10 maggio 2020

Lucia di Lammermoor (12) - "Dalle stanze ove Lucia"

Scritto da Christian

Incuranti della tempesta notturna, nel castello di Ravenswood gli ospiti e gli invitati al matrimonio di Lucia e Arturo stanno continuando a festeggiare. Il loro coro, "D'immenso giubbilo / s'innanzi un grido" richiama inizialmente nel testo quello che era stato cantato nell'atto precedente ("Per te d'immenso giubbilo / tutto s'avviva intorno"): ma stavolta non è un augurio rivolto allo sposo bensì un inno che festeggia il ritrovato prestigio della casata degli Asthon, i cui membri, grazie a queste nozze combinate, si immaginano tornare in auge all'interno del delicato scacchiere politico della Scozia.

Di colpo, Raimondo, pallido in volto, entra nella sala, interrompendo le danze e i cori. Porta la notizia di una tragedia: udendo un grido provenire dalla camera nuziale, è lì accorso, trovando Arturo morto a terra e Lucia, in preda alla pazzia, con un pugnale insanguinato in mano. Anche se avevamo avuto tanti preavvisi e presagi di morte, ciò che ha fatto Lucia ci spiazza comunque: per l'aver ucciso Arturo (e non sé stessa), innanzitutto, ma anche per come l'evento giunge all’improvviso, peraltro non mostrato ma comunicatoci per bocca di altri. È un grande colpo di scena, che forse sugli spettatori dell'epoca (soprattutto su chi non aveva letto il romanzo di Walter Scott) avrà fatto lo stesso effetto di film come "Psyco" di Alfred Hitchcock.
(Qui a fianco: un disegno di Eugène Delacroix).

Grazie al racconto di questa "azione nascosta" (Dahlhaus), il pubblico in sala si trova nella medesima condizione di chi sta in scena, e ne condivide ansie e turbamenti. Il procedimento non è nuovo, basti pensare all’aria di Giorgio nei "Puritani" di Bellini (andati in scena a Parigi otto mesi prima di "Lucia"), «Cinta di rose e col bel crin disciolto», che precede l’ingresso di Elvira vaneggiante, «Qui la voce sua soave». Ma qui Donizetti la attua con una forza normativa superiore, che trova nell’annuncio «Eccola!» l’esito naturale di una profezia tragica.
(Michele Girardi)
Si noti che non è il primo momento, in quest'opera, in cui un'azione non viene mostrata ma raccontata per bocca di qualcun altro: già all'inizio Normanno aveva narrato a Enrico del primo incontro fra Lucia ed Edgardo, e poi il coro dei cacciatori aveva riferito come aveva scoperto la vera identità di quest'ultimo. Si tratta di un artificio che distingue nettamente il lavoro di Donizetti dalle consuetudini del melodramma che vedevano, nei momenti "statici", i personaggi riflettere esclusivamente sul proprio stato d'animo, riservando invece a quelli "dinamici" la rappresentazione dell'azione drammatica. In questo caso, invece, accade frequentemente il contrario. Le "azioni" sono spesso interiori, mentre i "racconti" portano avanti la vicenda.

Il racconto di Raimondo, "un ampio assolo che assume le dimensione della sezione lenta di un’aria", punteggiato dai commenti del coro, cambia totalmente il mood della scena, che era iniziata appunto all'insegna delle danze e delle feste (benché, come abbiamo detto, non si festeggiava tanto il matrimonio in sé – della felicità di Lucia, in fondo, ipocritamente non importa niente a nessuno – quanto i privilegi riconquistati di Enrico). E fa da prodromo al momento più celebre dell'opera, la lunga scena della pazzia, che segue immediatamente. Non appena infatti Bidebent ha terminato la sua narrazione, e dopo che il coro ha invocato una protezione ultraterrena, conscio forse di avere una parte di colpa nell'accaduto ("Ah! quella destra di sangue impura / l’ira non chiami su noi del ciel"), proprio Lucia si fa avanti nella sala.

Clicca qui per il testo di "D'immenso giubbilo - Dalle stanze ove Lucia".

(Sala come nell'atto primo. Dalle sale contigue si ascolta la musica di liete danze. Il fondo della scena è ingombro di paggi ed abitanti del Castello di Lammermoor. Sopraggiungono cavalieri che si uniscono in crocchio.)

CORO
D'immenso giubbilo
s’innalzi un grido:
corra la Scozia
di lido in lido;
e avverta i perfidi
nostri nemici,
che più terribili,
che più felici
ne rende l’aura
d’alto favor;
che a noi sorridono
le stelle ancor.

RAIMONDO
(trafelato, ed avanzandosi a passi vacillanti)
Cessi… ah! cessi quel contento… [o: Ah! cessate quel contento…]

CORO
Sei cosparso di pallore!…
Ciel! che rechi?

RAIMONDO
Un fiero evento!

CORO
Tu ne agghiacci di terrore!

RAIMONDO (accenna con mano che tutti lo circondino)
Dalle stanze ove Lucia
tratta avea col suo consorte,
un lamento… un grido uscìa,
come d’uom vicino a morte!
Corsi ratto in quelle mura…
Ahi! terribile sciagura!
Steso Arturo al suol giaceva
muto freddo insanguinato!…
E Lucia l’acciar stringeva,
che fu già del trucidato!…
Ella in me le luci affisse…
«Il mio sposo ov’è?» mi disse:
e nel volto suo pallente
un sorriso balenò!
Infelice! Della mente
la virtude a lei mancò!

TUTTI
Oh! qual funesto avvenimento!…
Tutti ne ingombra cupo spavento!
Notte, ricopri la ria sventura
col tenebroso tuo denso vel.
Ah! quella destra di sangue impura
l’ira non chiami su noi del ciel.

RAIMONDO
Eccola!




"Dalle stanze ove Lucia"
Carlo Colombara (Raimondo)
(2004)


Ivo Vinco (1959)


Nicolai Ghiaurov (1971)


Samuel Ramey (1993)

Alastair Miles (1997)