“Guerra, strage, sterminio”: sono le prime parole che Norma pronuncia non appena si presenta nella sacra selva al cospetto del popolo riunito per ascoltare il responso divino. Il suo aspetto è terribile e sembra proprio invasata dal Dio che ora si è pronunciato a favore della guerra! Noi sappiamo che il cambiamento non è dovuto ad una reale manifestazione divina, in qualsiasi modo possa essere evocata o intesa (sogno, lancio di dadi o carte, volo di uccelli, lettura di viscere di animali sacrificali...), ma semplicemente dalla rabbia e dal bisogno di vendetta personale di Norma che parlano in sua vece. L'unica che non sembra credere alla possibilità che gli dèi manifestino il loro volere guidando le guerre degli umani (“Dio lo vuole!”) è proprio la sacerdotessa suprema, e questo la porta a manipolare a proprio piacimento i destini di tutto un popolo. Non che Norma non sia religiosa (anche se spergiura e colpevole rispetto alla sua posizione e al suo ruolo), e ne abbiamo avuto la prova nella sublime preghiera che aveva rivolto alla casta dea lunare ("Casta diva"), una delle più belle di ogni tempo, degna di stare alla pari con la preghiera alla Vergine che Dante mette in bocca a San Bernardo nell'ultimo canto del Paradiso (“Vergine Madre...”) e a quella che Lucio, nelle “Metamorfosi” di Apuleio, indirizza alla grande Iside, prototipo di ogni grande dea... La religiosità di Norma è del tutto sganciata dai responsi: si può persino dire che è più libera e pura. E la musica è il veicolo più adatto a tale spiritualità.
Ma ora non è più il tempo per la preghiera; è il tempo per la vendetta e la guerra, e i galli riuniti intorno al loro capo, Oroveso, cominciano già a gridare il loro inno di battaglia.
E qui il dolce Bellini sfodera tutta la sua poliedrica abilità nel fornirci uno dei pezzi più forti di incitazione marziale: il suo “Guerra, guerra!” non è da meno rispetto al celebre brano dell'Aida di Verdi, il che è tutto dire... Il canto è tutto intriso di furore bellico e prepara lo scenario per i futuri sacchi di Roma, veri e propri traumi storici che hanno decretato la fine dell'impero e precipitato il mondo civilizzato dell'occidente nei secoli bui del primo Medioevo.
Il sacco di Roma del 410 ad opera del re dei Visigoti, Alarico, segna l'epilogo di un lungo periodo di decadenza e conflitti interni (come Norma presagisce quando avvisa i suoi che Roma cadrà per le sue debolezze e perversità), che vede Roma, con la capitale dell'impero ormai trasferita a Ravenna e mal governata da un imperatore, Onorio, salito al trono ancora bambino e mai emancipatosi dai consiglieri, in balia dei barbari. Il secondo e definitivo scacco all'impero viene effettuato dal re dei Vandali, Genserico, nel 455 (risale a questa impresa, e non all'avanzata di Attila, il tentativo di Papa Leone I di fermare la distruzione della città) e le conseguenze saranno devastanti, tanto che da allora il termine “vandalismo” è sinonimo di distruzione violenta di beni e monumenti civili...
I Barbari premono alle porte di Roma, quindi, e se per ora i Galli non riescono nell'impresa, la storia parlerà ancora di loro. Prima o poi i popoli oppressi cercano di liberarsi e, se non sono distrutti completamente, covano propositi di rivincita.
Subito dopo l'annuncio del favore del Dio alla guerra, bisogna celebrare un rito di propiziazione che prevede un sacrificio umano. Abbiamo già detto che nel contesto dei riti celtici i sacrifici umani erano previsti e ritenuti indispensabili per mediare con il soprannaturale, come del resto in quasi tutte le civiltà antiche. Offerte sacrificali si tributano agli dèi sia all'inizio di un'impresa bellica sia alla sua fine, come ringraziamento, oltre ai previsti sacrifici rituali in occasione di feste (inizio anno, funerali solenni...).
Ne vediamo testimonianza nel celebre “Bacile di Gundestrup”, dove è riconoscibile un calderone in cui si getta una vittima, ma la modalità più frequente era il rogo. Nel caso di più vittime da sacrificare contemporaneamente, si costruiva una specie di gabbia con vimini intrecciati e vi si chiudevano le vittime da ardere sul fuoco acceso.
Alla domanda sulla vittima di cui Norma non ha ancora rivelato il nome, ella risponde: ”Ella fia pronta. / Non mai l'altar tremendo / Di vittime mancò”.
Subito pensiamo che nel suo furore voglia vendicarsi di Adalgisa, che immagina pronta a seguire Pollione a Roma tradendo l'amicizia appena giurata, consegnandola ai sacerdoti per farla immolare. Ma non mancheranno i colpi di scena...
Clicca qui per il testo di "Squilla il bronzo del Dio!" ... "Guerra, guerra!".
(Norma corre all'altare e batte tre volte lo scudo d'Irminsul. Accorrono da varie parti Oroveso, i Druidi, i Bardi e le Ministre. Norma si colloca sull'altare.)
OROVESO E CORO
(di dentro)
Squilla il bronzo del Dio!
Tutti entrano in scena.
Norma! Che fu?
Percosso lo scudo d'Irminsul,
Quali alla terra decreti intima?
NORMA
Guerra, strage, sterminio.
OROVESO E CORO
A noi pur dianzi pace
S'imponea pel tuo labbro!
NORMA
Ed ira adesso,
Stragi, furore e morti.
Il cantico di guerra alzate, o forti.
OROVESO E CORO
Guerra, guerra! Le galliche selve
Quante han quercie producon guerrier:
Qual sul gregge fameliche belve,
Sui Romani van essi a cader!
Sangue, sangue! Le galliche scuri
Fino al tronco bagnate ne son!
Sovra il flutti dei Ligeri impuri
Ei gorgoglia con funebre suon!
Strage, strage, sterminio, vendetta!
Già comincia, si compie, s'affretta.
Come biade da falci mietute
Son di Roma le schiere cadute!
Tronchi i vanni, recisi gli artigli.
Abbattuta ecco l'aquila al suol!
A mirare il trionfo de' figli
Ecco il Dio sovra un raggio di sol!
Clicca qui per il testo del recitativo che segue.
OROVESO
Nè compi il rito, o Norma?
Nè la vittima accenni?
NORMA
Ella fia pronta.
Non mai 'altar tremendo
Di vittime mancò.
Daniela Dessì (Norma)
dir: Evelino Pidò (2008)
Elena Rossi (Norma)
dir: Lu Jia (2014)
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