24 dicembre 2020

I miti nel flauto magico/7 - Il Vecchio Saggio

Scritto da Marisa

Il contraltare della Regina della Notte, l'altro polo di tutta la vicenda, è la figura di Sarastro. Pur essendo un personaggio importante e il motore di tutta la vicenda con il rapimento di Pamina, egli non è caratterizzato in chiave divina come la sua nemica; e pur circondato da grande rispetto e autorevolezza, appare sempre pienamente umano. Come mai? In fondo, alla fine è lui il vincitore, mentre la Regina della Notte, con tutto il suo splendore divino, viene sprofondata negli abissi. Forse è proprio il connotato divino di lei a rendere più accessibile la vittoria a Sarastro, perché più si partecipa del “divino” più si è contaminati dall'archetipo, lontani da una personificazione individuale che connota il percorso umano, e si finisce col rimanere nel generico, in un “complesso psicologico” che annulla l'individualità con le sue peculiari differenze e la possibilità di accedere a un destino non tracciato già dalle proiezioni parentali...

Per la Regina, Pamina è solo la figlia da non perdere (la Kore di Demetra), non importa quali siano i suoi desideri e le sue aspirazioni, purché rimanga entro il suo dominio. Così vediamo che prima la promette a Tamino e poi è persino disposta a cederla a Monostatos, incurante dell'amore che ormai prova per il giovane che all'inizio lei stessa aveva scelto, senza però prevedere la necessità di un percorso di conoscenza reciproca. Secondo l'imperativo materno basta soltanto l'immagine e quindi una prima attrazione basata sull'aspetto esteriore. La Regina è solo “la madre possessiva”, mentre Sarastro è un uomo interessato all'emancipazione della fanciulla e al suo destino individuale, uno che ha già fatto lui stesso un lungo percorso individuativo, un maestro insomma, un'autentica rappresentazione dell'archetipo del “Vecchio Saggio”.

Pur incarnando la figura paterna, egli non è il padre naturale di Pamina. Ha però ereditato dal vero padre il “settemplice scudo solare” e l'autorità di massimo sacerdote, e si pone quindi come tutore, responsabile dell'educazione della fanciulla e del suo sviluppo etico. Essendo un “padre putativo” è già fuori dal desiderio – tanto pericoloso nei padri naturali – di proiettare sui figli i propri bisogni e interessi, di pretendere di dirigerne la vita o, peggio ancora, di “divorarli” sbarrando loro il cammino con la sua ingombrante presenza e svalutandoli continuamente. Egli consiglia e promuove un cammino di conoscenza e il superamento di quelle prove che assicurano il rinforzo del coraggio e della virtù.

Sarastro incarna la parte positiva del padre e maestro, il Vecchio Saggio, il Logos, il principio maschile basato sulla ragione e la saggezza. Non è nemico del principio femminile in assoluto, ma solo di quella parte irrazionale e visceralmente possessiva che non lascerebbe mai che i figli corrano dei rischi e vadano per la propria strada. Infatti la sua devozione a Iside è assoluta, riconoscendone il materno positivo e misericordioso, ma si oppone al rapporto simbiotico madre-figlia. Eppure anche nel suo regno non può mancare la parte oscura e prevaricatrice, la violenza e l'abuso: questo lato viene incarnato da Monostatos, che già dal suo colore nero è chiaramente individuato come lato ombra, l'opposto della luce e di quel principio di saggezza e di amore fraterno su cui poggia tutta la concezione di Sarastro. Ritroviamo in Monostatos quell'istinto violento che scambia per amore la pulsione sessuale incontrollata e che vede nel femminile solo una preda per il proprio piacere. L'archetipo paterno viene così ricomposto nei suoi due lati. E se la parte più cruda, incarnata da Saturno che divora i suoi figli temendone la successione, è del tutto assente, rimane comunque l'aspetto del violentatore.



Monostatos viene prima cacciato dal regno e poi sprofondato insieme alla Regina della Notte negli inferi, e sembra che questo assicuri la vittoria definitiva della luce e del bene. L'opera di Mozart finisce così, ma come per tutti i lieti fini, anche quelli delle fiabe, sappiamo che si tratta solo della fine di un capitolo. Il “vissero felici e contenti” è solo un modo per chiudere temporaneamente la vicenda, ma se andassimo a vedere cosa succede dopo il matrimonio, avremmo sicuramente delle sorprese... Goethe, come abbiamo più volte ricordato, aveva immaginato un seguito in cui tutto viene rimesso in discussione, anche se a un altro livello, così come avviene di solito nella realtà, perché niente nella vita è definitivo e il “rimosso” tende a ritornare continuamente. Per quanto si lavori a consolidare il lato luminoso e la saggezza, nella natura umana persistono pur sempre le tendenze arcaiche e le pulsioni violente, e, quando il conflitto può sembrare finito con la vittoria della luce, il lato oscuro è solo momentaneamente ricacciato nell'inconscio ed è pronto a ritornare, spesso ancora più violento. Il lavoro per controllare e vincere le pulsioni distruttive non ha così mai fine...