22 dicembre 2015

Lohengrin (8) - Il cavaliere sconosciuto

Scritto da Marisa

“Lei non sa chi sono io!”. “Ma lo sai chi è?”.
Espressioni come queste rimandano, a volte con arroganza, altre con ammirazione, al bisogno fondamentale nelle relazioni di riconoscersi e identificarsi attraverso un nome che è anche un rivelatore di status symbol, un indicatore di posizione e scala sociale, oltre che di individualità contrapposta all'anonimato della massa. Per alcuni popoli, come gli Indiani d'America, il nome è talmente importante e intimamente rivelatore della propria natura e identità più autentica che ai bambini viene dato un nome provvisorio in attesa che quello vero sia rivelato durante l'iniziazione adolescenziale da un sogno o una visione, cioè dalla voce dello Spirito, ben più autorevole e “veggente” di quella dei genitori. Così sono nati “Cavallo pazzo”, “Nuvola rossa”, “Toro seduto”, eccetera. Quasi sempre per entrare negli ordini religiosi si cambia nome e se ne assume uno scelto o imposto come nuova identità, una nuova nascita. Conoscere il nome di una persona e poterlo usare, scavalcando il titolo o il cognome, è segno di grande confidenza e familiarità, quando invece non è segno di mancanza di rispetto in condizioni di subalternità (i padroni chiamano la servitù per nome, il viceversa non è possibile). In un mito egizio Iside riesce a conoscere il nome di Ra, il grande dio celeste, e grazie a questo lo depotenzia usando una formula magica, come a dire che conoscere il nome di qualcuno ci dà un certo potere su di lui... “Non nominare il nome di Dio invano” viene intimato da uno dei primi comandamenti, come ad ammonire di non osare prendersi troppa confidenza con la divinità, che deve rimanere avvolta nel mistero mai rivelabile, così come non è permesso in alcune religioni (es. ebraica e islamica) alcuna raffigurazione dell'immagine divina.

Nessuno, nemmeno il re, sembra aver notato la gravità della richiesta dell'anonimato, ed anzi acclamano con gioia ed enfasi il cavaliere sconosciuto, abbagliati dallo splendore e dall'evidente “miracolo” che lo ha portato a loro. Questo “non chiedere”, l'accontentarsi di una apparente evidenza imposta dall'autorità tanto più potente quanto più misteriosa ed elevata, è tipico dei sistemi di potere assoluto basati sul bisogno di mantenere la distanza, e il “segreto” serve a conservare il potere in un'aura mistica di non conoscenza. In un'altra opera di Wagner, il “Parsifal”, ritroveremo il tema del silenzio declinato in modo molto diverso, non sul nome ma sulle conseguenze di non saper distinguere quando e perché mantenere il silenzio o trasgredire in onore della conoscenza e della verità. Ed è proprio sul potere di questo nome segreto che vedremo come Ortruda lavori insidiosamente prima su Federico, poi direttamente su Elsa. Ma perché Lohengrin non vuole che si conosca il suo nome, nemmeno – come vedremo più avanti – da Elsa nell'intimità dell'amore?

In fondo Lohengrin non può fare altrimenti, perché prigioniero anche lui di un modello dualistico di separazione tra spirituale e terreno, sacro e profano, che non prevede una possibile “unione degli opposti” e quindi una vera integrazione. I mondi devono rimanere separati e la conoscenza viene pagata con la perdita definitiva della relazione. In “Amore e Psiche”, invece, la scoperta del nome porta ad un processo di autentica conoscenza di sé attraverso prove di coraggio e di dolore per uscire da uno stato paradisiaco di fusione “inconscia” ad una vera relazione fondata sul rafforzamento delle proprie facoltà e affinamento del carattere, un passaggio da uno stato di piacere basato sui sensi, in cui tutti sono uguali e interscambiabili (“Questa o quella per me pari sono...”) alla vera scoperta dell'amore fondato sull'esperienza individuale della relazione e dell'unicità.

C'è un'altra opera in cui la scoperta del nome è cruciale, la "Turandot", ma la situazione lì è completamente diversa, anzi è proprio l'opposto, e il principe sconosciuto si riconsegna volontariamente al femminile vendicativo e ostile per sanare definitivamente la frattura tra i sessi operata dal patriarcato proprio attraverso il rilancio della sfida del nome. È Calaf stesso infatti che invita Turandot a scoprire il suo nome mettendo ancora a repentaglio la propria testa. Ho parlato diffusamente di questo nei post già pubblicati su "Turandot", a cui perciò rimando.

Anche in una parte del “Don Giovanni” il nome viene celato, ed è nella scena di violenza a Donna Anna. Invano lei tenta di scoprire l'identità dell'assalitore mentre lui ribadisce “Chi son io tu non saprai...”. In fondo, a ben pensarci, anche nell'opera mozartiana la scoperta del nome e dell'identità del “ribaldo” ha una importanza centrale, perché tutto gira intorno allo smascheramento per arrivare alla punizione.

Clicca qui per il testo.

LOHENGRIN
Nun hört! Euch, Volk und Edlen, mach ich kund:
frei aller Schuld ist Elsa von Brabant.
Dass falsch dein Klagen, Graf von Telramund,
durch Gottes Urteil werd es dir bekannt!

BRABANTISCHE EDLE
(erst einige, dann immer mehrere,
heimlich zu Friedrich
)
Steh ab vom Kampf! Wenn du ihn wagst,
zu siegen nimmer du vermagst!
Ist er von höchster Macht geschützt,
sag, was dein tapfres Schwert dir nützt?
Steh ab! Wir mahnen dich in Treu!
Dein harter Unsieg, bittre Reu!

FRIEDRICH
(der bisher unverwandt und forschend
sein Auge auf Lohengrin geheftet,
mit leidenschaftlich schwankendem
und endlich sich entscheidendem,
inneren Kampfe
)
Viel lieber tot als feig!
Welch Zaubern dich auch hergeführt,
Fremdling, der mir so kühn erscheint;
dein stolzes Drohn mich nimmer rührt,
da ich zu lügen nie vermeint.
Den Kampf mit dir drum nehm ich auf,
und hoffe Sieg nach Rechtes Lauf!

LOHENGRIN
Nun, König, ordne unsern Kampf!

(Alles begibt sich in die erste Gerichtsstellung.)

KÖNIG
So tretet vor zu drei für jeden Kämpfer,
und messet wohl den Ring zum Streite ab!

(Drei sächsische Edle treten für Lohengrin, drei brabantische für Friedrich vor; sie messen mit feierlichen Schritten den Kampfplatz aus und stecken ihn, einen vollständigen Ring bildend, durch ihre Speere ab.)

DER HEERRUFER
(in der Mitte des Kampfringes)
Nun höret mich, und achtet wohl:
Den Kampf hier keiner stören soll!
Dem Hage bleibet abgewandt,
denn wer nicht wahrt des Friedens Recht,
der Freie büss es mit der Hand,
mit seinem Haupte büss es der Knecht!

ALLE MÄNNER
Der Freie büss es mit der Hand,
mit seinem Haupte büss es der Knecht!

DER HEERRUFER
(zu Lohengrin und Friedrich)
Hört auch, ihr Streiter vor Gericht!
Gewahrt in Treue Kampfes Pflicht!
Durch bösen Zaubers List und Trug
stört nicht des Urteils Eigenschaft: -
Gott richtet euch nach Recht und Fug,
so trauet ihm, nicht eurer Kraft!

LOHENGRIN UND FRIEDRICH
(zu beiden Seiten ausserhalb
des Kampfkreises stehend
)
Gott richte mich nach Recht und Fug!
So trau ich ihm, nicht meiner Kraft!

DER KÖNIG
(mit grosser Feierlichkeit in die
Mitte vorschreitend
)
Mein Herr und Gott, nun ruf ich dich,
(Alle entblössen das Haupt und lassen
sich zur feierlichsten Andacht an
)
dass du dem Kampf zugegen seist!
Durch Schwertes Sieg ein Urteil sprich,
das Trug und Wahrheit klar erweist!
Des Reinen Arm gib Heldenkraft,
des Falschen Stärke sei erschlafft!
So hilf uns, Gott, zu dieser Frist,
weil unsre Weisheit Einfalt ist!

ELSA UND LOHENGRIN
Du kündest nun dein wahr Gericht,
mein Gott und Herr, drum zag ich nicht!

FRIEDRICH
Ich geh in Treu vor dein Gericht!
Herr Gott, nun verlass mein Ehre nicht!

ORTRUD
Ich baue fest auf seine Kraft,
die, wo er kämpft, ihm Sieg verschafft!

ALLE MÄNNER
Des Reinen Arm gib Heldenkraft,
des Falshen Stärke sei erschlafft:
So künde nun dein wahr Gericht,
du Herr und Gott, nun zögre nicht!

ALLE FRAUEN
Mein Herr und Gott, segne ihn!

(Alle treten unter grosser, feierlicher Aufmerksamkeit an ihre Plätze zurück. Die sechs Kampfzeugen bleiben bei ihren Speeren dem Ringe zunächst, die übrigen Männer stellen sich in geringer Weite um ihn her. Elsa und die Frauen im Vordergrunde unter der Eiche beim König. Auf des Heerrufers Zeichen blasen die Heerhornbläser den Kampfruf: Lohengrin und Friedrich vollenden ihre Waffenrüstung. - Der König zieht sein Schwert aus der Erde und schlägt damit dreimal auf den an der Eiche aufgehängten Schild: Beim ersten Schlage nehmen Lohengrin und Friedrich die Kampfstellung ein; beim zweiten ziehen sie die Schwerter und legen sich aus; beim dritten Schlage beginnen sie den Kampf. Lohengrin greift zuerst an. Nach mehreren ungestümen Gängen streckt Lohengrin mit einem weitausgeholten Streiche seinen Gegner zu Boden. Friedrich versucht sich wieder zu erheben, taumelt einige Schritte zurück und stürzt zu Boden. Mit Friedrichs Fall ziehen die Sachsen und Thüringer ihre Schwerter aus der Erde, die Brabanter nehmen die ihrigen auf. Der König nimmt seinen Schild von der Eiche.)

LOHENGRIN
(das Schwert auf Friedrichs Hals setzend)
Durch Gottes Sieg ist jetzt dein Leben mein:
(von ihm ablassend)
Ich schenk es dir, mögst du der Reu es weihn!

(Alle Männer stossen ihre Schwerter in die Scheiden. Die Kampfzeugen ziehen die Speere aus der Erde. Jubelnd brechen alle Edlen und Männer in den vorherigen Kampfkreis, so dass dieser von der Masse dicht erfüllt wird.)

KÖNIG
(sein Schwert ebenfalls
in die Scheide stossend
)
Sieg! Sieg!

MÄNNER UND FRAUEN
Sieg! Sieg! Sieg!
Heil! dir, Held!

(Der König führt Elsa Lohengrin zu.)

ELSA
O fänd ich Jubelweisen,
deinem Ruhme gleich,
dich würdig zu preisen,
an höchstem Lobe reich!
In dir muss ich vergehen,
vor dir schwind ich dahin,
soll ich mich selig sehen,
nimm alles, was ich bin!
(Sie sinkt an Lohengrins Brust)

LOHENGRIN
(Elsa von seiner Brust erhebend)
Den Sieg hab ich erstritten
durch deine Rein' allein;
nun soll, was du gelitten,
dir reich vergolten sein!

FRIEDRICH
(sich am Boden qualvoll windend)
Weh, mich hat Gott geschlagen,
durch ihn ich sieglos bin!
Am Heil muss ich verzagen,
mein Ruhm und Ehr ist hin!

ORTRUD
(die Friedrichs Fall mit Wut gesehen,
den finsteren Blick unverwandt
auf Lohengrin geheftet
)
Wer ist's, der ihn geschlagen,
vor dem ich machtlos bin?
Sollt ich vor ihm verzagen,
wär all mein Hoffen hin?

DER KÖNIG UND DIE MÄNNER
Ertöne, Siegesweise,
dem Helden laut zum höchsten Preise!
Ruhm deiner Fahrt!
Preis deinem Kommen!
Heil deiner Art,
Schützer der Frommen!
(in wachsender Begeisterung)
Du hast gewahrt
das Recht der Frommen!
Preis deinem Kommen!
Heil deiner Art!
(in höchster Begeisterung)
Dich nur besingen wir,
dir schallen unsre Lieder!
Nie kehrt ein Held gleich dir
zu diesen Landen wieder!

DIE FRAUEN
Wo fänd ich Jubelweisen
seinem Ruhme gleich,
ihn würdig zu preisen,
an höchstem Lobe reich!
Du hast gewahrt
das Recht der Frommen,
Heil deinen Kommen,
Heil deiner Fahrt!

(Junge Männer [Sachsen] erheben Lohengrin auf seinen Schild und [Brabanter] Elsa auf den Schild des Königs, auf welchen zuvor mehrere ihre Mäntel gebreitet haben; so werden beide unter Jauchzen davongetragen. Friedrich sinkt zu Ortruds Füssen ohnmächtig zusammen.)

LOHENGRIN
Ed ora udite! A voi, popolo e nobili, io rendo manifesto:
monda d'ogni colpa è Elsa di Brabante.
Che falsa è la tua accusa, o conte di Telramondo,
per giudizio di Dio, ti sia reso manifesto!

NOBILI BRABANTINI
(prima alcuni, poi sempre più,
segretamente a Federico
)
Astieniti dalla lotta! Se ti ci arrischierai,
non avrai mai potere di vincerla!
S'egli è protetto da un altissimo potere,
dimmi, a che giova la tua valorosa spada?
Astieniti! In fedeltà noi t'ammoniamo!
Sconfitta t'attende, amaro pentimento!

FEDERICO
(che fino a questo momento ha tenuto
l'occhio fisso su Lohengrin, scrutandolo
senza tregua; in preda ad interna lotta,
dapprima appassionatamente incerta,
quindi, alla fine, decisa
)
Molto meglio morto che vile!
Quale sia l'incanto, che qui t'ha portato,
o straniero, che a me così ardito appari,
la tua minaccia superba mai non mi toccherà,
perché mai di mentire io mi son pensato.
E perciò io accetto con te la tenzone,
e spero vittoria, secondo corso di giustizia!

LOHENGRIN
Orsù, o Re, disponi la nostra tenzone!

(Tutti ritornano nella primitiva posizione di Corte di Giustizia.)

IL RE
Uscite dunque fuori, tre, per ciascun campione,
e misurate bene in cerchio il terreno per la tenzone.

(Tre nobili sassoni avanzano per Lohengrin e tre brabantini per Federico; essi misurano con passo solenne il terreno, e formato un cerchio chiuso, ne segnano i limiti, conficcando a terra le loro lance.)

L'ARALDO DI GUERRA
(nel centro del cerchio per la tenzone)
Uditemi ora, e ponete bene attenzione!
Nessuno deve qui turbare la tenzone!
Rimanete fuori dal recinto:
perché chi non rispetterà il diritto cavalleresco,
s'egli è libero, lo sconterà con la perdita della mano;
e, s'egli è servo, col taglio della testa!

TUTTI GLI UOMINI
Il libero lo sconti con la perdita della mano,
e il servo col taglio della testa!

L'ARALDO DI GUERRA
(a Lohengrin ed a Federico)
Voi pure, udite, combattenti davanti alla Giustizia!
Lealmente osservate le leggi della tenzone!
Con astuzia od inganno di malvagio incantamento,
non turbate l'integrità del giudizio:...
Dio vi giudica secondo diritto e giustizia,
a lui dunque v'affidate e non alla vostra forza!

LOHENGRIN E FEDERICO
(dalle due opposte parti, in piedi,
fuori del terreno della tenzone
)
Che Dio mi giudichi secondo diritto e giustizia!
Così com'io a lui m'affido e non alla mia forza!

IL RE
(con grande solennità
avanzando verso il centro
)
Mio Signore e Dio, ora io t'invoco,
(Tutti si scoprono il capo, e si mostrano
compresi in solennissimo raccoglimento
)
che tu sia presente alla tenzone!
Con la vittoria della spada pronunzia un giudizio,
che apertamente dimostri inganno e verità!
Al braccio dell'innocente dà forza d'eroe,
e si allenti la forza al mentitore!
Aiutaci, dunque, o Dio, in questo istante,
perché la nostra saggezza non è che ignoranza!

ELSA E LOHENGRIN
Tu manifesterai ora il tuo vero giudizio,
mio Dio e Signore, e perciò io non temo!

FEDERICO
Lealmente io mi presento al tuo giudizio!
Signore Iddio, non abbandonare il mio onore!

ORTRUDA
Saldamente confido sulla sua forza,
che, dov'egli combatta, gli dà la vittoria.

TUTTI GLI UOMINI
Al braccio dell'innocente dà forza d'eroe,
e si allenti la forza al mentitore:
manifesta, dunque, il tuo vero giudizio,
Signore e Dio, dunque, non indugiare!

TUTTE LE DONNE
Mio Signore e Dio, benedicilo.

(Tutti rientrano ai loro posti, presi da grande e religiosa commozione. I sei Padrini rimangono presso le loro lance a ridosso del cerchio della tenzone; gli altri Uomini si dispongono a breve distanza intorno a quello. Elsa e le Donne sul proscenio, sotto la quercia, presso il Re. Ad un segnale dell'Araldo di guerra, i Trombettieri suonano l'appello alla tenzone; Lohengrin e Federico compiono i loro preparativi d'arme. Il Re estrae dal suolo la spada e batte con essa tre volte sullo scudo appeso alla quercia: al primo colpo, Lohengrin e Federico prendono posizione di combattimento; al secondo, traggono le spade e si mettono in guardia, al terzo, cominciano la tenzone. Dopo vari attacchi impetuosi, Lohengrin d'un colpo ampiamente vibrato stende l'avversario al suolo. Federico tenta di rialzarsi nuovamente, barcolla indietreggiando di qualche passo, e cade al suolo. Con la caduta di Federico, i Sassoni ed i Turingi estraggono le loro spade dalla terra, ed i Brabantini riprendono le loro. Il Re riprende lo scudo dalla quercia.)

LOHENGRIN
(appuntando la spada alla gola di Federico)
Per la vittoria di Dio, ora la tua vita è mia:
(ritraendosi da lui)
io te la dono; possa tu consacrarla al pentimento!

(Tutti gli Uomini ripongono la loro spada nel fodero. I Padrini estraggono le lance dal suolo. Giubilando, tutti i Nobili e gli Uomini invadono il terreno che era riservato alla tenzone, così che esso viene a riempirsi d'una densa folla.)

IL RE
(riponendo anch'egli
la spada nel fodero
)
Vittoria! Vittoria!

UOMINI E DONNE
Vittoria! Vittoria! Vittoria!
Salute a te, o Eroe!

(Il re conduce Elsa a Lohengrin.)

ELSA
O trovassi ritmi di giubilo
pari alla tua gloria;
per celebrare degnamente te,
ricco della più alta lode!
In te io debbo perdermi,
innanzi a te svanire;
perché io possa vedermi felice,
prendimi tutta, qual io mi sono!
(Ella s'abbandona sul petto di Lohengrin)

LOHENGRIN
(sollevando Elsa dal proprio petto)
La vittoria io ho conquistato
soltanto per la tua innocenza;
ora quel che tu hai sofferto,
dev'esserti riccamente compensato!

FEDERICO
(avvolgendosi al suolo fra i tormenti)
Ahimè, Dio m'ha colpito,
per Lui io sono sconfitto!
Della salute io debbo disperare;
son perduti e gloria e onore!

ORTRUDA
(che ha visto con furore la caduta
di Federico, fissa il cupo sguardo
ininterrottamente su Lohengrin
)
Chi è costui che l'ha battuto,
innanzi al quale io sono impotente?
Dovrei innanzi a lui disperare;
sarebbe perduta ogni mia speranza?

IL RE E GLI UOMINI
Risuona, ritmo di vittoria,
alto all'eroe, in lode suprema!
Gloria al tuo viaggio!
Lode alla tua venuta!
Salute alla tua schiatta,
o protettore degli innocenti!
(con crescente esaltazione)
Tu hai protetto
il diritto degli innocenti!
Lode alla tua venuta!
Salute alla tua schatta!
(al massimo dell'esaltazione)
Te solo noi cantiamo,
per te i nostri canti suonano!
Mai tornerà simile a te un eroe
a queste terre ancora!

LE DONNE
Dove trovare ritmi di giubilo,
pari alla sua gloria,
per celebrare degnamente lui,
ricco della più alta lode?
Tu hai protetto
il diritto degli innocenti.
Salute alla tua venuta,
Salute al tuo viaggio!

(Giovani [Sassoni] sollevano Lohengrin sul suo scudo e [Brabantini] sollevano Elsa sullo scudo del Re, sul quale hanno dapprima steso parecchi loro mantelli. Così ambedue vengono portati via in trionfo. Federico cade svenuto ai piedi di Ortruda.)





dir: Claudio Abbado (1990)
Placido Domingo (Lohengrin), Cheryl Studer (Elsa), Robert Lloyd (König Heinrich),
Hartmut Welker (Friedrich), Georg Tichy (Der Heerrufer)


"Nun hört! Euch, Volk und Edlen, mach ich kund"
dir: Rudolf Kempe
Jess Thomas (Lohengrin), Gottlob Frick (König), Dietrich Fischer-Dieskau (Friedrich),
Otto Wiener (Der Heerrufer)


"Durch Gottes Sieg ist jetzt dein Leben mein"
dir: Rudolf Kempe
Jess Thomas (Lohengrin), Gottlob Frick (König), Dietrich Fischer-Dieskau (Friedrich),
Elisabeth Grummer (Elsa)


"Mein Herr und Gott, nun ruf ich dich"
Georg Hann (König)


"Mein Herr und Gott, nun ruf ich dich"
dir: Heinz Tietjen
Josef von Manowarda (König)

18 dicembre 2015

Lohengrin (7) - Il giuramento

Scritto da Marisa

Elsa, se io dovrò essere tuo sposo
e terra e popolo guardare per te,
e niente mai da te dovrà strapparmi,
una cosa sola tu dovrai giurarmi:...
Mai non dovrai domandarmi,
né ti struggerai di sapere,
da qual regione sia venuto,
né quale sia il mio nome e la mia stirpe!
Appena dopo aver salutato il Re, il cavaliere chiede ad Elsa, come contropartita per battersi per lei, la sua mano e il solenne giuramento di non cercare mai di indagare sulla sua identità. Elsa, che vediamo già prostrata umilmente ai suoi piedi in completa offerta di sé stessa (“Come io giaccio ai tuoi piedi, così corpo ed anima dono in tua balía”), accetta immediatamente e non ha nessuna titubanza a profferire un simile giuramento: “Mai, o Signore, mai m'uscirà la domanda!“. Fermiamoci un po' su questo cruciale passaggio.

Nella situazione in cui Elsa si trova, sembra una richiesta quasi da nulla, quasi una formalità. Cosa può importare di conoscere il nome e la provenienza di un “salvatore”, per di più bellissimo e di cui si è già perdutamente innamorati, ad una fanciulla inesperta, ingenua e in pericolo di morte? La situazione è già completamente asimmetrica (Elsa impotente di fronte all'accusa infamante e lo splendido cavaliere in grado di ristabilire la giustizia e salvarla) e la richiesta del giuramento non fa che aumentare tale asimmetria, poiché il cavaliere sa bene il nome e l'appartenenza regale della fanciulla a cui chiede di rimanere “sconosciuto”.

Questa “asimmetria” di partenza riflette la condizione di assoggettamento sociale e culturale in cui si è venuta a trovare la donna nel periodo patriarcale, praticamente da sempre in epoca storica, perché il “matriarcato” sembra essere confinato nel remotissimo tempo pre-storico in cui non si conosceva ancora l'esatta dinamica della riproduzione e il ruolo maschile in essa, mentre si vedeva che dal grembo femminile scaturiva una nuova vita e si tendeva ad attribuirne il merito soltanto alla donna e ai suoi legami con il mondo magico, soprattutto lunare, le cui fasi di ingrossamento e assottigliamento analogicamente richiamavano la gravidanza. Il potere del femminile, di cui resta traccia nei miti sulle Amazzoni e le religioni legate alla Grande Madre, era prevalentemente legato ai misteri della fecondità ed è stato completamente soppiantato dal patriarcato con le sue religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo e Islam), ma già in Grecia e a Roma il potere maschile aveva relegato in secondo piano il femminile, la natura e la donna.

Sul piano giuridico poi la situazione è sempre stata molto sbilanciata a favore del maschile e degli uomini, tanto che nei diritti famigliari si riconosceva solo la “patria potestas” e i figli venivano legittimati solo se il padre li riconosceva come propri sollevandoli da terra. Anche nel mondo nordico, in tutta l'area scandinava dominata dalla religione dell'Edda con il panteon riunito intorno ad Odino, la predominanza del maschile è indubbia e la condizione della donna subordinata ad essa, anche se con qualche concessione maggiore rispetto ad altre culture. Nel medioevo, in particolare, l'importanza della donna sparisce quasi completamente per ritornare in modo sublimato e molto particolare nella poesia provenzale e nell'amor cortese. Ma questa evoluzione del rapporto uomo-donna è molto complessa e merita di essere presa in considerazione in altra sede.

Nel "Lohengrin" vediamo che Elsa non ha il diritto di difendersi da sola; le sue affermazioni di innocenza non valgono nulla se non sono sostenute con le armi da un cavaliere pronto a battersi per lei. Questo la rende completamente dipendente dalla forza maschile, anche se si tratta di un cavaliere “nobile” e del tutto disposto a crederle, a sostenerne l'innocenza e persino diventare suo sposo, il che sembrerebbe metterla su un piano di parità. In fondo marito e moglie non sono due parti della stessa unità e non condividono lo stesso destino? Apparentemente...

Elsa è del tutto in accordo con questa situazione. È completamente integrata nel mondo patriarcale e non sospetta nemmeno che possa esserci per la donna un'altra condizione. È talmente assoggettata allo schema della dipendenza che non può non essere profondamente e sinceramente grata al suo cavaliere-salvatore (“In te io debbo perdermi, innanzi a te svanire...”) che vorrebbe annullarsi davanti a lui pur di godere della sua intimità.
Anche Psiche si trova in una situazione “asimmetrica” e di ignoranza dell'identità del proprio partner. Ma ricordiamoci che Psiche, come si deduce dal nome stesso, rappresenta non solo una fanciulla, ma la parte “femminile” dell'essere umano stesso, la sua parte psichica appunto, un'istanza della persona in formazione e che deve evolvere, destinata a elevarsi proprio attraverso il mistero dell'amore e il lavoro che sarà disposta a fare per ricongiungersi con Eros, divinizzandosi a sua volta. La promessa sembra comunque simile ed anche Psiche accetta di non tentare di scoprire l'identità dello sposo misterioso, pena la perdita di lui. Psiche però ha già goduto il frutto dell'amplesso e si trova in uno stato “paradisiaco”, una “luna di miele” in cui, completamente appagata nei sensi, si bea di tale situazione. Elsa invece promette senza aver avuto ancora nessuna esperienza di intimità erotico-sessuale, ma solo presa dalla necessità impellente di salvare la propria vita e in preda di una completa idealizzazione del maschile, vista la propria impotenza femminile.

Clicca qui per il testo.

LOHENGRIN
(der das Ufer verlossen hat
und langsam und feierlich in den
Vordergrund vorgeschritten ist,
verneigt sich vor dem König
)
Heil, König Heinrich! Segenvoll
mög Gott bei deinem Schwerte stehn!
Ruhmreich und gross dein Name soll
von dieser Erde nie vergehn!

KÖNIG
Hab Dank! Erkenn ich recht die Macht,
die dich in dieses Land gebracht,
so nahst du uns von Gott gesandt?

LOHENGRIN
(mehr in die Mitte tretend)
Zum Kampf für eine Magd zu stehn,
der schwere Klage angetan,
bin ich gesandt. Nun lasst mich sehn,
ob ich zu Recht sie treffe an. -
(Er wendet sich etwas näher zu Elsa)
So sprich denn, Elsa von Brabant: -
Wenn ich zum Streiter dir ernannt,
willst du wohl ohne Bang und Graun
dich meinem Schutze anvertraun?

ELSA
(die, seitdem sie Lohengrin erblickte,
wie in Zauber regungslos festgebannt war,
sinkt, wie durch seine Ansprache erweckt,
in überwältigend wonnigem
Gefühle zu seinen Füssen
)
Mein Held, mein Retter! Nimm mich hin!
Dir geb ich alles, was ich bin!

LOHENGRIN
(mit grosser Wärme)
Wenn ich im Kampfe für dich siege,
willst du, dass ich dein Gatte sei?

ELSA
Wie ich zu deinen Füssen liege,
geb ich dir Leib und Seele frei.

LOHENGRIN
Elsa, soll ich dein Gatte heissen,
soll Land und Leut ich schirmen dir,
soll nichts mich wieder von dir reissen,
musst Eines du geloben mir: -
Nie sollst du mich befragen,
noch Wissens Sorge tragen,
woher ich kam der Fahrt,
noch wie mein Nam und Art!

ELSA
(leise, fast bewusstlos)
Nie, Herr, soll mir die Frage kommen!

LOHENGRIN
(gesteigert, sehr ernst)
Elsa! Hast du mich wohl vernommen?
(noch bestimmter)
Nie sollst du mich befragen,
noch Wissens Sorge tragen,
woher ich kam der Fahrt,
noch wie mein Nam und Art!

ELSA
(mit grosser Innigkeit zu ihm aufblickend)
Mein Schirm! Mein Engel! Mein Erlöser,
der fest an meine Unschuld glaubt!
Wie gäb es Zweifels Schuld, die grösser,
als die an dich den Glauben raubt?
Wie du mich schirmst in meiner Not,
so halt in Treu ich dein Gebot!

LOHENGRIN
(ergriffen und entzückt sie
an seine Brust erhebend
)
Elsa, ich liebe dich!

(Beide verweilen eine Zeitlang in der angenommenen Stellung.)

DIE MÄNNER UND FRAUEN
(leise und gerührt)
Welch holde Wunder muss ich sehen?
Ist's Zauber, der mir angetan?
Ich fühl das Herze mir vergehen,
schau ich den hehren, wonnevollen Mann!

(Lohengrin geleitet Elsa zum König und übergibt sie dessen Hut, dann schreitet er feierlich in die Mitte des Kreises.)


LOHENGRIN
(che ha abbandonato la riva
e lentamente e solennemente
è avanzato verso il proscenio,
s'inchina davanti al Re
)
Salute, Re Enrico! Benedicente
possa Iddio stare presso la tua spada!
Glorioso e grande possa il tuo nome
giammai perire su questa terra!

IL RE
Grazie! S'io bene riconosco la potenza,
che in questo paese t'ha portato
a noi tu vieni, messo del Signore?

LOHENGRIN
(avanzandosi maggiormente verso il centro)
A sostenere battaglia per una fanciulla,
fatta segno a grave accusa,
sono io inviato. Lasciate ora ch'io veda,
se giusto è il mio incontro con lei!...
(Si volge verso Elsa avvicinandosi a lei)
Parla, dunque, Elsa di Brabante:...
Se sono scelto per tuo campione,
vuoi tu senza alcun timore ed orrore
affidarti alla mia protezione?

ELSA
(la quale, da poi che ha visto Lohengrin
è rimasta senza movimento, come sotto
l'influsso d'un incantesimo, quasi svegliata
dal suo discorso, cade ai suoi piedi,
sopraffatta da un dolcissimo sentimento
)
Mio Eroe, mio salvatore! Portami via!
A te intera io mi dono, quale io mi sia!

LOHENGRIN
(con grande ardore)
Se in campo io vinco per te,
vuoi che io sia il tuo consorte?

ELSA
Come io giaccio ai tuoi piedi,
così corpo ed anima dono in tua balía.

LOHENGRIN
Elsa, se io dovrò essere tuo sposo
e terra e popolo guardare per te,
e niente mai da te dovrà strapparmi,
una cosa sola tu dovrai giurarmi:...
Mai non dovrai domandarmi,
né ti struggerai di sapere,
da qual regione sia venuto,
né quale sia il mio nome e la mia stirpe!

ELSA
(sommessamente, quasi incosciente)
Mai, o Signore, mai m'uscirà la domanda!

LOHENGRIN
(con voce più alta, molto serio)
Elsa! M'hai tu ben compreso?
(con tono ancora più deciso)
Mai non dovrai domandarmi,
né ti struggerai di sapere,
da qual regione io sia venuto,
né quale sia il mio nome e la mia stirpe!

ELSA
(con grande fervore alzando a lui lo sguardo)
Mio schermo! Mio angelo! Mio salvatore,
che saldo credi alla mia innocenza!
Quale colpa nel dubitare potrebbe mai darsi maggiore / di quella che togliesse d'aver fede in te?
Come tu mi proteggi nel mio periglio,
così fedelmente il tuo comandamento io osserverò!

LOHENGRIN
(commosso e rapito
alzandola al suo petto
)
Elsa, io t'amo!

(Ambedue rimangono un certo tempo in questa posizione.)

GLI UOMINI E LE DONNE
(commossi, sommessamente)
Quale dolce miracolo debbo io vedere?
È incanto, quel che mi prende?
Sento, che mi si smarrisce il cuore,
s'io contemplo quell'augusta dolcissima figura!

(Lohengrin accompagna Elsa dal Re e l'affida alla sua protezione, quindi s'avanza solennemente nel mezzo della scena.)





dir: Claudio Abbado (1990)
Placido Domingo (Lohengrin), Cheryl Studer (Elsa), Robert Lloyd (König Heinrich)


"Wenn ich im Kampfe für dich siege"
dir: Rudolf Kempe
Jess Thomas (Lohengrin), Elisabeth Grümmer (Elsa)

"Se in campo avrò la palma"
(in italiano)
Alessandro Ziliani (Lohengrin), Maria Caniglia (Elsa)

14 dicembre 2015

Lohengrin (6) - Il cigno

Scritto da Marisa

In genere ci si sofferma poco sull'immagine del cigno, liquidandolo solo come “opera di magia” in senso generico, senza entrare nello specifico simbolismo proprio di questo elegante e bellissimo animale. Esso compare all'inizio e alla fine dell'opera e quindi si può dire che inquadra tutto il dramma, facendo da cornice; merita perciò un momento di attenzione perché è come se tutta l'avventura si svolgesse entro il suo immaginario simbolico. Conosceremo solo alla fine il suo mistero, quando Ortruda stessa confesserà di essere stata lei, con le sue arti magiche, a trasformare il giovane principe Goffredo, fratello di Elsa, in cigno. Ma come questi sia andato a finire nel mondo da cui proviene il cavaliere rimane un mistero. Il legame tra i due, comunque, è molto interessante dal punto di vista psicologico, perché tra fratello e cavaliere interno c'è spesso una corrispondenza e una sovrapposizione simbolica (fratello, amico, amante...).

La trasformazione ad opera di magia di un essere umano in animale fa anche da cornice e filo conduttore dell'opera di Apuleio “L'asino d'oro”, in cui è appunto inserita la fiaba di Amore e Psiche, e questo costituisce un altro anello di congiunzione tra le due storie. Ma mentre in Apuleio Lucio trasformato in asino rappresenta una chiara allusione al bisogno di prendere coscienza della propria natura libidinosa ed animalesca (l'asino dentro di noi), e tutto il percorso parte da lì per concludersi con l'iniziazione ai misteri di Iside e Osiride in una trasformazione sempre più elevata e spirituale, qui il cigno si mostra da subito come elemento sublime e “puro”, manifestazione di una forza spirituale nettamente separata dall'umano, e quindi si intuisce che non è possibile nessuna evoluzione perché ci si muove già in una sfera “sublimata” e troppo alta per permettere un'ulteriore trasformazione.

Il cigno compare in tante mitologie e racconti popolari, in virtù della suggestione che la sua bellezza, il suo candore e la sua eleganza hanno sempre esercitato sull'immaginazione. L'appartenenza ai tre regni (acqua, cielo e terra, in quanto uccello acquatico che nidifica sulla terra) e la sua trasmigrazione ne fanno un simbolo elusivo di capacità di rapporto tra “cielo e terra” e quindi di immanenza e trascendenza, così come di ermafroditismo (aspetto sia lunare che solare per la sua bianchezza lunare e per l'associazione agli dei diurni e solari come Apollo e Zeus).
Nel suo aspetto luminoso (o nel suo contrario, l'ombra, rappresentata dal cigno nero) è associato ad Apollo sia per il canto e la lira, sia per il suo viaggio annuale all'estremo Nord, il paese degli iperborei, luogo mitico, freddo e lontanissimo, come la morte e la sua pura sterilità, dove Apollo viene portato proprio da una navicella trainata da un cigno bianco (ricordiamo che Apollo, giovane dio del pantheon greco, viene comunque dal Nord). Oppure è associato a Zeus, che si trasforma in cigno per inseguire e fecondare Leda, a sua volta mutata in oca selvaggia. Da quest'accoppiamento nasceranno i divini gemelli, i dioscuri Castore e Polluce, e le due sorelle Elena e Clitennestra (veramente il mito si complica perché nella stessa notte Leda viene pure fecondata dal marito, il re Tindaro, e quindi da ogni uovo nasce un elemento divino e uno umano).
La costellazione del Cigno, che domina il cielo d'estate, è la trasposizione in cielo di questa metamorfosi divina.

In estremo oriente, il cigno è simbolo di purezza, eleganza, nobiltà e coraggio, mentre compare in numerose leggende e favole siberiane, nordiche e celtiche come trasformazione di fanciulle da parte di pratiche magiche. Il “Lago dei cigni” di Tschaikovskj ne è un bellissimo esempio. Nella popolare fiaba dei Fratelli Grimm “I dodici cigni” vediamo la trasformazione in cigni di dodici giovani principi da parte della matrigna-strega e la loro liberazione ad opera della “pura” sorella che per salvarli deve stare in assoluto silenzio per tutto il tempo che tesse per loro una camicia con le ortiche, anche se viene accusata lei stessa di stregoneria e portata sul rogo... In questa fiaba l'analogia con Elsa, innocente ed accusata di fratricidio, è del tutto evidente.

Tornando al "Lohengrin", alla fine della scena seconda del I atto, dopo l'accorata invocazione di Elsa, vediamo comparire un magnifico cigno bianco che conduce una navicella da cui scende uno splendido cavaliere con corazza argentea. L'animale viene salutato e ringraziato in modo sublime dal cavaliere stesso al momento del congedo, un canto quasi religioso, come la musica sottolinea ("Mein lieber Schwan!"). Siamo subito, quindi, avvertiti che si tratta di un animale speciale, un messaggero (le grandi ali e la purezza del bianco fanno subito pensare agli angeli e alla loro funzione di mediatori e viaggiatori celesti). Tutta la scena ispira solennità e sacro stupore, e contribuisce a elevare la vicenda su un piano soprannaturale, in cui l'intervento divino si mescola alle vicende umane.

All'accusa infamante e crudele che vorrebbe vedere Elsa aver commesso il fratricidio per sfrenata ambizione di potere e libidine, portata avanti da Federico su istigazione dell'inquietante moglie Ortruda, si risponde con un intervento “altissimo” e “purissimo”. La contrapposizione tra bassezza e altezza, tra vile intrigo e nobile lealtà, si pone subito come elemento costitutivo di tutta l'opera. E la contrapposizione inconciliabile degli opposti è proprio il tema dominante già dall'inizio, contrapposizione che si preciserà non solo fra innocenza e colpevolezza, ma anche come conflitto tra vecchia e nuova religione, estremizzate come portatrici di bene assoluto e male assoluto, inconciliabili e perciò fonte di estremo conflitto.

Clicca qui per il testo.

(Die auf einer Erhöhung dem Ufer des Flusses zunächststehenden Männer gewahren zuerst die Ankunft Lohengrins, welcher in einem Nachen, von einem Schwan gezogen, auf dem Flusse in der Ferne sichtbar wird. Die vom Ufer entfernter stehenden Männer im Vordergrunde wenden sich zunächst ohne ihren Platz zu verlassen, mit immer regerer Neugier fragend an die dem Ufer näher stehenden; sodann verlassen sie in einzelnen Haufen den Vordergrund, um selbst am Ufer nachzusehen.)

DIE MÄNNER
Seht! Seht! Welch ein seltsam Wunder! Wie? Ein Schwan?
Ein Schwan zieht einen Nachen dort heran!
Ein Ritter drin hoch aufgerichtet steht!
Wie glänzt sein Waffenschmuck! Das Aug vergeht
vor solchem Glanz! - Seht, näher kommt er schon heran!
An einer goldnen Kette zieht der Schwan!

(Auch die Letzten eilen noch nach dem Hintergrunde; im Vordergrunde bleiben nur der König, Elsa, Friedrich, Ortrud und die Frauen. Von seinem erhöhten Platze aus überblickt der König alles; Friedrich und Ortrud sind durch Schreck und Staunen gefesselt; Elsa, die mit steigender Entzückung den Ausrufen der Männer gelauscht hat, verbleibt in ihrer Stellung in der Mitte der Bühne; sie wagt gleichsam nicht, sich umzublicken.)

DIE MÄNNER
(in höchster Ergriffenheit
nach vorn wieder stürzend
)
Ein Wunder! ein Wunder! ein Wunder ist gekommen,
ein unerhörtes, nie gesehnes Wunder!

DIE FRAUEN
(auf die Knie sinkend)
Dank, du Herr und Gott, der die Schwache beschirmet!

(Hier wendet sich der Blick aller wieder erwartungsvoll nach dem Hintergrunde.
Elsa hat sich umgewandt und schreit bei Lohengrins Anblick laut auf.
)

ALLE MÄNNER UND FRAUEN
Sei gegrüsst, du gottgesandter Mann!

(Der Nachen, vom Schwan gezogen, erreicht in der Mitte des Hintergrundes das Ufer; Lohengrin, in glänzender Silberrüstung, den Helm auf dem Haupte, den Schild im Rücken, ein kleines goldenes Horn zur Seite, steht, auf sein Schwert gelehnt, darin. - Friedrich blickt in sprachlosem Entsetzen auf Lohengrin hin. - Ortrud, die während des Gerichtes in kalter, stolzer Haltung verblieben, gerät bei dem Anblick des Schwanes in tödlichen Schrecken. Alles entblösst in höchster Ergriffenheit das Haupt. Sowie Lohengrin die erste Bewegung macht, den Kahn zu verlassen, tritt bei allen sogleich das gespannteste Stillschweigen ein.)

LOHENGRIN
(mit einem Fuss noch im Nachen,
neigt sich zum Schwan
)
Nun sei bedankt, mein lieber Schwan!
Zieh durch die weite Flut zurück,
dahin, woher mich trug dein Kahn,
kehr wieder nur zu unsrem Glück!
Drum sei getreu dein Dienst getan!
Leb wohl, leb wohl, mein lieber Schwan!

(Der Schwan wendet langsam den Nachen und schwimmt den Fluss zurück. Lohengrin sieht ihm eine Weile wehmütig nach.)

DIE MÄNNER UND FRAUEN
(voll Rührung und im leisen Flüsterton)
Wie fasst uns selig süsses Grauen!
Welch holde Macht hält uns gebannt!
Wie ist er schön und hehr zu schauen,
den solch ein Wunder trug ans Land!

(Gli Uomini che stanno vicinissimi alla riva del fiume sopra un'elevazione di terreno, vedono per primi l'arrivo di Lohengrin. Il quale si mostra, a distanza, sul fiume in una navicella tirata da un cigno. Coloro che stanno più lontani dalla riva sul proscenio, si voltano, dapprima senza abbandonare il loro posto, e chiedendo con sempre più viva curiosità, a quelli che stanno più vicini alla riva. Quindi, a gruppi staccati, abbandonano il proscenio, per guardare loro stessi lungo la riva.)

GLI UOMINI
Vedete! Vedete! Quale singolare miracolo! Come? Un cigno?
Un cigno tira laggiù verso di noi una navicella!
E un cavaliere v'è dentro ritto in piedi!
Come brilla la sua armatura! L'occhio s'abbaglia
di fronte a tale splendore!... Vedete, già egli s'appressa!
Il cigno tira ad una catena d'oro!

(Anche gli ultimi s'affrettano, a questo punto, verso il fondo; sul proscenio rimangono soltanto il Re, Elsa, Federico, Ortruda e le Donne. Dal suo luogo elevato il Re contempla tutto: Federico e Ortruda sono presi dallo stupore e dallo spavento; Elsa, che con gioia crescente ha prestato ascolto alle esclamazioni degli Uomini, rimane nel suo atteggiamento, al centro della scena, come se non osasse guardare intorno a sé.)

TUTTI GLI UOMINI
(ritornando a precipizio sul davanti
coi segni della più alta commozione
)
Miracolo! Miracolo! Un miracolo è avvenuto;
un miracolo inaudito, non mai visto!

LE DONNE
(cadendo in ginocchio)
Grazie, o Signore e Dio, che la debole proteggi!


(A questo punto, lo sguardo di tutti si volge nuovamente verso il fondo, pieno d'attesa.
Elsa si è voltata e lancia un alto grido alla vista di Lohengrin.
)

TUTTI GLI UOMINI E LE DONNE
Salute, o uomo inviato da Dio!

(La navicella tirata dal cigno tocca riva nel centro del fondo; Lohengrin in lucente armatura d'argento, l'elmo sul capo, lo scudo appeso alle spalle, un piccolo corno d'oro al fianco, vi sta dentro in piedi, appoggiato alla sua spada... Federico guarda verso Lohengrin con muto stupore. Ortruda, che durante il giudizio era rimasta in atteggiamento freddo e superbo, cade, alla vista del cigno, in terrore mortale. Tutti si scoprono il capo nella più profonda commozione. Come Lohengrin fa il primo movimento per lasciare la navicella, subito subentra in tutti il più ansioso dei silenzi.)

LOHENGRIN
(con un piede ancora sulla navicella,
si curva verso il cigno
)
Siano grazie a te, mio caro cigno!
Ritorna attraverso l'ampio flutto,
là onde mi portò la tua navicella.
Sia il tuo ritorno solo per il nostro bene!
Per il nostro bene il tuo servigio fedelmente adempi!
Addio, addio, mio caro cigno!

(Il cigno volge lentamente la navicella e nuota risalendo il fiume. Lohengrin lo guarda per un certo tempo malinconicamente.)

GLI UOMINI E LE DONNE
(pieni di commozione
e con sussurro molto sommesso
)
Quale dolce brivido gratamente ci prende!
quale dolce potenza ci tiene sotto il suo incanto!
Come è bello e nobile a vedersi,
colui che tale miracolo ha condotto alla nostra terra!




dir: Claudio Abbado (1990)
Placido Domingo (Lohengrin)


"Nun sei bedankt, mein lieber Schwan!"
Peter Seiffert (Lohengrin)

"Nun sei bedankt, mein lieber Schwan!"
Jess Thomas (Lohengrin)

8 dicembre 2015

Lohengrin (5) - Il sogno di Elsa

Scritto da Marisa

Invitata a discolparsi, Elsa compare trasognata e parla di un suo misterioso cavaliere difensore, visto in sogno. Il re propone un duello tra l'accusatore Federico di Telramondo e l'ipotetico campione disposto a battersi per Elsa. Dopo un drammatico momento di suspence, portato da una navicella condotta da uno splendido cigno, arriva un magnifico cavaliere in armatura argentea, che si dichiara pronto a sostenere l'innocenza di Elsa con le armi purché lei lo accetti poi come sposo senza però mai chiedergli chi sia o da dove venga. Elsa, commossa e prostrata ai suoi piedi, accetta con amore incondizionato.

Vediamo ora le principali linee guida di questa prima situazione.

Dal suo primo apparire, così trasognata e assorta, Elsa desta in tutti i presenti (e anche in noi spettatori, che attraverso la musica siamo subito catapultati nell'atmosfera quasi surreale dell'evento) una profonda impressione di empatia e pietà ("Ah! com'ella appare luminosa e pura!"). Ma ci meravigliamo altrettanto immediatamente come essa non si difenda in prima persona dall'accusa terribile di fratricidio proclamando la propria innocenza, e racconti invece il sogno in cui le si presenta, dopo tanto pregare, un luminoso cavaliere che dovrà discolparla. Perché?

Pur essendo di rango regale, evidentemente la condizione della donna non consente ad Elsa di poter affrontare alla pari le accuse di un uomo. Anche se il re in persona la sta invitando a discolparsi, sembra del tutto ovvio che il vero confronto può darsi solo tra due uomini e che il tutto dovrà decidersi col ricorso alla spada, una vittoria con le armi guidate dal giudizio divino... Elsa sembra completamente intrisa di tale mentalità, e la sua fede è tale da non tentare nemmeno una difesa individuale, rimettendo il proprio destino nelle mani di un maschile “superiore” e soccorrevole.

Ricordiamo che la storia si svolge in pieno medioevo, nel X secolo, un periodo in cui la condizione femminile è di assoluta dipendenza dal maschile, e in un contesto antropologico di recente conversione al cristianesimo. Ma qui Elsa sembra che si stacchi da tutti e dalle aspettative comuni per elevare e spostare il confronto ad un piano ancora più alto e quasi spirituale. Infatti non cerca nessun testimone che la conosce e che potrebbe garantire per lei, pur avendo tutti i sudditi dalla sua parte a giudicare dall'impressione che suscita, ma punta direttamente ad una evocazione altissima. L'asimmetria tra femminile bisognoso e maschile salvifico risulta ancor più evidente e sproporzionata.

È sicuramente molto importante, e un indizio prezioso, il fatto che Elsa non si aspetti un aiuto da un uomo qualsiasi ma da quello visto in sogno. Questo particolare ha dato adito alle interpretazioni che fanno di Elsa una povera allucinata e quindi un caso psichiatrico, una persona che è completamente fuori dalla realtà e vive solo nel suo mondo delirante, una psicotica insomma... Se invece rimaniamo più aderenti a come Wagner ci presenta la scena, possiamo osservare che nessuno prende Elsa per pazza, ma tutti restano impressionati dalla sua aria assorta, mistica e come rapita in una visione che diventa ben presto “preveggenza”, perché il cavaliere misterioso si manifesta veramente, a meno di non parlare di una psicosi collettiva... Questo ci conduce verso il riconoscimento di un mondo intrapsichico, una realtà dell'anima che opera e si rende manifesta nelle sue conseguenze anche sul piano della realtà fisica, una vera e propria corrispondenza tra interno ed esterno, microcosmo e macrocosmo...

In questo caso, ricorrendo a Jung, possiamo parlare di formazione di un Animus, l'aspetto maschile nella donna, che attraversa varie fasi di trasformazione (l'immagine del padre, del fratello e infine dell'amante e dello spirito) per confluire e dare forma a quell'ideale di uomo che ogni donna coltiva dentro di sé e che vorrebbe poi incontrare realmente. Ma c'è anche un aspetto sovrapersonale e collettivo. In tutta l'antichità ed ancora nel medioevo, a certi sogni veniva data particolare importanza, come se la divinità stessa si manifestasse attraverso essi e comunicasse con i mortali. Le chiamate vocazionali per adempiere particolari compiti assegnati da Dio stesso avvenivano attraverso i sogni, come nel caso di Samuele, risvegliato in piena notte dalla voce di Dio. Jung darà a questi sogni un significato archetipico perché si tratta di grandi sogni che coinvolgono non solo il destino personale, ma fanno da risonanza a tutto quello che confusamente si agita anche nell'inconscio deli altri e svelano delle tracce nascoste e latenti in tutta la comunità e nel suo sistema di valori. Il sogno di Elsa è sicuramente un grande sogno e rispecchia il sentimento profondo di tutti che la salvezza, individuale e collettiva (perché il disordine del regno riguarda tutta la collettività) non può che venire dall'alto, da un inviato del cielo.

Nella favola di Apuleio, Psiche non viene calunniata già dall'inizio come Elsa, ma è presentata come una fanciulla bellissima a cui tutti prestano omaggio, tanto da ingelosire Afrodite che pensa di punirla. Ed è qui che comincia il suo percorso e l'ammirazione si trasforma in espiazione. Il femminile è dunque inizialmente esaltato al massimo e il confronto parte subito tra una fanciulla e una grande dea. Elsa vive in una società ormai completamente patriarcale e deve far ricorso al suo mondo interiore, dove l'immagine di un maschile amorevole e soccorrevole vive ancora, mentre Psiche si muove in un mondo di grandi dee, dove quindi il femminile e il matriarcato hanno ancora un grande potere.

Clicca qui per il testo.

(Elsa tritt auf in einem weissen, sehr einfachen Gewande; sie verweilt eine Zeitlang im Hintergrunde; dann schreitet sie sehr langsam und mit grosser Verschämtheit der Mitte des Vordergrundes zu; Frauen, sehr einfach weiss gekleidet, folgen ihr, diese bleiben aber zunächst im Hintergrunde an der äussersten Grenze des Gerichtskreises.)

DIE MÄNNER
Seht hin! Sie naht, die hart Beklagte!
Ha! wie erscheint sie so licht und rein!
Der sie so schwer zu zeihen wagte,
wie sicher muss der Schuld er sein!

KÖNIG
Bist du es, Elsa von Brabant?
(Elsa neigt das Haupt bejahend)
Erkennst du mich als deinen Richter an?
(Elsa wendet ihr Haupt nach dem König,
blickt ihm ins Auge und bejaht dann
mit vertrauensvoller Gebärde
)
So frage ich weiter: Ist die Klage dir bekannt,
die schwer hier wider dich erhoben?
(Elsa erblickt Friedrich und Ortrud, erbebt,
neigt traurig das Haupt und bejaht
)
Was entgegnest du der Klage?

(Elsa durch eine Gebärde: "Nichts!")

KÖNIG
(lebhaft)
So bekennst du deine Schuld?

ELSA
(blickt eine Zeitlang
traurig vor sich hin
)
Mein armer Bruder!

ALLE MÄNNER
(flüsternd)
Wie wunderbar! Welch seltsames Gebaren!

KÖNIG
(ergriffen)
Sag, Elsa! Was hast du mir zu vertraun?

(Erwartungsvolles Schweigen)

ELSA
(in ruhiger Verklärung
vor sich hinblickend
)
Einsam in trüben Tagen
hab ich zu Gott gefleht,
des Herzens tiefstes Klagen
ergoss ich im Gebet. -
Da drang aus meinem Stöhnen
ein Laut so klagevoll,
der zu gewalt'gem Tönen
weit in die Lüfte schwoll: -
Ich hört ihn fernhin hallen,
bis kaum mein Ohr er traf;
mein Aug ist zugefallen,
ich sank in süssen Schlaf.

ALLE MÄNNER
(leise)
Wie sonderbar! Träumt sie? Ist sie entrückt?

KÖNIG
(als wolle er Elsa aus dem Traume wecken)
Elsa, verteid'ge dich vor dem Gericht!

(Elsas Mienen gehen von dem Ausdruck träumerischen Entrücktseins zu dem schwärmerischer Verklärung über.)

ELSA
In Lichter Waffen Scheine
ein Ritter nahte da,
so tugendlicher Reine
ich keinen noch ersah:
Ein golden Horn zur Hüften,
gelehnet auf sein Schwert, -
so trat er aus den Lüften
zu mir, der Recke wert;
mit züchtigem Gebaren
gab Tröstung er mir ein; -
des Ritters will ich wahren,
er soll mein Streiter sein!

ALLE MÄNNER
(sehr gerührt)
Bewahre uns des Himmels Huld,
dass klar wir sehen, wer hier schuld!

KÖNIG
Friedrich, du ehrenwerter Mann,
(lebhafter)
bedenke wohl, wen klagst du an?

FRIEDRICH
Mich irret nicht ihr träumerischer Mut;
(immer leidenschaftlicher)
ihr hört, sie schwärmt von einem Buhlen!
Wes ich sie zeih, des hab ich sichren Grund.
Glaubwürdig ward ihr Frevel mir bezeugt;
doch eurem Zweifel durch ein Zeugnis wehren,
das stünde wahrlich übel meinem Stolz!
Hier steh ich, hier mein Schwert! - Wer wagt von euch / zu streiten wider meiner Ehre Preis!

DIE BRABANTER
(sehr lebhaft)
Keiner von uns! Wir streiten nur für dich!

FRIEDRICH
Und, König, du! Gedenkst du meiner Dienste,
wie ich im Kampf den wilden Dänen schlug?

KÖNIG
(lebhaft)
Wie schlimm, liess ich von dir daran mich mahnen!
Gern geb ich dir der höchsten Tugend Preis;
in keiner andern Hut, als in der deinen,
möcht ich die Lande wissen. -
(Mit feierlichem Entschluss)
Gott allein
soll jetzt in dieser Sache noch entscheiden!

ALLE MÄNNER
Zum Gottesgericht! Zum Gottesgericht! Wohlan!

KÖNIG
(zieht sein Schwert und stösst
feierlich vor sich in die Erde
)
Dich frag ich, Friedrich, Graf von Telramund!
Willst du durch Kampf auf Leben und auf Tod
im Gottesgericht vertreten deine Klage?

FRIEDRICH
Ja!

KÖNIG
Und dich nun frag ich, Elsa von Brabant!
Willst du, dass hier auf Leben und auf Tod
im Gottesgericht ein Kämpe für dich streite?

ELSA
(ohne die Augen aufzuschlagen)
Ja!

KÖNIG
Wen wählest du zum Streiter?

FRIEDRICH
(hastig)
Vernehmet jetzt
den Namen ihres Buhlen!

DIE BRABANTER
Merket auf!

ELSA
(hat Stellung und schwärmerische
Miene nicht verlassen, alles blickt mit
Gespanntheit auf sie; fest
)
Des Ritters will ich wahren,
er soll mein Streiter sein!
(ohne sich umzublicken)
Hört, was dem Gottgesandten
ich biete für Gewähr: -
In meines Vaters Landen
die Krone trage er;
mich glücklich soll ich preisen,
nimmt er mein Gut dahin, -
will er Gemahl mich heissen,
geb ich ihm, was ich bin!

ALLE MÄNNER
(für sich)
Ein schöner Preis, stünd er in Gottes Hand!
Wer für ihn stritt, wohl setzt er schweres Pfand!

KÖNIG
Im Mittag hoch steht schon die Sonne:
So ist es Zeit, dass nun der Ruf ergeh!

(Der Heerrufer tritt mit den vier Heerhornbläsern vor, die er den Himmelsgegenden zugewendet an die äussersten Grenzen des Gerichtskreises vorschreiten und so den Ruf blasen lässt.)


DER HEERRUFER
Wer hier im Gotteskampf zu streiten kam
für Elsa von Brabant, der trete vor!

(Langes Stillschweigen.
Elsa, welche bisher in ununterbrochen ruhiger Haltung verweilt, zeigt entstehende Unruhe der Erwartung.
)

ALLE MÄNNER
Ohn Antwort ist der Ruf verhallt!
Um ihre Sache steht es schlecht!

FRIEDRICH
(auf Elsa deutend)
Gewahrt, ob ich sie fälschlich schalt?
Auf meiner Seite bleibt das Recht!

ELSA
(etwas näher zum König tretend)
Mein lieber König, lass dich bitten,
noch einen Ruf an meinen Ritter!
(sehr unschuldig)
Wohl weilt er fern und hört ihn nicht.

KÖNIG
(zum Heerrufer)
Noch einmal rufe zum Gericht!

(Auf das Zeichen des Heerrufers richten die Heerhornbläser sich wieder nach den vier Himmelsgegenden.)

DER HEERRUFER
Wer hier im Gotteskampf zu streiten kam
für Elsa von Brabant, der trete vor!

(Wiederum langes, gespanntes Stillschweigen)

ALLE MÄNNER
In düstrem Schweigen richtet Gott!

(Elsa sinkt zu inbrünstigem Gebet auf die Knie. Die Frauen, in Besorgnis um ihre Herrin, treten etwas näher in den Vordergrund.)

ELSA
Du trugest zu ihm meine Klage,
zu mir trat er auf dein Gebot: -
o Herr, nun meinem Ritter sage,
dass er mir helf in meiner Not!
(in wachsender Begeisterung)
Lass mich ihn sehn, wie ich ihn sah,
(mit freudig verklärter Miene)
wie ich ihn sah, sei er mir nah!

DIE FRAUEN
(kniend)
Herr! Sende Hilfe ihr!
Herr Gott, höre uns!

(Elsa entra in veste bianca molto semplice; ella indugia un certo tempo nel fondo: quindi s'avanza molto lentamente e con grande pudore verso il centro del proscenio; alcune Donne vestite molto semplicemente di bianco la seguono. Esse tuttavia rimangono dapprima nel fondo, all'estremo limite della Corte di Giustizia.)

GLI UOMINI
Guardate! Ella s'avvicina la duramente accusata!
Ah! com'ella appare luminosa e pura!
Colui che così gravemente osò accusarla,
Come sicuro dev'essere della colpa!

IL RE
Sei tu Elsa di Brabante?
(Elsa accenna affermativamente col capo)
Mi riconosci tu come tuo giudice?
(Elsa volge il capo verso il Re,
lo guarda negli occhi, quindi afferma
con gesto pieno di fiducia
)
Dunque ancora ti chiedo: conosci l'accusa,
che grave qui contro di te si leva?
(Elsa guarda Federico e Ortruda, trema,
ed afferma chinando tristemente il capo
)
Che opponi all'accusa?

(Elsa con un gesto: "niente!")

IL RE
(vivamente)
Dunque riconosci la tua colpa?

ELSA
(guarda un certo tempo
avanti a sé con tristezza
)
Mio povero fratello!

TUTTI GLI UOMINI
(sussurrando)
Quale caso meraviglioso! Quale strano contegno!

IL RE
(commosso)
Dimmi Elsa! Che hai tu a confidarmi?

(Silenzio pieno d'attesa)

ELSA
(in tranquillo rapimento,
lo sguardo fisso innanzi a sé
)
Sola, in tristi giorni,
io supplicai il Signore;
il più profondo lamento del cuore
versai nella preghiera...
Allora uscì dal mio gemito
un così alto lamento,
che in suono potente
lungi crebbe per l'aria:...
Io l'udii lontano, lontano risuonare,
finché appena lo colse il mio orecchio;
il mio occhio si chiuse,
e caddi in dolce sonno.

TUTTI GLI UOMINI
(sommessamente)
Com'è strano! Sogna? È folle?

IL RE
(come volendo svegliare Elsa dal suo sogno)
Elsa, difenditi innanzi al Giudizio!

(L'espressione del viso di Elsa passa dall'estasi sognante ad un sovrumano esaltamento)

ELSA
Nello splendore delle armi lucenti,
s'appressò un cavaliere;
di così virtuosa purezza
nessuno ancora mai vidi:
un corno d'oro ai fianchi,
poggiato sulla spada...
così m'apparve, aerea visione,
a me il valoroso eroe;
con gesto rispettoso
conforto ei m'ispirò;...
quel cavaliere io attendo,
egli sarà il mio campione!

TUTTI GLI UOMINI
(molto commossi)
A noi conceda la clemenza del cielo,
che chiaro apprendiamo, chi sia qui il colpevole!

IL RE
Federico, uomo onorando,
(più vivacemente)
pensa bene, chi accusi tu?

FEDERICO
Non m'illude il suo animo delirante;
(con sempre maggiore passione)
voi l'udite, di un drudo ella s'esalta!
Della mia accusa, fondamento sicuro io ho.
Il suo delitto mi fu provato in modo degno di fede;
Ma una testimonianza opporre al vostro dubbio,
male davvero si converrebbe al mio orgoglio!
Eccomi qui; qui è la mia spada!... Chi osa tra voi
di combattere contro la posta del mio onore?

I BRABANTINI
(con molta vivacità)
Nessuno di noi! Solo per te noi combattiamo!

FEDERICO
E tu, Re, ricordi tu dei miei servigi,
come ruppi in battaglia il selvaggio danese?

IL RE
(vivamente)
Quale torto, se io da te me lo lasciassi ricordare!
Volentieri t'accordo il premio del più alto valore;
sotto la protezione di nessun altro, meglio che sotto la tua,
vorrei sapere questi paesi...
(con decisione solenne)
Dio solo
può ormai decidere ancora in questa causa!

TUTTI GLI UOMINI
Al giudizio di Dio! Al giudizio di Dio! Su via!

IL RE
(trae la sua spada, e la conficca
solennemente entro la terra avanti a sé
)
Io ti domando, Federico di conte di Telramondo!
Vuoi tu combattendo per la vita e per la morte
sostener la tua accusa nel giudizio di Dio?

FEDERICO
Sì!

IL RE
Ed ora io ti domando, Elsa di Brabante!
Vuoi tu, che qui per la vita e per la morte
nel giudizio di Dio per te si batta un campione?

ELSA
(senza aprire gli occhi)
Sì!

IL RE
Chi scegli tu per campione?

FEDERICO
(impetuosamente)
Udite ora
il nome del suo drudo!

I BRABANTINI
Fate attenzione!

ELSA
(non ha mutato né posizione né
espressione estatica; tutti guardano
a lei ansiosamente; con fermezza
)
Il cavaliere io voglio attendere
che sarà il mio campione!
(senza guardare intorno a sé)
Udite quel che al messo di Dio
io offro qual posta:...
che nelle terre dei miei padri
egli porti corona;
felice io mi chiamerò,
s'egli prenderà ogni mio avere...
se sua consorte mi vorrà chiamare,
a lui, quale io mi sia, mi dono!

TUTTI GLI UOMINI
(tra sé)
Bel premio, se fosse nelle mani di Dio
Bene chi per esso combattesse, grave posta arrischierebbe!

IL RE
Sul mezzogiorno già alto sta il sole!
È tempo dunque che si bandisca l'appello!

(L'Araldo di guerra s'avanza coi quattro Trombettieri, che fa procedere fino agli estremi limiti della Corte di Giustizia e volge verso i punti cardinali, facendo loro suonare l'appello in cotesta posizione.)

L'ARALDO DI GUERRA
Chi qui è venuto in campo, al giudizio di Dio,
per Elsa di Brabante, fuori s'avanzi!

(Lungo silenzio.
Elsa, che fin qui ha atteso in atteggiamento costantemente tranquillo, mostra la sorgente inquietudine dell'attesa.
)

TUTTI GLI UOMINI
Senza risposta si è spento l'appello!
La causa d'Elsa sta in pericolo!

FEDERICO
(accennando ad Elsa)
Osservate s'io falsamente l'ho accusata?
Sta dalla mia parte il diritto!

ELSA
(avvicinandosi un poco al Re)
Re mio caro, lascia ch'io ti preghi,
ancora un appello al mio cavaliere!
(molto ingenuamente)
Se ne sta così lontano, e non l'ha udito!

IL RE
(all'Araldo di guerra)
Ancora una volta chiama al giudizio!

(Ad un cenno dell'Araldo di guerra, i Trombettieri si volgono nuovamente verso i quattro punti cardinali.)

L'ARALDO DI GUERRA
Chi qui è venuto in campo, al giudizio di Dio
per Elsa di Brabante, fuori s'avanzi!

(Ancora una volta lungo, ansioso silenzio)

TUTTI GLI UOMINI
In cupo silenzio giudica Iddio!

(Elsa cade in ginocchio ardentemente pregando. Le Donne, in apprensione per la loro signora, s'avvicinano alquanto al proscenio.)

ELSA
Tu a lui hai portato il mio lamento,
per il tuo comando egli apparve a me:...
o Signore, di' dunque al mio cavaliere,
ch'egli m'aiuti nel mio periglio!
(con crescente esaltazione)
Fa' ch'io lo veda, come lo vidi,
(con viso trasfigurato dalla gioia)
come io lo vidi, così mi stia vicino!

LE DONNE
(inginocchiandosi)
Signore, inviale soccorso!
Signore Iddio, ascoltaci!




dir: Claudio Abbado (1990)
Cheryl Studer (Elsa), Robert Lloyd (König Heinrich),
Hartmut Welker (Friedrich), Georg Tichy (Der Heerrufer)


"Einsam in trüben Tagen"
dir: Walter Susskind (1956)
Elisabeth Schwarzkopf (Elsa)


"Einsam in trüben Tagen"
dir: Peter Schneider (1991)
Cheryl Studer (Elsa), Manfred Schenk (König)


"Einsam in trüben Tagen"
dir: Thomas Schuback (1973)
Catarina Ligendza (Elsa)

"Einsam in trüben Tagen"
dir: Leopold Ludwig (1958)
Birgit Nilsson (Elsa)

4 dicembre 2015

Lohengrin (4) - L'accusa

Scritto da Christian

L'opera comincia nella prateria lungo le sponde del fiume Schelda, nei pressi di Anversa (l'attuale Belgio), dove il re Enrico I di Sassonia è giunto a chiedere ai nobili brabantini un aiuto militare per la sua spedizione contro le popolazioni orientali, gli Ungari, che si stanno ribellando minacciosamente all'Impero. Federico di Telramondo, reggente del ducato del Brabante, rievoca davanti al re la confusa situazione del paese: Goffredo, il legittimo erede al trono, affidato alla tutela di Federico insieme alla sorella Elsa, è scomparso; e Federico, su testimonianza della moglie Ortruda, accusa proprio Elsa di fratricidio.

Abbiamo già detto come, negli anni in cui il "Lohengrin" fu composto e immediatamente prima della sua rappresentazione, Wagner fosse particolarmente attivo nella vita politica e sociale della Germania, al punto da partecipare ai moti di Dresda del 1949 (il che gli valse una condanna e lo costrinse a un lungo esilio: ecco perché non potè essere presente alla "prima" del 1850). Dunque, anche se la trama dell'opera è di chiara impronta fiabesca e leggendaria, il contesto storico della vicenda non può essere considerato semplicemente un dettaglio. Portando sul palcoscenico la figura di Enrico I, uno dei "padri fondatori" della nazione tedesca, e dando spazio alla sua invocazione all'unità dei tedeschi per contrapporsi alle "orde dell'est", Wagner intendeva da un lato criticare Federico Guglielmo IV di Prussia, che in quegli anni, invece di pensare a unire la Germania (nel 1849 l'Assemblea di Francoforte gli offerse la corona, ma lui rifiutò!) stava invece stipulando un'alleanza con lo zar Nicola I, e dall'altro auspicare l'avvento di un nuovo sovrano interessato a promuovere l'unificazione nazionale (pensava, per esempio, al giovane re di Baviera Ludovico II, che a sua volta era un grande ammiratore della sua musica).

Clicca qui per il testo.

(Eine Aue am Ufer der Schelde bei Antwerpen: Der Fluss macht dem Hintergrund zu eine Biegung, so dass rechts durch einige Bäume der Blick auf ihn unterbrochen wird und man erst in weiterer Entfernung ihn wieder sehen kann.
Im Vordergrunde links sitzt König Heinrich unter einer mächtigen alten Gerichtseiche; ihm zunächst stehen sächsische und thüringische Grafen, Edle und Reisige, welche des Königs Heerbann bilden. Gegenüber stehen die brabantischen Grafen und Edlen, Reisige und Volk, an ihrer Spitze Friedrich von Telramund, zu dessen Seite Ortrud. Mannen und Knechte füllen die Räume im Hintergrunde. Die Mitte bildet einen offnen Kreis. Der Heerrufer des Königs und vier Hornbläser schreiten in die Mitte. Die Bläser blasen den Königsruf.
)

DER HEERRUFER
Hört! Grafen, Edle, Freie von Brabant!
Heinrich, der Deutschen König, kam zur Statt,
mit euch zu dingen nach des Reiches Recht.
Gebt ihr nun Fried und Folge dem Gebot?

DIE BRABANTER
Wir geben Fried und Folge dem Gebot!
(an die Waffen schlagend)
Willkommen, willkommen, König, in Brabant!

KÖNIG HEINRICH
(erhebt sich)
Gott grüss euch, liebe Männer von Brabant!
Nicht müssig tat zu euch ich diese Fahrt;
(sehr wichtig)
der Not des Reiches seid von mir gemahnt!
(feierliche Aufmerksamkeit)
Soll ich euch erst der Drangsal Kunde sagen,
die deutsches Land so oft aus Osten traf?
In fernster Mark hiesst Weib und Kind ihr beten:
"Herr Gott, bewahr uns vor der Ungarn Wut!"
Doch mir, des Reiches Haupt, musst es geziemen,
solch wilder Schmach ein Ende zu ersinnen;
als Kampfes Preis gewann ich Frieden auf
neun Jahr, - ihn nützt ich zu des Reiches Wehr:
beschirmte Städt und Burgen liess ich baun,
den Heerbann übte ich zum Widerstand.
Zu End ist nun die Frist, der Zins versagt, -
mit wildem Drohen rüstet sich der Feind.
Nun ist es Zeit, des Reiches Ehr zu wahren;
ob Ost, ob West, das gelte allen gleich!
Was deutsches Land heisst, stelle Kampfesscharen,
dann schmäht wohl niemand mehr das Deutsche Reich!

DIE SACHSEN UND THÜRINGER
(an die Waffen schlagend)
Wohlauf! Mit Gott für Deutschen Reiches Ehr!

KÖNIG
(hat sich wieder gesetzt)
Komm ich zu euch nun, Männer von Brabant,
zur Heeresfolg nach Mainz euch zu entbieten,
wie muss mit Schmerz und Klagen ich ersehn,
dass ohne Fürsten ihr in Zwietracht lebt!
Verwirrung, wilde Fehde wird mir kund;
drum ruf ich dich, Friedrich von Telramund!
Ich kenne dich als aller Tugend Preis,
jetzt rede, dass der Drangsal Grund ich weiss.

FRIEDRICH
(feierlich)
Dank, König, dir, dass du zu richten kamst!
Die Wahrheit künd ich, Untreu ist mir fremd -
Zum Sterben kam der Herzog von Brabant,
und meinem Schutz empfahl er seine Kinder,
Elsa, die Jungfrau, und Gottfried, den Knaben;
mit Treue pflag ich seiner grossen Jugend,
sein Leben war das Kleinod meiner Ehre.
Ermiss nun, König, meinen grimmen Schmerz,
als meiner Ehre Kleinod mir geraubt!
Lustwandelnd führte Elsa den Knaben einst
zum Wald, doch ohne ihn kehrte sie zurück;
mit falscher Sorge frug sie nach dem Bruder,
da sie, von ungefähr von ihm verirrt,
bald seine Spur - so sprach sie - nicht mehr fand.
Fruchtlos war all Bemühn um den Verlornen;
als ich mit Drohen nun in Elsa drang,
da liess in bleichem Zagen und Erbeben
der grässlichen Schuld Bekenntnis sie uns sehn.
(sehr lebhaft)
Es fasste mich Entsetzen vor der Magd;
dem Recht auf ihre Hand, vom Vater mir
verliehn, entsagt ich willig da und gern,
und nahm ein Weib, das meinem Sinn gefiel:
(Er stellt Ortrud vor,
diese verneigt sich vor dem Könige
)
Ortrud, Radbods, des Friesenfürsten, Spross.
(Er schreitet feierlich einige Schritte vor)
Nun führ ich Klage wider Elsa von
Brabant; des Brudermordes zeih ich sie.
Dies Land doch sprech ich für mich an mit Recht,
da ich der Nächste von des Herzogs Blut,
mein Weib dazu aus dem Geschlecht, das einst
auch diesen Landen seine Fürsten gab. -
Du hörst die Klage, König! Richte recht!

ALLE MÄNNER
(in feierlichem Grauen)
Ha, schwerer Schuld zeiht Telramund!
Mit Grausen werd ich der Klage kund!

KÖNIG
Welch fürchterliche Klage sprichst du aus!
Wie wäre möglich solche grosse Schuld?

FRIEDRICH
(immer heftiger)
O Herr, traumselig ist die eitle Magd,
die meine Hand voll Hochmut von sich stiess.
Geheimer Buhlschaft klag ich drum sie an:
(immer mehr einen bitter
gereizten Zustand verratend
)
Sie wähnte wohl, wenn sie des Bruders ledig,
dann könnte sie als Herrin von Brabant
mit Recht dem Lehnsmann ihre Hand verwehren,
und offen des geheimen Buhlen pflegen.

KÖNIG
(durch eine ernste Gebärde
Friedrichs Eifer unterbrechend
)
Ruft die Beklagte her!
(sehr feierlich)
Beginnen soll nun das Gericht!
Gott lass mich weise sein!

(Der Heerrufer schreitet feierlich in die Mitte)

DER HEERRUFER
Soll hier nach Recht und Macht Gericht gehalten sein?

(Der König hängt mit Feierlichkeit den Schild an der Eiche auf)

KÖNIG
Nicht eh'r soll bergen mich der Schild,
bis ich gerichtet streng und mild!

ALLE MÄNNER
(die Schwerter entblössend,
welche die Sachsen und Thüringer vor sich
in die Erde stossen, die Brabanter
flach vor sich niederstrecken
)
Nicht eh'r zur Scheide kehr das Schwert,
bis ihm durch Urteil Recht gewährt!

HEERRUFER
Wo ihr des Königs Schild gewahrt,
dort Recht durch Urteil nun erfahrt!
Drum ruf ich klagend laut und hell:
Elsa, erscheine hier zur Stell!

(Una prateria lungo la Schelda presso Anversa. Il fiume fa una curva verso il fondo, così che a destra la vista su di esso rimane interrotta da alcuni alberi, e riappare nuovamente ad una certa distanza.
Sul proscenio, a sinistra, siede Re Enrico sotto una quercia antica e poderosa, ad uso di tribunale; a lui più prossimi stanno Conti, Nobili e cavalieri sassoni e turingi, che formano il seguito guerresco del Re. Di fronte stanno i brabantini, Conti e Nobili, cavalieri e popolo, con alla loro testa Federico di Telramondo, ed al fianco di lui, Ortruda. Vassalli e servi riempiono il fondo della scena. Il centro forma un cerchio aperto. L'Araldo di guerra del Re e quattro Trombettieri suonano il saluto reale.
)

L'ARALDO DI GUERRA
Udite! Conti, nobili e uomini liberi del Brabante!
Enrico, il re tedesco, in questo luogo è venuto,
per trattar con voi secondo il diritto dell'impero.
Or promettete pace ed obbedienza al suo comando?

I BRABANTINI
Promettiamo pace ed obbedienza al suo comando!
(battendo sugli scudi)
Benvenuto, benvenuto, o Re, in Brabante!

RE ENRICO
(si alza)
Che Dio vi guardi, o cari uomini di Brabante!
Non per ozio io compii a voi questo viaggio;
(molto solenne)
del periglio dell'Impero da me siate informati!
(religiosa attenzione)
Debbo io anzitutto di quella calamità darvi novella,
che alla terra tedesca così spesso venne d'oriente?
Nella marca più lontana voi faceste donna e fanciullo pregare: / Signore Iddio, guardaci dal furore degli Ungari! / Pure a me, capo dell'Impero, necessariamente convenne
escogitare una fine ad onta sì selvaggia;
premio alla mia guerra, pace io guadagnai
per nove anni... ne profittai a difesa dell'Impero:
fortificai città, e feci costruir fortezze,
e l'oste esercitai alla resistenza.
Spirato ormai è il termine, e il tributo si nega...
e s'arma il nemico con minaccia selvaggia.
Ora è giunto il tempo di salvaguardare l'onore dell'impero; / ad oriente o ad occidente, la causa valga per tutti! / Quel che si chiama terra tedesca, levi schiere a battaglia; / allora per certo nessuno più insulterà all'Impero tedesco!

I SASSONI E I TURINGI
(battendo sugli scudi)
Avanti! Con l'aiuto di Dio, per l'onore dell'impero tedesco!

IL RE
(s'è nuovamente messo a sedere)
Io vengo ora tra voi, uomini di Brabante, / a notificarvi, che mi facciate scorta fino a Magonza.
Ma con qual dolore e lamento debbo io vedere,
che senza príncipi voi vivete in discordia!
Confusione e selvaggia contesa mi si fa manifesta;
e perciò io ti chiamo, o Federico di Telramondo!
Io ti conosco come il fiore di tutte le virtù;
parla dunque, ch'io sappia la ragione della sciagura.

FEDERICO
(con solennità)
Io ti ringrazio, o Re, d'esser venuto al giudizio!
Verità io ti manifesto, m'è lungi fellonia...
A morte venne il duca di Brabante,
ed alla mia protezione affidò i suoi figli:
Elsa, la vergine, e Goffredo il garzoncello;
fedelmente io mi curai della sua tenera giovinezza,
la sua vita era la perla del mio onore.
Misura dunque, o Re, l'aspro mio dolore,
quando la perla del mio onore mi fu rapita!
Elsa condusse un giorno il fanciullo per diletto a zonzo / nella foresta; ma senza di lui tornò.
Con finta angoscia ella chiese del fratello,
perché ella, per caso smarritasi da lui,
-così ella disse- presto di lui non aveva trovato più traccia. / Vana fu ogni ricerca del perduto.
Quando io premetti con le minaccie Elsa,
ella lasciò pallida, smarrita, tremante, / a noi intravedere la confessione della colpa orrenda.
(con molta vivacità)
Orrore mi prese di fronte alla fanciulla;
al diritto sulla sua mano, a me dal padre
trasmesso, rinunziai io allora con pronta volontà,
e tolsi moglie, quale io ne avevo talento:
(Presenta Ortruda, la quale
s'inchina davanti al Re
)
Ortruda, la nata da Radbod, il principe dei Frisii.
(Egli avanza solennemente di qualche passo)
Ora io porto accusa contro Elsa di Brabante; di fratricidio io l'accuso. / Ma anche a questa terra con diritto io pretendo / perché di sangue io sono il più congiunto al duca, / e per soprappiù è la mia donna di quella schiatta che un giorno
dette i suoi príncipi anche a questa terra.
Tu odi l'accusa, o Re! Giudica giusto!

TUTTI GLI UOMINI
(con sacro orrore)
Ah! d'un grave delitto accusa Telramondo!
Con orrore io ascolto il piato!

IL RE
Quale terribile accusa tu pronunzi mai!
Come sarebbe possibile una sì grave colpa?

FEDERICO
(con sempre maggior forza)
O Signore, rapita in sogni è la vanitosa fanciulla,
che piena d'orgoglio da sé la mia mano respinse.
E perciò io l'accuso d'un amore segreto:
(tradendo sempre più uno stato d'animo
amaramente esasperato
)
ella certo pensò, se si fosse liberata del fratello,
che avrebbe potuto, quale signora del Brabante,
con diritto rifiutare la mano al proprio vassallo,
ed apertamente godersi l'amante suo segreto.

IL RE
(interrompendo con gesto severo
l'ardore di Federico
)
Chiamate qui l'accusata!
(con molta solennità)
Senz'altro deve il giudizio incominciare!
Dio, fa' ch'io sia saggio!

(L'Araldo s'avanza solennemente verso il centro)

L'ARALDO DI GUERRA
Dev'essere qui tenuto giudizio secondo potestà e diritto?

(Il Re appende con solennità lo scudo alla quercia)

IL RE
Non mi proteggerà lo scudo, prima
che con rigore e clemenza io abbia giudicato!

TUTTI GLI UOMINI
(snudando le spade, che i Sassoni
ed i Turingi conficcano nella terra
avanti a sé, ed i Brabantini posano
di piatto sul suolo avanti a sé
)
Non torni la spada entro il fodero,
prima che per sentenza a lui si renda giustizia!

L'ARALDO DI GUERRA
Dove voi vediate lo scudo del Re,
apprendete là pure diritto per sentenza!
E perciò io chiamo accusando a voce alta e spiegata: / Elsa, qui senza indugio appaia!




dir: Claudio Abbado (1990)
Georg Tichy (Der Heerrufer), Robert Lloyd (König Heinrich), Hartmut Welker (Friedrich)


dir: Wolfgang Sawallisch (1962)
Tom Krause (Der Heerrufer), Franz Crass (König Heinrich), Ramon Vinay (Friedrich)

dir: Rudolf Kempe (1963)
Gottlob Frick (Der Heerrufer), Otto Wiener (König Heinrich), Dietrich Fischer-Dieskau (Friedrich)

1 dicembre 2015

Lohengrin (3) - Il preludio

Scritto da Christian

Il brano con cui si apre l'opera è stato anche l'ultimo ad essere completato ed orchestrato da Wagner, benché alcuni dei temi in esso presenti fossero già stati pensati dall'inizio (il tema del cigno, per esempio, compare nel terzo atto, che il compositore scrisse per primo). Insieme al coro nuziale, è probabilmente il pezzo più noto del "Lohengrin". In un saggio scritto in francese, nell'anno stesso (il 1850) in cui diresse a Weimar la prima rappresentazione dell'opera, Franz Liszt, grande amico e sostenitore di Wagner, lo descrive così: «Una specie di formula magica che, come una misteriosa iniziazione, ci prepara alla comprensione di cose inconsuete, aventi un significato che trascende la nostra vita terrena. Questa introduzione racchiude in sé e rivela l’elemento mistico sempre presente e sempre nascosto nell’opera: segreto divino, forza soprannaturale, legge suprema del destino dei personaggi».

Berlioz lo descrisse come uno chef-d’oeuvre da ammirare in ogni suo aspetto, Baudelaire vi scorse la «solitudine assoluta» e «l’immensità con il solo sfondo di se stessa», in un bagno di luce sempre più intensa. Il preludio del Lohengrin è la trasfigurazione musicale del mistico Graal, che gradualmente appare, si rivela agli uomini e ne purifica il cuore in un’atmosfera celestiale. Impressiona il sapiente crescendo che dal suono impalpabile e quasi trasparente dei violini divisi in otto parti sprofonda lentamente nel registro grave; che si arricchisce nel frattempo del timbro dei legni, che raggiunge infine il culmine nell’accecante rivelazione del Graal agli occhi dei mortali, gloriosamente enunciata dagli ottoni. Ma la visione dura un istante: senza interruzione, la musica riprende la sua ascesa verso altezze ultraterrene e sonorità eteree per spegnersi là dove ha avuto inizio, in un pianissimo quasi impercettibile dei violini. Tutto è attentamente calibrato e finalizzato a rinforzare il disegno drammaturgico, con una perfezione che è quasi matematica: il punto in cui tutta l’energia gradualmente accumulata si sprigiona è posto in modo che ciò che lo precede duri esattamente il doppio del diminuendo che segue.
(Laura Mazzagufo)


dir: Georg Solti (1994)


dir: Otto Klemperer (1970)


dir: Wilhelm Furtwangler (1954)

dir: Arturo Toscanini (1951)

La musica del preludio è stata usata a volte anche al cinema. L'esempio più celebre è quello del film di Charles Chaplin "Il grande dittatore" (1940), in cui l'attore fa la parodia di Hitler (e forse, purtroppo, ha contribuito ad associare ulteriormente nell'immaginario popolare la musica di Wagner al nazismo).


27 novembre 2015

Lohengrin (2) - Premessa

Scritto da Marisa

Quando, per la prima del 7 dicembre 2012, la Scala ha messo in scena il "Lohengrin" con la direzione di Daniel Barenboim e la regia di Claus Guth, le aspettative erano tante e piuttosto confuse, ma mai mi sarei immaginata una realizzazione così “bassa” e “brutta”. Bassa perché il regista ha fatto di tutto per abbassare il piano “alto”, quasi sovrumano-misterioso, in cui si muove l'opera; brutta (nonostante il tenore Jonas Kaufmann, bello e bravo anche!) perché esteticamente ridicola e poverissima.
Da allora mi è nato il desiderio di rivisitare questa bellissima opera di Wagner per liberarla dalla brutta patina psichiatrica che le è stata gettata addosso (a detta dello stesso regista, per il luminoso cavaliere sconosciuto si è ispirato nientemeno che alla figura di Kaspar Hauser, il povero smemorato semiselvaggio, immortalato dal film di Herzog ma pur sempre un povero disgraziato, abbruttito dall'aver vissuto in semi-animalità) e restituirla a quel mondo mitico-archetipico senza spazio e tempo che è proprio della grande arte quando si occupa delle vicende umane esemplari, senza lasciarsi intrappolare dalla cronaca e proprio per questo diventando universale e altamente significativa come “rispecchiamento” di nodi cruciali dello sviluppo psichico di tutti.

Non intendo fare un lavoro sulla musica di Wagner, perché non ne ho le competenze e sarebbe comunque assurdo voler “spiegare” la musica, ma mi occuperò del contenuto, ricordando come la scelta dei temi mitici fosse essenziale per il grande artista, che non delegava a nessuno la stesura dei libretti, a conferma di come musica e parola fossero per lui strettamente legate, e di come alla solennità e sublimità della musica non può che corrispondere altrettanta altezza di contenuto. Nei suoi “Aforismi”, Wols (musicista oltre che grande pittore e fotografo) scrive: “Le parole sono camaleonti / la musica ha il diritto di essere astratta / l'esperienza dell'inspiegabilità delle cose conduce al sogno / non spiegate la musica / non spiegate i sogni. / L'inafferrabile pervade tutto / bisogna sapere che ogni cosa fa rima”. Non spiegherò quindi la musica, e ricordando che “le parole sono camaleonti” mi aspetto che esse continuamente mi facciano brutti scherzi cambiando colore e significato sotto i miei occhi e giochino a trasformarsi anche, a seconda di chi legge, in ulteriori ed imprevisti significati... Pazienza, è il rischio che si corre sempre, non solo scrivendo, ma anche parlando: quello di essere fraintesi, distorti, ma magari anche arricchiti. Figuriamoci in un argomento così sfuggente ed ambiguo come quello che pesca nelle favole e nei miti.

Bisogna saper che ogni cosa fa rima”. Come riassumere in modo più esatto e sintetico la legge dell'Analogia, quella misteriosa concordanza e corrispondenza che lega aspetti apparentemente così lontani ad un occhio e un orecchio superficiale, ma che è alla base della possibilità di cogliere il senso (non la spiegazione!) della vita che ci scorre davanti non in modo casuale e caotico, ma legata insieme e pervasa da “quell'Amor che muove il sole e l'altre stelle”? Ecco, è solo così, tenendo presente che “Tutto è simbolo e analogia” (come dice Pessoa nel suo “Faust”), che posso accingermi ad entrare nel mondo altamente simbolico del Lohengrin e restituire ad esso quei significati che possono essere ancora validi per la nostra coscienza.
“Gli dei cacciati diventano malattie”, ha detto Jung costatando già ai suoi tempi la perdita della capacità di accedere al mondo simbolico e di saper guardare ai contenuti dell'inconscio senza lasciarsene travolgere. È quello che è avvenuto psichiatrizzando i personaggi del Lohengrin, perché si è persa la capacità di accedere al modello archetipico, assistendo a come possa influenzare il comportamento umano ma distinguendo sempre i vari piani.

Tutta la costruzione dell'opera, anche se fa riferimento a fatti e personaggi storici (il re tedesco Enrico l'Uccellatore, Goffredo di Brabante...) e collocata nell'Anversa del X secolo, si organizza intorno a una vicenda leggendaria avente come protagonista il favoloso secondo figlio di Parsifal, di cui si parla nel finale del poema di Wolfram von Eschenbach, quel Garin il loreno (dal francese antico “le loheren Garin") che diventa Lohengrin già in un poema di un anonimo del XIII secolo e poi ripreso dal poema medioevale “Le chevalier au cygne”, ma si arricchisce di riferimenti mitologici classici (soprattutto la favola di Amore e Psiche raccontata da Apuleio) e suggestioni scaturite come rispecchiamenti nel tumultuoso animo di Wagner (autore e quindi necessariamente ri-creatore del mito), che ne rendono molto complessa e polivalente la lettura.

Riassumiamo brevemente la storia narrata da Wolfram von Eschenbach. Viveva in un paese (classico inizio di ogni favola!) una figlia di re, Elsa, principessa di Brabante, tanto pura, elevata e di nobile sentire, che non voleva accogliere nessuna passione umana ed aveva già rifiutato molti illustri pretendenti, attratti dalla sua virtù, ma che sentendosi rifiutati presero ad odiarla e calunniarla finché lei decise che avrebbe accettato come marito solo quell'uno che Dio le avrebbe mandato. Un cigno appare portando il cavaliere atteso, bello e splendente di valore, che si offre come sposo, ma chiede di non essere mai interrogato sulla sua identità, pena la perdita dell'amore e di sé stesso. Elsa promette, e le nozze avvengono allietate poi anche da “leggiadri figliuoli”. Solo dopo un certo tempo Elsa non resiste alla tentazione di conoscere l'identità dello sposo misterioso, e la sua richiesta provoca la ricomparsa del cigno che porta via il cavaliere che rivela di essere Loherangrin, cavaliere del Sacro Graal, figlio di Parsifal. Partendo, lascia come prezioso segno del suo passaggio un corno, una spada e un anello. Il racconto non parla della morte per crepacuore di Elsa, ma ne rimarca moralisticamente la mancanza di parola.

Ed ecco brevemente la favola di Amore e Psiche, contenuta nelle “Metamorfosi o l'Asino d'oro” di Apuleio e che ne costituisce il nucleo centrale, ponendosi come un vero modello di iniziazione in un romanzo che a sua volta è tutto centrato sul percorso di iniziazione di Lucio, che passa dallo stato di “asino” (succube della propria libidine) a quello di sacerdote di Iside, dopo la liberazione e l'iniziazione ai sacri misteri.
Psiche è la terzogenita figlia di un Re e una Regina, che supera per virtù e per la splendida bellezza le pur bellissime sorelle, e per questo viene acclamata da tutti come una “novella Venere” e venerata (appunto) come tale, tanto che tutti si recano da lei a renderle omaggio trascurando gli altari e i templi di Venere stessa. Questa, offesa, medita la vendetta affidando al figlio Eros l'incarico di colpire Psiche con le sue frecce e farla innamorare dell'uomo più brutto e abbietto che ci sia. I genitori di Psiche, allertati da un responso di Apollo che predice come la fanciulla sia destinata a nozze non umane ma mostruose, conducono Psiche su indicazione del dio su un'alta rupe e la lasciano esposta al suo destino. Eros però, contravvenendo agli ordini della madre Venere, si innamora di Psiche e ordina a Zefiro di condurla in un palazzo bellissimo, pieno di ogni ristoro e piacevolezze, dove lui la visita ogni notte gustando insieme le delizie dell'amore, ma dandole l'assoluto divieto di cercare di conoscere il suo aspetto e il suo nome. Psiche vive la propria condizione di isolamento e di “luna di miele” con piacere, fin quando la nostalgia e il desiderio di rivedere almeno le sorelle le fanno strappare al marito il permesso di vederle. Queste, mosse da invidia, la spingono a conoscere finalmente il volto dell'amato: insinuando velenosi sospetti su di lui, le suggeriscono di ucciderlo e le lasciano una lucerna e un pugnale. Psiche, dopo un tormentoso conflitto con sé stessa, si decide ad attuare il piano delle sorelle: dopo l'amplesso notturno vorrebbe ucciderlo, ma con la lucerna scopre che accanto a lei dorme il più bello e amabile degli dei, Eros in persona. Nell'agitazione dell'emozione, la ragazza si ferisce con una freccia del dio alato, mentre una goccia di olio bollente cade dalla lucerna sulla spalla di Eros che, svegliatosi per il dolore, scappa via in volo rimproverando all'ingenua consorte la propria disobbedienza.
Disperata, Psiche (che ora è realmente innamorata perché si è ferita con la freccia del dio) lo cerca per tutta la terra e, dopo avere anche tentato il suicidio, si reca nel palazzo di Venere per sottomettersi a lei e cercare di riacquistarne i favori in vista di un possibile ritrovamento di Eros. Venere la sottopone a durissime prove (separare in una sola notte un grandissimo mucchio di semi, recuperare fiocchi di lana d'oro dal vello di montoni feroci, riempire un'ampolla di acqua da una sorgente inaccessibile), che Psiche porta a buon fine con l'aiuto di animali soccorrevoli (le formiche, un'aquila) o di elementi della natura (le canne). C'è infine la prova più difficile, che la conduce addirittura nel regno dei morti per chiedere alla Regina degli inferi, Persefone, un vasetto della sua bellezza da portare a Venere, prova che Psiche porta a buon esito con l'aiuto di un elemento costruito dall'ingegno umano: una torre (il significato simbolico degli elementi che aiutano Psiche è ampiamente trattato da Neumann). Ma nel tornare nel mondo terreno Psiche incappa in un'altra trasgressione, perché apre il vasetto per avere anche lei un po' della bellezza di Persefone, sperando così di riconquistare il fuggitivo Eros. Ma appena aperto il vasetto, cade in un sonno “mortale” e viene salvata da Eros in persona che, finalmente guarito dalla bruciatura, stava cercandola per porre fine alla separazione e alle sofferenze dell'amata. Seguono il perdono di Venere, auspicato da Giove stesso, e le nozze celesti di Eros e Psiche, che viene divinizzata. Dalla loro unione nasce una figlia che era già stata concepita prima della fatale rivelazione e che viene chiamata “Voluttà”.

La lettura di una favola così complessa è stata tentata da diversi autori, ma io rimando a chi volesse addentrarsi in essa all'opera del suddetto Erich Neumann, “Amore e Psiche. Un'interpretazione nella psicologia del profondo” (ed. Astrolabio), e a quella di James Hillman, “Il mito dell'analisi” (ed. Adelphi). Per ora basti dire che Amore e Psiche è veramente la “madre” delle fiabe più famose della nostra tradizione (Cenerentola, La Bella e la Bestia, Biancaneve...) e che costituisce il modello archetipico più completo non solo dello sviluppo del femminile, ma – dal nome stesso della protagonista – di tutta la psiche umana e del suo lavoro per passare da una fase di inconsapevole godimento dell'istinto tout-court ad una più matura e sofferta “consapevolezza” dell'amore come sentimento individuativo.

Vedremo nel corso del lavoro sul Lohengrin le analogie (soprattutto il tema dell'amante sconosciuto) e le differenze con questa favola fondamentale, e soprattutto cercheremo di capire il nodo del diverso destino di Elsa rispetto alla felice conclusione delle sofferenze di Psiche.