Fatta uscire Annina dalla stanza, Violetta rimane sola e legge (o forse rilegge, come chissà quante volte ha già fatto) una missiva che custodiva in seno. In essa Giorgio Germont le chiede perdono per le sue azioni, e la informa di aver svelato egli stesso il suo sacrificio ad Alfredo, che nel frattempo è stato costretto a fuggire all'estero dopo aver ferito il Barone a duello. Germont le promette che sia lui che il figlio verranno presto a farle visita: ma il tempo passa, e Violetta, che sente la fine avvicinarsi, comincia a perdere ogni speranza di poter rivedere il suo amato. Nasce qui uno dei momenti più toccanti e dolorosi dell'intera opera, con una romanza che è al tempo stesso uno struggente grido di nostalgia per il passato e un'invocazione a una fine precoce. Da sottolineare che è anche l'unico momento, in tutto il dramma, che viene pronunciata la parola "traviata": a usarla, per ironia della sorte, è proprio Violetta per definire sé stessa.
Il brano è diviso in due parti: dapprima un recitativo in cui Violetta legge ad alta voce la lettera di Germont ("Teneste la promessa...") – la convenzione operistica vuole che le lettere vengano recitate senza cantare – e poi, introdotta da un oboe, l'aria vera e propria, di cui talvolta viene eseguita soltanto la prima parte, tralasciando quella che comincia con "Le gioie, i dolori tra poco avran fine". Le prime parole del brano, "Addio del passato", hanno dato il titolo a romanzi (di Valeria Mazzarelli, 2006 ma scritto negli anni settanta) e film (di Marco Bellocchio, 2000, mediometraggio dedicato proprio alla "Traviata" e ambientato a Busseto e nei luoghi verdiani).Clicca qui per il testo del brano.
VIOLETTA
(trae dal seno una lettera)
"Teneste la promessa...
La disfida ebbe luogo.
Il barone fu ferito, però migliora...
Alfredo è in stranio suolo;
il vostro sacrifizio io stesso gli ho svelato.
Egli a voi tornerà pel suo perdono;
io pur verrò. Curatevi...
Meritate un avvenir migliore.
Giorgio Germont".
(desolata)
È tardi!
(si alza)
Attendo, attendo,
né a me giungon mai!...
(si guarda allo specchio)
Oh, come son mutata!
Ma il dottore a sperar pure m'esorta!
Ah, con tal morbo ogni speranza è morta.
Addio, del passato bei sogni ridenti,
le rose del volto già sono pallenti;
l'amore d'Alfredo pur esso mi manca,
conforto, sostegno dell'anima stanca.
Ah, della traviata sorridi al desio;
a lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio.
Or tutto finì.
Le gioie, i dolori tra poco avran fine,
la tomba ai mortali di tutto è confine!
Non lagrima o fiore avrà la mia fossa,
non croce col nome che copra quest'ossa!
Ah, della traviata sorridi al desio;
A lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio.
Or tutto finì!
Anna Netrebko
Maria Callas | Renata Tebaldi |
Renata Scotto | Anna Moffo |
Ancora qualche parola, in conclusione, sulla lettura della lettera di Germont padre da parte di Violetta. Come fa notare Marco Beghelli in un saggio, "Letture operistiche", pubblicato nel fascicolo che presentava la rappresentazione de "La traviata" al teatro La Fenice di Venezia nella stagione 2004/2005, "sopra un tappeto melodico evocatore, reminiscenza del primo incontro con Alfredo ("Di quell'amor ch'è palpito") [...] la voce si riduce improvvisamente alla dimensione parlata. Per qual mai sortilegio non è ben chiaro, in un contesto di finzione teatrale come quello dell'opera italiana, in cui tutto si può dire e fare cantando in versi, la retorica operistica sentiva evidentemente il bisogno di differenziare il proferimento di parole lette, abbassandone il livello linguistico rispetto al contesto musicale in cui si trovava inserito: all'interno di un recitativo secco, la lettura retrocede pertanto quasi sempre al grado di un'enunciazione parlata, con parole che abbandonano ben spesso la versificazione metrica per affidarsi eccezionalmente alla prosa, mentre in un contesto musicalmente ricco la lettura cantata s'abbassa almeno all'intonazione recitativa su nota più o meno fissa, se non alla totale perdita della dimensione canora".
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