La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo
Melodramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioacchino Rossini
Prima rappresentazione: Roma (Teatro Valle), 25 gennaio 1817
Personaggi e voci:
Don Ramiro, principe di Salerno (tenore)
Dandini, suo cameriere (basso)
Don Magnifico, barone di Montefiascone (basso buffo)
Clorinda (soprano) e Tisbe (mezzosoprano), sue figlie
Angelina, sotto il nome di Cenerentola (contralto)
Alidoro, filosofo, maestro di Don Ramiro (basso)
Coro di cortigiani del Principe
“La Cenerentola” è la ventesima opera del prolifico Rossini, composta nell'arco di sole tre settimane su un libretto di Jacopo Ferretti liberamente tratto dalla celebre fiaba di Perrault. Quando Rossini la scrisse, nel dicembre del 1816, aveva solo 25 anni ma era già stato acclamato dal pubblico e dalla critica come uno dei più grandi e popolari autori di opere italiane (e segnatamente di opere buffe). Pochi mesi prima, nel febbraio del 1816, aveva visto la luce quello che ancora oggi è considerato il suo capolavoro, “Il barbiere di Siviglia”, e nel corso dello stesso anno aveva già realizzato altri due lavori, “La gazzetta” e “Otello” (quest'ultimo con un lieto fine per accontentare i gusti del pubblico dell'epoca, a differenza di quanto farà poi Verdi). Trovandosi sotto contratto con il Teatro Valle di Roma per una nuova opera da rappresentare all'inizio del 1817, il compositore aveva coinvolto il librettista Jacopo Ferretti, con il quale peraltro non era in ottimi rapporti perché gli aveva rifiutato un precedente libretto scritto proprio per “Il barbiere di Siviglia”. Il soggetto scelto, "Ninetta alla corte" (un adattamento della commedia francese “Francesca di Foix”), era però stato scartato all'ultimo momento a causa di un veto del censore pontificio. Il tempo a disposizione era pochissimo (la nuova opera avrebbe dovuto debuttare a Carnevale, anche se poi la “prima” venne spostata addirittura al 25 gennaio), e così il musicista e il poeta si riunirono con l'impresario Pietro Cartoni, due giorni prima di Natale, per discutere sul da farsi e cercare un soggetto alternativo. Nelle sue memorie, Ferretti ricorda di aver proposto – per tutta la notte – decine di soggetti, tutti rifiutati da Rossini o dall'impresario per un motivo o per l'altro:
Ristrettici in casa del Cartoni a bere il thé in quella sera freddissima, io proposi un venti o trenta soggetti da melodramma; ma quale fu riconosciuto troppo serio ed in Roma allora, almeno in carnevale, volevano ridere; quale troppo complicato; quale soverchiamente dispendioso per l'impresario, le di cui viste economiche esser debbono sempre rispettate dalla docilità de' poeti: e quale infine non conveniente a' virtuosi cui veniva destinato. Stanco dal proporre e mezzo cascante dal sonno, sillabai in mezzo ad un sbadiglio: Cendrillon. Rossini, che, per esser meglio concentrato, si era posto in letto, rizzatosi su come il Farinata dell'Alighieri: «Avresti tu core di scrivermi Cendrillon?», mi disse; ed io a lui di rimando: «E tu di metterla in musica?»; ed egli: «Quando il programma?»; ed io: «A dispetto del sonno, dimani mattina»; e Rossini: «Buona notte!»: si ravvolse nella coltre, protese le membra e cadde in un beato sonno, simile a quello degli Dei d'Omero: io presi un'altra tazza di thé, combinai il prezzo, scrollai la mano al Cartoni e corsi a casa. Là un buon caffè di moka rimpiazzo il thé della Giamaica; misurai più volte per largo e per lungo con le braccia conserte la mia camera da letto, e quando Dio volle mi vidi dinanzi il quadro: scrissi il programma della Cenerentola, e all'indomani lo inviai al Rossini. Ne restò soddisfatto.Lavorando a ritmi da forsennati, Ferretti completò il libretto in ventidue giorni e Rossini lo musicò in ventiquattro, giusto in tempo per la prima. L'incredibile capacità del genio pesarese di realizzare un'opera completa in tempo brevissimo era già nota. Naturalmente, per far fronte a simili scadenze, il compositore ricorreva ad alcuni artifici: in questo caso si fece aiutare da un assistente, Luca Agolini, che incaricò di comporre alcuni dei brani meno importanti (il coro che apre il secondo atto e le arie di personaggi minori come Alidoro e Clorinda: si tratta di pezzi che oggi – in ossequio all'edizione critica curata da Alberto Zedda alla fine degli anni sessanta – vengono solitamente omessi dalle rappresentazioni; ma già tre anni più tardi Rossini aveva scritto di proprio pugno un aria sostitutiva per Alidoro), e non si fece tanti problemi nel riutilizzare materiale già realizzato per lavori precedenti (l'ouverture è la stessa della “Gazzetta”, mentre il rondò finale di Angelina presenta la medesima melodia dell'aria “Il più lieto, il più felice” ("Cessa di più resistere") del Conte d'Almaviva nel “Barbiere di Siviglia”).
Quanto alla stesura del testo, Ferretti si rifece ovviamente alla fiaba di Perrault ma si ispirò anche ai libretti di due recenti opere sullo stesso tema: la francese “Cendrillon”, scritta da Charles Guillaume Etienne per Nicolas Isouard (1810), da cui riprende addirittura tutti i nomi dei personaggi minori (Clorinda, Tisbe, Ramiro, ecc.), e “Agatina, o la virtù premiata” di Francesco Fiorini per Stefano Pavesi (1814). Rispetto alla favola tradizionale, comunque, ci sono notevoli differenze: su tutte l'eliminazione dell'elemento magico e soprannaturale. Manca dunque il personaggio della fata madrina, sostituita dal filosofo Alidoro (è lui il deus ex machina dell'intera vicenda, colui che procura a Cenerentola l'abito e il cocchio per recarsi alla festa), non solo per venire incontro ai gusti degli spettatori ma anche per esigenze più pratiche (il teatro non poteva permettersi “effetti speciali” troppo sofisticati). Altre modifiche consistono nella trasformazione della matrigna di Cenerentola in un patrigno (il buffo Don Magnifico) e nell'ampliamento del ruolo del principe con la sottotrama del suo scambio di abiti con lo scudiero Dandini (un tema con illustri precedenti: basti pensare al “Don Giovanni” di Mozart). Viene infine a mancare anche la celeberrima scarpetta di cristallo: dopo la sua fuga dal palazzo del principe, la ragazza viene qui identificata attraverso uno “smaniglio” (una sorta di braccialetto). La storia è collocata nell'Italia del tardo diciottesimo secolo, probabilmente nei dintorni di Napoli, visto che Ramiro è indicato come “principe di Salerno” (anche se Don Magnifico si dichiara invece “barone di Montefiascone”).
Nell'avvertenza che Ferretti antepone al testo del libretto, rivolta “ai miei cortesi fratelli drammatici”, il poeta spiega il perché di alcune di queste scelte:
La mia povera Cenerentola, figlia inaspettata e lavoro di pochi giorni, vuol essere a voi raccomandata, perché balzando fuori dal cenere del focolare dimanda un tutore, e non sa trovarlo meglio che in voi. Vuol anche che per me saper vi si faccia che, s'ella non comparisce con la compagnia di un mago operatore di fantasmagoria o di una gatta che parla, e non perde nel ballo una pantofola (ma piú tosto uno smaniglio) come sul teatro francese o su qualche vasto teatro italiano, ciò non deve considerarsi crimenlæsæ, ma più tosto una necessità nelle scene del Teatro Valle, ed un rispetto alla delicatezza del gusto romano, che non soffre sul palco scenico ciò che lo diverte in una storiella accanto al fuoco. La precipitanza in cui fu di mestieri scegliere l'argomento e sceneggiarlo, per presentarlo di tratto in tratto versificato al Maestro, avrà forse tolto la possibilità di evitare qualcuno de' soliti difetti de' drammi buffi. Ma la vostra cortesia e la vostra sperienza cosa non sapranno perdonare? Vi prega infine la mia Cenerentola che saper facciate, come buoni tutori a qué pochi che nol sanno, ch'ella è figliastra e non figlia di Don Magnifico, e quindi mostrar può qualche giorno di più di vita delle due sorelle, e che una delle forti ragioni che mi persuasero a scegliere quest'argomento fu appunto quell'aria d'ingenua bontà, che forma uno de' caratteri distinti della brava Madama Giorgi, carattere premiato in Cenerentola, secondo la Cronaca delle fate. Miei fratelli! Conosco la mediocrità de' miei versi non ritornati sull'incude: ma ho la fortuna di consegnarli al moderno Prometeo dell'armonia, che saprà scaldarli con la favilla del sole.La partitura di Rossini è brillante, ricca di invenzioni ritmiche (si pensi solo all'incredibile sestetto “Questo è un nodo avviluppato”), di atmosfere armoniche e di melodie trascinanti e giocose, le quali oltre che sulle sette voci soliste (quattro uomini e tre donne) possono contare su un coro maschile (composto dai cortigiani del principe) che spesso agisce da accompagnamento, arricchendo diverse arie. Curiosamente, più del principe Ramiro a risaltare maggiormente dal punto di vista musicale sono altri personaggi maschili, vale a dire lo scudiero Dandini e il trionfo Don Magnifico, figure comiche cui il compositore pesarese dona spessore con una serie di brani che consentono facilmente di accattivarsi le simpatie del pubblico: non a caso, se il casting è ben curato, sono proprio questi gli interpreti che riscuotono i maggiori applausi. Le loro arie (e lo strepitoso duetto del secondo atto, “Un segreto d'importanza”) non possono mancare nel repertorio di un baritono o di un basso rossiniano che si rispetti.
Come per “Il barbiere di Siviglia”, il giorno del debutto l'opera non riscosse un grande favore (anche perché gli interpreti avevano avuto pochissimo tempo per provare, ed erano piuttosto nervosi). D'altronde Ferretti nutriva sin dall'inizio dubbi sulla riuscita del lavoro, mentre Rossini era più ottimista e si spinse a profetizzare per l'opera un enorme successo entro un paio d'anni, in Italia e all'estero. Sempre citando le memorie del librettista:
In quella prima tempestosissima sera, dal naufragio non iscampò che il largo e la stretta del quintetto, il rondò finale ed il sublime largo del sestetto: il resto passò inosservato ed anche qua e là sibilato. Ma Rossini, non immemore della effimera caduta del Barbiere di Siviglia e conscio della magia infusa a larga mano nella Cenerentola, a me, nel dì dopo, stordito e dolente di quel fiasco, gravemente diceva: «Sciocco! Non si termina il carnevale senza che tutti se ne innamorino: non passerà un anno che sarà cantata dal Lilibeo alla Dora e tra due anni piacerà in Francia e farà meravigliare l'Inghilterra. Se la disputeranno gl'impresari e più ancora le prime donne». E avvenne così. E quella Roma che l'aveva disapprovata, negli estremi dì del carnevale ne divenne briaca e l'applaudì dopo fino al delirio.Il compositore aveva ragione: l'opera divenne presto uno dei suoi lavori più amati, e per tutto l'Ottocento rivaleggiò in popolarità con lo stesso “Barbiere”. Era anche una delle opere predilette dello stesso Rossini, che negli anni successivi la diresse personalmente più volte, anche all'estero (per esempio a Vienna, proprio nella patria del suo “amato” Mozart). Non solo opera buffa (il libretto recita “dramma giocoso”), unisce alle caratteristiche tipiche della commedia (evidente nei personaggi di contorno, come il patrigno e le due sorellastre o ancora Dandini) anche una vena di malinconia, di patetismo (soprattutto per quanto riguarda la protagonista) e la retorica dell'insegnamento morale (tramite il personaggio di Alidoro).
Dopo un breve periodo di oblio (anche perché la voce richiesta per la protagonista, il contralto di coloratura, era divenuta sempre più rara), la sua fortuna è ricominciata dalla metà del ventesimo secolo, in pieno “rinascimento rossiniano”, anche grazie ad allestimenti come quello scaligero con la regia di Jean-Pierre Ponnelle e la direzione di Claudio Abbado, tramandato alla storia con la bellissima versione cinematografica del 1981 (con Frederica von Stade nel ruolo di Angelina, Claudio Desderi in quello di Dandini e Paolo Montarsolo nei panni di Don Magnifico) di cui mostrerò numerose clip nei post che seguiranno. Oggi è una delle opere di Rossini più popolari e rappresentate, seconda solo al “Barbiere”.
Alcune delle incisioni più celebri:
Link utili:
Articolo su Wikipedia in inglese
Articolo su Wikipedia in italiano
Libretto completo (comprese le parti oggi di solito omesse)
Note al libretto (di Giovanni Christen)
Partitura per piano (Ricordi)
4 commenti:
Molto divertente la genesi dell'opera, soprattutto Rossini che balza in piedi come Farinata per ricadere subito dopo l'accordo in un beato sonno!
Certo che ci vuole anche una bella libertà di spirito a manipolare una fiaba tanto nota facendo addirittura sparire la matrigna e introducendo la figura esilarante di Dandini. Nonostante questo, grazie al potere delle fiabe di vivere anche attraverso le più originali varianti, il senso globale resta invariato.
Un altro punto interessante è quando Ferretti spiega che alcuni soggetti da lui suggeriti erano stati scartati perché “soverchiamente dispendiosi per l'impresario”. Lo stesso motivo economico è evidentemente alla base della rinuncia agli elementi “magici” della fiaba, perché gli effetti speciali in teatro sarebbero costati troppo o avrebbero richiesto spazi più vasti (sempre il librettista cita a tal proposito le “necessità nelle scene del Teatro Valle”).
Oggi siamo abituati a produzioni sfarzose e in grande stile, come quelle dell’Arena di Verona o di alcuni teatri americani (per non parlare della “Turandot” nella città proibita in Cina!), ma allora molti di questi piccoli teatri, anche in occasione di “prime” importanti, lavoravano davvero al risparmio e con scenografie minimaliste! Per fortuna l’opera di Rossini non richiede grande sfarzo: persino il palazzo del principe dove si svolge la festa, a leggere bene il testo, è in realtà soltanto la “deliziosa”, ovvero il capanno estivo nel parco – spesso usato per la caccia – e non la sua residenza (non a caso la versione diretta da Carlo Verdone e trasmessa pochi mesi fa in diretta sulla Rai era stata ambientata proprio nella palazzina di caccia dei Savoia a Stupinigi).
Presentazione molto bella che invoglia ad andare avanti nella lettura e nell'ascolto. Mi ha sorpreso la scelta di eliminare la scarpetta, non un dettaglio ma l'elemento forse più distintivo della fiaba di Perrault. :)
Sì, è un peccato perché la scarpetta di cristallo (che in Perrault, mi pare, è chiamata "pantofola") è davvero l'elemento più iconico della fiaba. Qui è sostituita da un braccialetto prezioso, ma c'è un motivo per questo cambiamento: nell'opera, è Cenerentola che vuole farsi cercare e ritrovare, e dunque non "perde" il braccialetto ma lo consegna di sua iniziativa al principe, dicendogli che la riconoscerà quando vedrà al suo polso il bracciale gemello. Sarebbe stato bizzarro e involontariamente comico se gli avesse dato una scarpa e se ne fosse andata zoppicando su una scarpa sola!
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