26 dicembre 2014

12. Finale I/3: "Non serve a vil politica"

Scritto da Christian

Se il quartetto degli "scrocconi" (Macrobio, Pacuvio, Aspasia e Fulvia) si è preoccupato per prima cosa di far bella figura con il nuovo proprietario della villa, ossia il finto mercante turco, la Marchesa Clarice invece si strugge per la disgrazia capitata al Conte. In un bel terzetto lirico (alla Marchesa si aggiungono le voci del cavalier Giocondo e dello stesso Conte Asdrubale), si enuncia la morale dell'intera vicenda: "Del paragon la pietra / sono i contrari eventi; / nei giorni più ridenti / è dubbia l'amistà".

Come a dimostrarlo, ecco che i quattro falsi amici si presentano, valigie in mano, pronti ad abbandonare al più presto la tenuta. La Baronessa Aspasia e Donna Fulvia danno ironicamente il via libera a Clarice per la mano di Asdrubale ("Ora il Conte è tutto vostro"), rinunciando al loro interesse a sposarlo, adesso che è ridotto in povertà. A completamento della prova, il Conte chiede esplicitamente un aiuto ai presenti. Se quello che offrono Macrobio (un articolo sul suo giornale) e Pacuvio (una "flebile elegia") è trascurabile, Aspasia e Fulvia si trincerano addirittura dietro un "Non saprei". Ben diversa è invece la risposta del fedele Giocondo ("La casa mia!") e naturalmente di Clarice ("La mia mano, l'entrata e il cor").

A questo punto le carte sono scoperte e la burla può completarsi. Arriva Fabrizio, il maggiordomo del Conte, recando la notizia che è stato trovato il "controvaglia" che dimostra che il debito era già stato estinto: il "turco" non può rivendicare nulla, Asdrubale è nuovamente in possesso di tutti i suoi beni. Fra la sorpresa e l'euforia generale, i quattro voltagabbana non possono nascondere la vergogna per il proprio comportamento (che cercano di dissimulare: "Il mio cor l'avea predetto"). Tornano a professarsi amiconi, ma la rabbia per la brutta figura commessa non mancherà di farsi sentire all'inizio del secondo atto. Frattanto, il primo si conclude con un concertato finale "di confusione", tipicamente rossiniano.

Clicca qui per il testo.

CLARICE
Non serve a vil politica
chi vanta un cor fedele:
quando la sorte è critica,
l'onor non volta vele:
eppoi nessun mi dice,
ch'ella non può cangiar.

(intanto comparisce il Conte nei suoi propri abiti fingendo mestizia, e il cavalier Giocondo, che di buona fede lo conforta)

CONTE
Lasciate un infelice,
vicino a naufragar.

GIOCONDO
Alla virtù non lice
gli oppressi abbandonar.

CLARICE, CONTE E GIOCONDO
(Del paragon la pietra
sono i contrari eventi:
nei giorni più ridenti
più dubbia è l'amistà.)

(entrano Macrobio, Pacuvio, la Baronessa Aspasia e Donna Fulvia, rivolgendosi a Clarice in aria di scherno)

MACROBIO E PACUVIO
Marchesina...

BARONESSA E FULVIA
Contessina...

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Mi consolo, e a voi mi prostro:
ora il Conte è tutto vostro.

CLARICE (con disinvoltura e brio)
Tanto meglio!

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO (come sopra)
Già si sa.

GIOCONDO (al Conte)
Li vedete? Li ascoltate?

CONTE (a Giocondo)
Ci vuol flemma.

CLARICE
Canzonate.

MACROBIO E PACUVIO
Che fortuna!

CLARICE
Io sono in ballo;
bene o mal si ballerà.

CONTE (avanzandosi con Giocondo e scoprendosi)
Cari amici, or che il destino
mi privò d'ogni sostanza,
qual voi date a me speranza
di soccorso e di favor?

MACROBIO
Un articolo sul foglio.

PACUVIO
Una flebile elegia.

BARONESSA E FULVIA (stringendosi nelle spalle)
Non saprei...

GIOCONDO (con franchezza e cordialità)
La casa mia.

CLARICE (con vivacità e dolcezza)
La mia man, l'entrata e il cor.

MACROBIO E PACUVIO (fra loro guardando il Conte, ed allontanandosi da lui)
Scappa, scappa...

BARONESSA E FULVIA (egualmente)
Oh com'è brutto!

GIOCONDO (al Conte)
Osservate.

MACROBIO E PACUVIO (come sopra)
È cosa seria.

CLARICE, CONTE E GIOCONDO
(Dove regna la miseria
tutto è noia e tutto è orror.)

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
(Meglio assai nella miseria
si distingue un seccator.)

(Fabrizio entra con un antico foglio in mano, saltando per l'allegrezza)

FABRIZIO E CORO
Viva, viva!

FABRIZIO
In un cantone
d'un armadio abbandonato,
fra la polve...

CONTE (interrompendolo con impazienza)
L'hai trovato?

FABRIZIO
L'ho trovato!

CONTE
Il controvaglia?

FABRIZIO E CORO
Legga, legga.

CONTE (abbracciando Fabrizio)
Uh! Benedetto!

CLARICE E GIOCONDO (con vera cordialità)
Oh, che gioia!

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO (attorniando il Conte con affettata compiacenza)
Oh, che diletto!

CLARICE E GIOCONDO (fra loro accennandosi gli altri quattro)
Come cambiano d'aspetto!

BARONESSA E FULVIA
Il mio cor l'avea predetto.

CONTE
In momenti sì felici...
(fingendo di svenire)
Ah! Ch'io manco... Ah! Dove sono?...

MACROBIO E PACUVIO (volendo sostenerlo)
Fra le braccia degli amici.

BARONESSA E FULVIA (avvicinandosi anch'esse)
Poverino!

CLARICE E GIOCONDO (respingendoli e sostenendo il Conte)
Eh, andate là.

TUTTI
Qual chi dorme e in sogno crede
di veder quel che non vede,
se uno strepito improvviso
tronca il sonno, egli è indeciso
nel contrasto delle vere
colle immagini primiere...
Fra la calma e la tempesta
corre, vola e poi s'arresta...
tal son io col mio cervello
fra l'incudine e il martello
sbalordito, sbigottito,
agitato, spaventato,
condannato a palpitar.
Dal passato e dal presente,
non so come, alternamente...

CLARICE, CONTE, GIOCONDO, FABRIZIO E CORO
Dalla gioia e dal timore
io mi sento a trasportar.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Dalla rabbia e dal rossore
io mi sento a lacerar.



Sonia Prina, François Lis, José Manuel Zapata, Jennifer Holloway, Laura Giordano,
Joan Martin-Royo, Christian Senn, Filippo Polinelli


Marie-Ange Todorovich, Marco Vinco, Raul Giménez, Laura Brioli, Patrizia Biccirè,
Pietro Spagnoli, Paolo Bordogna, Tomeu Bibiloni


Julia Hamari, Justino Diaz, Ugo Benelli, Antonella Pianezzola, Daniela Dessì,
Claudio Desderi, Alessandro Corbelli, Armando Ariostini

20 dicembre 2014

11. Finale I/2: "Oh, caso orribile!" - "Sigillara!"

Scritto da Christian

Irrompono Donna Fulvia e la Baronessa Aspasia, che recano una ferale notizia: il Conte Asdrubale ha perso tutti i propri averi. Smarriti dall'improvvisa novità, Giocondo e Clarice chiedono lumi; ma le due donne non sono in grado di chiarire i dettagli (e si limitano a tirare un sospiro di sollievo per non essersi maritate con il nobiluomo ormai in rovina: "Guai se consorte mi fosse stato", "Per buona sorte non mi ha sposato"). I successivi interventi di Pacuvio e di Macrobio non chiariscono la situazione, anzi la complicano: pare che sia comparso un creditore, che rivendica tutte le proprietà del Conte sulla base di un vaglia "sottoscritto cent'anni fa" da un antenato del nobile. Le voci si rincorrono: chi è il creditore, da dove viene? "Dal Giappone", asserisce Pacuvio. "Dal Canadà", controbatte Macrobio. I due quasi si azzuffano, cambiando più volte versione e accostando al nuovo venuto le nazionalità più improbabili: "Un turchesco della Bretagna", "Un tedesco nato in Bevagna"... Clarice e Giocondo, sinceramente preoccupati per le sorti del Conte e disgustati dalla superficialità con cui gli altri ospiti trattano la faccenda, si allontanano. Macrobio, Pacuvio, Fulvia e Aspasia, invece, restano ad attendere il misterioso creditore, già pronti a trasferire la propria adulazione e la propria fedeltà su di lui, per lo più allo scopo di farsi invitare "alla sua mensa".

Clicca qui per il testo da "Oh, caso orribile!".

BARONESSA E FULVIA (con affanno)
Oh, caso orribile!
Caso incredibile!
Il Conte Asdrubale
tutto perdé.

CLARICE E GIOCONDO (con sorpresa)
Come? Cioè?

BARONESSA
Guai se consorte
mi fosse stato!

FULVIA
Per buona sorte
non mi ha sposato.

BARONESSA E FULVIA
Oh che disordine!
Son fuor di me!

CLARICE E GIOCONDO
Via su, con ordine
meglio spiegatevi.

BARONESSA E FULVIA (in atto di partire)
Qui torno subito...

CLARICE E GIOCONDO (trattenendole)
Ma in grazia diteci,
che nuova c'è.

BARONESSA E FULVIA
Vado ad intendere
meglio il perché.
(partono)

MACROBIO (entra)
Altro che ridere
sui nostri fatti!
È qui Lisimaco
castigamatti;
e mostra un vaglia
di sei milioni,
che in Sinigaglia
da un tal Piloni
fu sottoscritto
cent'anni fa.

CLARICE E GIOCONDO
Di questa favola
capisco poco.

PACUVIO (entra, agitatissimo)
Non v'è più tavola,
non v'è più cuoco.

MACROBIO
Il creditore
per farsi onore
alla sua mensa
c'inviterà.

CLARICE
Ma la sua patria?...

GIOCONDO
La condizione?

CLARICE E GIOCONDO
Ma donde viene?

PACUVIO
Vien dal Giappone.

MACROBIO (a Pacuvio)
Voi fate sbaglio,
dal Canadà.

PACUVIO
Egli è un turchesco
della Bretagna.

MACROBIO
Anzi un tedesco,
nato in Bevagna.

CLARICE E GIOCONDO
Che pezzi d'asini!
[Regga chi vuole;]
son più i spropositi,
che le parole:
mi fate stomaco
per verità.
(partono in fretta)

PACUVIO (verso i due che son partiti)
A me? Cospetto!

MACROBIO
A me? Per Bacco!

MACROBIO E PACUVIO (rimproverandosi l'un l'altro)
Per vostra colpa
soffro uno smacco.

PACUVIO
So quel che dico.

MACROBIO
Non sono un cavolo.

BARONESSA E FULVIA (rientrano in fretta)
Ecco l'amico;
non fate strepito,
o tutti al diavolo
ci manderà.

MACROBIO E PACUVIO (l'uno all'altro)
Chi prenda equivoco,
or si vedrà.



Jennifer Holloway (Aspasia), Laura Giordano (Fulvia), Sonia Prina (Clarice),
José Manuel Zapata (Giocondo), Joan Martin-Royo (Macrobio), Christian Senn (Pacuvio)


Laura Brioli (Aspasia), Patrizia Biccirè (Fulvia), Marie-Ange Todorovich (Clarice),
Raul Giménez (Giocondo), Pietro Spagnoli (Macrobio), Paolo Bordogna (Pacuvio)


E finalmente arriva il fantomatico mercante turco, che altri non è che il Conte stesso camuffato ("All'africana mi vestirò", aveva rivelato Asdrubale poco prima al suo fido attendente Fabrizio). Lo scopo della burla, come anticipato dal titolo dell'opera, è quello di fingersi ridotto in rovina per poter "saggiare" la vera indole di tutti coloro che gli stanno intorno e gli professano amicizia, rispetto o amore. Faranno lo stesso anche ora che non ha più un soldo?

Tutta la scena del finto turco, esilarante e geniale, si iscrive in un filone comune (che risale sin dai tempi della Commedia dell'Arte), quello delle "turcherie", che dà l'opportunità di presentare situazioni stravaganti ed esotiche (Rossini stesso vi si affiderà in misura ancora maggiore in opere come "L'italiana in Algeri" e "Il turco in Italia"). Qui è divertente osservare l'ossequioso comportamento dei quattro scrocconi, che non perdono un attimo a trasferire la propria fedeltà dal Conte Asdrubale al nuovo arrivato ("Dice bene", "Si conosce!"), salvo insorgere quando questi afferma di voler mettere i sigilli a ogni cosa che si trova nella tenuta, compresi i loro effetti personali.
Ma è il Finale primo il capolavoro della "Pietra": Asdrubale piomba in casa travestito da turco e mette alla prova gli amici parassiti. Romanelli qui combina due idee antiche: la povertà come prova dell'amicizia e le grottesche turcherie. Queste ultime, frequenti nella storia del melodramma, risalgono almeno alle scene "turche" di Molière nelle comédies-ballet "Le sicilien ou l'amour peintre" (1667) e "Le bourgeois gentilhomme" (1970; in entrambi i testi francesi i passi sono in "italo-turco", e nel "Bourgeois" l'ampia divertente scena si chiude al grido «bastonnara, bastonnara»); probabilmente Romanelli conosceva questi lavori e anche il famoso passo della "Famiglia dell'antiquario" (1749) di Goldoni ove un sarcastico Brighella spiega ad Arlecchino la trasformazione dell'italiano in lingua "turca": [Brighella] «Basta terminar le parole in ira, in ara, e el ve crede un armeno italianà»; [Arlecchino] «Volira, vedira, comprara; dighia ben?»; e così nella scena seguente Arlecchino travestito da armeno, farneticando un'astrusa lingua tutta a base di «obbligara», «portara», «cuccara», rifila delle false anticaglie al credulone conte Anselmo. Turcherie scatenate e sarcastica prova dell'amicizia mettono le ali all'ispirazione di Rossini che compone un grande affresco musicale brillante, mordace, con l'orchestra che esegue graffianti motivetti mentre il "turco" spaventa e insulta gli scrocconi con i suoi «mangiara» e «sigillara».
(da "Storia dell'opera italiana", di Fabrizio Dorsi e Giuseppe Rausa)
La buffa parlata del mercante mandò letteralmente in estasi il pubblico all'epoca della prima rappresentazione. In particolare la parola "Sigillara", con cui il turco zittisce ogni protesta e minaccia di porre i sigilli a ogni cosa, divenne presto un titolo alternativo dell'opera. «Se in Lombardia parlate della "Pietra del paragone", nessuno vi capisce, bisogna dire: "il Sigillara"», scriveva Stendhal. Ma "Sigillara" non è l'unica parola buffa usata dal mercante: ne inanella molte altre, con incredibili effetti comici ("Baccalà!", "Tambelloni Kaimacachi", ecc.), soprattutto quando Macrobio e compagni fingono di comprendere ogni cosa che dice ("Mille grazie!"), gli fanno i complimenti per il suo italiano ("Parla proprio in lingua etrusca") o addirittura cercano di adattarsi al suo linguaggio per farsi capire ("Mi far critica giornala..."). Ne risulta una scena che merita davvero un posto di rilievo nel panorama dell'opera buffa rossiniana e non solo, un perfetto esempio di come Rossini ami giocare – attraverso la musica – con le parole e il linguaggio.


Questo curioso libricino dato alle stampe a Milano alla fine del 1812 o all'inizio del 1813 testimonia di quanto la parola "Sigillara" fosse diventata popolare ed entrata nell'uso comune.

Clicca qui per il testo da "Lui star conta, io star mercanta".

CONTE (travestito, a Fabrizio)
Lui star conta, io star mercanta,
ti star furba, e lui birbanta.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Dice bene.

CONTE
(Oh che canaglia!)
(mostrando un foglio logoro dal tempo)
Qui star vaglia.

PACUVIO (dopo averlo guardato)
Sei milioni!

BARONESSA, FULVIA E MACROBIO
Bagattella!

CONTE
(Che bricconi!)
(a Fabrizio)
Se trovara controvaglia,
mi far vela per Morea.

FABRIZIO (tutto mesto)
Non trovara.

CONTE
Scamonéa
tua poltrona resterà.

MACROBIO
Parla proprio in lingua etrusca.

CONTE
Mi mangiara molta crusca.

MACROBIO
Si conosce.

CONTE
Baccalà.
Tambelloni Kaimacachi.

MACROBIO
(Cosa dice?)

BARONESSA, FULVIA E PACUVIO
(Non intendo.)

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Mille grazie.

CONTE
Baccalà.

FABRIZIO
(Li canzona come va.)

CONTE (a Fabrizio)
Non aprira più portona,
o tua testa andar pedona.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Che vuol dir questa canzona?

CONTE
Sequestrara...

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Adagio un po'!

CONTE
Sigillara...

BARONESSA E FULVIA
E le mie cose?

CONTE
Sigillara.

MACROBIO
E i manoscritti?

PACUVIO
I miei drammi?

MACROBIO
Le mie prose?

CONTE
Sigillara.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
In quanto a noi...

CONTE
Sigillara.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Oh questo no!

FABRIZIO (al Conte sempre con simulata insistenza)
Ubbidirò.

MACROBIO (al Conte)
Mi far critica giornala
che aver fama in ogni loco;
né il potera ritardar.

CONTE
Manco mala! manco mala!
Ti lasciara almen per poco
il buon senso respirar.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Sigillate pure al Conte
bocca, naso e che so io;
ma, cospetto! quel ch'è mio
lo dovete rispettar.

CONTE
Quanti stara a modo mio,
mi volera sigillar.

FABRIZIO
(Che hanno il cor perverso e rio,
più non v'è da dubitar.)



François Lis (Conte), Jennifer Holloway, Laura Giordano,
Joan Martin-Royo, Christian Senn, Filippo Polinelli


Marco Vinco (Conte), Laura Brioli, Patrizia Biccirè,
Pietro Spagnoli, Paolo Bordogna, Tomeu Bibiloni


Justino Diaz (Conte), Antonella Pianezzola, Daniela Dessì,
Claudio Desderi, Alessandro Corbelli, Armando Ariostini

17 dicembre 2014

10. Finale I/1: "Su queste piante incisi"

Scritto da Christian

Il lungo finale del primo atto comincia con una scena in cui Macrobio, avendo udito un battibecco amoroso fra Giocondo e Clarice (il primo ormai non fa più mistero dei propri sentimenti verso la Marchesa), si diverte a provocarli e a prenderli in giro, paragonandoli nientemeno che ai personaggi dell' "Orlando furioso" Medoro e Angelica, il cui amore clandestino ("amor di contrabbando") fece smarrire il senno ad Orlando. Ben sapendo di essere da loro udito, il giornalista intona dunque una canzone che apparentemente parla dei due personaggi ariosteschi (l'incipit, "Su queste piante incisi / i nostri nomi stanno", si riferisce alla celebre scena in cui i due amanti scrivono i loro nomi su un albero) ma in realtà fa subdolo riferimento proprio a Giocondo e Clarice, accusandoli bonariamente di "amoreggiare" alle spalle del Conte Asdrubale.


Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

GIOCONDO
Perché fuggir? Di che temete?

CLARICE
Io temo d'insuperbir, quando vi ascolto.

GIOCONDO
Ed io da così giuste lodi astenermi non so.

CLARICE
Se giuste sono, ve 'l dica il mio rossor.

MACROBIO (avanzandosi)
(Bravi! si finga di non vederli.)

GIOCONDO (a Clarice)
Il labbro uso a mentir non ebbi mai.

MACROBIO (ad alta voce e fingendo di non aver veduti gli altri due)
Fra queste ombrose amiche piante
alla memoria io mi reco la storia,
vale a dire il famoso
contrabbando amoroso
di Medoro e d'Angelica.

GIOCONDO (a Clarice)
Costui metaforicamente ci canzona.

CLARICE (a Giocondo)
Senz'altro: io partirò.

GIOCONDO (a Clarice)
Siete pur buona!
Anzi restar dovete.

MACROBIO (rinforzando la voce e guardando verso il di dentro della scena)
Il Conte...

CLARICE E GIOCONDO (intimoriti, credendo che comparisse il Conte Asdrubale)
Il Conte?

MACROBIO
(Oh che paura!)
Il Conte Orlando...

CLARICE
(Respiro!)

GIOCONDO
(Lode al ciel!)

MACROBIO
...va intorno errando:
e Angelica e Medoro
in barba sua parlan così fra loro.

Clicca qui per il testo del brano.

MACROBIO
Su queste piante incisi
i nostri nomi stanno:
anch'esse apprenderanno
d'amore a palpitar.

CLARICE (a Macrobio scoprendosi)
Io so, signor mio caro,
di chi parlar s'intende.

GIOCONDO
Il suo discorso è chiaro,
ma sciocco, e non mi offende.

MACROBIO (agli altri due sempre con allusione e sarcasmo)
Angelica e Medoro,
che stanno amoreggiando...
Povero Conte Orlando!
Impazza per mia fé.

CLARICE E GIOCONDO
Angelica e Medoro...
Amor di contrabbando...
Son cose che sognando
tu vai così fra te.



Joan Martin-Royo (Macrobio), Sonia Prina (Clarice), José Manuel Zapata (Giocondo)


Pietro Spagnoli (Macrobio), Marie-Ange Todorovich (Clarice), Raul Giménez (Giocondo)

14 dicembre 2014

9. Coro: "Il Conte Asdrubale, dolente e squallido"

Scritto da Christian

In un breve interludio, udiamo il coro dei servitori preoccuparsi per lo stato d'animo del Conte, che si è rinchiuso in camera manifestando apprensione e turbamento. Naturalmente noi sappiamo che fa tutto parte dello scherzo che questi sta architettando, e i cui sviluppi non tarderanno a manifestarsi.

Clicca qui per il testo del brano.

CORO
Il Conte Asdrubale,
dolente e squallido,
nella sua camera
si ritirò.
Forse il più barbaro
fra tutti gli astri
disastri insoliti
gli minacciò.



dir: Jean-Christophe Spinosi


dir: Alberto Zedda

10 dicembre 2014

8. Aria: "Chi è colei che s'avvicina?"

Scritto da Christian

Con questa grande aria satirica, il giornalista Macrobio si vanta delle proprie capacità di "indirizzare" nel verso giusto le carriere di artisti, poeti, cantanti e ballerini: naturalmente sempre dietro lauto compenso. Cinico manifesto di uno scribacchino corrotto e prezzolato, l'aria pone sotto la lente della satira non solo il giornalista stesso (quasi orgoglioso del proprio potere) ma un po' tutte le figure che ruotano attorno al mondo del teatro, dai direttori d'orchestra ai compositori, dai librettisti agli interpreti (e chissà che alcune di queste figure così comicamente ritratte – come la "Fiammetta", il "maestro Don Pelagio", il poeta "Faccia Fresca" – non si rifacessero a personaggi reali e ben riconoscibili dal pubblico del 1812). Dal punto di vista della costruzione musicale, è impossibile non vedervi in nuce alcuni brani di successive opere rossiniane come "Il Barbiere di Siviglia" (mi riferisco tanto a "La calunnia" quanto a "Largo al factoctum") e "La Cenerentola" (l'aria di Don Magnifico "Sia qualunque delle figlie"). Da notare che, come nella precedente canzonetta di Pacuvio ("Ombretta sdegnosa del Missipipì"), anche qui Macrobio presta la voce – talvolta in falsetto – ad alcuni dei personaggi di cui riporta le parole, in una sorta di "monologo a più voci".

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

PACUVIO
Ma che sestina! che sestina!
Io penso d'esibirla a Macrobio:
il suo giornale concetto acquisterà.

FULVIA (in aria dubitativa)
Sarà bellissima, ma...

PACUVIO (con impazienza e dispetto)
Ma che?

FULVIA
Non capisco perché il Conte ridea.

PACUVIO
Quando si ride è segno che si gode.
Io faccio ridere quando voglio.
(parte)

BARONESSA
Come va, donna Fulvia?
Mi sembrate alquanto malinconica.

FULVIA
Io? no certo:
anzi sono allegrissima.
(Vorrebbe scoprir terreno.)
E voi mia cara, siete di buon umore?

BARONESSA
Altro che buono! Eppoi
mi si conosce in fronte.

FULVIA
(Che rabbia!)

BARONESSA
(Freme.)

FULVIA
Avete visto il Conte?

BARONESSA
(Oh! qui mi cascò l'asino.)
L'ho visto poco fa.

FULVIA
Sì? Che vi disse?

BARONESSA
Se l'aveste ascoltato! Era galante oltre il costume.

FULVIA
(Ah maledetto!)
Io sempre l'ho trovato così: gentile, ameno...

MACROBIO (entra, parlando con Pacuvio)
Non ho tempo, non posso; e il foglio è pieno.
La volete capir?
M'inchino a queste leggiadrissime dame.

BARONESSA
Io vi cercava per andare al passeggio.

PACUVIO (con enfasi)
È una sestina da stamparsi, o Macrobio, in carta pegola.

BARONESSA (ridendo di Pacuvio)
Ah, ah, ah...

FULVIA
(Che pettegola! Di tutto ride.)

MACROBIO (a Pacuvio che insiste)
È inutile: ho duecento
articoli pro e contra preparati,
che in sei mesi saran già consumati.
(ora ad esso, ora alle altre)
Son tanti i virtuosi
e di ballo, e di musica, clienti
del mio giornal, che diverrà fra poco
l'unico al mondo. Infatti figuratevi
d'essere in casa mia. Questo è il mio studio:
qui ricevo; e frattanto
nel cortil, per le scale, in anticamera,
un non so qual, come di mosche o pecchie,
strano ronzio si ascolta:
piano, piano, signori; un po' per volta.

Clicca qui per il testo del brano.

MACROBIO
Chi è colei che s'avvicina?
È una prima ballerina.
(finge che la ballerina parli ella stessa)
«Sul Teatro di Lugano
gran furor nel "Solimano"!»
(finge di prendere del denaro)
Mille grazie; siamo intesi;
il giornal ne parlerà.
D'una prima cantatrice
vien la mamma sola, sola.
(come sopra)
«Nel "Traiano" alla Fenice
gran furor la mia figliola!»
(come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
La Fiammetta col fratello,
altra prima sul cartello.
(come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
Ma la folla già s'accresce;
tutti udir non mi riesce.
Virtuosi d'ogni razza,
che ritornano alla piazza,
bassi, musici, ballerini,
cantatrici d'ogni razza:
osservate che scompiglio!
che bisbiglio qui si fa!
Largo, largo... ecco il maestro,
il maestro don Pelagio:
baci, amplessi... adagio, adagio...
ma chi è mai quest'altro qua?
È il poeta Faccia Fresca,
che non sa quel che si pesca.
Quante ciarle! Sì, signore,
voi farete un gran furore:
questa musica è divina:
più bel dramma non si dà.
Il poeta con le carte...
Il maestro con la parte...
Giusti dèi! che assedio è questo:
chi mi salva per pietà?



Joan Martin-Royo


Pietro Spagnoli


Claudio Desderi


Alfredo Mariotti


Enzo Dara


Bruno Praticò

Andrew Foldi

7 dicembre 2014

7. Quartetto: "Voi volete, e non volete"

Scritto da Christian

Il quartetto al centro del primo atto è un brano lungo e complesso, facilmente divisibile in tre parti (la vivace sezione iniziale, un brano lento e per sole voci, la stretta finale). Se musicalmente è caratterizzato dall'utilizzo, da parte di Rossini, di alcuni passaggi presi in prestito da lavori precedenti ("La scala di seta" e "Ciro in Babilonia"), a livello di contenuti esso è fondamentale nel muovere in avanti la vicenda. Il Conte Asdrubale, infatti, pone finalmente in moto lo scherzo che ha in programma di fare ai suoi ospiti per metterli alla prova, facendosi consegnare dal maggiordomo Fabrizio (precedentemente istruito), nel bel mezzo di una discussione con alcuni di loro (Clarice, Giocondo e Macrobio), un biglietto alla cui lettura si finge immediatamente preoccupato.

Il recitativo che precede il quartetto ci mostra come il cavalier Giocondo sia (nemmeno tanto segretamente) innamorato di Clarice: ma l'uomo sa bene che ella ha occhi solo per il Conte, verso il quale è legato da un'amicizia sincera, e da qui nasce il suo struggimento interiore. Lo stesso recitativo getta semi che verranno raccolti più in là (l'esistenza di un fratello gemello di Clarice, da lungo tempo perduto) e ci mostra schermaglie di vario tipo fra i personaggi. Quando Giocondo e il Conte discettano con Macrobio sul ruolo della critica giornalistica, è come se fossero Rossini e Romanelli in prima persona a parlare!

Nel vasto quartetto tripartito "Voi volete, e non volete" continua la schermaglia amorosa tra Asdrubale e Clarice, spettatori Giocondo e Macrobio, in un Andante ricco di fioriture; poi arriva un biglietto per Asdrubale che finge grande preoccupazione: scatta allora un passo (ripreso dal "Ciro") per sole voci in un'atmosfera rarefatta e "Smarrita"; la brillante stretta chiude il quartetto nella tipica confusione generale (tutti si chiedono cosa turba Asdrubale). Il successo travolgente della "Pietra" è dovuto a brani complessi e dinamici come questo, ove la musica mostra di saper aderire fedelmente a situazioni tanto cangianti.
(da "Storia dell'opera italiana", di Fabrizio Dorsi e Giuseppe Rausa)

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

GIOCONDO (a Clarice)
Perché sì mesta?

CLARICE
Il mio gemello, il caro Lucindo,
ad or ad or mi torna in mente.

GIOCONDO
Strana, scusate, in voi questa mi sembra tenerezza fraterna:
da fanciulli vi divideste, e fu per sempre:
estinto da sett'anni il credete...
Eh, marchesina... Altra...

CLARICE (con qualche risentimento)
Che dir vorreste?

GIOCONDO
Altra, io suppongo,
più vicina sorgente ha il vostr'affanno.
Il Conte a voi sì caro...
mio rivale ed amico... il sempre incerto Conte...
Ah! Clarice... Ah! se potessi anch'io le vostre cure meritar!...
(Clarice si mette in serietà)
Ma troppo e voi rispetto e l'amistà.
(al comparir di Macrobio, Clarice prende un aspetto ilare)

MACROBIO
Se avessi cinquanta teste e cento mani
appena potrei de' concorrenti al mio giornale
appagar le richieste.

GIOCONDO
In quanto a me sareste
sempre ozioso.

CLARICE (con brio)
Come? Al cavalier la critica non piace?

GIOCONDO
Anzi la bramo, e i giornalisti apprezzo,
sensati, imparziali,
e non usi a lordar venali fogli
d'insulsi motti e di maniere basse:
ma non entra Macrobio in questa classe.

CONTE (in aria gioiosa)
Che si fa? che si dice?

MACROBIO
Si discorre di critica.

CONTE
Io vorrei che i giornalisti
quando sull'opre altrui sentenza danno
dicessero il perché.

GIOCONDO
Pochi lo sanno:
per esempio Macrobio...

CLARICE (al cavalier Giocondo ed al Conte)
Eppur, signori,
sotto diverso aspetto
quello che fa Macrobio sul giornale
fate voi tutti e due.

MACROBIO (a Clarice, manifestando piacere della opinione di lei)
Brava! ci ho gusto!

CLARICE
L'usanza di operar senza un perché
non ha Macrobio sol, ma tutti e tre.

[CONTE
Come?

GIOCONDO
Che dite mai?

CLARICE
Lo dico, e sono prontissima a provarlo:
zitto... fate silenzio infin ch'io parlo.]

Clicca qui per il testo del brano.

CLARICE
(al Conte)
Voi volete, e non volete;
(al cavalier Giocondo)
voi tacete o sospirate;
(a Macrobio)
voi lodate o criticate:
e ciascun senza un perché.

CONTE
Con le donne, o signorina,
star bisogna molto all'erta
se quest'alma è sempre incerta,
ho pur troppo il mio perché.

GIOCONDO
Con la sorte, o marchesina,
giorno e notte invan m'adiro:
e se taccio e se sospiro,
ho pur troppo il mio perché.

MACROBIO
Con la fame, o signorina,
io non posso andar d'accordo:
quando lecco e quando mordo,
ho pur troppo il mio perché.

CLARICE
Se ho da dirl'a senso mio,
siete pazzi tutti e tre.

GIOCONDO, MACROBIO E CONTE
Fra i perché senz'altro il mio
è il miglior d'ogni perché.

CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO E CONTE
Ogni cosa, o male o bene,
a sua voglia il mondo aggira:
chi lo prende come viene,
l'indovina per mia fé.

(comparisce Fabrizio, che consegna il biglietto al Conte; questi l'apre, e leggendolo finge di turbarsi)

CONTE
(Per compire il gran disegno
mesto in fronte io leggo il foglio:
poi con arte il mio cordoglio
fingerò di mascherar.)

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
(ciascun da sé osservando il Conte)
Si scolora, è questo un segno
che funesto è a lui quel foglio:
ci sogguarda, e il suo cordoglio
tenta invan di mascherar.

GIOCONDO (al Conte)
Perché mai così tremante?

CONTE (fingendo una forzata disinvoltura per darla meglio ad intendere)
Io già m'altero per niente.

CLARICE (al medesimo)
Che vuol dir quel tuo sembiante?

MACROBIO (al medesimo)
Qualche articolo insolente?

CONTE (con forza, e poi ricomponendosi)
Stelle inique!

CLARICE
Ah! Conte amato...

CONTE (come sopra)
Qual disastro!

GIOCONDO
Ah! caro amico...

CONTE (come sopra)
Giusti dèi!

MACROBIO
Che cosa è stato?

CONTE
Non badate a quel che dico,
io di voi mi prendo gioco.

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Non intendo questo gioco.

CONTE
Il più bello non si dà.

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Il più strambo non si dà.

CLARICE
(Io ravviso in quell'aspetto
del destin la crudeltà.)

GIOCONDO
(Di paura e di sospetto
il mio cor tremando va.)

MACROBIO
(Lacerar mi sento il petto
dalla mia curiosità.)

CONTE
(La comparsa del biglietto
al disegno gioverà.)

CONTE
(Dal timor del mio periglio
imbrogliata han già la testa:
or più dubbio non mi resta
di poterli trappolar.)

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Ha il terror fra ciglio e ciglio:
incomincia e poi s'arresta:
calma finge e la tempesta
lo costringe a palpitar.



Sonia Prina, François Lis, José Manuel Zapata, Joan Martin-Royo


Marie-Ange Todorovich, Marco Vinco, Raul Giménez, Pietro Spagnoli


Julia Hamari, Justino Diaz, Ugo Benelli, Claudio Desderi

2 dicembre 2014

6. Aria: "Ombretta sdegnosa del Missipipì"

Scritto da Christian

L'incipit dell'opera ci aveva mostrato il poeta Pacuvio nell'atto di recitare il suo nuovo componimento ("Quest'aria allusiva, eroico-bernesca / cantar sulla piva dovrà una fantesca / per far delle risa gli astanti crepar"), di cui però riusciva a leggere solo il primo verso ("Ombretta sdegnosa del Missipipì"). Adesso, davanti a Donna Fulvia (l'unica che apprezza il suo talento), ecco che declama l'intera composizione. Lo fa dopo averne modificato alcune parti: non certo perché non ne fosse soddisfatto ("Quand'è ch'io faccia / cosa che non mi piaccia?") ma perché, come spiega a una Fulvia che pende dalla sua bocca, "il primo io sono che conosca il teatro / e il più distingua dal meno musicabile".

Il poema, dal ritmo pulsante, è un gioiellino di comicità, i cui versi bizzarri e strampalati accostano similitudini ittiche (il luccio, la triglia) a un contesto classico-mitologico un po' confuso (perché l'ombra del mago Arbace debba nascondersi nel fiume Mississippi – da Pacuvio storpiato in Missipipì – non è molto chiaro). E il continuo ripetere di quel "pipì... pipì..." faceva certo sbellicare dalle risate gli spettatori di allora come quelli di oggi. Se lo sviluppo poetico, attraverso il conflitto fra le due voci (entrambe interpretate, alterando la voce o mutandola in falsetto, dal medesimo cantante), conduce a un esilarante non sequitur, la cantabilità del testo iniziale rese quest'aria buffa talmente popolare da farne il brano più celebre dell'opera, nonché l'unico che sopravviverà all'oblio in cui "La pietra del paragone" cadrà per più di un secolo, a cavallo fra l'ottocento e il novecento.

L'aria fu infatti ripresa da Antonio Fogazzaro, che pare ignorasse la sua origine (l'opera di Rossini era già finita nel dimenticatoio) nel suo romanzo più famoso, "Piccolo mondo antico" (1895), dove viene spesso cantata da zio Piero alla piccola Maria (che proprio per questo motivo viene ribattezzata "Ombretta"):

Lo zio, tenendo il ginocchio destro sul sinistro e la bambina sul mucchio, le ripeteva per la centesima volta, con affettata lentezza, e storpiando un poco il nome esotico, la canzonetta:
Ombretta sdegnosa del Missipipì
Fino alla quarta parola la bambina lo ascoltava immobile, seria, con gli occhi fissi; ma quando veniva fuori il «Missipipì» scoppiava in un riso, sbatteva forte le gambucce e piantava le manine sulla bocca dello zio, il quale rideva anche lui di cuore e dopo un breve riposo ricominciava adagio adagio, nel tono solito.
Il brano, uno dei primi esempi degli effetti comici che Rossini saprà generare nelle sue opere giocando con il rapporto fra parole e musica, senza esitare a storpiare il linguaggio attraverso la ripetizione o la manipolazione delle sillabe o la creazione di versi surreali, è collocato in un contesto in cui Fulvia chiede l'aiuto di Pacuvio per accostarsi al Conte e offrirgli una rosa appena colta. Pacuvio presenta il dono con versi altrettanto pomposi e strampalati ("Io v'offro in questa rosa spampanata / la mia lacera, stanca e pelagrosa alma, / che sul finir di sua giornata / dir non saprei se sia gramigna o rosa"), da lui definiti di "genere petrarchesco", che sfociano in un esilarante anacronismo ("L'ho raccolta per voi di proprio pugno: / e quando? nel maggior caldo di giugno." – "Ora siamo in aprile." – "Non importa. / In grazia della rima un cronichismo di due mesi è permesso: / Virgilio somaron facea lo stesso").

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

FULVIA
Dove mai si cacciò? La rosa al Conte
io vorrei presentar: ma se Pacuvio...
Eccolo; ebben?

PACUVIO
Già la sestina è fatta; e che sestina!
Il Conte le ciglia inarcherà.

FULVIA
Questa è la rosa.

PACUVIO
Bella!

FULVIA
Sentiam.

PACUVIO
No; prima voglio farvi sentir come ho cambiata
l'aria che poco fa vi ho recitata.

FULVIA
Forse non vi piacea?

PACUVIO
Quand'è ch'io faccia cosa che non mi piaccia?

FULVIA
Perché dunque?...

PACUVIO
Eh, donna Fulvia,
il primo io sono che conosca il teatro
e il più distingua dal meno musicabile.
(in atto di leggere)
Ascoltate come in lingua patetica e burlesca
parli all'ombra del mago una fantesca.

Clicca qui per il testo del brano.

PACUVIO
«Ombretta sdegnosa
del Missipipì,
non far la ritrosa,
ma resta un po' qui.»
«Non posso, non voglio»,
l'ombretta risponde:
«son triglia di scoglio,
ti basti così.»
E l'altra ripiglia:
«Sei luccio, non triglia.»
Qui nasce un insieme:
chi piange, chi freme.
Fantesca: «Sei luccio.»
Ombretta: «Son triglia.»
Fantesca: «Ma resta.»
Ombretta: «Ti basti,
ti basti, t'arresta,
non dirmi così.»

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

FULVIA
Bravo, bravo, bravissimo!

PACUVIO
Eh... che ne dici di quel «Missipipì»?...
quel «mi basta così»?...
quel contrapposto fra luccio e triglia non t'incanta?

FULVIA
È vero.

PACUVIO
Bizzarria di pensiero,
sorpresa, novità...

FULVIA
Il Conte appunto è qua.

CONTE (in atto di attraversare il giardino)
(In favor di Clarice mi parla il cor;
ma consiglier non saggio egli è sovente. Or si vedrà.)

PACUVIO (a Fulvia)
Coraggio.

FULVIA (al Conte)
Serva sua.

CONTE
Mia padrona.

PACUVIO (al medesimo)
A voi s'inchina
il pindarico.

CONTE (a Pacuvio)
Addio.

PACUVIO (a Fulvia)
Fuori la rosa.
(prima al Conte, ch'è in atto di partire, poi a Fulvia con impazienza)
Un momentin... Fuori la rosa.

FULVIA
Aspetta.

PACUVIO (come sopra)
Fuori la rosa, o recito.

FULVIA
Che fretta!

CONTE
(Sarà qualcuna delle sue.)

FULVIA (vuol presentar la rosa al Conte)
Scusate...

PACUVIO
Zitto per or: voi state
ferma così, di presentarla in atto.

CONTE
(È un vero ciarlatan, ma sciocco e matto.)

PACUVIO
Parlo in terza persona.
(mettendosi fra il Conte e donna Fulvia, che sta in atto di presentar la rosa)
«Io v'offro in questa rosa spampanata
la mia lacera, stanca e pelagrosa alma,
che sul finir di sua giornata
dir non saprei se sia gramigna o rosa.»
Genere petrarchesco.

CONTE
In quanto a me lo chiamerei grottesco.

PACUVIO (prima al Conte, poi a donna Fulvia)
Anche. Or date la rosa.

FULVIA
Eccola.

CONTE
Grazie.

PACUVIO
[Agli ultimi due versi.]
«L'ho raccolta per voi di proprio pugno:
e quando? nel maggior caldo di giugno.»

CONTE
Ora siamo in aprile.

PACUVIO
Non importa.
In grazia della rima un cronichismo
di due mesi è permesso:
Virgilio somaron facea lo stesso.

CONTE
Ah, ah, ah... cronichismo... ah, ah... Virgilio...
Virgilio somaron... (Quanti spropositi!)
Ah, ah, ah...

PACUVIO (a Fulvia, ch'è restata attonita)
Lo vedete? a' versi miei
mai non manca un effetto.

CONTE (appoggiandosi ad una pianta)
Oh dio! non posso più.

PACUVIO (a Fulvia che si stringe nelle spalle, conducendola via)
Non ve l'ho detto?




Christian Senn


Paolo Bordogna


Alessandro Corbelli


Bruno De Simone


Justino Diaz

Alfonso Antoniozzi