25 marzo 2016

La Bohème (7) - "Che gelida manina"

Scritto da Christian

L'aria più celebre de "La Bohème", e una delle più celebri di tutto il teatro lirico, fa parte di una coppia di brani con cui Rodolfo e Mimì si descrivono l'uno all'altra (la seconda, che segue immediatamente dopo, è "Mi chiamano Mimì"). Qui Puccini sembra abbandonare per un attimo la struttura "wagneriana", ovvero a continuazione, su cui ha impostato l'intera opera, per dare ai due interpreti principali – il tenore e il soprano – l'occasione di esibirsi in un numero solistico (e guadagnarsi così gli applausi del pubblico). Naturalmente, anche se in entrambi i casi i personaggi parlano di sé stessi, in realtà si tratta di due arie d'amore. Rodolfo e Mimì si sono appena incontrati, non si conoscono ancora, ma già hanno intuito di essere destinati a stare insieme.

L'episodio della candela spenta e della chiave smarrita è "galeotto", ha permesso alle mani dei due di entrare in contatto, e Rodolfo ne approfitta per commentare come quella di Mimì sia "gelida", e dunque di volerla riscaldare con la propria. La sua indole di poeta, poi, si svela immediatamente nel riferimento alla luna, che dona l'atmosfera perfetta alla situazione. E infine, "in due parole", le chiede il permesso di presentarsi, senza tacere – con franchezza e onestà, ma abbellendole con l'arte della parola – le proprie difficoltà economiche (d'altronde già evidenti dalla povertà della soffitta in cui vive) e la propria inclinazione per le avventure galanti. Apparentemente semplice sotto l'aspetto musicale, in realtà l'aria presenta alcune difficoltà per il tenore, dal fraseggio nei cambi di registro ai numerosi acuti (fra cui il Do di petto conclusivo sulla parola "speranza").

«Che gelida manina» è un brano da sempre prediletto dai tenori, per ragioni che vanno ricercate nel particolare carattere che ha assunto nel tempo: quello di prototipo dell’aria sentimentale, recepita come l’aria d’amore per antonomasia da ogni tipo di pubblico. Questa universalità le deriva dalla sua apparente semplicità: il tono in cui Rodolfo si rivolge a Mimì è discorsivo, e in questo tessuto s’innestano estesi frammenti lirici, basati sull’uso di semplici metafore del parlare quotidiano, accessibili a tutti.
(Michele Girardi)

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RODOLFO
(tenendo la mano di Mimì, con voce piena di emozione)
Che gelida manina!
Se la lasci riscaldar.
Cercar che giova? Al buio non si trova.
Ma per fortuna è una notte di luna,
e qui la luna l'abbiamo vicina.
Aspetti, signorina,
le dirò con due parole
chi son, che faccio e come vivo. Vuole?
(Mimì tace: Rodolfo lascia la mano di Mimì, la quale indietreggiando trova una sedia sulla quale si lascia quasi cadere affranta dall'emozione.)
Chi son? Sono un poeta.
Che cosa faccio? Scrivo.
E come vivo? Vivo.
In povertà mia lieta
scialo da gran signore
rime ed inni d'amore.
Per sogni, per chimere
e per castelli in aria
l'anima ho milionaria.
Talor dal mio forziere
ruban tutti i gioielli
due ladri: gli occhi belli.
V'entrar con voi pur ora
ed i miei sogni usati
ed i bei sogni miei
tosto si dileguar.
Ma il furto non m'accora,
poiché v'ha preso stanza
la speranza!
Or che mi conoscete,
parlate voi.
Deh, parlate, chi siete?
Vi piaccia dir?




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