Vorrei ora andare oltre l'immagine inquietante e perversa di Salomè che si è imposta nella cultura dominante dell'occidente e, con l'aiuto di Carl Gustav Jung, cercare una sua possibile redenzione. Nel suo personalissimo viaggio interiore, l'autoanalisi più spietata e affascinante che uomo abbia intrapreso, documentato nel famoso “Libro Rosso” (uscito nel 2009, postumo di ben 50 anni, per volere dello stesso autore), e precisamente nel IX capitolo del primo libro, sotto la voce “Mistero”, Jung ci presenta un'immagine (che lui stesso dipingerà accuratamente come per imprimere bene tutto nella memoria) avuta nella notte: un vecchio con l'aspetto di un antico profeta accompagnato da una giovinetta cieca, vestita di bianco. Il vecchio dichiara di essere Elia e la fanciulla cieca è sua figlia Salomè! Nel testo segue un dibattito, tipico del metodo junghiano di parlare con le immagini del sogno:
Io (l'io del sognatore, cioè Jung): “La figlia di Erode, quella femmina assetata di sangue?”E più avanti leggiamo:
Elia: “Perché la giudichi a questo modo? Non vedi? È cieca. È mia figlia, la figlia del profeta.”
Io: “Quale miracolo vi ha unito?”
Elia: “Nessun miracolo. È stato così fin dall'inizio. La mia saggezza e mia figlia sono una cosa sola.”
Allo stupore di Jung, Elia continua: “Rifletti su questo: la sua cecità e la mia capacità di vedere ci hanno reso compagni sin dall'eternità.”
Io: “Non riesco a credere che tu, il Profeta, possa riconoscere in lei una figlia e una compagna. Non è forse stata generata da un seme scellerato? Non era forse pura avidità e criminosa libidine?”Mi fermo qui nella citazione perché il passo è molto lungo e complesso e lo si può facilmente trovare nel testo citato. A noi interessa questa immagine che si è presentata dall'inconscio di Jung, un eccezionale ricercatore e sensibilissimo “catturatore” di archetipi, come lo sono in realtà i veri artisti, ma con in più la possibilità di farli parlare e arrivare ad un possibile “risanamento” attraverso la relazione evolutiva che si instaura con l'inconscio stesso.
Elia: “Ma lei amava un santo.”
Io: “E ne ha versato in modo infame il sangue prezioso.”
Elia: “Amava il profeta che ha annunciato al mondo il nuovo Dio. Lo amava, capisci? Perché lei è mia figlia.”
Dunque Salomè ed Elia possono stare insieme! E Giovanni, il Battista, non era stato acclamato dai suoi come Elia redivivo, il grande profeta che aveva speso tutta la sua visione nell'annuncio del Messia? Giovanni che battezza nell'acqua in attesa del vero battezzatore in Spirito e Verità, il precursore inviato dal Padre a preparare la via, non è la continuazione vivente dell'annuncio profetico di Elia? Ricordiamo che tutta la lunga discussione degli ebrei, nell'opera di Oscar Wilde (e di Strauss), si incentra proprio su questo: se Giovanni sia realmente Elia redivivo.
L'attrazione tra gli opposti fa sì che Salomè e il Profeta, la dissoluta ma anche inesperta principessa e il santo ascetico, possano finalmente incontrarsi, anche se in modo imprevisto e del tutto originale, una modalità che solo l'inconscio può slatentizzare e portare alla luce. Certo, non si tratta del giovane e bellissimo Giovanni che Leonardo da Vinci ci ha consegnato, né dello scarnificato asceta delle icone bizantine, ma di un vecchio venerando (nell'opera di Wilde lei non aveva forse creduto inizialmente che fosse vecchio?), la guida di cui ha bisogno Salomè, che nella visione junghiana è cieca, quindi realmente bisognosa di essere “condotta” per mano da chi può vedere al suo posto. Questa Salomè “cieca” è uno degli aspetti del femminile dentro l'uomo, quella donna dentro il maschile che Jung chiama “Anima” e che evolve a seconda dello sviluppo della coscienza in vari modelli (madre, sorella, Eva, Elena, Maria, Sophia).
È la prima immagine femminile che si presenta nel Libro Rosso, perché siamo all'inizio del percorso di autoanalisi e di esplorazione dell'inconscio da parte di Jung e non può che essere un femminile ancora incerto e primitivo, espressione di pulsioni “cieche” e lontane dalla luce della coscienza, ma per fortuna la possibilità di crescita e conoscenza sono già costellate proprio nel fatto di accompagnarsi a Elia, il “Vecchio Saggio”, uno degli archetipi fondamentali della psicologia junghiana. Vedremo Jung intrattenere un serrato confronto con la propria “Anima”, a partire da questa immagine che lui vorrebbe respingere ma che imparerà a conoscere ed “amare” fino a poterla vedere trasformata in immagini sempre più elevate e rassicuranti. La cecità di Salomè è espressione delle prime “pulsioni” erotiche che, come ci insegna Cupido che scaglia le sue frecce ad occhi chiusi o bendati, sono “folli”, cioè irrazionali e non permeabili al buon senso. Per tanti, purtroppo, la vita erotica continua ad essere governata da passioni cieche e non si entra mai in contatto con il “Vecchio Saggio” che potrebbe guidare e trasformare l'eros in una direzione anche spirituale.
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