25 gennaio 2018

Rigoletto (3) - "Questa o quella per me pari sono"

Scritto da Christian



Dopo la cupezza del Preludio, l'opera vera e propria comincia con note rapide, sbarazzine, allegre, quasi come se ci trovassimo in un'opera buffa. Il contrasto non potrebbe essere più netto, ma naturalmente la leggerezza serve a "preparare il terreno alla semina della tragedia". Siamo nel pieno di una festa nelle sale del Palazzo Ducale di Mantova, con "cavalieri e dame in gran costume" impegnati in una danza. Verdi qui si appropria di una soluzione che già Mozart aveva utilizzato nel primo atto del "Don Giovanni", ovvero quella di mescolare più temi e melodie anche dal punto di vista diegetico. Al suono dell'orchestra in buca si aggiunge infatti la musica di una banda che proviene dall'interno e quella di un gruppo d'archi, ad accompagnare le danze, sul palcoscenico. I balli vorticosi e il continuo variare delle melodie accentuano il carattere libertino dei personaggi (il mondo del Duca non sta mai fermo), così come la velocità delle prime battute dell'opera ("Della mia bella incognita borghese...", cantate con ritmo rapidissimo). Ma naturalmente, ancora di più lo fanno le parole della prima aria che ascoltiamo, la celeberrima "Questa o quella per me pari sono" del Duca di Mantova, un vero e proprio manifesto programmatico della volubilità del personaggio.

Il Duca, dunque, ci è presentato subito come un seduttore seriale, e dunque un paragone proprio con Don Giovanni sorge spontaneo ("Non v’è amor se non v’è libertà" potrebbe essere uno dei suoi motti). A differenza del personaggio mozartiano, però, quello verdiano è assai più vacuo e leggero. Pur essendo un abile pianificatore delle proprie conquiste (nel primo scambio di battute con il cortigiano Matteo Borsa ci rivela, per esempio, la sua abitudine a far visita alle amanti in incognito: "E sa colei chi sia l’amante suo?" - "Lo ignora") e condividendo con Don Juan la noncuranza per le conseguenze delle sue azioni ("A me che importa?", dice ancora a Borsa), non è un manipolatore né un calcolatore: addirittura per quasi tutta l'opera lo vedremo restare completamente all'oscuro di quello che accade attorno a lui. Quasi tutti gli eventi si sviluppano alle sue spalle, senza che lui ne sia (almeno coscientemente) il motore: il Duca sarà inconsapevole del rapimento di Gilda da parte dei cortigiani e anche, fino alla caduta del sipario, dei complotti di Rigoletto con Sparafucile. Non saprà mai di essere scampato a un attentato alla propria vita. In un certo senso, non possiamo nemmeno dire che il Duca sia "cattivo" o "crudele", se non per il fatto che utilizza il potere che ha nelle mani per soddisfare i propri istinti. A sembrarci crudeli sono semmai i cortigiani, e certo anche Rigoletto, che già in questa prima scena si mostra spietato e irridente. Il Duca, invece, a parte pochi passaggi, rimane una figura leggera, da commedia del primo ottocento, quasi anacronistico rispetto agli altri personaggi dell'opera. E questo si rispecchia anche nelle sue arie, sicuramente bellissime e memorabili dal punto di vista melodico ma in fondo "semplici" ballate orecchiabili, in contrasto con le nuove, cupe e tragiche sonorità che Verdi saprà inventare quando è di scena Rigoletto, l'autentico protagonista dell'opera. Vedremo come anche Gilda, nel primo atto, apparirà come una figura ingenua e cui Verdi dedicherà melodie dallo stile volutamente datato ("Caro nome" su tutte), per poi farsi sempre più complessa, anche musicalmente, quando acquisirà consapevolezza delle ingiustizie del mondo.

In tono con la musica della festa, dunque, "Questa o quella per me pari sono" è una ballata cantabile (da intonare "con brio", come indica lo spartito), con cui spavaldamente il Duca dichiara a Borsa la propria indifferenza verso l'identità delle donne con cui si accompagna. Non è dunque mosso da amore, ma soltanto da un desiderio continuo e inestinguibile, impossibile da soddisfare appieno perché è abituato soltanto a relazioni "usa e getta". Quando nel terzo atto ribalterà apparentemente l'assunto, dicendo che è invece il genere femminile a essere volubile (con "La donna è mobile"), in realtà non fa altro che giustificarlo: per lui le donne sono tutte uguali proprio perché le ritiene a loro volta incapaci di amare veramente. La grande tragedia nasce anche da questo: il Duca non conoscerà mai la vastità dell'amore di Gilda, né sarà consapevole del sacrificio che questa è disposta a fare per lui.

Se il Duca, come abbiamo detto, è e resterà un personaggio leggero, ben diverso è il discorso su Rigoletto, nonostante il fatto che in questa prima scena i due si mostrino affini, quasi complici, nell'irridere e nello stuzzicare il Conte di Ceprano, sulla cui sposa il Duca ha messo gli occhi. Naturalmente la loro situazione è ben diversa: il Duca è un potente, e secondo le regole del tempo ha "diritto" di esercitare la propria volontà, anche perché ne trae un beneficio personale; il buffone di corte Rigoletto non è altro che un servitore, e la sua irrisione, che in realtà nasconde il suo profondo odio verso i nobili (compreso il Duca stesso) viene scambiata per servilismo e inutile compiacimento, il che lo macchia (agli occhi degli altri cortigiani) come inutilmente malvagio. In realtà si tratta di una figura complessa e sfaccettatissima, come riveleranno i suoi sensi di colpa, i suoi scrupoli, l'ossessione, l'amore paterno, la folle ricerca della vendetta. Ritratto spesso – seguendo l'iconografia cinque/seicentesca – con il classico berretto a sonagli (oltre che con la gobba, di cui riparleremo), Rigoletto è stato definito "una delle figure più tragiche della storia del melodramma": davvero ironico, dunque, il fatto che come mestiere avrebbe il compito di far ridere la gente. Di fatto, è un grande personaggio perché racchiude in sé sia il comico che il tragico, come è evidente già da questa prima scena.

L'irrisione di Rigoletto verso il Conte di Ceprano, che inizialmente rimane nei confini dello sbeffeggio ("Il Duca qui pur si diverte!", commentano i presenti, riecheggiando il titolo del dramma di Victor Hugo a cui il "Rigoletto" si ispira, "Le Roi s'amuse"), travalica ogni limite quando il buffone, nel voler compiacere il proprio signore, gli suggerisce – un po' scherzando, un po' parlando sul serio – ogni possibile metodo per sbarazzarsi dell'uomo e dunque per avere via libera con sua moglie (la prigione, l'esilio, la decapitazione!). Non potendosela prendere con il Duca, Ceprano manifesta tutta la sua rabbia verso il gobbo. Lo stesso Duca mette in guardia il buffone dall'ostilità dei cortigiani ("Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo"), ma questi si dichiara tranquillo ("Del Duca un protetto nessun toccherà"). Nel frattempo, fra una danza e l'altra, abbiamo visto uno dei cortigiani, Marullo, comunicare agli altri di aver scoperto che anche Rigoletto possiede un'amante (non è vero, naturalmente: la donna che vive in casa sua, come scopriremo più tardi, è sua figlia Gilda, di cui tutti ignorano l'esistenza. Ceprano, Marullo, Borsa e gli altri cortigiani meditano di sfruttare la cosa per vendicarsi del buffone di corte.

Alcune note sparse:
– Matteo Borsa è l'unico dei cortigiani identificato sia con il nome che con il cognome: forse perché è quello con cui il Duca è maggiormente in confidenza, tanto da parlare apertamente con lui dei propri piani amorosi (con Ceprano, per ovvi motivi, c'è invece una certa tensione, mentre Marullo interagisce quasi più con Rigoletto che col suo signore).
– "Da tre mesi ogni festa": bisogna dare atto al Duca di avere pazienza: sta adocchiando Gilda da ben tre mesi (praticamente da quando lei è arrivata in città) e non ha ancora fatto la mossa finale! Certo, magari porta avanti tante avventure amorose contemporaneamente, e ora ha deciso di "toccare il fine" di questa.
– "In testa che avete, / Signor di Ceprano?": ovvio il riferimento di Rigoletto alle corna. Questa frase sbeffeggiante segna di fatto l'inizio della tragedia, e dunque Verdi ne approfitta per riproporre la nota (il do) che aveva caratterizzato il preludio.
– "Il giuoco ed il vino, le feste, la danza, / battaglie, conviti, ben tutto gli sta": così dice Rigoletto, riferendosi al Duca. Pare accertato un intervento della censura, che modificò il testo originale di Piave. Inizialmente Rigoletto avrebbe dovuto dire "Baldracche, conviti, ben tutto gli sta". Altri cambiamenti simili ci saranno in seguito (il più famoso nel terzo atto, all'ingresso del Duca nella taverna sul Mincio).
– Un'ultima nota su "Questa o quella": la cadenza finale, frequentemente eseguita dagli interpreti, non compare nella pagina scritta da Verdi ma è il risultato delle abitudini interpretative che si sono formate e succedute nel corso degli anni. Un esempio della versione originale è qui sotto, nella versione cantata da Roberto Alagna e diretta (con particolare cura filologica) da Riccardo Muti nel 1994 alla Scala.


Clicca qui per il testo di "Della mia bella incognita borghese".

Mantova. Sala magnifica nel palazzo ducale. (Porte nel fondo mettono ad altre sale, pure splendidamente illuminate; folla di cavalieri e dame in gran costume nel fondo delle sale; paggi che vanno e vengono. La festa è nel suo pieno. Musica interna da lontano. Il Duca e Borsa vengono da una porta del fondo.)

DUCA
Della mia bella incognita borghese
toccare il fin dell’avventura voglio.

BORSA
Di quella giovin che vedete al tempio?

DUCA
Da tre mesi ogni festa.

BORSA
La sua dimora?

DUCA
In un remoto calle;
misterioso un uom v’entra ogni notte.

BORSA
E sa colei chi sia l’amante suo?

DUCA
Lo ignora.

(Un gruppo di dame e cavalieri attraversano la sala.)

BORSA
Quante beltà! Mirate.

DUCA
Le vince tutte di Cepran la sposa.

BORSA
Non v’oda il Conte, o Duca!

DUCA
A me che importa?

BORSA
Dirlo ad altra ei potria.

DUCA
Né sventura per me certo saria.

Clicca qui per il testo di "Questa o quella per me pari sono".

DUCA
Questa o quella per me pari sono
a quant’altre d’intorno mi vedo;
del mio core l’impero non cedo
meglio ad una che ad altra beltà.
La costoro avvenenza è qual dono
di che il fato ne infiora la vita;
s’oggi questa mi torna gradita
forse un’altra doman lo sarà.
La costanza, tiranna del core,
detestiamo qual morbo crudele.
Sol chi vuole si serbi fedele;
non v’è amor se non v’è libertà.
De’ mariti il geloso furore,
degli amanti le smanie derido;
anco d’Argo i cent’occhi disfido
se mi punge una qualche beltà.

Clicca qui per il testo di "Partite? Crudele!".

(Entra il Conte di Ceprano che segue da lungi la sua sposa servita da altro cavaliere; dame e signori che entrano da varie parti.)

DUCA
(alla signora di Ceprano movendo ad incontrarla con molta galanteria)
Partite? Crudele!

CONTESSA DI CEPRANO
Seguire lo sposo m’è forza a Ceprano.

DUCA
Ma dee luminoso
in corte tal astro qual sole brillare.
Per voi qui ciascuno dovrà palpitare.
Per voi già possente la fiamma d’amore
inebria, conquide, distrugge il mio core.

CONTESSA
Calmatevi!

DUCA
La fiamma d’amore inebria, ecc.

CONTESSA
Calmatevi!

(Il Duca le dà il braccio ed esce con lei. Entra Rigoletto che s’incontra nel signor di Ceprano, poi cortigiani.)

RIGOLETTO
In testa che avete,
Signor di Ceprano?
(Ceprano fa un gesto d’impazienza e segue il Duca. Rigoletto dice ai cortigiani:)
Ei sbuffa, vedete?

BORSA, CORO
Che festa!

RIGOLETTO
Oh sì...

BORSA, CORO
Il Duca qui pur si diverte!

RIGOLETTO
Così non è sempre? che nuove scoperte!
Il giuoco ed il vino, le feste, la danza,
battaglie, conviti, ben tutto gli sta.
Or della Contessa l’assedio egli avanza,
e intanto il marito fremendo ne va.

(Esce. Entra Marullo premuroso.)

MARULLO
Gran nuova! Gran nuova!

CORO
Che avvenne? parlate!

MARULLO
Stupir ne dovrete!

CORO, BORSA
Narrate, narrate.

MARULLO
Ah! ah! Rigoletto...

CORO, BORSA
Ebben?

MARULLO
Caso enorme!

CORO, BORSA
Perduto ha la gobba? non è più difforme?

MARULLO
Più strana è la cosa! Il pazzo possiede...

CORO, BORSA
Infine?

MARULLO
Un’amante.

CORO, BORSA
Un’amante! Chi il crede?

MARULLO
Il gobbo in Cupido or s’è trasformato.

CORO, BORSA
Quel mostro? Cupido!... Cupido beato!

(Ritorna il Duca seguito da Rigoletto, poi da Ceprano.)

DUCA (a Rigoletto)
Ah, più di Ceprano importuno non v’è!
La cara sua sposa è un angiol per me!

RIGOLETTO
Rapitela.

DUCA
È detto; ma il farlo?

RIGOLETTO
Stasera.

DUCA
Non pensi tu al Conte?

RIGOLETTO
Non c’è la prigione?

DUCA
Ah, no.

RIGOLETTO
Ebben, s’esilia.

DUCA
Nemmeno, buffone.

RIGOLETTO (indicando di farla tagliare)
Allora la testa...

CEPRANO (fra sé)
Quell’anima nera!

DUCA (battendo colla mano una spalla al Conte)
Che di’, questa testa?

RIGOLETTO
È ben naturale.
Che fare di tal testa?... A cosa ella vale?

CEPRANO (infuriato, brandendo la spada)
Marrano!

DUCA (a Ceprano)
Fermate!

RIGOLETTO
Da rider mi fa.

MARULLO, CORO (tra loro)
In furia è montato!

DUCA (a Rigoletto)
Buffone, vien qua.

BORSA, MARULLO, CORO
In furia è montato!

DUCA
Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo.
Quell’ira che sfidi colpirti potrà.

CEPRANO (ai cortigiani a parte)
Vendetta del pazzo!

RIGOLETTO
Che coglier mi puote? Di loro non temo;
del Duca un protetto nessun toccherà.

CEPRANO
Contr’esso un rancore
di noi chi non ha?
Vendetta!

BORSA, MARULLO, CORO (a Ceprano)
Ma come?

CEPRANO
In armi chi ha core
doman sia da me.

BORSA, MARULLO, CORO
Sì.

CEPRANO
A notte.

BORSA, MARULLO, CORO
Sarà.

RIGOLETTO
Che coglier mi puote? ecc.

DUCA
Ah, sempre tu spingi lo scherzo, ecc.

BORSA, CEPRANO, MARULLO, CORO
Vendetta del pazzo!
Contr’esso un rancore
pei tristi suoi modi
di noi chi non ha?
Sì, vendetta! ecc.
Sì, vendetta!

DUCA, RIGOLETTO
Tutto è gioia, tutto è festa!
(La folla de’ danzatori invade la scena.)

TUTTI
Tutto è gioia, tutto è festa!
Tutto invitaci a goder!
Oh, guardate, non par questa
or la reggia del piacer?





Luciano Pavarotti (Duca di Mantova), Ingvar Wixell (Rigoletto), Rémy Corazza (Borsa),
Bernd Weikl (Marullo), Roland Bracht (Ceprano), Kathleen Kuhlmann (Contessa di Ceprano)
dir: Riccardo Chailly (1983)


Roberto Alagna (Duca di Mantova), Renato Bruson (Rigoletto), Ernesto Gavazzi (Borsa),
Silvestro Sammaritano (Marullo), Antonio de Gobbi (Ceprano), Nicoletta Zanini (Contessa di Ceprano)
dir: Riccardo Muti (1994)


"Questa o quella"
Rolando Villazón (2012)


"Questa o quella"
Luciano Pavarotti (1964)


"Questa o quella"
Enrico Caruso (1908)

"Questa o quella"
Franco Corelli (1958)


"Questa o quella per me pari sono" ha anche fatto capolino in alcune pellicole cinematografiche:


"da "Arrivederci Roma" (1957) di Roy Rowland
(cantata da Mario Lanza)

"da "Wall Street" (1987) di Oliver Stone


21 gennaio 2018

Rigoletto (2) - Preludio

Scritto da Christian


dir: Riccardo Chailly (1983)
(dal film diretto da Jean-Pierre Ponnelle)


Il breve preludio dell'opera appare oscuro e tenebroso, con un incedere funebre, in forte contrasto con le prime scene che immediatamente seguiranno (la festa a Palazzo Ducale) e che saranno invece vivaci e leggere. La cupezza del preludio è naturalmente un'anticipazione del dramma che verrà, con tutto il suo bagaglio di cospirazione, di inganno e di dolore, e la tragedia è annunciata dal tema musicale della maledizione. Ricordiamo che proprio "La maledizione" (o "La maledizione di Saint-Vallier", quando ancora si sperava di poter usare i nomi originali del dramma di Victor Hugo) avrebbe dovuto essere il titolo dell'opera. Fra le molte richieste dei censori austriaci, ci fu quella di cambiarne il nome, forse perché metteva troppo in risalto un concetto ritenuto blasfemo. Verdi, pur accettando di reintitolare l'opera con il nome del protagonista, era però ben conscio della sua importanza tematica. In una lettera al librettista Piave, il compositore scriveva:
Tutto il sogetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande al sommo grande.
Tolta dal titolo dell'opera, la maledizione si ritaglia un enorme spazio nella musica. Oltre a ricorrere più volte nel testo del libretto con grande enfasi (si pensi ai finali dell'Atto I e soprattutto dell'Atto III, "Ah! la maledizione!", proprio sulla calata del sipario), Verdi le dedicò un'attenzione particolare nella partitura, tessendo un vero e proprio "arco semantico" in do, a partire ovviamente dal preludio (i cui accordi risuoneranno altre volte nel corso dell'opera). Non era una novità per lui: già in "Ernani" aveva basato il preludio sul motivo fondamentale del dramma. Qui, però, l'effetto è ben più maggiore e duraturo, giungendo a scuotere lo spettatore nel profondo e facendolo partecipare come non mai alla tragedia, ancora prima che questa cominci (che cos'è in fondo una maledizione, se non un preavviso di una tragedia che incombe? E cos'è un'ouverture o un preludio di un'opera, se non un preavviso dello stesso tipo?). Si può dire che Verdi compose come se il titolo non fosse mai stato cambiato, sconfiggendo in questo la censura, interessata a intervenire sulle parole ma non sulle note.
[Il preludio] è un puro gesto sonoro che prepara magistralmente lo sviluppo dell’intero dramma: Monterone romperà l’allegria della festa intonando la stessa nota (Do) per scagliare la sua invettiva contro il Duca che gli ha sedotto la figlia, e contro il buffone che gli rifà il verso per schernirlo. La sequenza iniziale viene poi connotata nella scena successiva, quando Rigoletto ripensa a quelle parole rientrando a casa, e sosta declamando «Quel vecchio maledivami!». (...) Il preludio è dunque l’argomento di una tragedia incanalata su un percorso obbligato. (...) Grazie al reticolo musicale creato dal motto della maledizione, nelle sue implicazioni metriche e armoniche, Verdi scavalcò di slancio ogni censura ponendo in enfasi il concetto che stava alla base del suo dramma, o fu forse il divieto a stimolarne vieppiù l’estro. Ne scaturì una delle sue tragedie più immani, che corre rapida coerente ed implacabile verso la catastrofe, pervasa di un disperato rigore morale.
(Michele Girardi)
Melodicamente il motivo è vago, amorfo, con struttura irregolare di tre battute e contorni melodici appena abbozzati. Il suo potenziale energetico è concentrato nel ritmo doppiamente puntato di tromba e trombone, che in nove battute di crescendo conduce all’esplosione di un fortissimo, dissolto poi in una catena di figure singhiozzanti di violini e legni. Ricompare un breve richiamo al motivo principale, modellato per due volte in schema di cadenza; quindi una coda di sei battute, con i sordi rintocchi di un incisivo “a solo” di timpani, conduce alla veemente cadenza finale.
(Julian Budden)



dir: Francesco Molinari-Pradelli (1967)

dir: Richard Bonynge (1971)



Il preludio in una scena del film "Maledetti vi amerò" (1980) di Marco Tullio Giordana


15 gennaio 2018

Rigoletto (1) - Introduzione

Scritto da Christian

Rigoletto
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Prima rappresentazione: Venezia (Teatro La Fenice),
11 marzo 1851

Personaggi e voci:
- Il Duca di Mantova (tenore)
- Rigoletto, suo buffone di corte (baritono)
- Gilda, figlia di lui (soprano)
- Sparafucile, bravo (basso)
- Maddalena, sorella di lui (contralto)
- Giovanna, custode di Gilda (mezzosoprano)
- Il Conte di Monterone (baritono)
- Marullo, cavaliere (baritono)
- Borsa Matteo, cortigiano (tenore)
- Il Conte di Ceprano (basso)
- La Contessa, sposa di lui (mezzosoprano)
- Usciere di corte (tenore)
- Paggio della Duchessa (mezzosoprano)
- Cavalieri, dame, paggi, alabardieri (tenori, bassi)


Prima opera della cosiddetta "trilogia popolare" di Giuseppe Verdi (le altre due sono "Il trovatore" e "La traviata"), "Rigoletto" è uno dei lavori più conosciuti e anche più importanti del compositore di Busseto. E non solo per la sua bellezza o perché in esso sono contenuti alcuni dei brani più noti dell'intero repertorio lirico (a cominciare dall'aria "La donna è mobile"), ma per il carattere rivoluzionario che riveste nello sviluppo del melodramma italiano e non solo.

Realizzato su commissione per il teatro La Fenice di Venezia e ispirato a un dramma del 1832 di Victor Hugo, "Le Roi s'amuse" ("Il re si diverte"), il libretto ebbe numerosi problemi con la censura austriaca (il Veneto, a metà ottocento, faceva ancora parte dell'impero d'Austria): in clima di restaurazione, rappresentare un re (qui il re di Francia) come un personaggio dissoluto e libertino non era considerato accettabile. D'altronde, per identico motivo, lo stesso dramma di Hugo – ritenuto anche "immorale e triviale" – era stato tolto immediatamente dalle scene. Verdi, che aveva scelto personalmente il soggetto dell'opera, e Piave, suo collaboratore di lunga data (aveva già scritto per lui i libretti di "Ernani" [anch'esso tratto da Hugo], "I due Foscari", "Macbeth", "Il corsaro" e "Stiffelio"), lottarono contro la censura e accettarono il compromesso di modificare diversi particolari del dramma, in particolare spostando l'ambientazione dalla corte di Francia al ducato rinascimentale di Mantova, che ai quei tempi non esisteva più. Quello che avrebbe dovuto essere il re Francesco I divenne così un non meglio identificato "Duca di Mantova" (qualcuno ha creduto di vederci Federico II Gonzaga o il suo discendente Vincenzo I). Altri elementi controversi, invece, rimasero intatti, anche perché proprio Verdi si battè ostinatamente affinché non venissero alterati. In particolare la figura del protagonista, il buffone di corte gobbo e anziano, pur mal vista dai censori per via della sua deformità, sopravvisse fino alla versione definitiva. Come anche agli altri personaggi, gli fu però cambiato il nome: dall'originale Triboulet (o Triboletto) divenne Rigoletto (dal verbo francese rigoler, "scherzare": esisteva peraltro già una parodia del dramma di Hugo intitolata "Rigoletti, ou Le dernier des fous").

Verdi e Piave in un primo momento avevano pensato di intitolare l'opera "La maledizione". In effetti questa è il tema centrale della vicenda, che vede un buffone di corte, Rigoletto appunto, prendersi gioco dell'anziano padre di una ragazza che è stata sedotta dal libertino Duca di Mantova. L'uomo maledice entrambi. Più tardi, a cader preda delle voglie del Duca sarà la stessa figlia di Rigoletto, Gilda, che il padre teneva gelosamente rinchiusa in casa per proteggerla dal mondo esterno. Rigoletto pianificherà una tremenda vendetta, assoldando il sicario Sparafucile per uccidere il Duca: ma Gilda stessa, nonostante il padre le abbia aperto gli occhi sul carattere dissoluto del nobile, si sacrificherà per salvarlo: e così la maledizione sarà compiuta. L'intreccio di intrigo, gelosia, inganno, passione, tradimento, vendetta, amore filiale e paterno non poteva che accendere l'ispirazione di Verdi, che produsse alcune delle pagine più memorabili di tutta la sua carriera. In una lettera, scriveva che il dramma aveva un “soggetto grande, immenso, ed avvi un carattere che è una delle più grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche”. Consapevole che l'aria "La donna è mobile" avrebbe riscosso un enorme successo, il compositore volle tenerla segreta il più a lungo possibile, proibendo al tenore che l'avrebbe cantata durante la prima rappresentazione di intonarne il motivo (o anche solo di fischiettarlo) fuori dal teatro e dalle prove. Uno dei motivi di tanta cautela, probabilmente, era anche il timore che ne circolassero trascrizioni non autorizzate prima ancora che l'opera debuttasse in scena. In ogni caso, il musicista aveva visto giusto: l'opera ebbe un immediato successo e proprio il motivo del Duca di Mantova divenne subito popolarissimo: già il mattino seguente lo si sentiva cantare in tutte le strade di Venezia.

Alla potenza drammatica della vicenda narrata si affiancano la ricchezza dell'orchestrazione e una vena melodica che sarà superata, forse, soltanto dalla successiva "Traviata". Brani come "Bella figlia dell'amore", "Questa o quella per me pari sono", "Caro nome", "Cortigiani, vil razza dannata", per citarne solo alcuni, hanno acquisito una notorietà che va ben oltre i confini della semplice melomania. Il tema musicale della maledizione (più che un leitmotiv è una sola nota, il do, che la colora solennemente come una condanna) è ricorrente e in particolare conclude con forza espressionistica il primo e il terzo atto. Strutturalmente, l'opera rappresenta l'occasione per Verdi di superare alcune convenzioni del teatro lirico italiano, con la rottura delle tradizionali barriere fra numeri cantati e recitativi e la rimozione dei concertati finali d'atto. Lo stesso Verdi la definì "rivoluzionaria", confessando di averla concepita quasi "senz'arie e senza finali, con una filza interminabile di duetti". Per molti musicologi, "Rigoletto" rappresenta dunque uno spartiacque nel campo della lirica (non a caso, cade proprio a metà dell'Ottocento, come a voler dividere – insieme al "Lohengrin" di Wagner, di pochi mesi prima – il secolo e tutto il panorama del melodramma in un prima e un dopo), un passaggio dall'epoca del "bel canto" di Rossini, Bellini e Donizetti verso quella della "opera totale" di Wagner appunto e del Verdi più maturo. Il successo dell'opera fece sì che, nel giro di pochi mesi, venisse riproposta nei teatri di tutta Italia (a volte con modifiche e censure, e persino cambi di nomi: "Viscardello", "Lionello", "Clara di Perth") e poi d'Europa. Nel ventesimo secolo, la parte del Duca di Mantova è diventata uno dei ruoli simbolo di numerosi celebri tenori (da Enrico Caruso a Luciano Pavarotti). E i critici continuano a rileggerla alla luce di aspetti sociali o politici sempre diversi ma anche sempre più attuali (l'arroganza del potere, la crudeltà dell'emarginazione, la subalternità femminile).


Alcune delle incisioni più celebri:















Link utili:

Articolo su Wikipedia in italiano
Articolo su Wikipedia in inglese
Libretto completo
Partitura
Saggio di Julian Budden [in pdf]
Saggio di Michele Girardi [in pdf]