietre e le macerie postele intorno, formando indi un ruscello".
Nel vedere che Edgardo non è ancora arrivato, Lucia si mostra agitata. Alisa cerca di convincerla a tornare nel castello, spiegandole che è pericoloso incontrarsi con l'amato, ma Lucia ribatte che è proprio sua intenzione quella di metterlo al corrente del pericolo rappresentato dal fratello. E spiega poi il motivo della sua particolare inquietudine. In una visione (non è chiaro se si è trattato di un sogno notturno, oppure di un'apparizione a occhi aperti!) ha visto il fantasma di una donna che è morta in quel luogo, molti anni prima, uccisa per gelosia da un nobile della famiglia Ravenswood. Il tutto, naturalmente, non fa che accrescere di tristi presagi la già cupa situazione.
La cavatina di Lucia è preceduta da un lungo assolo dell’arpa. L’adozione di un’introduzione strumentale nelle arie di sortita delle primedonne era una scelta che spesso ricorreva nelle opere di quegli anni, ma qui riveste una funzione drammatica essenziale nell’economia della personalità della protagonista. Nel melodramma italiano ottocentesco il ricorso ad uno strumento solista ha un significato ben preciso: conferire concretezza sonora ai pensieri del personaggio. In questo modo lo spettatore è messo nella condizione di percepire l’attività mentale di chi è in scena e di comprendere senza difficoltà che in quel momento quel dato personaggio è immerso nelle proprie riflessioni. Lucia di Lammermoor è un’opera centrata sull’indagine psicologica dell’eroina, e Donizetti, con questo semplice gesto, lo chiarisce immediatamente. Non a caso molti dei successivi interventi della giovane si gioveranno di una sorta di alter ego strumentale. Significativa è poi la scelta dell’arpa. Da un lato la funzione è ambientale. L’arpa, nell’immaginario dell’epoca – ma anche in quello attuale –, era legata alle saghe delle isole britanniche, alla Scozia e all’Irlanda in particolare (il compositore aveva già adottato lo strumento nella precedente "Maria Stuarda"), e in questa scena ritroviamo tutti i topoi della Scozia letta attraverso la lente romantica: il castello, le rovine, la luna, il fantasma. Ma c’è anche un motivo esclusivamente drammatico. L’arpa era spesso utilizzata nei momenti di preghiera che presupponevano un distacco da quanto è terreno, effetto accentuato dal timbro etereo dello strumento. Ancor prima che Lucia proferisca parola, si comprende, dunque, che in quell’istante è lontana dalla realtà. Nel recitativo che segue inizia ad apparire evidente a cosa sia dovuta questa lontananza. Lucia racconta dell’omicidio passionale avvenuto nei pressi della fonte e di come il fantasma della donna uccisa le si sia manifestato. Donizetti ricorre ad accordi in tremolo per evidenziare come questa vicenda abbia profondamente turbato la psiche di Lucia. L’intero numero nella versione di tradizione è abbassato di un semitono rispetto all’autografo.Divisa in tre strofe, la cavatina "Regnava nel silenzio" (ma definirla una semplice "cavatina" è quasi riduttivo) è ricca anche nel testo di quelle che molti critici hanno definito “suggestioni elegiache leopardiane” e “cupe reminiscenze ossianiche” (dai "Canti di Ossian", raccolta di poesie preromantiche di James MacPherson che influenzarono, fra gli altri, lo Sturm und Drang, Goethe e Foscolo). La musica di Donizetti fonde il contesto lirico e melodico con una frammentazione quasi da recitativo, insinuandovi poi una coloratura (nella seconda strofa) che suggerisce "un allontanamento dalla realtà oggettiva", tipica di "situazioni quali sogni amorosi, legami con la divinità, alienazioni mentali". La strofa conclusiva, infine, è "un susseguirsi di arpeggi, trilli, cambi di registro che disarticolano il discorso melodico, fino ad inglobarlo".(Federico Fornoni)
L’incapacità di concludere le strofe musicali, gli sbalzi vocali, il progressivo incremento della coloratura sono tutti segnali tesi a evidenziare problematiche interiori. Non siamo cioè in presenza dell’innocua presentazione del personaggio femminile e dei suoi sentimenti, ma, alla prima uscita in scena, abbiamo un quadro già molto chiaro della complessità del suo essere. C’è un altro dato da sottolineare: ognuna delle tre strofe è in una tonalità diversa (...). Un altalenare che è specchio dello squilibrio della protagonista.Ad Alisa, che implora la sua signora (quasi interrompendo la sua espressione musicale) di abbandonare l'amore per Edgardo, Lucia replica che è impossibile: "Egli è luce a’ giorni miei, / e conforto al mio penar". Un amore assoluto, praticamente l'unica fonte di vita e di speranza. Ma perché Lucia è innamorata di Edgardo? L'opera inizia presentandoci questo amore come un dato di fatto. Certo, l’episodio del toro imbizzarrito (raccontato da Normanno nella scena precedente) è stato l’elemento scatenante – la fanciulla salvata dall’eroe/principe azzurro! – ma non è da escludere che proprio il fatto che Edgardo sia il nemico del fratello rappresenti un rinforzo, anziché una dissuasione, per una Lucia che inconsciamente cerca di sfuggire alle costrizioni della società e alle imposizioni della famiglia (“Quando [Lucia] prende le sue decisioni lo fa con grande coraggio, anche se esse sovvertono l’ordine familiare”, nota Leonardo Mello).(Federico Fornoni)
Nella cabaletta "Quando rapito in estasi", la protagonista esprime dunque i suoi sentimenti d'amore: il canto si fa più lieto e speranzoso, ricco di colorature e vocalizzi belcantistici, e anche la musica passa dal modo minore al modo maggiore. Torna inoltre l'accompagnamento dell'arpa, cui si aggiungono i flauti. Ma tanta letizia è soltanto apparente, visto che un sottotesto di tensione drammatica rimane ben presente, come a suggerire "un disagio psichico latente" in un personaggio che mostra pericolosi sbalzi d'umore nel giro di pochi istanti.
E in effetti nel libretto di Salvadore Cammarano, a differenza del romanzo di Scott (dove cominciava a mostrare sintomi di delirio soltanto nel finale), il personaggio di Lucia è adombrato di follia sin dall'inizio, e contrastato in ogni suo aspetto. Come abbiamo visto, sin da questa sua prima apparizione ci viene descritta come "agitata" e in preda a visioni. Soggetta a forti pressioni sociali da parte del fratello (ma anche, come vedremo, dal confidente Raimondo), in realtà non sembra avere dubbi su cosa scegliere fra il dovere verso la famiglia e i sentimenti verso l'amato: ma proprio questa sua incapacità di mettere in discussione il proprio mondo e i propri sentimenti la farà precipitare nella tragedia, più avanti, in un "tesissimo clima di angoscia permanente, di visione sinistra, di oscurità gotica e luttuosa" in cui "la sofferenza psichica della protagonista, dilatata e amplificata, è invece l’innovativo fulcro drammatico, l’elemento morboso che estende la sua opaca natura di incubo all’intera vicenda", "una lunga e articolata serie di esplorazioni drammatiche del disagio psichico, che [in tutta l'opera di Cammarano] seguirà un tortuoso percorso tra nevrosi e follia comprendente, tra l’altro, le tensioni emotive e le temporanee psicopatie di "Pia de’ Tolomei" e di Elisabetta del "Devereux", nonché la sofferenza diffusa dell’impressionante "Merope", e fino all’involontario traguardo del "Trovatore", che è anche e soprattutto la storia della grave affezione psicopatologica di Azucena" (Emanuele D’Angelo).
Il ruolo di Lucia, che richiede la voce di un soprano drammatico d’agilità, è stato uno dei cavalli di battaglia di Maria Callas. Come si legge nella sua voce su Wikipedia:
Il ruolo vocale all'interno del quale la rivoluzione-restaurazione di Callas fu più sconcertante, sia per il pubblico che per la critica dell'epoca, fu probabilmente Lucia di Lammermoor, che in quegli anni tutti erano abituati a sentire affidata ai "sopranini" leggeri modello usignolo, i quali, oltre ad avere un'agguerrita tecnica virtuosistica, schiarivano ulteriormente il colore della voce per accentuare l'innocenza e la pudicizia del personaggio. Callas invece si avvicinò a Lucia con una voce senz'altro più debordante e una concezione interpretativa anche più tragica di quanto il tessuto orchestrale dell'opera lasciasse pensare. Il risultato fu però sbalorditivo e convincente, tanto che un direttore come Herbert von Karajan si avvicinò all'opera romantica italiana dopo aver sentito la sua incisione EMI del 1953, e ne produsse, curando anche la regia, una storica edizione scaligera nella stagione 1953-1954.
Clicca qui per il testo di "Ancor non giunse!".
(Ingresso d'un parco. – Nel fondo della scena un fianco del castello, con picciola porta praticabile. Sul davanti la così detta fontana della Sirena, fontana altra volta coperta da un bell’edifizio, ornato di tutti i fregi della gotica architettura, al presente dai rottami di quest’edifizio sol cinta. Caduto n’è il tetto, rovinate le mura, e la sorgente che zampilla di sotterra, si apre il varco fra le pietre e le macerie postele intorno, formando indi un ruscello. – È sull’imbrunire. Sorge la luna.)
LUCIA
(viene dal castello, seguita da Alisa: sono entrambe nella massima agitazione. Ella si volge d’intorno, come in cerca di qualcuno; ma osservando la fontana, ritorce altrove lo sguardo)
Ancor non giunse!…
ALISA
Incauta!… a che mi traggi!…
Avventurarti, or che il fratel qui venne,
è folle ardir.
LUCIA
Ben parli! Edgardo sappia
qual ne circonda orribile periglio…
ALISA
Perché d’intorno il ciglio
volgi atterrita?
LUCIA
Quella fonte mai,
senza tremar, non veggo… ah! tu lo sai.
Un Ravenswood, ardendo
di geloso furor, l’amata donna
colà trafisse, e l’infelice cadde
nell’onda, ed ivi rimanea sepolta…
M’apparve l’ombra sua…
ALISA
Che dici!…
LUCIA
Ascolta.
Clicca qui per il testo di "Regnava nel silenzio - Quando rapito in estasi".
LUCIARegnava nel silenzio
alta la notte e bruna…
Colpìa la fonte un pallido
raggio di tetra luna…
quando un sommesso gemito
fra l’aure udir si fe’,
ed ecco su quel margine
l’ombra mostrarsi a me!
Ah! Qual chi favella muoversi
il labbro suo vedea,
e con la mano esanime
chiamarmi a sé parea.
Stette un momento immobile,
poi ratta dileguò,
e l’onda pria sì limpida,
di sangue rosseggiò!
ALISA
Chiari, oh Dio! ben chiari e tristi
nel tuo dir presagi intendo!
Ah! Lucia, Lucia desisti
da un amor così tremendo.
LUCIA
Egli è luce a’ giorni miei,
e conforto al mio penar.
Quando rapito in estasi
del più cocente ardore
col favellar del core
mi giura eterna fé,
gli affanni miei dimentico,
gioia diviene il pianto…
parmi che a lui d’accanto
si schiuda il ciel per me!
ALISA
Giorni di amaro pianto
si apprestano per te!
Mariella Devia (Lucia)
dir: Stefano Ranzani (1992)
Maria Callas (1959) | Joan Sutherland (1964) |
Anna Moffo (1966) | Renata Scotto (1967) |
Beverly Sills (1970) | Anna Netrebko (2003) |
Nella versione francese del 1839, dove fra l'altro mancano sia l'arpa che il personaggio di Alisa, Donizetti sostituì la cavatina "Regnava nel silenzio" con un altro brano, "Que n'avons nous des ailes". Quest'ultimo non è altro che la traduzione dell'aria "Perché non ho del vento", adattata dalla "Rosmonda d'Inghilterra" (1834), che il compositore aveva scritto per il soprano Fanny Tacchinardi Persiani, prima interprete del ruolo di Lucia, che già l'aveva usata in sostituzione della cavatina in occasione della ripresa dell'opera a Venezia nel 1837, dando il via a una tradizione che fu seguita da molte altre dive durante l'Ottocento.
Clicca qui per il testo di "Perché non ho del vento".
LUCIAAncor non giunse, ahi lassa!
E l’ora è questa, l’ora fatal…
Che in queste mura invano lo richiama l’amor.
Oh! Qual terrore! Funesto presagir mi desta in cor!
O fonte, o cari luoghi consci de’ miei sospiri,
ove beata al seno lo stringea.
Lo rivedrò più mai!... Funesta idea!...
Edgardo… se non tornassi più!...
Se i giuramenti obbliar tu potessi.
Ah! più discaccio questo orrendo pensier;
Torna alla mente atterrita,
vieni Edgardo mio!... vieni, mia vita.
Perché non ho del vento
L’infaticabil volo,
sempre in estraneo suolo
ti seguirei, mio ben;
Ove tu sei sen volino
I miei sospiri almen!...
Ah! sì, invan da te mi parte
di rio destin tenore:
vince ogni forza amore;
teco son io, mio ben;
i nostri cori, ah! no disgiungere
no, non può nemmeno il Ciel.
Torna, torna, o caro oggetto,
a bearmi d’un tuo sguardo,
vieni, tenero mio Edgardo,
i miei giorni a consolar.
Ch’io mi posi sul tuo petto,
ch’io ti parli ancor d’amore,
e gli affanni del mio core
io potrò dimenticar.
Ah Edgardo!... ah vieni!...
Clicca qui per il testo di "Que n'avons nous des ailes".
LUCIEQue n'avons-nous des ailes?
Au loin portés par elles
Hors des routes mortelles,
Vers les étoiles d'or,
Nos deux esprits fidèles
Uniraient leur essor.
Quand la haine barbare
Ici-bas nous sépare,
Levons les yeux; un phare
Brille au port éternel;
Ceux qu'ici l'on sépare
Sont unis dans le ciel.
Toi par qui mon coeur rayonne,
Ton amour que Dieu me donne,
Sur mon front, chaste couronne,
Fait resplendir le bonheur.
De nos transports la pensée
Enbaume l'heure passée,
Et, dans l'âme encor bercée,
Met l'espoir comme une fleur.
"Perché non ho del vento" Beverly Sills (1968) | "Que n'avons nous des ailes" Natalie Dessay (2002) |
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