Subito dopo l'ordine del tetrarca (sempre più convinto che ne seguirà una disgrazia) c'è un silenzio irreale, fino al sordo rumore di un tonfo. Se Salomè si aspettava delle urla o almeno un grido di terrore da parte del prigioniero, resta delusa: e la sua rabbia e frenesia non possono che crescere, per assumere più complicate e parossistiche espressioni all'apparizione del suo macabro “trofeo”.
È questa la scena a cui tutta l'opera tende, come una freccia che finalmente raggiunge il centro del suo obiettivo, quella che lega indissolubilmente e per sempre l'immagine di Salomè a Giovanni Battista, la principessa abituata al lusso sfrenato della corte allo spiritato profeta ascetico vestito di pelli di animali e nutrito di locuste. Ci può essere contrasto maggiore, in una situazione di simile tensione, quasi inimmaginabile e insostenibile?
Ed è proprio su questa immagine-scandalo che gli artisti si sono affollati, riproducendola e ricreandola in infiniti modi e versioni, rendendola definitivamente un'icona.
Salomè che, come in trance, ha in mano la testa di Jochanaan, afferrandola per i capelli (Klimt, Moreau...) o, con in mano il vassoio d'argento, la contempla intensamente, o al contrario ne distoglie lo sguardo girando la testa (Botticelli, Bernardino Luini, Caravaggio, Carlo Dolci, Cesare da Sesto, Lucas Cranach, Mattia Preti, Tiziano, Guido Reni...) è protagonista assoluta di un'enorme produzione artistica che si è sviluppata dal rinascimento in poi. Sì, perché l'interesse si è sempre più focalizzato sulla donna che non sul profeta (ad eccezione delle straordinarie raffigurazioni di Moreau, in cui al centro del quadro c'è la testa mozza di Giovanni dentro un alone di luce, vera e propria lampada vivente, apparizione mistica).
Ma se l'ossessione maschile si è tutta concentrata su Salomè come “femme fatale” e “donna castrante”, bisogna ora prendere in considerazione l'intera scena e riflettere sulla relazione che lega i due personaggi per afferrare l'enorme suggestione che ne deriva.
Nel suo delirio Salomè parla con Jochanaan, all'inizio come se non ne avesse ancora realizzata la morte: ”Ah! Non volevi ch'io ti baciassi la bocca, Jochanaan! Ebbene, ora potrò baciarla! Voglio mordere a fondo con i denti, come mordere piace un dolce frutto...”. Ed è questo suo frenetico parlare con lui che testimonia l'urgenza del suo bisogno di “relazione”, un contatto ravvicinato che le è stato negato con supremo disprezzo, con accenti oltraggiosi (”Vade retro, figlia di Babilonia! Non avvicinatevi all'eletto del Signore!”). Oppure, come unica concessione, quando si era degnato di parlarle direttamente, è stata dirottata verso qualcun altro, le è stato ordinato di andare nel deserto a “cercare il figlio dell'uomo”. Nessuna possibilità quindi di avvicinarlo, e nemmeno uno sguardo diritto negli occhi. In fondo già a un bambino ordiniamo di guardarci negli occhi mentre gli parliamo!
Ora che ha in mano la sua testa, Salomè può parlargli e dichiarare tutto il suo amore e la sua tristezza di sentirsi rifiutata: ”Ma aprili, i tuoi occhi, solleva le tue palpebre, Jochanaan! Perché tu non mi guardi? Hai paura di me, Jochanaan, che non vuoi guardarmi?”. Come una bambina, continua a passare dalle preghiere alle minacce e alla vendetta (“Con essa posso fare quello che voglio. Posso gettarla ai cani e agli uccelli dell'aria. Quel che sarà d'avanzo per i cani, sarà pasto degli uccelli dell'aria...”) per tornare subito dopo all'amore: “Ah! Ah! Jochanaan, Jochanaan, quanto eri bello. Il tuo corpo era un'eburnea colonna su un sostegno d'argento. Era un giardino pieno di colombi nella luce di argentei gigli. Come il tuo corpo nulla era bianco al mondo. Nulla al mondo era nero come i tuoi capelli. Così rosso non c'era nulla al mondo come avevi la bocca. La tua voce era un vaso d'incensi e quando ti guardavo, ascoltavo una musica arcana...”.
Salomè ora sa benissimo che lui è morto e che anche per lei è tutto finito, ed è questa consapevolezza che rende così amaro il rimpianto: ”Ah! Perché non mi hai guardato, Jochanaan?”. La relazione mancata non si è potuta trasformare, a differenza di Maddalena che invece è stata guardata e difesa da Gesù, e la preclusione feroce che ha incontrato è diventata morte per tutti e due.
“M'avessi tu guardato, certo m'avresti amato, lo so, sì lo so, m'avresti amato. E il mistero dell'amore è più grande che il mistero della morte...”: in queste ultime parole c'è forse tutto il senso ultimo del dramma: il mistero dell'amore.
Che cosa infatti spinge irresistibilmente Salomè verso Jochanaan e Maddalena verso Gesù, se non un grande amore, un amore diverso da quello che fino ad ora hanno conosciuto e praticato (per la Maddalena) o da quello ideale, solo intuito con i sensi (per Salomè), amore per qualcosa di assolutamente altro, che il “Maestro” o “Profeta”, l'uomo dedito alla vita spirituale, può incarnare? Amore per l'opposto quindi, ma non è questa una delle forme più potenti d'attrazione?
Sicuramente Eros ha tante facce, ma la sua trasformazione verso la trascendenza e lo spirituale ha sempre bisogno di una “materia prima”, di una base fisica da cui partire. Come non si può donare quello che non si ha (come sono ipocrite le dichiarazioni di generosità da parte di chi non ha nulla, soprattutto l'amore!), così non si può trasformare qualcosa che non si ha nemmeno in minima parte, a cui non si può avere accesso. Dai vangeli, soprattutto dagli apocrifi, conosciamo il grande riconoscimento di Gesù per Maddalena, la sua predilezione per lei tanto da renderla partecipe a pensieri segreti che non confidava ai dodici, alimentandone gelosie (soprattutto in Giuda!), e permettendole contatti fisici (la lavanda dei piedi con profumo, l'asciugatura con i capelli!). E questo non è amore?
Solo dopo la morte, nella scena della resurrezione, non le permette più di toccare il corpo (“Noli me tangere!”): ma ormai si tratta di un corpo glorificato, non più simile a quello della donna, un fantasma in realtà!
Anche Dante conosce la trasformazione dell'amore e arriva all'estasi e al misticismo del Paradiso solo attraverso Beatrice, che pur incarnando ormai la sua anima-guida verso la contemplazione assoluta, è pur sempre stata la fanciulla intravista in terra e amata anche per il “bel sembiante”. Inutile parlarne come se fosse solo un simbolo o addirittura la Teologia stessa o altre allegorie: per queste avrebbe potuto usare altre figure, non il nome della fanciulla che ritorna ad abitare nella sua immaginazione e nel suo cuore per tutta la vita.
Ma ormai è troppo tardi per Salomè, che identifica il sapore dell'amore con quello del sangue e della morte (“Ah! L'ho baciata, la tua bocca, c'era un sapore amaro sulle labbra. Era sapore di sangue? No! Ma forse era sapore d'amore... Dicono che l'amore sappia d'amaro... Però, che importa? Che importa?”) proprio perché, non potendovi avere accesso in altra forma, ha finito con l'uccidere quello che ama. E di questo Oscar Wilde è stato l'artista più acutamente consapevole, come ci ricorda nella "Ballata del carcere di Reading":
Ogni uomo uccide la cosa che amaNon tutti, ma Salomè sì, lei va a morire. Erode, inorridito dalla scena, comanda “Uccidete questa donna!”, perché ormai non è più la fanciulla amata, la candida colomba... È diventata per sempre la donna dell'orrore! Ma in fondo anche lui non sta forse uccidendo quello che ama?
Vorrei che ognuno lo sapesse
C'è chi lo fa con uno sguardo crudele
E chi con una parola gentile
Il vigliacco lo fa con un bacio
Chi ha coraggio con una lama sottile
C'è chi l'amore l'uccide in gioventù
E chi lo fa in tarda età
C'è chi ama così poco e chi davvero troppo
C'è chi paga e c'è chi vende
C'è chi uccide tra le lacrime
E chi senza batter ciglio
Perché ogni uomo uccide la cosa che ama
Ma non tutti poi vanno a morire
Non tutti...
E su tutto continua a splendere la luna!
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SALOME (an der Zisterne lauschend) Es ist kein Laut zu vernehmen. Ich höre nichts. Warum schreit er nicht, der Mann? Ah! Wenn einer mich zu töten käme, ich würde schreien, ich würde mich wehren, ich würde es nicht dulden! ... Schlag zu, schlag zu, Naaman, schlag zu, sag' ich dir... Nein, ich höre nichts. (gedehnt) Es ist eine schreckliche Stille! Ah! Es ist etwas zu Boden gefallen. Ich hörte etwas fallen. Es war das Schwert des Henkers. Er hat Angst, dieser Sklave. Er hat das Schwert fallen lassen! Er traut sich nicht, ihn zu töten. Er ist eine Memme, dieser Sklave. Schickt Soldaten hin! (zum Pagen) Kommt hierher, du warst der Freund dieses Toten, nicht? Wohlan, ich sage dir: Es sind noch nicht genug Tote. Geh zu den Soldaten und befiehl ihnen, hinabzusteigen und mir zu holen, was ich verlange, was der Tetrarch mir vesprochen hat, was mein ist! (Der Page weicht zurück, sie wendet sich den Soldaten zu.) Hierher, ihr Soldaten, geht ihr in die Cisterne hinunter und holt mir den Kopf des Mannes! (schreiend) Tetrarch, Tetrarch, befiehl deinen Soldaten, daß sie mir den Kopf des Jochanaan holen! (Ein riesengroßer schwarzer Arm, der Arm des Henkers, streckt sich aus der Cisterne heraus, auf einem silbernen Schild den Kopf des Jochanaan haltend, Salome ergreift ihn. Herodes verhüllt sein Gesicht mit dem Mantel. Herodias fächelt sich zu und lächelt. Die Nazarener sinken in die Knie und beginnen zu beten.) SALOME Ah! Du wolltest mich nicht deinen Mund küssen lassen, Jochanaan! Wohl, ich werde ihn jetzt küssen! Ich will mit meinen Zähnen hinein-beißen, wie man in eine reife Frucht beißen mag. Ja, ich will ihn jetzt küssen, deinen Mund, Jochanaan. Ich hab' es gesagt. Hab' ich's nicht gesagt? Ja, ich hab' es gesagt. Ah! Ah! Ich will ihn jetzt küssen... Aber warum siehst du mich nicht an, Jochanaan? Deine Augen, die so schrecklich waren, so voller Wut und Verachtung, sind jetzt geschlossen. Warum sind sie geschlossen? Öffne doch die Augen, erhebe deine Lider, Jochanaan! Warum siehst du mich nicht an? Hast du Angst vor mir, Jochanaan, daß du mich nicht ansehen willst? Und deine Zunge, sie spricht kein Wort, Jochanaan, diese Scharlachnatter, die ihren Geifer gegen mich spie. Es ist seltsam, nicht? Wie kommt es, daß diese rote Natter sich nicht mehr rührt? Du sprachst böse Worte gegen mich, gegen mich, Salome, die Tochter des Herodias, Prinzessin von Judäa. Nun wohl! Ich lebe noch, aber du bist tot, und dein Kopf, dein Kopf gehört mir! Ich kann mit ihm tun, was ich will. Ich kann ihn den Hunden vorwerfen und den Vögeln der Luft. Was die Hunde übrig lassen, sollen die Vögel der Luft verzehren... Ah! Ah! Jochanaan, Jochanaan, du warst schön. Dein Leib war eine Elfenbeinsäule auf silbernen Füßen. Er war ein Garten voller Tauben in der Silberlilien Glanz. Nichts in der Welt war so weiß wie dein Leib. Nichts in der Welt war so schwarz wie dein Haar. In der ganzen Welt war nichts so rot wie dein Mund. Deine Stimme war ein Weihrauchgefäß, und wenn ich dich ansah, hörte ich geheimnisvolle Musik... (In den Anblick von Jochanaans Haupt versunken) Ah! Warum hast du mich nicht angesehen, Jochanaan? Du legtest über deine Augen die Binde eines, der seinen Gott schauen wollte. Wohl! Du hast deinen Gott gesehn, Jochanaan, aber mich, mich hast du nie gesehn. Hättest du mich gesehn, du hättest mich geliebt! Ich dürste nach deiner Schönheit. Ich hungre nach deinem Leib. Nicht Wein noch Äpfel können mein Verlangen stillen... Was soll ich jetzt tun, Jochanaan? Nicht die Fluten noch die großen Wasser können dieses brünstige Begehren löschen... Oh! Warum sahst du mich nicht an? Hättest du mich angesehn, du hättest mich geliebt. Ich weiß es wohl, du hättest mich geliebt. Und das Geheimnis der Liebe ist größer als das Geheimnis des Todes... HERODES (leise zu Herodias) Sie ist ein Ungeheuer, deine Tochter. Ich sage dir, sie ist ein Ungeheuer! HERODIAS (stark) Sie hat recht getan. Ich möchte jetzt hier bleiben. HERODES (steht auf) Ah! Da spricht meines Bruders Weib! (schwächer) Komm, ich will nicht an diesem Orte bleiben. (heftig) Komm, sag' ich dir! Sicher, es wird Schreckliches geschehn. Wir wollen uns im Palast verbergen, Herodias, ich fange an zu erzittern... ([Der Mond verschwindet.] auffahrend) Manassah, Issachar, Ozias, löscht die Fackeln aus. Verbergt den Mond, verbergt die Sterne! Es wird Schreckliches geschehn. (Die Sklaven löschen die Fackeln aus. Die Sterne verschwinden. Eine große Wolke zieht über den Mond und verhüllt ihn völlig. Die Bühne wird ganz dunkel. Der Tetrarch beginnt die Treppe hinaufzusteigen.) SALOME (matt) Ah! Ich habe deinen Mund geküßt, Jochanaan. Ah, ich habe ihn geküßt, deinen Mund, es war ein bitterer Geschmack auf deinen Lippen. Hat es nach Blut geschmeckt? Nein! Doch es schmeckte vielleicht nach Liebe... Sie sagen, daß die Liebe bitter schmecke... Allein, was tut's? Was tut's? Ich habe deinen Mund geküßt, Jochanaan. Ich habe ihn geküßt, deinen Mund. (Der Mond bricht wieder hervor und beleuchtet Salome.) HERODES (sich umwendend) Man töte dieses Weib! (Die Soldaten stürzen sich auf Salome und begraben sie unter ihren Schilden. Der Vorhang fällt schnell.) |
SALOME (origlia alla cisterna) Nessun suono s'avverte. Non odo nulla. Perché egli non grida, quell'uomo? Ah! Se qualcuno venisse per uccidermi, io griderei, saprei lottare, non cederei!... Giù il colpo, giù il colpo, Naaman, giù il colpo, ti dico... No, non odo nulla. (in tensione) Terribile silenzio! Ah! A terra è caduta una cosa. Ho sentito cadere qualcosa. Era la spada del boia. Lui ha paura, lo schiavo! Ha lasciato cadere la spada! Non ha forza di ucciderlo! Quello schiavo, è un imbelle. Mandategli i soldati! (volgendosi al paggio) Vieni qui, tu eri l'amico di quel morto, no? Ecco, ti dico: occorrono altri morti. Va' tu dai soldati e ordina che scendano laggiù, che prendano quello che io chiedo, che a me il tetrarca ha promesso, quello che è mio! (Il paggio arretra, ella si rivolge ai soldati.) Voi, qui da me, soldati! Scendete giù nel pozzo e prendete la testa di quell'uomo! (urlando) Tetrarca, tetrarca, comanda ai tuoi soldati che a me portino la testa di Jochanaan! (Un gigantesco braccio nero, il braccio del boia, si sporge fuori dalla cisterna, sostenendo la testa di Jochanaan su uno scudo d'argento. Salome l'afferra. Erode si copre il volto col manto. Erodiade agita il ventaglio e sorride. I Nazareni cadono in ginocchio e cominciano a pregare.) SALOME Ah! Non volevi ch'io ti baciassi la bocca, Jochanaan! Ebbene, ora potrò baciarla! Voglio mordere a fondo con i denti, come mordere piace un dolce frutto. Sì, ora potrò baciarla, la tua bocca, Jochanaan. Te l'ho detto. Non l'ho detto? Sì, l'ho già detto. Ah! Ah! Ora voglio baciarla... Ma perché tu non mi guardi, Jochanaan? I tuoi occhi, che erano così truci, colmi di collera e disprezzo, ora son chiusi. Perché son chiusi? Ma aprili, i tuoi occhi, solleva le tue palpebre, Jochanaan! Perché tu non mi guardi? Hai paura di me, Jochanaan, che non vuoi guardarmi? E la tua lingua non dice nulla, Jochanaan, questa purpurea vipera che il suo veleno ha schizzato su me? È strano, o no? Come può essere che più non guizza l'aspide rosso? Contro me dicevi ingiuriose parole, contro me, Salome, figlia di Erodiade, principessa di Giudea. Ebbene! lo vivo ancora, tu sei morto invece, e la tua testa, la tua testa è mia! Con essa posso fare quello che voglio. Posso gettarla ai cani e agli uccelli dell'aria. Quel che sarà d'avanzo per i cani, sarà pasto degli uccelli dell'aria... Ah! Ah! Jochanaan, Jochanaan, quanto eri bello. Il tuo corpo era un'eburnea colonna su un sostegno d'argento. Era un giardino pieno di colombi nella luce di argentei gigli. Come il tuo corpo nulla era bianco al mondo. Nulla al mondo era nero come i tuoi capelli. Così rosso non c'era nulla al mondo come avevi la bocca. La tua voce era un vaso d'incensi e quando ti guardavo, ascoltavo una musica arcana... (Perduta nella contemplazione della testa di Jochanaan) Ah! Perché non mi hai guardato, Jochanaan? Sopra i tuoi occhi ponesti la benda di colui che contemplava il suo Dio solamente. Ecco! Il tuo Dio l'hai visto, Jochanaan, invece me, me, non m'hai guardata mai. M'avessi tu guardato, certo m'avresti amato! Ho sete della tua bellezza. Ho fame del tuo corpo. Né vini mai né frutti potrebbero lenirmi il desiderio... Jochanaan, che devo fare adesso? Né i torrenti né i mari potrebbero sedare questo infocato anelito... Oh! Perché non mi hai guardato? M'avessi tu guardato, certo m'avresti amato, lo lo so, sì lo so, m'avresti amato. E il mistero dell'amore è più grande che il mistero della morte... ERODE (sottovoce a Erodiade) È un mostro, tua figlia. Crédimi, è un mostro! ERODIADE (con forza) Ha fatto benissimo mia figlia. Ora voglio restare qui. ERODE (alzandosi) Ah! Sta parlando la sposa di mio fratello! (debolmente) Vieni, in questo luogo io non voglio restare. (con violenza) Vieni, ho detto! È certo, accadrà una sciagura. Dobbiamo nasconderci nel palazzo, o Erodiade, incomincio a tremare... ([La luna scompare.] Scatta in piedi) Manassah, Issachar, Ozias, spegnete le torce. Nascondete la luna e le stelle! Accadrà una sciagura. (Gli schiavi spengono le torce. Le stelle spariscono. Una grande nube passa sulla luna e la copre del tutto. La scena è completamente oscura. Il tetrarca comincia a salire su per la scala.) SALOME (spossata) Ah! Ho baciato la tua bocca, Jochanaan. Ah! L'ho baciata, la tua bocca, c'era un sapore amaro sulle labbra. Era sapore di sangue? No! Ma forse era sapore d'amore... Dicono che l'amore sappia d'amaro... Però, che importa? Che importa? T'ho baciato la bocca Jochanaan. lo l'ho baciata, la tua bocca. (La luna riappare dalla nube e illumina Salome.) ERODE (volgendosi) Uccidete questa donna! (I soldati si avventano su Salome e la seppelliscono sotto gli scudi. Cade rapidamente il sipario.) |
Teresa Stratas (Salomè), Hans Beirer (Erode)
dir: Karl Böhm (1974)
Catherine Malfitano (Salomè), Horst Hiestermann (Erode)
dir: Giuseppe Sinopoli (1990)
Catherine Naglestad (Salomè), Herwig Pecoraro (Erode)
dir: Simone Young (2015)
Può essere considerato brano a sé, non foss'altro per l'ampiezza del disegno musicale, anche l'assolo di Salome ("Ah, du woltest mich nicht deinem Mund kussen"), nella raccapricciante e tesissima scena di necrofilia che chiude l'opera: una storia di Liebestod a rovescio, come è stato giustamente osservato. Se è vero che Isotta canta il compimento trasfigurato di una inalienante tensione d'amore che vince la morte, Salome canta l'incompiutezza dell'amore mai conosciuto ed impossibile a compiersi, seppur bramato anche attraverso la morte.(Dizionario dell'Opera, ed. Baldini & Castoldi)
Nina Stemme dir: Antonio Pappano (2007) | Ljuba Welitsch dir: Lovro von Matacic (1944?) |
Inge Borkh dir: Fritz Reiner (1956) | Birgit Nilsson dir: Wolfgang Sawallisch (1970?) |
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