30 marzo 2016

La Bohème (8) - "Mi chiamano Mimì"

Scritto da Christian

Rodolfo aveva concluso la propria aria con un invito a Mimì di presentarsi a sua volta. E dopo un'invocazione talmente accorata e suadente, è naturalmente impossibile rifiutare. Così la ragazza, nonostante la (finta?) timidezza e un'iniziale titubanza, si racconta, a cominciare dal nome ("Mi chiamano Mimì, ma il mio nome è Lucia") e dall'impiego (ricamatrice di fiori di tessuto: "gaia fioraia" la presenterà più tardi Rodolfo agli amici). Come già detto, questa coppia di brani rappresenta due dei rari casi, all'interno de "La Boheme", in cui la struttura musicale "a continuazione" lascia il posto ad arie soliste più tradizionali, che come tali possono essere facilmente estrapolate dal resto della partitura (vengono spesso eseguite in concerti o recital). Anche in questo caso, il testo vola poeticamente dalla più semplice e prosaica quotidianità a slanci lirici che scavano nell'anima del personaggio e ne portano in superficie sentimenti e passioni senza filtri di alcun tipo. E la musica non è da meno, accompagnando le parole con una dolce melodia che in certi momenti prende ritmo e in altri rallenta, come per seguire le emozioni stesse del momento.

Più sfaccettata la struttura dell’aria di Mimì, la cui frase iniziale era stata anticipata dai clarinetti nel momento in cui la ragazza aveva bussato alla porta. Anche questa importante melodia nasce quindi in orchestra e viene poi ripresa dal soprano, per poi divenire l’elemento di sutura fra le diverse sezioni dell’assolo, in guisa di una forma di rondò. Puccini la fa intonare sempre sulla nona di dominante di Fa, prima di adagiarla sulla dominante della tonalità d’impianto, Re maggiore. Un tocco d’eccentricità che conferisce il necessario rilievo al Leitmotiv della protagonista, isolandolo dal contesto dei buoni sentimenti professati sommessamente nelle varie sezioni, in cui Mimì racconta di sé e delle proprie inclinazioni, facendo riferimento a degli oggetti: «a tela e a seta» ricama «in casa e fuori», per svagarsi fa «gigli e rose», e soprattutto le «piaccion quelle cose che han sì dolce malia», una sezione a cui risponde l’analoga «Germoglia in un vaso una rosa» (ed entrambe ancorano saldamente la ragazza alla vita di tutti i giorni, fatta di persone e oggetti, un tema, questo, capitale dell’opera di Puccini). La melodia che ricorda la sua inclinazione a trasfigurare nella fantasia la realtà, elevandola al rango di ideale, verrà ribadita alla fine dell’assolo e tornerà molte volte nel corso dell’opera, in particolare pochi istanti dopo la sua morte, quasi come un laico segno della fine, un sereno ritorno al mondo delle cose inanimate. «Sola mi fo» è un fugace stacco gaio, mentre nel momento culminante, «Ma quando vien lo sgelo», la voce prende, per contrasto, uno slancio lirico indimenticabile. Tutte le sezioni dell’aria che identificano un particolare lato del carattere di Mimì verranno riprese nei quadri terzo e quarto con la semplice funzione di dolorosa reminiscenza della vita quotidiana, mentre al Leitmotiv spetterà l’ingrato compito di mostrarci il suo progressivo cambiamento, dovuto all’implacabile incedere della malattia.
(Michele Girardi)

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MIMÌ
(È un po' titubante, poi si decide a parlare; sempre seduta.)
Sì.
Mi chiamano Mimì,
ma il mio nome è Lucia.
La storia mia è breve. A tela o a seta
ricamo in casa e fuori...
Son tranquilla e lieta
ed è mio svago far gigli e rose.
Mi piaccion quelle cose
che han sì dolce malìa,
che parlano d'amor, di primavere,
che parlano di sogni e di chimere,
quelle cose che han nome poesia...
Lei m'intende?

RODOLFO
(commosso)
Sì.

MIMÌ
Mi chiamano Mimì,
il perché non so.
Sola, mi fo il pranzo da me stessa.
Non vado sempre a messa,
ma prego assai il Signore.
Vivo sola, soletta
là in una bianca cameretta:
guardo sui tetti e in cielo.
Ma quando vien lo sgelo
il primo sole è mio,
il primo bacio dell'aprile è mio!
Germoglia in un vaso una rosa...
Foglia a foglia la spio!
Cosi gentile
il profumo d'un fiore!
Ma i fior ch'io faccio, ahimè! non hanno odore.
Altro di me non le saprei narrare.
Sono la sua vicina
che la vien fuori d'ora a importunare.




Mirella Freni
dir: Herbert von Karajan (1965)


Renata Tebaldi


Renata Scotto


Anna Netrebko


Angela Gheorghiu


Teresa Stratas

Maria Callas



versione per piano (John Bayless)

25 marzo 2016

La Bohème (7) - "Che gelida manina"

Scritto da Christian

L'aria più celebre de "La Bohème", e una delle più celebri di tutto il teatro lirico, fa parte di una coppia di brani con cui Rodolfo e Mimì si descrivono l'uno all'altra (la seconda, che segue immediatamente dopo, è "Mi chiamano Mimì"). Qui Puccini sembra abbandonare per un attimo la struttura "wagneriana", ovvero a continuazione, su cui ha impostato l'intera opera, per dare ai due interpreti principali – il tenore e il soprano – l'occasione di esibirsi in un numero solistico (e guadagnarsi così gli applausi del pubblico). Naturalmente, anche se in entrambi i casi i personaggi parlano di sé stessi, in realtà si tratta di due arie d'amore. Rodolfo e Mimì si sono appena incontrati, non si conoscono ancora, ma già hanno intuito di essere destinati a stare insieme.

L'episodio della candela spenta e della chiave smarrita è "galeotto", ha permesso alle mani dei due di entrare in contatto, e Rodolfo ne approfitta per commentare come quella di Mimì sia "gelida", e dunque di volerla riscaldare con la propria. La sua indole di poeta, poi, si svela immediatamente nel riferimento alla luna, che dona l'atmosfera perfetta alla situazione. E infine, "in due parole", le chiede il permesso di presentarsi, senza tacere – con franchezza e onestà, ma abbellendole con l'arte della parola – le proprie difficoltà economiche (d'altronde già evidenti dalla povertà della soffitta in cui vive) e la propria inclinazione per le avventure galanti. Apparentemente semplice sotto l'aspetto musicale, in realtà l'aria presenta alcune difficoltà per il tenore, dal fraseggio nei cambi di registro ai numerosi acuti (fra cui il Do di petto conclusivo sulla parola "speranza").

«Che gelida manina» è un brano da sempre prediletto dai tenori, per ragioni che vanno ricercate nel particolare carattere che ha assunto nel tempo: quello di prototipo dell’aria sentimentale, recepita come l’aria d’amore per antonomasia da ogni tipo di pubblico. Questa universalità le deriva dalla sua apparente semplicità: il tono in cui Rodolfo si rivolge a Mimì è discorsivo, e in questo tessuto s’innestano estesi frammenti lirici, basati sull’uso di semplici metafore del parlare quotidiano, accessibili a tutti.
(Michele Girardi)

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RODOLFO
(tenendo la mano di Mimì, con voce piena di emozione)
Che gelida manina!
Se la lasci riscaldar.
Cercar che giova? Al buio non si trova.
Ma per fortuna è una notte di luna,
e qui la luna l'abbiamo vicina.
Aspetti, signorina,
le dirò con due parole
chi son, che faccio e come vivo. Vuole?
(Mimì tace: Rodolfo lascia la mano di Mimì, la quale indietreggiando trova una sedia sulla quale si lascia quasi cadere affranta dall'emozione.)
Chi son? Sono un poeta.
Che cosa faccio? Scrivo.
E come vivo? Vivo.
In povertà mia lieta
scialo da gran signore
rime ed inni d'amore.
Per sogni, per chimere
e per castelli in aria
l'anima ho milionaria.
Talor dal mio forziere
ruban tutti i gioielli
due ladri: gli occhi belli.
V'entrar con voi pur ora
ed i miei sogni usati
ed i bei sogni miei
tosto si dileguar.
Ma il furto non m'accora,
poiché v'ha preso stanza
la speranza!
Or che mi conoscete,
parlate voi.
Deh, parlate, chi siete?
Vi piaccia dir?




Luciano Pavarotti
dir: James Levine (1977)


Giuseppe Di Stefano


Roberto Alagna


Carlo Bergonzi


Gianni Raimondi


Josè Carreras

Marcelo Álvarez

21 marzo 2016

La Bohème (6) - L'incontro

Scritto da Christian

"Cinque minuti. Conosco il mestiere", aveva detto Rodolfo agli amici, rassicurandoli che non avrebbe tardato a raggiungerli al caffé: e invece la stesura dell'articolo di fondo per la rivista di cui è redattore non gli riesce rapida come pensava. "Non sono in vena", dice a sé stesso, distratto forse da un presentimento. Nella soffitta, infatti, ecco che si presenta una visione angelica. "Una donna!", esclama stupito quando Mimì bussa timidamente all'uscio. Si tratta dell'inquilina del piano di sotto, una giovane ricamatrice (si presenterà poi) giunta lì perché le si è spento il lume, ossia il candeliere, e non ha il fuoco per riaccenderlo. Anche lei, come i nostri quattro artisti, è povera e sta soffrendo il freddo in questa gelida vigilia di Natale.

Rodolfo, naturalmente, fa il galante: non solo le riaccende il candeliere ma la invita a stare vicino al fuoco e le offre un po' di vino ("Poco, poco", dice lei): anche perché la ragazza sembra debole e malata. Il breve incontro pare destinato a conclusione, e Mimì si sta dirigendo di nuovo verso il piano di sotto, quando si accorge di aver smarrito la chiave di casa, cadutale sul pavimento della soffitta. E subito dopo, sia il suo candeliere sia il lume di Rodolfo si spengono per un soffio di vento, lasciando la camera nell'oscurità. Non sono pochi gli allestimenti scenici, naturalmente, che giocano sull'ambiguità di tali coincidenze, suggerendo che sia la perdita della chiave che lo spegnimento delle candele siano "provocati" ad arte dagli stessi personaggi per avere un'occasione di conoscersi meglio!

Schermandosi a parole con forma e cortesia ("Importuna è la vicina...", "Cosa dice, ma le pare!") e brancolando nel buio, Rodolfo e Mimì a tastoni cercano la chiave di lei sul pavimento. A rinvenirla è il poeta, che però se la nasconde in tasca e finge di non averla ancora trovata. E ne approfitta per avvicinarsi alla ragazza, finché le mani non si incontrano. Il resto... sarà storia. Da notare che, nel romanzo di Murger, l'episodio della candela spenta e della chiave smarrita non riguardava Mimì ma Francine, personaggio che Puccini e i suoi librettisti fonderanno con il primo per dare vita a una figura più completa. La musica è articolata in una successione di sezioni che esprimono ciascuna un diverso stato d'animo, spesso ambivalente, da parte dei due personaggi. Più un recitativo che un vero duetto, tutta la scena è propedeutica ai due grandi numeri solistici che seguono, in cui Rodolfo e Mimì si presentano a vicenda.

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(Rodolfo si interrompe, pensa, ritorna a scrivere, s'inquieta, distrugge lo scritto e getta via la penna.)

RODOLFO
(sfiduciato)
Non sono in vena.
(Si bussa timidamente all'uscio.)
Chi è là?

MIMÌ
(di fuori)
Scusi.

RODOLFO
(alzandosi)
Una donna!

MIMÌ
Di grazia, mi si è spento il lume.

RODOLFO
(corre ad aprire)
Ecco.

MIMÌ
(sull'uscio, con un lume spento in mano ed una chiave)
Vorrebbe... ?

RODOLFO
S'accomodi un momento.

MIMÌ
Non occorre.

RODOLFO
(insistendo)
La prego, entri.

(Mimì entra, ma subito è presa da soffocazione.)

RODOLFO
(premuroso)
Si sente male?

MIMÌ
No... nulla.

RODOLFO
Impallidisce!

MIMÌ
(presa da tosse)
Il respir... Quelle scale...
(Sviene, e Rodolfo è appena a tempo di sorreggerla ed adagiarla su di una sedia, mentre dalle mani di Mimì cadono candeliere e chiave.)

RODOLFO
(imbarazzato)
Ed ora come faccio?...
(va a prendere dell'acqua e ne spruzza il viso di Mimì)
Così!
(guardandola con grande interesse)
Che viso da malata!
(Mimì rinviene)
Si sente meglio?

MIMÌ
(con un filo di voce)
Sì.

RODOLFO
Qui c'è tanto freddo. Segga vicino al fuoco.
(Mimì fa cenno di no.)
Aspetti.. un po' di vino...

MIMÌ
Grazie...

RODOLFO
(le dà il bicchiere e le versa da bere)
A lei.

MIMÌ
Poco, poco.

RODOLFO
Così?

MIMÌ
Grazie.
(beve)

RODOLFO
(ammirandola)
(Che bella bambina!)

MIMÌ
(levandosi, cerca il suo candeliere)
Ora permetta
che accenda il lume. È tutto passato.

RODOLFO
Tanta fretta?

MIMÌ
Sì.

(Rodolfo scorge a terra il candeliere, lo raccoglie, accende e lo consegna a Mimì senza far parola.)

MIMÌ
Grazie. Buona sera.
(s'avvia per uscire)

RODOLFO
(l'accompagna fino all'uscio)
Buona sera.
(ritorna subito al lavoro)

MIMÌ
(esce, poi riappare sull'uscio che rimane aperto)
Oh! sventata!
La chiave della stanza
dove l'ho lasciata?

RODOLFO
Non stia sull'uscio; il lume vacilla al vento.
(Il lume di Mimì si spegne.)

MIMÌ
Oh Dio! Torni ad accenderlo.

RODOLFO
(accorre colla sua candela per riaccendere quella di Mimì, ma avvicinandosi alla porta anche il suo lume si spegne e la camera rimane buia)
Oh Dio!... Anche il mio s'è spento!

MIMÌ
(avanzandosi a tentoni, incontra il tavolo e vi depone il suo candeliere)
E la chiave ove sarà?...

RODOLFO
(i trova presso la porta e la chiude)
Buio pesto!

MIMÌ
Disgraziata!

RODOLFO
Ove sarà?

MIMÌ
Importuna è la vicina...

RODOLFO
(si volge dalla parte ove ode la voce di Mimì)
Ma le pare?...

MIMÌ
(ripete con grazia, avanzandosi ancora cautamente)
Importuna è la vicina...
(cerca la chiave sul pavimento, strisciando i piedi)

RODOLFO
Cosa dice, ma le pare!

MIMÌ
Cerchi.

RODOLFO
Cerco.
(Urta nel tavolo, vi depone il suo candeliere e si mette a cercare la chiave brancicando le mani sul pavimento.)

MIMÌ
Ove sarà?...

RODOLFO
(Trova la chiave e lascia sfuggire una esclamazione, poi subito pentito mette la chiave in tasca.)
Ah!

MIMÌ
L'ha trovata?...

RODOLFO
No!

MIMÌ
Mi parve...

RODOLFO
In verità...

MIMÌ
(cerca a tastoni)
Cerca?

RODOLFO
Cerco!
(Finge di cercare, ma guidato dalla voce e dai passi di Mimì, tenta di avvicinarsi ad essa che, china a terra, cerca sempre tastoni: in questo momento Rodolfo si è avvicinato ed abbassandosi esso pure, la sua mano incontra quella di Mimì.)

MIMÌ
(sorpresa)
Ah!




Gianni Raimondi (Rodolfo), Mirella Freni (Mimì)
dir: Herbert von Karajan (1965)


Luciano Pavarotti (Rodolfo), Renata Scotto (Mimì)
dir: James Levine (1977)


Rolando Villazón, Anna Netrebko (2009)

Beniamino Gigli, Licia Albanese (1938)

18 marzo 2016

La Bohème (5) - Benoît

Scritto da Christian

La scenetta con il signor Benoît, che si presenta inatteso per esigere dai nostri amici l'affitto arretrato, rivela l'originale natura episodica dei racconti di Murger da cui è tratto il libretto. La quotidianità e le difficoltà della vita si stemperano in trovate comiche, e il tutto contribuisce alla rappresentazione a tutto tondo dell'ambiente e alla caratterizzazione dei personaggi dell'opera, ai quali lo spettatore non può che affezionarsi momento dopo momento. L'improvviso giungere dell'anziano padrone di casa, proprio mentre i quattro artisti stavano per uscire a godersi le delizie del Quartiere Latino alla vigilia di Natale, li mette di fronte a un dilemma: usare il denaro miracolosamente racimolato da Schaunard per pagare immediatamente l'affitto, oppure conservarlo – come intendevano fare – in previsione di tempi più difficili?

Il primo impulso è quello di negare, contro ogni evidenza, persino la propria presenza in casa ("Non c'è nessuno!", grida comicamente Colline). Ma poi, con gran prontezza di spirito, Marcello ha la pensata giusta: fa accomodare in casa il vecchio Benoît, gli fa balenare dinnanzi agli occhi la prospettiva di essere finalmente pagato, e lo invita a restare per un momento in loro compagnia, per un brindisi e quattro chiacchiere. Il discorso, naturalmente, volge subito sul tema del gentil sesso, con i quattro giovani che lusingano, fingendo complicità, le arti "seduttive" del vecchio padrone di casa. Il tutto per condurlo fino al momento in cui questi si lascia sfuggire di essere sposato. A quel punto, i quattro si fingono scandalizzati dalla sua "immoralità" ("Quest'uomo ha moglie / e voglie sconce nel cuor! / E ammorba, e appesta / la nostra onesta magion!"), cogliendo l'occasione per sbatterlo fuori dalla soffitta. Naturalmente senza il denaro dell'affitto!

Il successivo episodio di Benoît presenta i quattro finalmente riuniti nel risolvere uno scottante corollario al problema della povertà, il pagamento dell’affitto arretrato. Anche qui si alternano due temi, la melodia in guisa di filastrocca con cui gli amici invitano al brindisi il loro padrone di casa, a sua volta descritto da un motivetto in minore, poco più di una cellula caratterizzata da una figura puntata. La frase in do con cui Marcello inizia a raggirare l’indesiderato ospite («Dica: quant’anni ha»), pur se detta con marcata intenzione ironica, ha un fondo di malinconica verità, e l’amaro sapore di una nostalgica meditazione sugli anni che passano, più forte degli appetiti sessuali del grottesco Benoît, il quale pensa che le donne magre siano solo «sopracapi».
(Michele Girardi)
Risolto il "problema", Rodolfo, Colline e Schaunard si preparano ad avviarsi al caffé Momus, loro abituale ritrovo. Colline, per l'occasione, progetta addirittura una visita al barbiere. Rodolfo, invece, spiega loro che si tratterrà in casa ancora qualche minuto, e che li raggiungerà più tardi. Deve infatti terminare di scrivere un articolo per il giornale al quale collabora, "Il castoro" (la scelta del titolo dimostra la fedeltà dei librettisti a certi dettagli dei racconti di Murger, dove la rivista in questione si chiamava infatti “Le Castor”). I tre amici escono fuori scena, le loro voci risuonano dietro le quinte con gli ultimi scherzi e battibecchi, lasciando Rodolfo solo sul palco, pronto per il fatidico arrivo di Mimì.

Clicca qui per il testo.

(Rodolfo chiude la porta a chiave, poi tutti vanno intorno al tavolo e versano il vino. Si bussa alla porta: s'arrestano stupefatti.)

BENOÎT
(di fuori)
Si può?

MARCELLO
Chi è là?

BENOÎT
Benoît!

MARCELLO
Il padrone di casa!
(Depongono i bicchieri.)

SCHAUNARD
Uscio sul muso.

COLLINE
(grida)
Non c'è nessuno!

SCHAUNARD
È chiuso!

BENOÎT
Una parola.

SCHAUNARD
(Dopo essersi consultato cogli altri, va ad aprire.)
Sola!

BENOÎT
(Entra sorridente: vede Marcello e mostrandogli una carta dice:)
Affitto!

MARCELLO
(ricevendolo con grande cordialità)
Olà!
Date una sedia.

RODOLFO
Presto.

BENOÎT
(schermendosi)
Non occorre. Vorrei...

SCHAUNARD
(Insistendo con dolce violenza, lo fa sedere.)
Segga.

MARCELLO
Vuol bere?
(Gli versa del vino).

BENOÎT
Grazie.

RODOLFO E COLLINE
Tocchiamo.

(Tutti bevono. Benoît, Rodolfo, Marcello e Schaunard seduti, Colline in piedi. Benoît depone il bicchiere e si rivolge a Marcello mostrandogli la carta.)

BENOÎT
Questo è l'ultimo trimestre.

MARCELLO
(con ingenuità)
Ne ho piacere.

BENOÎT
E quindi...

SCHAUNARD
(interrompendolo)
Ancora un sorso.
(Riempie i bicchieri.)

BENOÎT
Grazie.

I QUATTRO
(toccando con Benoît)
Alla sua salute!

(Si siedono e bevono. Colline va a prendere lo sgabello presso il cavalletto e si siede anche lui.)

BENOÎT
(riprendendo con Marcello)
A lei ne vengo
perché il trimestre scorso
mi promise...

MARCELLO
(mostrando a Benoît gli scudi che sono sul tavolo)
Promisi ed or mantengo.

RODOLFO
(con stupore, piano a Marcello)
Che fai?...

SCHAUNARD
(come sopra)
Sei pazzo?

MARCELLO
(a Benoît, senza badare ai due)
Ha visto? Or via,
resti un momento in nostra compagnia.
Dica: quant'anni ha,
caro signor Benoît?

BENOÎT
Gli anni?... Per carità!

RODOLFO
Su e giù la nostra età.

BENOÎT
(protestando)
Di più, molto di più.

(Mentre fanno chiacchierare Benoît, gli riempiono il bicchiere appena egli l'ha vuotato.)

COLLINE
Ha detto su e giù.

MARCELLO
(abbassando la voce e con tono di furberia)
L'altra sera al Mabil...

BENOÎT
(inquieto)
Eh?!

MARCELLO
L'hanno colto
in peccato d'amore.

BENOÎT
Io?

MARCELLO
Neghi.

BENOÎT
Un caso.

MARCELLO
(lusingandolo)
Bella donna!

BENOÎT
(mezzo brillo, con subito moto)
Ah! molto.

SCHAUNARD
(Gli batte una mano sulla spalla.)
Briccone!

COLLINE
Seduttore!
(Fa lo stesso sull'altra spalla.)

RODOLFO
Briccone!

MARCELLO
(magnificando)
Una quercia!... un cannone!
Il crin ricciuto e fulvo.

RODOLFO
L'uomo ha buon gusto.

MARCELLO
Ei gongolava arzillo, pettoruto.

BENOÎT
(ringalluzzito)
Son vecchio, ma robusto.

COLLINE, SCHAUNARD E RODOLFO
(con gravità ironica)
Ei gongolava arzuto e pettorillo.

MARCELLO
E a lui cedea la femminil virtù.

BENOÎT
(in piena confidenza)
Timido in gioventù,
ora me ne ripago... È uno svago
qualche donnetta allegra... e... un po'...
(accenna a forme accentuate)
Non dico una balena,
o un mappamondo,
o un viso tondo
da luna piena,
ma magra, proprio magra, no e poi no!
Le donne magre sono grattacapi
e spesso... sopraccapi...
e son piene di doglie,
per esempio... mia moglie...

(Marcello dà un pugno sulla tavola e si alza: gli altri lo imitano: Benoît li guarda sbalordito.)

MARCELLO
(con forza)
Quest'uomo ha moglie
e sconce voglie
ha nel cor!

GLI ALTRI
Orror!

RODOLFO
E ammorba, e appesta
la nostra onesta
magion!

GLI ALTRI
Fuor!

MARCELLO
Si abbruci dello zucchero.

COLLINE
Si discacci il reprobo.

SCHAUNARD
(maestoso)
È la morale offesa che vi scaccia!

BENOÎT
(allibito, tenta inutilmente di parlare)
Io di...

RODOLFO E COLLINE
(Circondano Benoît sospingendolo verso la porta.)
Silenzio!

BENOÎT
(sempre più sbalordito)
Miei signori...

TUTTI
Silenzio! ...
(spingendo Benoît fuori dalla porta)
Via signore! Via di qua!
(sulla porta guardando verso il pianerottolo sulla scala)
...e buona sera a Vostra signoria.
(ritornando nel mezzo della scena, ridendo)
Ah! ah! ah! ah!

MARCELLO
(chiudendo l'uscio)
Ho pagato il trimestre.

SCHAUNARD
Al Quartiere Latino ci attende Momus.

MARCELLO
Viva chi spende!

SCHAUNARD
Dividiamo il bottino!

RODOLFO E SCHAUNARD
Dividiam!

(Si dividono gli scudi rimasti sul tavolo.)

MARCELLO
(presentando uno specchio rotto a Colline)
Là ci sono beltà scese dal cielo.
Or che sei ricco, bada alla decenza!
Orso, ravviati il pelo.

COLLINE
Farò la conoscenza
la prima volta d'un barbitonsore.
Guidatemi al ridicolo
oltraggio d'un rasoio.

MARCELLO, SCHAUNARD E COLLINE
Andiamo.

RODOLFO
Io resto
per terminar l'articolo
di fondo del "Castoro".

MARCELLO
Fa presto.

RODOLFO
Cinque minuti. Conosco il mestiere.

COLLINE
Ti aspetterem dabbasso dal portiere.

MARCELLO
Se tardi, udrai che coro!

RODOLFO
Cinque minuti.
(Prende un lume ed apre l'uscio: Marcello, Schaunard e Colline escono e scendono la scala.)

SCHAUNARD
(uscendo)
Taglia corta la coda al tuo Castoro!

MARCELLO
(di fuori)
Occhio alla scala. Tienti
alla ringhiera.

RODOLFO
(sul pianerottolo, presso l'uscio aperto, alzando il lume)
Adagio!

COLLINE
(di fuori)
È buio pesto.

(Le voci di Marcello, Schaunard e Colline si fanno sempre più lontane.)

SCHAUNARD
Maledetto portier!

(Rumore d'uno che ruzzola).

COLLINE
Accidenti!

RODOLFO
(sull'uscio)
Colline, sei morto?

COLLINE
(lontano, dal basso della scala)
Non ancor!

MARCELLO
(più lontano)
Vien presto!

(Rodolfo chiude l'uscio, depone il lume, sgombra un angolo del tavolo, vi colloca calamaio e carta, poi siede e si mette a scrivere dopo aver spento l'altro lume rimasto acceso.)




Italo Tajo (Benoît),
Ingvar Wixell, Luciano Pavarotti, Paul Plishka, Allan Monk
dir: James Levine (1977)


Alfredo Mariotti

Salvatore Salvaggio

15 marzo 2016

La Bohème (4) - Schaunard e il pappagallo

Scritto da Christian

Nel momento più disperato, proprio quando l'ultima scintilla di fuoco si spegne nel camino, ecco arrivare a sorpresa l'ultimo membro del quartetto di artisti, il musicista Schaunard, che reca "provviste di cibi, bottiglie di vino, sigari" e pure "un fascio di legna". Gli amici, stupefatti e increduli per tante dovizie, dubitano persino di quello che vedono ("Son pezzi di latta!", esclama Marcello di fronte alle monete d'argento che Schaunard dispensa loro con malcelato orgoglio) ma si rendono presto conto che è tutto vero. E cominciano a buttar legna nel caminetto e a disporre i cibi e il vino sulla tavola, pronti a bere e a mangiare, incuranti delle parole del musicista che vorrebbe spiegar loro come ha potuto entrare in possesso di quella piccola fortuna.

Il bizzarro racconto di Schaunard, che sembra quasi una barzelletta (o uno sketch dei Monty Python!), si dipana dunque mentre sullo sfondo gli amici non gli prestano la minima attenzione. Per la cronaca, il denaro gli è stato dato da un ricco lord inglese che lo aveva assunto in qualità di musicista: non per prendere lezioni, però, bensì per suonare fino a quando il pappagallo del piano di sopra, che evidentemente infastidiva il signorotto con il suo vociare, non sarebbe caduto morto! Dopo tre giorni di tentativi inutili, Schaunard raggiunge l'obiettivo con una scorciatoia: sedotta la cameriera dell'appartamento soprastante, vi si introduce e avvelena il volatile ("Un poco di prezzemolo... Da Socrate morì").

Dopo un moto di stizza per non essere stato ascoltato ("Che il diavolo vi porti tutti quanti!"), Schaunard invita gli amici a non consumare le cibarie appena portate, conservandole per altri momenti. La vigilia di Natale, afferma, va celebrata all'aperto, nei locali e nelle strade del Quartiere Latino (ovvero la zona di Parigi che si estende attorno alla Sorbona, da Saint-Germain-des-Prés ai Giardini del Lussemburgo: il suo nome nasce dal fatto che sin dal medioevo, essendo sede di scuole e università, vi si sentiva spesso riecheggiare la lingua latina). "Un po’ di religione, o miei signori: / si beva in casa, ma si pranzi fuori", declama, mescolando comicamente sacro e profano. Si noti come il tema musicale sul quale Schaunard decanta le virtù del Quartiere Latino tornerà, in veste di fanfara, all'inizio del secondo quadro, quando i personaggi si tufferanno effettivamente in quelle strade.

Clicca qui per il testo.

(Dalla porta di mezzo entrano due garzoni, portando l'uno provviste di cibi, bottiglie di vino, sigari, e l'altro un fascio di legna. Al rumore, i tre innanzi al camino si volgono e con grida di meraviglia si slanciano sulle provviste portate dal garzone e le depongono sul tavolo. Colline prende la legna e la porta presso il caminetto: comincia a far sera.)

RODOLFO
Legna!

MARCELLO
Sigari!

COLLINE
Bordò!

TUTTI
Le dovizie d'una fiera
il destin ci destinò.

(I garzoni partono.)

SCHAUNARD
(Entra dalla porta di mezzo con aria di trionfo, gettando a terra alcuni scudi.)
La Banca di Francia
per voi si sbilancia.

COLLINE
(raccattando gli scudi insieme a Rodolfo e Marcello)
Raccatta, raccatta!

MARCELLO
(incredulo)
Son pezzi di latta!...

SCHAUNARD
(mostrandogli uno scudo)
Sei sordo?... Sei lippo?
Quest'uomo chi è?

RODOLFO
(inchinandosi)
Luigi Filippo!
M'inchino al mio Re!

TUTTI
Sta Luigi Filippo ai nostri pie'

(Depongono gli scudi sul tavolo. Schaunard vorrebbe raccontare la sua fortuna, ma gli altri non lo ascoltano: vanno e vengono affaccendati disponendo ogni cosa sul tavolo.)

SCHAUNARD
Or vi dirò: quest'oro, o meglio argento,
ha la sua brava storia...

MARCELLO
(ponendo la legna nel camino)
Riscaldiamo il camino!

COLLINE
Tanto freddo ha sofferto.

SCHAUNARD
Un inglese... un signor... lord o milord
che sia, voleva un musicista...

MARCELLO
(gettando via il pacco di libri di Colline dal tavolo)
Via! Prepariamo la tavola!

SCHAUNARD
Io? volo!

RODOLFO
L'esca dov'è?

COLLINE
Là.

MARCELLO
Qua.
(Accendono un gran fuoco nel camino.)

SCHAUNARD
E mi presento.
M'accetta: gli domando...

COLLINE
(mettendo a posto le vivande)
Arrosto freddo!

MARCELLO
(mentre Rodolfo accende l'altra candela)
Pasticcio dolce!

SCHAUNARD
A quando le lezioni?...
Risponde: «Incominciam...
Guardare!» (e un pappagallo m'addita al primo piano),
poi soggiunge: «Voi suonare
finché quello morire!».

RODOLFO
Fulgida folgori la sala splendida.

MARCELLO
(mette le due candele sul tavolo)
Or le candele!

SCHAUNARD
E fu così:
Suonai tre lunghi dì...
Allora usai l'incanto
di mia presenza bella...
Affascinai l'ancella...

COLLINE
Pasticcio dolce!

MARCELLO
Mangiar senza tovaglia?

RODOLFO
(levando di tasca un giornale e spiegandolo)
Un'idea...

COLLINE E MARCELLO
Il «Costituzional!»

RODOLFO
Ottima carta...
Si mangia e si divora un'appendice!

SCHAUNARD
Gli propinai prezzemolo!...
Lorito allargò l'ali,
Lorito il becco aprì...
(vedendo che nessuno gli bada, afferra Colline che gli passa vicino con un piatto)
Un poco di prezzemolo,
da Socrate morì!

COLLINE
Chi?!...

SCHAUNARD
(urlando indispettito)
Che il diavolo vi porti tutti quanti!
(vedendoli in atto di mettersi a mangiare il pasticcio freddo)
Ed or che fate?
(con gesto solenne stende la mano sul pasticcio ed impedisce agli amici di mangiarlo; poi leva le vivande dal tavolo e le mette nel piccolo armadio)
No! Queste cibarie
sono la salmeria
pei dì futuri
tenebrosi e oscuri.
Pranzare in casa
il dì della vigilia
mentre il Quartier Latino le sue vie
addobba di salsicce e leccornie?
Quando un olezzo di frittelle
imbalsama le vecchie strade?
Là le ragazze cantano contente...

MARCELLO, RODOLFO E COLLINE
(circondano ridendo Schaunard)
La vigilia di Natal!

SCHAUNARD
...ed han per eco ognuna uno studente!
Un po' di religione, o miei signori:
si beva in casa, ma si pranzi fuori.




Allan Monk (Schaunard),
Luciano Pavarotti, Ingvar Wixell, Paul Plishka
dir: James Levine (1977)


Massimo Cavalletti

Pietro Spagnoli

11 marzo 2016

La Bohème (3) - In soffitta

Scritto da Christian



Il primo "quadro" (come già detto, il libretto sceglie di usare questo termine, più pittorico che musicale, al posto dei tradizionali "atto" o "scena") si svolge interamente nella soffitta parigina che ospita i quattro protagonisti maschili, artisti senza un soldo e che vivono alla giornata: si tratta del pittore Marcello, dello scrittore e poeta Rodolfo, del filosofo Colline e del musicista Schaunard. Inizialmente sono in scena solo i primi due. Siamo alla vigilia di Natale, le strade sono imbiancate dalla neve e il freddo penetra nei palazzi. Marcello (impegnato a dipingere un quadro sulla traversata del Mar Rosso) e Rodolfo (che "guarda meditabondo fuori della finestra") lamentano di non aver nemmeno la legna per accendere il camino. I due provano a scherzare sul loro misero stato (l'allegria e la voglia di ridere non abbandonano quasi mai i personaggi), con Marcello che cita en passant una sua recente delusione d'amore ("Ho diacciate le dita / quasi ancora le tenessi immollate / giù in quella gran ghiacciaia che è il cuore di Musetta..."), prima che a Rodolfo venga una brillante idea: dare alle fiamme il dramma che sta scrivendo (dopo aver escluso di bruciare il quadro di Marcello, perché "puzza la tela dipinta")! Le necessità prosaiche, in questo caso, vengono prima di quelle artistiche. Le poche pagine, però, non forniscono che un breve istante di calore ai tre malcapitati (ai due si è infatti aggiunto Colline, entrato lamentandosi che il monte di pietà non vuole prendere in pegno i suoi libri), prima di finire troppo rapidamente in cenere. I dialoghi, quasi dei recitativi ariosi, sono agili, realistici e caratterizzano mirabilmente, con le loro battute e con i loro commenti, i vari personaggi, autentici amici che condividono gioie e dolori, e che talvolta, con grande complicità, si prendono bonariamente in giro a vicenda. Curiosamente, tanta semplice quotidianità contrasta con gli argomenti storici ed epici delle opere cui stanno lavorando: il quadro sul Mar Rosso per Marcello, un dramma sulla caduta di Roma per Rodolfo. Forse è anche per questo che l'ispirazione non giunge.

A livello di partitura, è da notare l'assenza totale di un'ouverture. Ma le prime note dell'opera rappresentano comunque una sorta di presentazione, un tema musicale che si impone subito con forza e che tornerà in seguito, come un simbolo della vita difficile ma spensierata dei nostri bohémiens. Su questo telaio, l'orchestra stende come pennellate tutta una serie di motivi e di colori sui quali si appoggiano con gran naturalezza le voci dei cantanti, rivelando il carattere dei veri personaggi. L'incipit di Rodolfo ("Nei cieli bigi / guardo fumar dai mille / comignoli Parigi"), oltre a essere uno dei pochi motivi introdotti dai cantanti prima che dall'orchestra, è particolarmente felice e mette subito in luce l'animo del poeta, leggero e sentimentale al tempo stesso. L'idea melodica, fra l'altro, proveniva dagli abbozzi che Puccini aveva steso per una possibile opera tratta da una novella di Verga, "La lupa", con cui intendeva rivaleggiare con i successi veristi di Mascagni e Leoncavallo. Il progetto fu quasi subito messo da parte per dedicarsi alla "Bohème", ma stupisce pensare che la stessa melodia che avrebbe dovuto inneggiare al cielo luminoso della Sicilia sia stata trasferita invece ai grigi comignoli di Parigi!

Tutto il quadro iniziale della "Bohème" è un esempio compiuto dell’intento di evadere dalle costrizioni dell’opera divisa in arie, duetti e concertati, rimanendo all’interno della propria tradizione, per creare un organismo unitario e coerente. Puccini si era proposto di trattare un’azione legata al quotidiano, e al tempo stesso conquistare un livello narrativo più alto mediante il concatenarsi delle situazioni, comunicando per metafora l’idea di un mondo in cui il tempo fugge, e di cui la giovinezza è protagonista. Per fissare un ritratto individuale e collettivo del gruppo di artisti squattrinati coordinò in scioltezza diversi parametri: estese melodie liriche, agili cellule motiviche, tonalità in funzione semantica, colori lucenti e vari in orchestra.
(Michele Girardi)

Clicca qui per il testo.

(Ampia finestra dalla quale si scorge una distesa di tetti coperti di neve. A sinistra, un camino. Una tavola, un letto, un armadietto, una piccola libreria, quattro sedie, un cavalletto da pittore con una tela sbozzata ed uno sgabello: libri sparsi, molti fasci di carte, due candelieri. Uscio nel mezzo, altro a sinistra.
Rodolfo guarda meditabondo fuori della finestra. Marcello lavora al suo quadro: «Il passaggio del Mar Rosso», con le mani intirizzite dal freddo e che egli riscalda alitandovi su di quando in quando, mutando, pel gran gelo, spesso posizione.
)

MARCELLO
Questo Mar Rosso mi ammollisce e assidera
come se addosso mi piovesse in stille.
(si allontana dal cavalletto per guardare il suo quadro)
Per vendicarmi, affogo un Faraon!
(a Rodolfo)
Che fai?

RODOLFO
(volgendosi un poco)
Nei cieli bigi
guardo fumar dai mille
comignoli Parigi
(additando il camino senza fuoco)
e penso a quel poltrone
di un vecchio caminetto ingannatore
che vive in ozio come un gran signore.

MARCELLO
Le sue rendite oneste
da un pezzo non riceve.

RODOLFO
Quelle sciocche foreste
che fan sotto la neve?

MARCELLO
Rodolfo, io voglio dirti un mio pensier profondo:
ho un freddo cane.

RODOLFO
(avvicinandosi a Marcello)
Ed io, Marcel, non ti nascondo
che non credo al sudore della fronte.

MARCELLO
Ho diacciate le dita
quasi ancora le tenessi immollate
giù in quella gran ghiacciaia che è il cuore di Musetta...
(Lascia sfuggire un lungo sospirone, e tralascia di dipingere, deponendo tavolozza e pennelli.)

RODOLFO
L'amore è un caminetto che sciupa troppo...

MARCELLO
...e in fretta!

RODOLFO
...dove l'uomo è fascina...

MARCELLO
...e la donna è l'alare.

RODOLFO
L'una brucia in un soffio...

MARCELLO
...e l'altro sta a guardare.

RODOLFO
Ma intanto qui si gela.

MARCELLO
...e si muore d'inedia!...

RODOLFO
Fuoco ci vuole...

MARCELLO
(afferrando una sedia e facendo atto di spezzarla)
Aspetta... sacrifichiam la sedia!

(Rodolfo impedisce con energia l'atto di Marcello.)

RODOLFO
Eureka!
(corre alla tavola e ne leva un voluminoso scartafaccio)

MARCELLO
Trovasti?

RODOLFO
Sì. Aguzza l'ingegno.
L'idea vampi in fiamma.

MARCELLO
(additando il suo quadro)
Bruciamo il Mar Rosso?

RODOLFO
No. Puzza la tela dipinta.
Il mio dramma,
I'ardente mio dramma ci scaldi.

MARCELLO
(con comico spavento)
Vuoi leggerlo forse? Mi geli.

RODOLFO
No, in cener la carta si sfaldi
e l'estro rivoli ai suoi cieli.
(con importanza)
Al secol gran danno minaccia...
E Roma in periglio...

MARCELLO
(con esagerazione)
Gran cor!

RODOLFO
(Dà a Marcello una parte dello scartafaccio.)
A te l'atto primo.

MARCELLO
Qua.

RODOLFO
Straccia.

MARCELLO
Accendi.

(Rodolfo batte un acciarino accende, una candela e va al camino con Marcello: insieme dànno fuoco a queila parte dello scartafaccio buttato sul focolare, poi entrambi prendono delle sedie e seggono, riscaldandosi voluttuosamente.)

RODOLFO E MARCELLO
Che lieto baglior!

(Si apre con fracasso la porta in fondo ed entra Colline gelato, intirizzito, battendo i piedi, gettando con ira sulla tavola un pacco di libri legato con un fazzoletto.)

COLLINE
Già dell'Apocalisse appariscono i segni.
In giorno di vigilia non si accettano pegni!
(Si interrompe sorpreso, vedendo fuoco nel caminetto.)
Una fiammata!

RODOLFO
(a Colline)
Zitto, si dà il mio dramma.

MARCELLO
...al fuoco.

COLLINE
Lo trovo scintillante.

RODOLFO
Vivo.

(Il fuoco diminuisce.)

COLLINE
Ma dura poco.

RODOLFO
La brevità, gran pregio.

COLLINE
(levandogli la sedia)
Autore, a me la sedia.

MARCELLO
Presto. Questi intermezzi fan morire d'inedia.

RODOLFO
(Prende un'altra parte dello scartafaccio.)
Atto secondo.

MARCELLO
(a Colline)
Non far sussurro.

(Rodolfo straccia parte dello scartafaccio e lo getta sul camino: il fuoco si ravviva. Colline avvicina ancora più la sedia e si riscalda le mani: Rodolfo è in piedi, presso ai due, col rimanente dello scartafaccio.)

COLLINE
Pensier profondo!

MARCELLO
Giusto color!

RODOLFO
In quell'azzurro guizzo languente
Sfuma un'ardente scena d'amor.

COLLINE
Scoppietta un foglio.

MARCELLO
Là c'eran baci!

RODOLFO
Tre atti or voglio - d'un colpo udir.
(Getta al fuoco il rimanente dello scartafaccio.)

COLLINE
Tal degli audaci - I'idea s'integra.

TUTTI
Bello in allegra - vampa svanir.
(Applaudono entusiasticamente: la fiamma dopo un momento diminuisce.)

MARCELLO
Oh! Dio... già s'abbassa la fiamma.

COLLINE
Che vano, che fragile dramma!

MARCELLO
Già scricchiola, increspasi, muore.

(Il fuoco è spento.)

COLLINE E MARCELLO
Abbasso, abbasso l'autore!




Ingvar Wixell (Marcello), Luciano Pavarotti (Rodolfo), Paul Plishka (Colline)
dir: James Levine (1977)


Roberto Servile (Marcello), Marcelo Álvarez (Rodolfo), Giovanni Battista Parodi (Colline)
dir: Bruno Bartoletti (2003)


Thomas Hampson, Roberto Alagna,
Samuel Ramey
dir: Antonio Pappano (1996)

Rolando Panerai, Giuseppe Di Stefano,
Nicola Zaccaria
dir: Antonino Votto (1958)

7 marzo 2016

La Bohème (2) - Un paesaggio dell'anima

Scritto da Marisa

Più che i vari personaggi, quello che rende particolare e indimenticabile quest'opera è l'atmosfera, lo sfondo psicologico in cui si muovono, quasi un paese dell'anima in cui i protagonisti vivono, amano, soffrono e gioiscono.

Nonostante l'indubbio fascino di Rodolfo e soprattutto di Mimì, la simpatia che si accende intorno a Marcello e la spregiudicata Musetta, la loro caratterizzazione rimane comunque stereotipata e convenzionale ed essi assumono spessore e risalto solo se contestualizzati nel particolare ambiente cultural-spirituale in cui si muovono e fanno risuonare le stesse corde di sentimento nell'ascoltatore.

Non a caso l'opera prende titolo non dal personaggio principale, come è consuetudine (Tosca, Manon Lescaut, Madama Butterfly, Turandot...), ma da un luogo non tanto geografico quanto evocativo di un certo modo di essere e che diventa sempre più mitico.

Cercherò di precisare questa visione, anche se ci muoviamo in un ambito difficile da esprimere a parole, anzi quasi impossibile perché tutto quello che è “atmosfera”, colore emotivo, sentimento indefinito, sfugge per sua natura alla precisione della parola che si trova a suo agio con i concetti, le definizioni chiare e precise, le classificazioni... Solo l'arte può fornire lo strumento adatto a catturare i paesaggi dell'anima, e tra tutte le forme artistiche – anche se la pittura ha molto da insegnarci (vedi i paesaggi in cui la natura è utilizzata soprattutto come rispecchiamento e sfondo di stati d'animo ed emozioni pure...) – la musica è sicuramente la più pertinente, proprio per la sua elusività ed immaterialità. Quindi ci troviamo nella condizione di rimandare all'opera stessa, alla bellissima musica di Puccini, il lavoro che vorremo compiere, un vero e proprio circolo vizioso: ma perché non diventi una scappatoia, forse anche una resa di coscienza, cercherò di tradurre in parole quello che sento rispetto a tale visione.

L'indubbia constatazione della profonda emozione che "La Bohème" suscita in tutti ci pone davanti alla risonanza, alla partecipazione emotiva e sentimentale che ci fa condividere qualcosa che forse potremmo chiamare “nostalgia” e che va ben oltre la triste sorte di Mimì. Questa accentua e rende in qualche modo ineluttabile e definitiva una perdita che già si preannuncia dall'inizio l'opera (la vediamo già malata appena entra in scena): la perdita dell'età della spensieratezza e di un particolare aspetto della gioventù, la stagione poetica della nostra vita. Significativamente Rodolfo la presenta agli amici come la poesia stessa ("io sono il poeta, essa la poesia...")

Ecco di cosa si tratta, dunque!

C'è un breve periodo della nostra gioventù – anche in chi non se ne accorge perché la sua parte conscia è già intrappolata nei rigidi schemi di una società che valorizza la concretezza e i progetti realisticamente indirizzati al guadagno e al conformismo – in cui indugiamo nei sogni, nelle fantasie che aprono orizzonti che si dilatano verso spazi indefiniti e sfumati, forse verso l'infinito...

È il nomadismo dell'anima, quella tensione a trascendere lo spazio troppo asfittico del proprio paese e delle convenzioni che regolano la vita degli adulti che ci stanno sotto gli occhi, il desiderio di andare “oltre”, di immaginare una vita libera da contratti e scadenze, una vita che segue altre leggi, altri valori, altri ideali... I valori e le ragioni del cuore, forse?

Come non commuoversi e non sentire una profonda nostalgia (quasi una fitta di dolore) di fronte all'adolescente che ha reso il nomadismo dell'anima la condizione stessa della sua breve esistenza poetica (il poeta dalle suole di vento!)?

Andavo, i pugni stretti nelle tasche sfondate,
ed anche il mio pastrano diventava ideale;
andavo sotto il cielo, Musa, ed ero il tuo fido;
quanti splendidi amori ho mai sognato allora!
Questi versi di Arthur Rimbaud sono tratti significativamente da una poesia intitolata “Ma bohème”, scritta quando aveva 17 anni!

Ed ancora, dalla lirica “Romanza”:
Nessuno è molto serio quand'ha diciassett'anni.
I caffè strepitanti dalle luci splendenti,
le bibite e la birra d'improvviso ti annoiano,
e allora vai a spasso per il viale dei tigli.
Dopo, si sa, si cresce e pian piano quelle tensioni, quelle speranze, quei sogni si annebbiano, si allontanano, svaniscono di fronte alla necessità di trovare un “vero” lavoro, un corso di laurea che garantisca un futuro solido, una relazione su cui poter costruire una famiglia. Si mette “la testa a posto”, insomma. Il mondo adulto, costruito sulle istituzioni, reclama i suoi diritti e spesso avviene che tutto il resto retroceda e venga come “immagazzinato” nei ricordi, o peggio ancora “esiliato” in territori ormai anestetizzati e forse definitivamente irraggiungibili...

Poi arriva un'opera come “La Bohème” e qualcosa si scioglie, qualcosa risuona e la morte di Mimì ci prende come un dolore recondito e sordo, una profonda ondata di nostalgia che vorremmo attribuire solo alla magia della musica e alla sua suggestione. E invece si tratta della nostalgia per la perdita di una parte di noi, una parte della nostra anima.

E non si tratta solo della parte “lacrimosa” e struggente, quella che, si sa (anche se si cerca di nasconderla e mimetizzarla in ogni modo dietro la spavalderia), si accompagna sempre alla serietà del sentimento giovanile; no, qui ci troviamo di fronte anche al piacere dell'amicizia genuina, quel senso cameratesco di condivisione che esprime il meglio di sé proprio all'inizio della gioventù, sprigionandosi in allegria e giocosità continue: l'autentico piacere di stare insieme perché si sente di partecipare allo stesso universo poetico, ad una visione del mondo che è la visione della propria anima.

I quattro amici, Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline (come i quattro evangelisti, o i moschettieri che da tre diventano quattro con D'Artagnan), significativamente si pongono come quartetto simbolico, cerchio perfetto in cui il quaternio si esprime in contrasto col mondo borghese e utilitaristico, rappresentato dal padrone di casa, il signor Benoît. Un bisogno di rispecchiamento senza quelle invidie e quei calcoli meschini che, in età adulta, sopraggiungono a corrompere ogni amicizia. Anche questo tipo di amicizia libera e disinteressata desta vaghi ricordi e rimpianti...

E poi ci sono i luoghi, adatti non solo a fare da contenitore e sfondo, ma che costituiscono parte integrante dell'opera perché sono essi stessi veri e propri stati d'animo. La soffitta, le vie affollate del Quartiere Latino con i suoi bistrot, l'osteria alle porte di Parigi dove Marcello affresca le scene di una diversa sacralità...

La soffitta: prima che diventasse una mansarda alla moda con ascensore, riscaldamento e vista mozzafiato, la soffitta della bohème parigina è un luogo vicino al cielo, poeticamente aperto alla contemplazione della luna e dei tetti, dimora di fortuna e di speranze. Il luogo simbolicamente adatto ad ospitare tutto quello che si pone in “alto”, nella sfera dell'ideale e del sogno. Punto di partenza e punto di arrivo finale di un modo di sentire e di essere che rischia di rimanere intrappolato se non trova altri orizzonti...

La strada affollata con il venditore di giocattoli e i ristorantini: luoghi della vicinanza ad un tipo di persone che nella strada trovano il loro momento di gioia e di socializzazione: la festa e la spensieratezza, teatro di giochi non sempre innocenti (vedi l'astuto stratagemma di Musetta per far pagare il conto degli amici squattrinati), momenti avulsi dal quotidiano tran-tran del lavoro e della responsabilità.

L'osteria periferica: luogo defilato, momentaneo rifugio e pausa, parentesi e breve tentativo di calarsi nella vita concreta, accettando un lavoro che è un compromesso per far fronte alle necessità materiali. Significativamente siamo in inverno, periodo di gelo e ritiro dei sogni di gloria, cornice adatta allo struggente proposito di separazione, che viene comunque rimandata alla “stagion dei fior”...

Da tutto quello che ho detto può sembrare che risalti solo una visione positiva. Ma questo è il gioco della nostalgia e del rimpianto per qualcosa che forse non c'è mai stato e che ritroviamo nell'immaginario poetico, mai nella realtà. Un grande Giorgio Caproni scrive:
Tutti i luoghi che ho visto,
che ho visitato,
ora so – ne sono certo:
non ci sono mai stato.
C'è necessariamente un rovescio della medaglia, e se qualcuno – come forse ha tentato Henri Murger, l'autore del libro cui Puccini si è ispirato e che è morto in un ricovero – vivesse anche in età adulta come i personaggi dell'opera, non può che essere relegato ai confini della vita e mancare proprio quelle promesse e speranze giovanili che la creatività esige. Perché la creatività autentica si esprime non solo nelle opere d'arte (privilegio di pochi) ma soprattutto nella propria vita, cercando sempre nuove soluzioni e nuove espressioni. Diventare adulti è difficile, ma il segreto per non banalizzarsi e inaridirsi è forse legato alla possibilità di non separarsi mai da quella breve stagione che conserva l'incanto e il profumo dei sogni.

E "La Bohème" ci guida e ce lo permette.

3 marzo 2016

La Bohème (1) - Introduzione

Scritto da Christian

La Bohème
Scene liriche in quattro quadri
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione: Torino (Teatro Regio),
1 febbraio 1896

Personaggi e voci:
- Rodolfo (tenore), poeta
- Marcello (baritono), pittore
- Schaunard (baritono), musicista
- Colline (basso), filosofo
- Benoît (basso), il padrone di casa
- Alcindoro (basso), consigliere di stato
- Mimì (soprano)
- Musetta (soprano)
- Parpignol (tenore), venditore ambulante
- Sergente dei doganieri (basso)
- Doganiere (basso)
- Studenti, sartine, borghesi, bottegai e bottegaie, venditori ambulanti, soldati, camerieri da caffé, ragazzi, ragazze, ecc.

La quarta opera di Giacomo Puccini, scritta immediatamente dopo il suo primo grande successo (ovvero la "Manon Lescaut"), non è solo uno dei lavori più significativi del compositore lucchese ma anche uno dei titoli più importanti del repertorio operistico italiano, con brani davvero conosciuti da tutti (si pensi solo a "Che gelida manina"). Il soggetto è tratto dal libro di Henri Murger "Scènes de la vie de bohème" (1851): non un vero e proprio romanzo, ma una raccolta di racconti d'appendice con un gruppo ricorrente di protagonisti, ambientati nel quartiere latino di Parigi e pubblicati inizialmente su una rivista letteraria dal 1845 al 1849. Proprio queste storie avevano contribuito a rendere popolare il concetto degli artisti bohémiens: il nome fa riferimento alla Boemia, la regione del Centro Europa che all'epoca si associava generalmente agli zingari e ai rom, e dunque – per accostamento di idee – a uno stile di vita "libero" e non convenzionale, senza legami permanenti di famiglia, di lavoro o anche di affetti. Nell'immaginario comune (ma anche nella realtà!) si trattava di poeti, musicisti o pittori che vivevano alla giornata senza essere schiavi del denaro (o perché non ne avevano, o perché dissipavano subito quel poco che guadagnavano, come se la povertà fosse un tratto volontario della loro esistenza). Nella seconda metà dell'ottocento, molti circoli di artisti conducevano una vita simile, addensandosi nei quartieri più poveri e socialmente inferiori delle grandi città (in particolare Parigi, ma non solo): Murger, nel raccontare le loro storie, si rifaceva probabilmente anche a episodi autobiografici o comunque a personaggi che sia lui che i suoi lettori (quelli delle riviste su cui pubblicava) dovevano aver conosciuto bene.

Per redigere il libretto, Puccini scelse Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, con i quali aveva già collaborato nella "Manon Lescaut". I due poeti selezionarono diversi episodi del testo di Murger, unificarono alcuni personaggi in uno solo (è il caso di Mimì: il personaggio dell'opera riunisce in sé quelli di Francine e della stessa Mimì del romanzo originale), e costruirono una trama con un inizio, uno sviluppo e una fine, essenzialmente incentrata (come la versione teatrale scritta dallo stesso Murger e da Théodore Barrière nel 1849) sulla storia d'amore fra Rodolfo e Mimì. Un contrasto fra Illica e Puccini sorse quando il compositore decise di eliminare uno degli atti (o "quadri", come sono denominati nel libretto) previsti: avrebbe dovuto raccontare una festa all'aperto, nel cortile della casa di Musetta, dove sono stati accatastati i mobili del suo appartamento, da mettere all'asta perché il protettore della ragazza si era rifiutato di pagarle ulteriormente l'affitto. Durante la festa, Mimì conosce un giovane Visconte e si mette a ballare con lui una quadriglia, scatenando la gelosia di Rodolfo (di cui rimarrà un riferimento nel terzo quadro: "Un moscardino di Viscontino..."). Da questo episodio sarebbe seguita la loro separazione. Dei quattro atti poi effettivamente messi in scena, invece, il primo e l'ultimo sono abbastanza debitori ai racconti originali dello scrittore francese, mentre il secondo e il terzo sono in gran parte farina del sacco dei due librettisti.

Contemporaneamente a Puccini, anche un altro compositore italiano, Ruggero Leoncavallo – allora già celebre per "I pagliacci" – aveva scelto il testo di Murger come soggetto di un'opera (anche perché il libro si era da poco liberato dai diritti d'autore). Quando si venne a sapere che entrambi stavano preparando una "Bohème", ne scaturì quasi una lite. Leoncavallo accusò Puccini di avergli rubato l'idea, mentre il compositore toscano affermò che era al lavoro su quel soggetto già da tempo. Nessuno dei due rinunciò a portare a termine il proprio lavoro, dando così vita a una sfida a distanza ("Il pubblico giudicherà"), fomentata anche dalla stampa e dalle rispettive case editrici, Sonzogno e Ricordi. "La Bohème" di Puccini fu completata nel dicembre 1895 e fu rappresentata per la prima volta due mesi dopo, riscuotendo un grande successo di pubblico (la critica inizialmente fu fredda, ma cambiò presto idea). "La Bohème" di Leoncavallo (in cui il ruolo di Rodolfo è cantato da un baritono e quello di Marcello da un tenore, il contrario cioè della versione pucciniana) ebbe la sua prima rappresentazione oltre un anno più tardi, nel maggio 1897, ma finì con l'essere oscurata da quella del rivale e cadde presto nel dimenticatoio. Nel 1913 Leoncavallo provò a riproporla in un'edizione riveduta, con il titolo di "Mimì Pinson", anche stavolta senza successo.

Per catalogare tutte le opere del teatro lirico e di prosa che in ogni tempo sono state scritte sullo stesso soggetto, sovente in aperta disfida estetica e professionale fra i rispettivi autori, non basterebbero tomi ponderosi. Perciò non ci sarebbe di che stupirsi se Puccini e Leoncavallo avessero pensato proprio nello stesso tempo alle "Scènes de la vie de Bohème" di Henri Murger, argomento che, in piena fase di affermazione del ‘verismo’ nel melodramma, era particolarmente adatto a riscuotere il massimo successo (si trattava, fra l'altro di un’opera d’attualità per la scena italiana di allora, che viveva col consueto ritardo situazioni artistiche che altri paesi avevano già sorpassato).
(Michele Girardi)
Pur avendo avuto una gestazione lunga e travagliata a livello di costruzione dell'impianto drammatico, con continui scambi di vedute fra Puccini e i suoi librettisti, "La Bohème" andò in scena nel 1896 essenzialmente già nella sua versione definitiva. E nonostante il difficile lavoro di scrittura e di limatura dei dettagli, il risultato risulta incredibilmente agile e leggero, spontaneo e realistico, anche nel suo continuo alternare momenti di comicità spensierata, di malinconia o rimpianto, di intimità quotidiana e prosaica, di tristezza struggente e dolorosa. Un vero e proprio affresco, o meglio uno "squarcio di vita" contemporaneo, che riflette in parte anche l'esperienza di Puccini nei suoi anni di studio al Conservatorio di Milano, quando viveva in una soffitta non dissimile da quella dei suoi personaggi, o anche la sua frequentazione di un gruppo di pittori macchiaiuoli che aveva conosciuto presso il lago di Massaciuccoli, a Torre del Lago, la località dove aveva scelto di ritirarsi proprio in quegli anni per poter scrivere musica senza essere distratto dalla mondanità della città. Uno di questi artisti, Ferruccio Pagni, fu fra l'altro autore più tardi di uno dei primi libri biografici sul compositore, nel quale racconta molti "dietro le quinte" del periodo in cui fu composta "La Bohème". Ecco, per esempio, come Pagni narra il momento in cui l'opera venne conclusa:
Quella notte, mentre noi si giocava, Giacomo era alle ultime battute.
– Silenzio, ragazzi, – disse a un tratto – ho finito!
Lasciammo le carte, ci accostammo a lui...
– Ora vi faccio sentire, rimettetevi a...
ceccia! Questo finale è buono...
Attaccò dall’ultimo canto di “Mimì”: “
Sono andati...
Via via che Puccini suonava e cantava, quella musica fatta di pause, di sospensioni, di tocchi lievi, di sospiri, di affanno, pervasa da una malinconia sottile e da un’intensità drammatica profonda ci prendeva, e vedevamo la scena e tutto sentivamo quell’umano tormento, poichè ivi veramente la espressione è tornata alle origini, alla sua sostanza eterna: il Dolore. Quando caddero gli accordi laceranti della morte, un brivido ci percosse e più nessuno di noi seppe frenare le lacrime. La soave fanciulla, la nostra “Mimì” giaceva, fredda, sul povero lettuccio e più non avremmo udito la sua voce tenera e buona. La visione ci apparve: “Rodolfo”, “Marcello”, “Schaunard”, “Colline” erano le nostre figure o noi le loro reincarnazioni, “Mimì” la nostra amante di un tempo o di un sogno, e tutto quello strazio il nostro strazio stesso.
Anche la musica aderisce con grande naturalezza all'azione, accompagnando i vari episodi con una ricchezza sonora e sinfonica di un'orchestra ampia e tuttavia capace di non sovrastare le emozioni o i sentimenti dei personaggi quando questi devono balzare in primo piano. Ispirandosi alla lezione dell'ultimo Verdi (il "Falstaff"), Puccini trova un grande equilibrio fra forma musicale e azione scenica, senza sacrificare alle necessità della prima quelle della seconda. E come in Wagner, allora ormai imprescindibile (ma dal quale Puccini già comincia a prendere le distanze, in cerca di una via tutta sua), si riconoscono leitmotiv e si smarrisce la divisione in numeri chiusi, dando vita a "un continuum sonoro modellato sulle specifiche esigenze drammatiche del soggetto", anche se alcuni brani (le arie di Rodolfo e Mimì nel primo atto, il valzer di Musetta, la "Vecchia zimarra" di Colline) possono naturalmente essere isolati dall'insieme. Interessante anche la struttura di fondo dell'opera: i primi due quadri sono spensierati e allegri, gli altri due sono pieni di nostalgia e dolore; inoltre il primo e l'ultimo, assai intimi, si rispecchiano simmetricamente l'uno nell'altro (sono ambientati nella stessa soffitta), mentre i due centrali sono più dinamici e mostrano i nostri personaggi nelle strade, all'esterno, fra la gente, inseriti nel milieu sociale, vivo e brulicante, di Parigi.


Alcune delle incisioni più celebri:















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Saggio di Michele Girardi [pdf]
Libretto completo
Partitura