L'importanza della figura di Alfredo viene fuori solo se si tiene conto anche dei suoi limiti: di quella immaturità e impulsività di base che gli permettono, sia pure inconsciamente, di toccare le corde più nascoste e profonde dell'anima, quelle zone rimosse e negate che solo i bambini o i puri di cuore come il principe Myškin sanno toccare.
Ma Alfredo non è né un bambino né un mistico. È un giovane della buona borghesia, avvezzo ai piaceri e con un grosso complesso di padre. Normalmente quelli come lui, dopo aver corso la cavallina e data qualche preoccupazione al genitore benpensante, rientrano nei ranghi delle convenzioni e finiscono per assomigliare sempre più a quel padre a cui in gioventù avevano trasgredito, ma dal quale non hanno mai preso veramente le distanze in modo cosciente e responsabile.
Alfredo però non è solo questo. Pur non essendo un eroe, ha qualcosa di insolito e di straordinario: una genuina apertura alla “Visione”, un innato senso della Bellezza e dell'Armonia che mettono le ali all'Amore e alla Speranza, qualità estremamente contagiose e trasformative. Non è un eroe, come Calaf per esempio, perché non ha la consapevolezza né il coraggio determinato che spingono l'azione eroica verso l'impresa della liberazione della fanciulla prigioniera del mostro-drago e della trasformazione di un livello di coscienza ad un altro attraverso il superamento dei pericoli.
A suo modo comunque anche Alfredo libera Violetta dalle spirali di un drago: dalla rassegnazione a vivere una vita di comodità, ma estraniata dalla sua parte più vitale e profonda, dal centro di sé stessa da cui scaturisce la vera gioia di vivere. Ma lo fa senza un vero progetto e senza affrontare delle prove; anzi, quando la vicenda si trasforma in prova, lui non la riconosce e si adegua all'apparenza: crede subito quel che Violetta vuol fargli credere e si comporta di conseguenza, senza intuire minimamente la verità. Un vero eroe non si lascia distogliere dalle apparenze...
Lo vediamo però già all'inizio portatore di qualcosa di diverso dagli altri ammiratori di Violetta, qualcosa che non sappiamo definire, ma che l'amico Gastone intuisce e identifica in un modo d'amare insolito per quell'ambiente, dove dominano i desideri immediatamente soddisfatti e un tipo di piacere del tutto materialistico e legato alla soddisfazione raggiunta. Presentandolo a Violetta, Gastone usa dei termini come “Molto vi onora... sempre a voi pensa... ogni dì con affanno qui volò, di voi chiese...”: descrive cioè un tipo di interesse molto diverso dalla concupiscenza e dal bisogno di possedere subito l'oggetto amato, trattandosi soprattutto di una cortigiana dichiarata. E Violetta si stupisce, ma sul momento crede che si tratti di un'esagerazione e di un complimento un po' eccessivo ma niente di più.
E nel celebre brindisi Alfredo stupisce tutti e li trascina in un vortice d'entusiasmo che va oltre la semplice ebbrezza dell'alcol. Comincia a profilarsi qualcosa di più vasto ed arioso, qualcosa che coinvolge non solo i sensi, ma l'anima stessa...
Ma è nell'aria seguente (“Un dì felice, eterea...”) che viene fuori la vera particolarità di Alfredo, la sua dote più importante. Nell'inno all'amore che dispiega, raggiunge un vertice assoluto (grazie ovviamente alla sublime musica di Verdi, in stato di assoluta grazia) e pone il sentimento amoroso in un contesto cosmico e universale che trascende qualsiasi definizione (“Quell'amor ch'è palpito dell'universo intero...”). Sembra quasi di sentire Dante che parla dell'“Amor che move il sole e l'altre stelle...”. Ma Dante parla di Dio.
Alfredo è talmente ispirato che non può non contagiare chi lo ascolta e attivare una profonda nostalgia e desiderio. Ed è esattamente quello che succede a Violetta, che aveva rimosso la possibilità di un amore del genere, ma che ora è profondamente scossa e turbata da uno che fino a pochi momenti prima nemmeno conosceva...
Ecco, Alfredo può essere immaturo e impulsivo finché si vuole, ma è in grado di attivare e mettere in moto una forza d'amore e un'apertura d'anima straordinarie. Probabilmente avviene tutto inconsciamente, ma avviene. Probabilmente qualcosa di lui è in contatto con la sorgente dell'energia più nascosta e preziosa della Vita, e per lui accedervi è un fatto del tutto naturale e spontaneo, per cui non si rende nemmeno conto dell'eccezionalità di tale dono. Ma c'è, e Violetta ne viene risvegliata. La ragazza non potrà più essere come prima, e tale amore, anche se le porterà grandi sofferenze, le permetterà però di recuperare la propria autostima e di assaporare una felicità mai provata prima.
Nel secondo atto vediamo dispiegarsi il carattere di Alfredo esattamente come ce lo aspettavamo: si abbandona alla gioia come un bambino, senza porsi nessun problema pratico; poi si vergogna nel sentirsi mantenuto dalla donna amata, e infine si abbandona alla rabbia e alla vendetta credendosi tradito. Manifesta cioè tutti quegli aspetti di mancanza di riflessione e di maturità tipici del “figlio con complesso di padre”: e con il padre che vediamo in azione, non c'è da meravigliarsi. Reagisce a tanto conformismo e paternalismo cercando di sfuggirgli e rimanendo adolescente il più possibile.
Ritroviamo quella peculiare capacità di attivare la forza della “Vita” alla fine, nel terzo atto, quando Alfredo si precipita da Violetta malata e con il suo entusiasmo le riaccende, se pur per breve tempo, il desiderio di guarire e di vivere, cioè la Speranza (“Parigi, o cara...”). Non importa se Violetta muore (Alfredo non può certamente fare miracoli): quello che conta è che muore felice, in un momento di grazia, con la speranza e l'amore che hanno riacceso la sua anima, preparandola all'infinito...
La speranza infatti non è solo la proiezione nel futuro di qualcosa di bello che deve realizzarsi ma, nel suo significato più alto, uno stato d'animo, un'apertura che va oltre le aspettative concrete perché apre al trascendente, anche se non lo sappiamo e spesso confondiamo i piani. Di questa eccezionale capacità Alfredo è portatore e bisogna dargliene atto.
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