26 dicembre 2014

12. Finale I/3: "Non serve a vil politica"

Scritto da Christian

Se il quartetto degli "scrocconi" (Macrobio, Pacuvio, Aspasia e Fulvia) si è preoccupato per prima cosa di far bella figura con il nuovo proprietario della villa, ossia il finto mercante turco, la Marchesa Clarice invece si strugge per la disgrazia capitata al Conte. In un bel terzetto lirico (alla Marchesa si aggiungono le voci del cavalier Giocondo e dello stesso Conte Asdrubale), si enuncia la morale dell'intera vicenda: "Del paragon la pietra / sono i contrari eventi; / nei giorni più ridenti / è dubbia l'amistà".

Come a dimostrarlo, ecco che i quattro falsi amici si presentano, valigie in mano, pronti ad abbandonare al più presto la tenuta. La Baronessa Aspasia e Donna Fulvia danno ironicamente il via libera a Clarice per la mano di Asdrubale ("Ora il Conte è tutto vostro"), rinunciando al loro interesse a sposarlo, adesso che è ridotto in povertà. A completamento della prova, il Conte chiede esplicitamente un aiuto ai presenti. Se quello che offrono Macrobio (un articolo sul suo giornale) e Pacuvio (una "flebile elegia") è trascurabile, Aspasia e Fulvia si trincerano addirittura dietro un "Non saprei". Ben diversa è invece la risposta del fedele Giocondo ("La casa mia!") e naturalmente di Clarice ("La mia mano, l'entrata e il cor").

A questo punto le carte sono scoperte e la burla può completarsi. Arriva Fabrizio, il maggiordomo del Conte, recando la notizia che è stato trovato il "controvaglia" che dimostra che il debito era già stato estinto: il "turco" non può rivendicare nulla, Asdrubale è nuovamente in possesso di tutti i suoi beni. Fra la sorpresa e l'euforia generale, i quattro voltagabbana non possono nascondere la vergogna per il proprio comportamento (che cercano di dissimulare: "Il mio cor l'avea predetto"). Tornano a professarsi amiconi, ma la rabbia per la brutta figura commessa non mancherà di farsi sentire all'inizio del secondo atto. Frattanto, il primo si conclude con un concertato finale "di confusione", tipicamente rossiniano.

Clicca qui per il testo.

CLARICE
Non serve a vil politica
chi vanta un cor fedele:
quando la sorte è critica,
l'onor non volta vele:
eppoi nessun mi dice,
ch'ella non può cangiar.

(intanto comparisce il Conte nei suoi propri abiti fingendo mestizia, e il cavalier Giocondo, che di buona fede lo conforta)

CONTE
Lasciate un infelice,
vicino a naufragar.

GIOCONDO
Alla virtù non lice
gli oppressi abbandonar.

CLARICE, CONTE E GIOCONDO
(Del paragon la pietra
sono i contrari eventi:
nei giorni più ridenti
più dubbia è l'amistà.)

(entrano Macrobio, Pacuvio, la Baronessa Aspasia e Donna Fulvia, rivolgendosi a Clarice in aria di scherno)

MACROBIO E PACUVIO
Marchesina...

BARONESSA E FULVIA
Contessina...

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Mi consolo, e a voi mi prostro:
ora il Conte è tutto vostro.

CLARICE (con disinvoltura e brio)
Tanto meglio!

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO (come sopra)
Già si sa.

GIOCONDO (al Conte)
Li vedete? Li ascoltate?

CONTE (a Giocondo)
Ci vuol flemma.

CLARICE
Canzonate.

MACROBIO E PACUVIO
Che fortuna!

CLARICE
Io sono in ballo;
bene o mal si ballerà.

CONTE (avanzandosi con Giocondo e scoprendosi)
Cari amici, or che il destino
mi privò d'ogni sostanza,
qual voi date a me speranza
di soccorso e di favor?

MACROBIO
Un articolo sul foglio.

PACUVIO
Una flebile elegia.

BARONESSA E FULVIA (stringendosi nelle spalle)
Non saprei...

GIOCONDO (con franchezza e cordialità)
La casa mia.

CLARICE (con vivacità e dolcezza)
La mia man, l'entrata e il cor.

MACROBIO E PACUVIO (fra loro guardando il Conte, ed allontanandosi da lui)
Scappa, scappa...

BARONESSA E FULVIA (egualmente)
Oh com'è brutto!

GIOCONDO (al Conte)
Osservate.

MACROBIO E PACUVIO (come sopra)
È cosa seria.

CLARICE, CONTE E GIOCONDO
(Dove regna la miseria
tutto è noia e tutto è orror.)

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
(Meglio assai nella miseria
si distingue un seccator.)

(Fabrizio entra con un antico foglio in mano, saltando per l'allegrezza)

FABRIZIO E CORO
Viva, viva!

FABRIZIO
In un cantone
d'un armadio abbandonato,
fra la polve...

CONTE (interrompendolo con impazienza)
L'hai trovato?

FABRIZIO
L'ho trovato!

CONTE
Il controvaglia?

FABRIZIO E CORO
Legga, legga.

CONTE (abbracciando Fabrizio)
Uh! Benedetto!

CLARICE E GIOCONDO (con vera cordialità)
Oh, che gioia!

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO (attorniando il Conte con affettata compiacenza)
Oh, che diletto!

CLARICE E GIOCONDO (fra loro accennandosi gli altri quattro)
Come cambiano d'aspetto!

BARONESSA E FULVIA
Il mio cor l'avea predetto.

CONTE
In momenti sì felici...
(fingendo di svenire)
Ah! Ch'io manco... Ah! Dove sono?...

MACROBIO E PACUVIO (volendo sostenerlo)
Fra le braccia degli amici.

BARONESSA E FULVIA (avvicinandosi anch'esse)
Poverino!

CLARICE E GIOCONDO (respingendoli e sostenendo il Conte)
Eh, andate là.

TUTTI
Qual chi dorme e in sogno crede
di veder quel che non vede,
se uno strepito improvviso
tronca il sonno, egli è indeciso
nel contrasto delle vere
colle immagini primiere...
Fra la calma e la tempesta
corre, vola e poi s'arresta...
tal son io col mio cervello
fra l'incudine e il martello
sbalordito, sbigottito,
agitato, spaventato,
condannato a palpitar.
Dal passato e dal presente,
non so come, alternamente...

CLARICE, CONTE, GIOCONDO, FABRIZIO E CORO
Dalla gioia e dal timore
io mi sento a trasportar.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Dalla rabbia e dal rossore
io mi sento a lacerar.



Sonia Prina, François Lis, José Manuel Zapata, Jennifer Holloway, Laura Giordano,
Joan Martin-Royo, Christian Senn, Filippo Polinelli


Marie-Ange Todorovich, Marco Vinco, Raul Giménez, Laura Brioli, Patrizia Biccirè,
Pietro Spagnoli, Paolo Bordogna, Tomeu Bibiloni


Julia Hamari, Justino Diaz, Ugo Benelli, Antonella Pianezzola, Daniela Dessì,
Claudio Desderi, Alessandro Corbelli, Armando Ariostini

20 dicembre 2014

11. Finale I/2: "Oh, caso orribile!" - "Sigillara!"

Scritto da Christian

Irrompono Donna Fulvia e la Baronessa Aspasia, che recano una ferale notizia: il Conte Asdrubale ha perso tutti i propri averi. Smarriti dall'improvvisa novità, Giocondo e Clarice chiedono lumi; ma le due donne non sono in grado di chiarire i dettagli (e si limitano a tirare un sospiro di sollievo per non essersi maritate con il nobiluomo ormai in rovina: "Guai se consorte mi fosse stato", "Per buona sorte non mi ha sposato"). I successivi interventi di Pacuvio e di Macrobio non chiariscono la situazione, anzi la complicano: pare che sia comparso un creditore, che rivendica tutte le proprietà del Conte sulla base di un vaglia "sottoscritto cent'anni fa" da un antenato del nobile. Le voci si rincorrono: chi è il creditore, da dove viene? "Dal Giappone", asserisce Pacuvio. "Dal Canadà", controbatte Macrobio. I due quasi si azzuffano, cambiando più volte versione e accostando al nuovo venuto le nazionalità più improbabili: "Un turchesco della Bretagna", "Un tedesco nato in Bevagna"... Clarice e Giocondo, sinceramente preoccupati per le sorti del Conte e disgustati dalla superficialità con cui gli altri ospiti trattano la faccenda, si allontanano. Macrobio, Pacuvio, Fulvia e Aspasia, invece, restano ad attendere il misterioso creditore, già pronti a trasferire la propria adulazione e la propria fedeltà su di lui, per lo più allo scopo di farsi invitare "alla sua mensa".

Clicca qui per il testo da "Oh, caso orribile!".

BARONESSA E FULVIA (con affanno)
Oh, caso orribile!
Caso incredibile!
Il Conte Asdrubale
tutto perdé.

CLARICE E GIOCONDO (con sorpresa)
Come? Cioè?

BARONESSA
Guai se consorte
mi fosse stato!

FULVIA
Per buona sorte
non mi ha sposato.

BARONESSA E FULVIA
Oh che disordine!
Son fuor di me!

CLARICE E GIOCONDO
Via su, con ordine
meglio spiegatevi.

BARONESSA E FULVIA (in atto di partire)
Qui torno subito...

CLARICE E GIOCONDO (trattenendole)
Ma in grazia diteci,
che nuova c'è.

BARONESSA E FULVIA
Vado ad intendere
meglio il perché.
(partono)

MACROBIO (entra)
Altro che ridere
sui nostri fatti!
È qui Lisimaco
castigamatti;
e mostra un vaglia
di sei milioni,
che in Sinigaglia
da un tal Piloni
fu sottoscritto
cent'anni fa.

CLARICE E GIOCONDO
Di questa favola
capisco poco.

PACUVIO (entra, agitatissimo)
Non v'è più tavola,
non v'è più cuoco.

MACROBIO
Il creditore
per farsi onore
alla sua mensa
c'inviterà.

CLARICE
Ma la sua patria?...

GIOCONDO
La condizione?

CLARICE E GIOCONDO
Ma donde viene?

PACUVIO
Vien dal Giappone.

MACROBIO (a Pacuvio)
Voi fate sbaglio,
dal Canadà.

PACUVIO
Egli è un turchesco
della Bretagna.

MACROBIO
Anzi un tedesco,
nato in Bevagna.

CLARICE E GIOCONDO
Che pezzi d'asini!
[Regga chi vuole;]
son più i spropositi,
che le parole:
mi fate stomaco
per verità.
(partono in fretta)

PACUVIO (verso i due che son partiti)
A me? Cospetto!

MACROBIO
A me? Per Bacco!

MACROBIO E PACUVIO (rimproverandosi l'un l'altro)
Per vostra colpa
soffro uno smacco.

PACUVIO
So quel che dico.

MACROBIO
Non sono un cavolo.

BARONESSA E FULVIA (rientrano in fretta)
Ecco l'amico;
non fate strepito,
o tutti al diavolo
ci manderà.

MACROBIO E PACUVIO (l'uno all'altro)
Chi prenda equivoco,
or si vedrà.



Jennifer Holloway (Aspasia), Laura Giordano (Fulvia), Sonia Prina (Clarice),
José Manuel Zapata (Giocondo), Joan Martin-Royo (Macrobio), Christian Senn (Pacuvio)


Laura Brioli (Aspasia), Patrizia Biccirè (Fulvia), Marie-Ange Todorovich (Clarice),
Raul Giménez (Giocondo), Pietro Spagnoli (Macrobio), Paolo Bordogna (Pacuvio)


E finalmente arriva il fantomatico mercante turco, che altri non è che il Conte stesso camuffato ("All'africana mi vestirò", aveva rivelato Asdrubale poco prima al suo fido attendente Fabrizio). Lo scopo della burla, come anticipato dal titolo dell'opera, è quello di fingersi ridotto in rovina per poter "saggiare" la vera indole di tutti coloro che gli stanno intorno e gli professano amicizia, rispetto o amore. Faranno lo stesso anche ora che non ha più un soldo?

Tutta la scena del finto turco, esilarante e geniale, si iscrive in un filone comune (che risale sin dai tempi della Commedia dell'Arte), quello delle "turcherie", che dà l'opportunità di presentare situazioni stravaganti ed esotiche (Rossini stesso vi si affiderà in misura ancora maggiore in opere come "L'italiana in Algeri" e "Il turco in Italia"). Qui è divertente osservare l'ossequioso comportamento dei quattro scrocconi, che non perdono un attimo a trasferire la propria fedeltà dal Conte Asdrubale al nuovo arrivato ("Dice bene", "Si conosce!"), salvo insorgere quando questi afferma di voler mettere i sigilli a ogni cosa che si trova nella tenuta, compresi i loro effetti personali.
Ma è il Finale primo il capolavoro della "Pietra": Asdrubale piomba in casa travestito da turco e mette alla prova gli amici parassiti. Romanelli qui combina due idee antiche: la povertà come prova dell'amicizia e le grottesche turcherie. Queste ultime, frequenti nella storia del melodramma, risalgono almeno alle scene "turche" di Molière nelle comédies-ballet "Le sicilien ou l'amour peintre" (1667) e "Le bourgeois gentilhomme" (1970; in entrambi i testi francesi i passi sono in "italo-turco", e nel "Bourgeois" l'ampia divertente scena si chiude al grido «bastonnara, bastonnara»); probabilmente Romanelli conosceva questi lavori e anche il famoso passo della "Famiglia dell'antiquario" (1749) di Goldoni ove un sarcastico Brighella spiega ad Arlecchino la trasformazione dell'italiano in lingua "turca": [Brighella] «Basta terminar le parole in ira, in ara, e el ve crede un armeno italianà»; [Arlecchino] «Volira, vedira, comprara; dighia ben?»; e così nella scena seguente Arlecchino travestito da armeno, farneticando un'astrusa lingua tutta a base di «obbligara», «portara», «cuccara», rifila delle false anticaglie al credulone conte Anselmo. Turcherie scatenate e sarcastica prova dell'amicizia mettono le ali all'ispirazione di Rossini che compone un grande affresco musicale brillante, mordace, con l'orchestra che esegue graffianti motivetti mentre il "turco" spaventa e insulta gli scrocconi con i suoi «mangiara» e «sigillara».
(da "Storia dell'opera italiana", di Fabrizio Dorsi e Giuseppe Rausa)
La buffa parlata del mercante mandò letteralmente in estasi il pubblico all'epoca della prima rappresentazione. In particolare la parola "Sigillara", con cui il turco zittisce ogni protesta e minaccia di porre i sigilli a ogni cosa, divenne presto un titolo alternativo dell'opera. «Se in Lombardia parlate della "Pietra del paragone", nessuno vi capisce, bisogna dire: "il Sigillara"», scriveva Stendhal. Ma "Sigillara" non è l'unica parola buffa usata dal mercante: ne inanella molte altre, con incredibili effetti comici ("Baccalà!", "Tambelloni Kaimacachi", ecc.), soprattutto quando Macrobio e compagni fingono di comprendere ogni cosa che dice ("Mille grazie!"), gli fanno i complimenti per il suo italiano ("Parla proprio in lingua etrusca") o addirittura cercano di adattarsi al suo linguaggio per farsi capire ("Mi far critica giornala..."). Ne risulta una scena che merita davvero un posto di rilievo nel panorama dell'opera buffa rossiniana e non solo, un perfetto esempio di come Rossini ami giocare – attraverso la musica – con le parole e il linguaggio.


Questo curioso libricino dato alle stampe a Milano alla fine del 1812 o all'inizio del 1813 testimonia di quanto la parola "Sigillara" fosse diventata popolare ed entrata nell'uso comune.

Clicca qui per il testo da "Lui star conta, io star mercanta".

CONTE (travestito, a Fabrizio)
Lui star conta, io star mercanta,
ti star furba, e lui birbanta.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Dice bene.

CONTE
(Oh che canaglia!)
(mostrando un foglio logoro dal tempo)
Qui star vaglia.

PACUVIO (dopo averlo guardato)
Sei milioni!

BARONESSA, FULVIA E MACROBIO
Bagattella!

CONTE
(Che bricconi!)
(a Fabrizio)
Se trovara controvaglia,
mi far vela per Morea.

FABRIZIO (tutto mesto)
Non trovara.

CONTE
Scamonéa
tua poltrona resterà.

MACROBIO
Parla proprio in lingua etrusca.

CONTE
Mi mangiara molta crusca.

MACROBIO
Si conosce.

CONTE
Baccalà.
Tambelloni Kaimacachi.

MACROBIO
(Cosa dice?)

BARONESSA, FULVIA E PACUVIO
(Non intendo.)

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Mille grazie.

CONTE
Baccalà.

FABRIZIO
(Li canzona come va.)

CONTE (a Fabrizio)
Non aprira più portona,
o tua testa andar pedona.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Che vuol dir questa canzona?

CONTE
Sequestrara...

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Adagio un po'!

CONTE
Sigillara...

BARONESSA E FULVIA
E le mie cose?

CONTE
Sigillara.

MACROBIO
E i manoscritti?

PACUVIO
I miei drammi?

MACROBIO
Le mie prose?

CONTE
Sigillara.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
In quanto a noi...

CONTE
Sigillara.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Oh questo no!

FABRIZIO (al Conte sempre con simulata insistenza)
Ubbidirò.

MACROBIO (al Conte)
Mi far critica giornala
che aver fama in ogni loco;
né il potera ritardar.

CONTE
Manco mala! manco mala!
Ti lasciara almen per poco
il buon senso respirar.

BARONESSA, FULVIA, MACROBIO E PACUVIO
Sigillate pure al Conte
bocca, naso e che so io;
ma, cospetto! quel ch'è mio
lo dovete rispettar.

CONTE
Quanti stara a modo mio,
mi volera sigillar.

FABRIZIO
(Che hanno il cor perverso e rio,
più non v'è da dubitar.)



François Lis (Conte), Jennifer Holloway, Laura Giordano,
Joan Martin-Royo, Christian Senn, Filippo Polinelli


Marco Vinco (Conte), Laura Brioli, Patrizia Biccirè,
Pietro Spagnoli, Paolo Bordogna, Tomeu Bibiloni


Justino Diaz (Conte), Antonella Pianezzola, Daniela Dessì,
Claudio Desderi, Alessandro Corbelli, Armando Ariostini

17 dicembre 2014

10. Finale I/1: "Su queste piante incisi"

Scritto da Christian

Il lungo finale del primo atto comincia con una scena in cui Macrobio, avendo udito un battibecco amoroso fra Giocondo e Clarice (il primo ormai non fa più mistero dei propri sentimenti verso la Marchesa), si diverte a provocarli e a prenderli in giro, paragonandoli nientemeno che ai personaggi dell' "Orlando furioso" Medoro e Angelica, il cui amore clandestino ("amor di contrabbando") fece smarrire il senno ad Orlando. Ben sapendo di essere da loro udito, il giornalista intona dunque una canzone che apparentemente parla dei due personaggi ariosteschi (l'incipit, "Su queste piante incisi / i nostri nomi stanno", si riferisce alla celebre scena in cui i due amanti scrivono i loro nomi su un albero) ma in realtà fa subdolo riferimento proprio a Giocondo e Clarice, accusandoli bonariamente di "amoreggiare" alle spalle del Conte Asdrubale.


Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

GIOCONDO
Perché fuggir? Di che temete?

CLARICE
Io temo d'insuperbir, quando vi ascolto.

GIOCONDO
Ed io da così giuste lodi astenermi non so.

CLARICE
Se giuste sono, ve 'l dica il mio rossor.

MACROBIO (avanzandosi)
(Bravi! si finga di non vederli.)

GIOCONDO (a Clarice)
Il labbro uso a mentir non ebbi mai.

MACROBIO (ad alta voce e fingendo di non aver veduti gli altri due)
Fra queste ombrose amiche piante
alla memoria io mi reco la storia,
vale a dire il famoso
contrabbando amoroso
di Medoro e d'Angelica.

GIOCONDO (a Clarice)
Costui metaforicamente ci canzona.

CLARICE (a Giocondo)
Senz'altro: io partirò.

GIOCONDO (a Clarice)
Siete pur buona!
Anzi restar dovete.

MACROBIO (rinforzando la voce e guardando verso il di dentro della scena)
Il Conte...

CLARICE E GIOCONDO (intimoriti, credendo che comparisse il Conte Asdrubale)
Il Conte?

MACROBIO
(Oh che paura!)
Il Conte Orlando...

CLARICE
(Respiro!)

GIOCONDO
(Lode al ciel!)

MACROBIO
...va intorno errando:
e Angelica e Medoro
in barba sua parlan così fra loro.

Clicca qui per il testo del brano.

MACROBIO
Su queste piante incisi
i nostri nomi stanno:
anch'esse apprenderanno
d'amore a palpitar.

CLARICE (a Macrobio scoprendosi)
Io so, signor mio caro,
di chi parlar s'intende.

GIOCONDO
Il suo discorso è chiaro,
ma sciocco, e non mi offende.

MACROBIO (agli altri due sempre con allusione e sarcasmo)
Angelica e Medoro,
che stanno amoreggiando...
Povero Conte Orlando!
Impazza per mia fé.

CLARICE E GIOCONDO
Angelica e Medoro...
Amor di contrabbando...
Son cose che sognando
tu vai così fra te.



Joan Martin-Royo (Macrobio), Sonia Prina (Clarice), José Manuel Zapata (Giocondo)


Pietro Spagnoli (Macrobio), Marie-Ange Todorovich (Clarice), Raul Giménez (Giocondo)

14 dicembre 2014

9. Coro: "Il Conte Asdrubale, dolente e squallido"

Scritto da Christian

In un breve interludio, udiamo il coro dei servitori preoccuparsi per lo stato d'animo del Conte, che si è rinchiuso in camera manifestando apprensione e turbamento. Naturalmente noi sappiamo che fa tutto parte dello scherzo che questi sta architettando, e i cui sviluppi non tarderanno a manifestarsi.

Clicca qui per il testo del brano.

CORO
Il Conte Asdrubale,
dolente e squallido,
nella sua camera
si ritirò.
Forse il più barbaro
fra tutti gli astri
disastri insoliti
gli minacciò.



dir: Jean-Christophe Spinosi


dir: Alberto Zedda

10 dicembre 2014

8. Aria: "Chi è colei che s'avvicina?"

Scritto da Christian

Con questa grande aria satirica, il giornalista Macrobio si vanta delle proprie capacità di "indirizzare" nel verso giusto le carriere di artisti, poeti, cantanti e ballerini: naturalmente sempre dietro lauto compenso. Cinico manifesto di uno scribacchino corrotto e prezzolato, l'aria pone sotto la lente della satira non solo il giornalista stesso (quasi orgoglioso del proprio potere) ma un po' tutte le figure che ruotano attorno al mondo del teatro, dai direttori d'orchestra ai compositori, dai librettisti agli interpreti (e chissà che alcune di queste figure così comicamente ritratte – come la "Fiammetta", il "maestro Don Pelagio", il poeta "Faccia Fresca" – non si rifacessero a personaggi reali e ben riconoscibili dal pubblico del 1812). Dal punto di vista della costruzione musicale, è impossibile non vedervi in nuce alcuni brani di successive opere rossiniane come "Il Barbiere di Siviglia" (mi riferisco tanto a "La calunnia" quanto a "Largo al factoctum") e "La Cenerentola" (l'aria di Don Magnifico "Sia qualunque delle figlie"). Da notare che, come nella precedente canzonetta di Pacuvio ("Ombretta sdegnosa del Missipipì"), anche qui Macrobio presta la voce – talvolta in falsetto – ad alcuni dei personaggi di cui riporta le parole, in una sorta di "monologo a più voci".

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

PACUVIO
Ma che sestina! che sestina!
Io penso d'esibirla a Macrobio:
il suo giornale concetto acquisterà.

FULVIA (in aria dubitativa)
Sarà bellissima, ma...

PACUVIO (con impazienza e dispetto)
Ma che?

FULVIA
Non capisco perché il Conte ridea.

PACUVIO
Quando si ride è segno che si gode.
Io faccio ridere quando voglio.
(parte)

BARONESSA
Come va, donna Fulvia?
Mi sembrate alquanto malinconica.

FULVIA
Io? no certo:
anzi sono allegrissima.
(Vorrebbe scoprir terreno.)
E voi mia cara, siete di buon umore?

BARONESSA
Altro che buono! Eppoi
mi si conosce in fronte.

FULVIA
(Che rabbia!)

BARONESSA
(Freme.)

FULVIA
Avete visto il Conte?

BARONESSA
(Oh! qui mi cascò l'asino.)
L'ho visto poco fa.

FULVIA
Sì? Che vi disse?

BARONESSA
Se l'aveste ascoltato! Era galante oltre il costume.

FULVIA
(Ah maledetto!)
Io sempre l'ho trovato così: gentile, ameno...

MACROBIO (entra, parlando con Pacuvio)
Non ho tempo, non posso; e il foglio è pieno.
La volete capir?
M'inchino a queste leggiadrissime dame.

BARONESSA
Io vi cercava per andare al passeggio.

PACUVIO (con enfasi)
È una sestina da stamparsi, o Macrobio, in carta pegola.

BARONESSA (ridendo di Pacuvio)
Ah, ah, ah...

FULVIA
(Che pettegola! Di tutto ride.)

MACROBIO (a Pacuvio che insiste)
È inutile: ho duecento
articoli pro e contra preparati,
che in sei mesi saran già consumati.
(ora ad esso, ora alle altre)
Son tanti i virtuosi
e di ballo, e di musica, clienti
del mio giornal, che diverrà fra poco
l'unico al mondo. Infatti figuratevi
d'essere in casa mia. Questo è il mio studio:
qui ricevo; e frattanto
nel cortil, per le scale, in anticamera,
un non so qual, come di mosche o pecchie,
strano ronzio si ascolta:
piano, piano, signori; un po' per volta.

Clicca qui per il testo del brano.

MACROBIO
Chi è colei che s'avvicina?
È una prima ballerina.
(finge che la ballerina parli ella stessa)
«Sul Teatro di Lugano
gran furor nel "Solimano"!»
(finge di prendere del denaro)
Mille grazie; siamo intesi;
il giornal ne parlerà.
D'una prima cantatrice
vien la mamma sola, sola.
(come sopra)
«Nel "Traiano" alla Fenice
gran furor la mia figliola!»
(come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
La Fiammetta col fratello,
altra prima sul cartello.
(come sopra)
Mille grazie; siamo intesi:
il giornal ne parlerà.
Ma la folla già s'accresce;
tutti udir non mi riesce.
Virtuosi d'ogni razza,
che ritornano alla piazza,
bassi, musici, ballerini,
cantatrici d'ogni razza:
osservate che scompiglio!
che bisbiglio qui si fa!
Largo, largo... ecco il maestro,
il maestro don Pelagio:
baci, amplessi... adagio, adagio...
ma chi è mai quest'altro qua?
È il poeta Faccia Fresca,
che non sa quel che si pesca.
Quante ciarle! Sì, signore,
voi farete un gran furore:
questa musica è divina:
più bel dramma non si dà.
Il poeta con le carte...
Il maestro con la parte...
Giusti dèi! che assedio è questo:
chi mi salva per pietà?



Joan Martin-Royo


Pietro Spagnoli


Claudio Desderi


Alfredo Mariotti


Enzo Dara


Bruno Praticò

Andrew Foldi

7 dicembre 2014

7. Quartetto: "Voi volete, e non volete"

Scritto da Christian

Il quartetto al centro del primo atto è un brano lungo e complesso, facilmente divisibile in tre parti (la vivace sezione iniziale, un brano lento e per sole voci, la stretta finale). Se musicalmente è caratterizzato dall'utilizzo, da parte di Rossini, di alcuni passaggi presi in prestito da lavori precedenti ("La scala di seta" e "Ciro in Babilonia"), a livello di contenuti esso è fondamentale nel muovere in avanti la vicenda. Il Conte Asdrubale, infatti, pone finalmente in moto lo scherzo che ha in programma di fare ai suoi ospiti per metterli alla prova, facendosi consegnare dal maggiordomo Fabrizio (precedentemente istruito), nel bel mezzo di una discussione con alcuni di loro (Clarice, Giocondo e Macrobio), un biglietto alla cui lettura si finge immediatamente preoccupato.

Il recitativo che precede il quartetto ci mostra come il cavalier Giocondo sia (nemmeno tanto segretamente) innamorato di Clarice: ma l'uomo sa bene che ella ha occhi solo per il Conte, verso il quale è legato da un'amicizia sincera, e da qui nasce il suo struggimento interiore. Lo stesso recitativo getta semi che verranno raccolti più in là (l'esistenza di un fratello gemello di Clarice, da lungo tempo perduto) e ci mostra schermaglie di vario tipo fra i personaggi. Quando Giocondo e il Conte discettano con Macrobio sul ruolo della critica giornalistica, è come se fossero Rossini e Romanelli in prima persona a parlare!

Nel vasto quartetto tripartito "Voi volete, e non volete" continua la schermaglia amorosa tra Asdrubale e Clarice, spettatori Giocondo e Macrobio, in un Andante ricco di fioriture; poi arriva un biglietto per Asdrubale che finge grande preoccupazione: scatta allora un passo (ripreso dal "Ciro") per sole voci in un'atmosfera rarefatta e "Smarrita"; la brillante stretta chiude il quartetto nella tipica confusione generale (tutti si chiedono cosa turba Asdrubale). Il successo travolgente della "Pietra" è dovuto a brani complessi e dinamici come questo, ove la musica mostra di saper aderire fedelmente a situazioni tanto cangianti.
(da "Storia dell'opera italiana", di Fabrizio Dorsi e Giuseppe Rausa)

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

GIOCONDO (a Clarice)
Perché sì mesta?

CLARICE
Il mio gemello, il caro Lucindo,
ad or ad or mi torna in mente.

GIOCONDO
Strana, scusate, in voi questa mi sembra tenerezza fraterna:
da fanciulli vi divideste, e fu per sempre:
estinto da sett'anni il credete...
Eh, marchesina... Altra...

CLARICE (con qualche risentimento)
Che dir vorreste?

GIOCONDO
Altra, io suppongo,
più vicina sorgente ha il vostr'affanno.
Il Conte a voi sì caro...
mio rivale ed amico... il sempre incerto Conte...
Ah! Clarice... Ah! se potessi anch'io le vostre cure meritar!...
(Clarice si mette in serietà)
Ma troppo e voi rispetto e l'amistà.
(al comparir di Macrobio, Clarice prende un aspetto ilare)

MACROBIO
Se avessi cinquanta teste e cento mani
appena potrei de' concorrenti al mio giornale
appagar le richieste.

GIOCONDO
In quanto a me sareste
sempre ozioso.

CLARICE (con brio)
Come? Al cavalier la critica non piace?

GIOCONDO
Anzi la bramo, e i giornalisti apprezzo,
sensati, imparziali,
e non usi a lordar venali fogli
d'insulsi motti e di maniere basse:
ma non entra Macrobio in questa classe.

CONTE (in aria gioiosa)
Che si fa? che si dice?

MACROBIO
Si discorre di critica.

CONTE
Io vorrei che i giornalisti
quando sull'opre altrui sentenza danno
dicessero il perché.

GIOCONDO
Pochi lo sanno:
per esempio Macrobio...

CLARICE (al cavalier Giocondo ed al Conte)
Eppur, signori,
sotto diverso aspetto
quello che fa Macrobio sul giornale
fate voi tutti e due.

MACROBIO (a Clarice, manifestando piacere della opinione di lei)
Brava! ci ho gusto!

CLARICE
L'usanza di operar senza un perché
non ha Macrobio sol, ma tutti e tre.

[CONTE
Come?

GIOCONDO
Che dite mai?

CLARICE
Lo dico, e sono prontissima a provarlo:
zitto... fate silenzio infin ch'io parlo.]

Clicca qui per il testo del brano.

CLARICE
(al Conte)
Voi volete, e non volete;
(al cavalier Giocondo)
voi tacete o sospirate;
(a Macrobio)
voi lodate o criticate:
e ciascun senza un perché.

CONTE
Con le donne, o signorina,
star bisogna molto all'erta
se quest'alma è sempre incerta,
ho pur troppo il mio perché.

GIOCONDO
Con la sorte, o marchesina,
giorno e notte invan m'adiro:
e se taccio e se sospiro,
ho pur troppo il mio perché.

MACROBIO
Con la fame, o signorina,
io non posso andar d'accordo:
quando lecco e quando mordo,
ho pur troppo il mio perché.

CLARICE
Se ho da dirl'a senso mio,
siete pazzi tutti e tre.

GIOCONDO, MACROBIO E CONTE
Fra i perché senz'altro il mio
è il miglior d'ogni perché.

CLARICE, GIOCONDO, MACROBIO E CONTE
Ogni cosa, o male o bene,
a sua voglia il mondo aggira:
chi lo prende come viene,
l'indovina per mia fé.

(comparisce Fabrizio, che consegna il biglietto al Conte; questi l'apre, e leggendolo finge di turbarsi)

CONTE
(Per compire il gran disegno
mesto in fronte io leggo il foglio:
poi con arte il mio cordoglio
fingerò di mascherar.)

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
(ciascun da sé osservando il Conte)
Si scolora, è questo un segno
che funesto è a lui quel foglio:
ci sogguarda, e il suo cordoglio
tenta invan di mascherar.

GIOCONDO (al Conte)
Perché mai così tremante?

CONTE (fingendo una forzata disinvoltura per darla meglio ad intendere)
Io già m'altero per niente.

CLARICE (al medesimo)
Che vuol dir quel tuo sembiante?

MACROBIO (al medesimo)
Qualche articolo insolente?

CONTE (con forza, e poi ricomponendosi)
Stelle inique!

CLARICE
Ah! Conte amato...

CONTE (come sopra)
Qual disastro!

GIOCONDO
Ah! caro amico...

CONTE (come sopra)
Giusti dèi!

MACROBIO
Che cosa è stato?

CONTE
Non badate a quel che dico,
io di voi mi prendo gioco.

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Non intendo questo gioco.

CONTE
Il più bello non si dà.

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Il più strambo non si dà.

CLARICE
(Io ravviso in quell'aspetto
del destin la crudeltà.)

GIOCONDO
(Di paura e di sospetto
il mio cor tremando va.)

MACROBIO
(Lacerar mi sento il petto
dalla mia curiosità.)

CONTE
(La comparsa del biglietto
al disegno gioverà.)

CONTE
(Dal timor del mio periglio
imbrogliata han già la testa:
or più dubbio non mi resta
di poterli trappolar.)

CLARICE, GIOCONDO E MACROBIO
Ha il terror fra ciglio e ciglio:
incomincia e poi s'arresta:
calma finge e la tempesta
lo costringe a palpitar.



Sonia Prina, François Lis, José Manuel Zapata, Joan Martin-Royo


Marie-Ange Todorovich, Marco Vinco, Raul Giménez, Pietro Spagnoli


Julia Hamari, Justino Diaz, Ugo Benelli, Claudio Desderi

2 dicembre 2014

6. Aria: "Ombretta sdegnosa del Missipipì"

Scritto da Christian

L'incipit dell'opera ci aveva mostrato il poeta Pacuvio nell'atto di recitare il suo nuovo componimento ("Quest'aria allusiva, eroico-bernesca / cantar sulla piva dovrà una fantesca / per far delle risa gli astanti crepar"), di cui però riusciva a leggere solo il primo verso ("Ombretta sdegnosa del Missipipì"). Adesso, davanti a Donna Fulvia (l'unica che apprezza il suo talento), ecco che declama l'intera composizione. Lo fa dopo averne modificato alcune parti: non certo perché non ne fosse soddisfatto ("Quand'è ch'io faccia / cosa che non mi piaccia?") ma perché, come spiega a una Fulvia che pende dalla sua bocca, "il primo io sono che conosca il teatro / e il più distingua dal meno musicabile".

Il poema, dal ritmo pulsante, è un gioiellino di comicità, i cui versi bizzarri e strampalati accostano similitudini ittiche (il luccio, la triglia) a un contesto classico-mitologico un po' confuso (perché l'ombra del mago Arbace debba nascondersi nel fiume Mississippi – da Pacuvio storpiato in Missipipì – non è molto chiaro). E il continuo ripetere di quel "pipì... pipì..." faceva certo sbellicare dalle risate gli spettatori di allora come quelli di oggi. Se lo sviluppo poetico, attraverso il conflitto fra le due voci (entrambe interpretate, alterando la voce o mutandola in falsetto, dal medesimo cantante), conduce a un esilarante non sequitur, la cantabilità del testo iniziale rese quest'aria buffa talmente popolare da farne il brano più celebre dell'opera, nonché l'unico che sopravviverà all'oblio in cui "La pietra del paragone" cadrà per più di un secolo, a cavallo fra l'ottocento e il novecento.

L'aria fu infatti ripresa da Antonio Fogazzaro, che pare ignorasse la sua origine (l'opera di Rossini era già finita nel dimenticatoio) nel suo romanzo più famoso, "Piccolo mondo antico" (1895), dove viene spesso cantata da zio Piero alla piccola Maria (che proprio per questo motivo viene ribattezzata "Ombretta"):

Lo zio, tenendo il ginocchio destro sul sinistro e la bambina sul mucchio, le ripeteva per la centesima volta, con affettata lentezza, e storpiando un poco il nome esotico, la canzonetta:
Ombretta sdegnosa del Missipipì
Fino alla quarta parola la bambina lo ascoltava immobile, seria, con gli occhi fissi; ma quando veniva fuori il «Missipipì» scoppiava in un riso, sbatteva forte le gambucce e piantava le manine sulla bocca dello zio, il quale rideva anche lui di cuore e dopo un breve riposo ricominciava adagio adagio, nel tono solito.
Il brano, uno dei primi esempi degli effetti comici che Rossini saprà generare nelle sue opere giocando con il rapporto fra parole e musica, senza esitare a storpiare il linguaggio attraverso la ripetizione o la manipolazione delle sillabe o la creazione di versi surreali, è collocato in un contesto in cui Fulvia chiede l'aiuto di Pacuvio per accostarsi al Conte e offrirgli una rosa appena colta. Pacuvio presenta il dono con versi altrettanto pomposi e strampalati ("Io v'offro in questa rosa spampanata / la mia lacera, stanca e pelagrosa alma, / che sul finir di sua giornata / dir non saprei se sia gramigna o rosa"), da lui definiti di "genere petrarchesco", che sfociano in un esilarante anacronismo ("L'ho raccolta per voi di proprio pugno: / e quando? nel maggior caldo di giugno." – "Ora siamo in aprile." – "Non importa. / In grazia della rima un cronichismo di due mesi è permesso: / Virgilio somaron facea lo stesso").

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

FULVIA
Dove mai si cacciò? La rosa al Conte
io vorrei presentar: ma se Pacuvio...
Eccolo; ebben?

PACUVIO
Già la sestina è fatta; e che sestina!
Il Conte le ciglia inarcherà.

FULVIA
Questa è la rosa.

PACUVIO
Bella!

FULVIA
Sentiam.

PACUVIO
No; prima voglio farvi sentir come ho cambiata
l'aria che poco fa vi ho recitata.

FULVIA
Forse non vi piacea?

PACUVIO
Quand'è ch'io faccia cosa che non mi piaccia?

FULVIA
Perché dunque?...

PACUVIO
Eh, donna Fulvia,
il primo io sono che conosca il teatro
e il più distingua dal meno musicabile.
(in atto di leggere)
Ascoltate come in lingua patetica e burlesca
parli all'ombra del mago una fantesca.

Clicca qui per il testo del brano.

PACUVIO
«Ombretta sdegnosa
del Missipipì,
non far la ritrosa,
ma resta un po' qui.»
«Non posso, non voglio»,
l'ombretta risponde:
«son triglia di scoglio,
ti basti così.»
E l'altra ripiglia:
«Sei luccio, non triglia.»
Qui nasce un insieme:
chi piange, chi freme.
Fantesca: «Sei luccio.»
Ombretta: «Son triglia.»
Fantesca: «Ma resta.»
Ombretta: «Ti basti,
ti basti, t'arresta,
non dirmi così.»

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

FULVIA
Bravo, bravo, bravissimo!

PACUVIO
Eh... che ne dici di quel «Missipipì»?...
quel «mi basta così»?...
quel contrapposto fra luccio e triglia non t'incanta?

FULVIA
È vero.

PACUVIO
Bizzarria di pensiero,
sorpresa, novità...

FULVIA
Il Conte appunto è qua.

CONTE (in atto di attraversare il giardino)
(In favor di Clarice mi parla il cor;
ma consiglier non saggio egli è sovente. Or si vedrà.)

PACUVIO (a Fulvia)
Coraggio.

FULVIA (al Conte)
Serva sua.

CONTE
Mia padrona.

PACUVIO (al medesimo)
A voi s'inchina
il pindarico.

CONTE (a Pacuvio)
Addio.

PACUVIO (a Fulvia)
Fuori la rosa.
(prima al Conte, ch'è in atto di partire, poi a Fulvia con impazienza)
Un momentin... Fuori la rosa.

FULVIA
Aspetta.

PACUVIO (come sopra)
Fuori la rosa, o recito.

FULVIA
Che fretta!

CONTE
(Sarà qualcuna delle sue.)

FULVIA (vuol presentar la rosa al Conte)
Scusate...

PACUVIO
Zitto per or: voi state
ferma così, di presentarla in atto.

CONTE
(È un vero ciarlatan, ma sciocco e matto.)

PACUVIO
Parlo in terza persona.
(mettendosi fra il Conte e donna Fulvia, che sta in atto di presentar la rosa)
«Io v'offro in questa rosa spampanata
la mia lacera, stanca e pelagrosa alma,
che sul finir di sua giornata
dir non saprei se sia gramigna o rosa.»
Genere petrarchesco.

CONTE
In quanto a me lo chiamerei grottesco.

PACUVIO (prima al Conte, poi a donna Fulvia)
Anche. Or date la rosa.

FULVIA
Eccola.

CONTE
Grazie.

PACUVIO
[Agli ultimi due versi.]
«L'ho raccolta per voi di proprio pugno:
e quando? nel maggior caldo di giugno.»

CONTE
Ora siamo in aprile.

PACUVIO
Non importa.
In grazia della rima un cronichismo
di due mesi è permesso:
Virgilio somaron facea lo stesso.

CONTE
Ah, ah, ah... cronichismo... ah, ah... Virgilio...
Virgilio somaron... (Quanti spropositi!)
Ah, ah, ah...

PACUVIO (a Fulvia, ch'è restata attonita)
Lo vedete? a' versi miei
mai non manca un effetto.

CONTE (appoggiandosi ad una pianta)
Oh dio! non posso più.

PACUVIO (a Fulvia che si stringe nelle spalle, conducendola via)
Non ve l'ho detto?




Christian Senn


Paolo Bordogna


Alessandro Corbelli


Bruno De Simone


Justino Diaz

Alfonso Antoniozzi

29 novembre 2014

5. Duetto: "Conte mio, se l'eco avesse"

Scritto da Christian

La marchesa Clarice raggiunge il Conte e dà inizio con lui a una serie di irresistibili scambi di battute. Nonostante entrambi sappiano bene che cosa è accaduto poco prima (quando Asdrubale, nascosto dietro le quinte, ha "fatto l'eco" alle parole della donna), Clarice finge qui una totale ingenuità e domanda al Conte quale sia secondo lui la natura dell'eco che le ha appena – o almeno così afferma – confessato il proprio amore. Si giunge persino a discutere del sesso dell'eco (che Clarice naturalmente vorrebbe maschio: è divertente infatti come lei ne parli sempre al maschile, mentre il Conte al femminile: "La vedeste?" - "Non lo vidi", ecc.). Ne nasce una vera e propria dichiarazione, quando Clarice spiega al Conte: "Vorrei che l'eco [...] somigliasse a voi".


Per la cronaca, nella mitologia classica l'Eco è femmina. In questo dipinto di Waterhouse è alle prese con Narciso: un ribaltamento di generi rispetto alla "Pietra del paragone", dove l'Eco è maschio (il Conte) e il Narciso che si strugge d'amore parlando con sé stesso è femmina (Clarice).

Il bel duetto che ne segue ha l'impronta della schermaglia amorosa, mette in chiaro le carte ma sposta di poco gli equilibri (l'affetto di Clarice nei suoi confronti è già noto al Conte) e semina giusto qualche dubbio ("Che sia questa la fenice / del suo sesso io non lo spero", pensa Asdrubale: la "fenice" simboleggia ovviamente la rarità, l'eccezione alla regola).

Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.

CLARICE (con brio ed aria di semplicità)
Conte, udite.

CONTE
In che posso, marchesina, ubbidirvi?

CLARICE
Io saper bramo
se l'eco è maschio o femmina. Ridete?

CONTE
(O finge, o è molto semplice.)
Non altro che nuda voce ripercossa è l'eco.

CLARICE
Cammina o no?

CONTE
No, certo.

CLARICE
Eppur poc'anzi era là.

CONTE
La vedeste?

CLARICE
Non lo vidi; ma l'ascoltai,
ma mi rispose... Oh caro! caro...
Se fosse femmina, ne avrei dispetto.

CONTE
(Il mio maggior periglio è costei, quando parla.)

CLARICE
(Ei va le cose ruminando fra sé.)

CONTE
Dunque rispose?

CLARICE
E come bene!

CONTE
Ed ora?

CLARICE
Ed ora... ed ora...
O dorme, o di parlar non ha più voglia,
come accade anche a noi.

CONTE
Questo alle donne non accade giammai.

CLARICE
No? tanto meglio!

CONTE
Perché?

CLARICE (quasi vergognandosi, ma sempre col medesimo brio e semplicità)
Perché vorrei... che l'eco fosse...
che fosse...

CONTE
Ebben?

CLARICE (manifestando rossore come prima)
Che fosse maschio!
E poi... e poi...

CONTE (facendole coraggio)
Via su.

CLARICE
Che somigliasse a voi.

Clicca qui per il testo del brano.

CLARICE
Conte mio, se l'eco avesse
tutto quel che avete voi,
io godrei fra le contesse
la maggior felicità.

CONTE
Io dell'eco avrei paura,
s'ella fosse come voi;
ché la fede è mal sicura
dove regna la beltà.

CLARICE
Ah! se un altro rispondesse,
come l'eco a me rispose!...

CONTE
Per esempio?

CLARICE
Certe cose...
Conte mio, non posso più.

CONTE
Via, sentiam, via dite su.

CLARICE
Mi disse che m'ama.

CONTE
Ma forse per giuoco.

CLARICE
Mi disse che brama...

CONTE
Spiegatevi.

CLARICE
...amor.
Mi disse che sente,
che mente rigor.

CONTE
Son prove da niente,
che ingannano un cor.

CLARICE
(Che mi creda la fenice
del mio sesso, io non dispero.)

CONTE
(Che sia questa la fenice
del suo sesso, io non lo spero.)

CLARICE E CONTE
(Quel che avvolga nel pensiero,
presto o più tardi io scoprirò.)

CONTE
Vi saluto.

CLARICE
Addio, contino.

CONTE
(Non mi fido.)

CLARICE
(Ha l'occhio fino.)

CONTE
Ricordatevi che l'eco
ha l'usanza di scherzar.

CLARICE
Se l'avessi sempre meco,
mi farebbe giubilar.



Sonia Prina (Clarice), François Lis (Asdrubale)


Marie-Ange Todorovich (Clarice), Marco Vinco (Asdrubale)


Julia Hamari, Justino Diaz

Fiorenza Cossotto, Ivo Vinco

26 novembre 2014

4. Cavatina: "Se di certo io non sapessi"

Scritto da Christian

E finalmente, ecco al centro della scena il Conte Asdrubale, in un'aria che mette in luce un aspetto chiave del suo carattere: la mancanza di fiducia verso il genere femminile. Questo è il motivo per cui, "malgrado i sei lustri d'età quasi compiti" (30 anni!), non si è ancora sposato, causando stupore e chiacchiere fra la gente. Ma non si pensi che il Conte sia un musone: al contrario, è un uomo di spirito, sempre con la voglia di scherzare e di divertirsi, magari anche alle spalle dei suoi ospiti. Lo ha dimostrato nella scena precedente, quando ha "fatto l'eco" alle parole di Clarice, e lo dimostrerà in seguito, quando si travestirà da mercante turco (nel finale del primo atto) o allestirà un finto duello per prendersi gioco di Macrobio (nel secondo atto).

Essendo ricco e benestante, al Conte non mancano le corteggiatrici. Nel recitativo che segue, egli stesso spiega: "Molte mi dan la caccia, e sopra ogni altra quelle tre vedovelle" (ossia Clarice, Aspasia e Fulvia). Ma c'è da fidarsi del loro amore? E come scegliere? Le simpatie maggiori andrebbero alla Marchesa, come suggerisce l'incipit dell'aria: "Se di certo io non sapessi / che la donna è ingannatrice, / i lamenti di Clarice / mi farebbero pietà". Ma è solo un breve momento di debolezza ("Pieta? Spropositi! Dove mi va la testa?"). E proprio per saggiare il cuore delle tre donne, oltre che l'amicizia degli altri ospiti, Asrubale sta per organizzare – in combutta con il suo attendente Fabrizio – la colossale burla che giustificherà il titolo dell'opera.

Nell'immagine in alto, Filippo Galli, primo interprete del ruolo di Asdrubale.

Clicca qui per il testo del brano.

CONTE
Se di certo io non sapessi
che la donna è ingannatrice,
i lamenti di Clarice
mi farebbero pietà.
Pietà? Pietà?... Spropositi!
Dove mi va la testa?
Guai, se a pietà mi desta!
Son fritto, come va.
Ah! non sedurmi, amore;
è giusto il mio rigore:
ah! non fia ver che in femmina
io sogni fedeltà.

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

CONTE
Di me stupisce ognun, perché, malgrado
i sei lustri d'età quasi compiti,
non entro nella classe de' mariti;
[tanto più che son ricco.
Tanto meno io direi: son le ricchezze
della stima e del genio
tiranne antiche. Allo splendor dell'oro
bello si crede, o d'allettar capace,
quel ch'è brutto in essenza o che non piace.]
Molte mi dan la caccia, e sopra ogni altra
quelle tre vedovelle: io mi diverto
della lor gelosia; ma qual poi d'esse
me solo apprezzi, e non la mia fortuna,
chi lo può indovinar? forse nessuna.




Marco Vinco


François Lis


Justino Diaz

Rémi-Charles Caufman

23 novembre 2014

3. Cavatina: "Quel dirmi, oh Dio!" - "Eco pietosa"

Scritto da Christian

Continuiamo con la presentazione dei vari ospiti della dimora del Conte Asdrubale. È la volta della Marchesa Clarice, terza delle tre "vedovelle" (dopo la Baronessa Aspasia e Donna Fulvia) che aspirano, senza certo nasconderlo, a sposare il loro anfitrione. A differenza delle altre due, che vogliono maritarsi per puro interesse, Clarice è invece sinceramente innamorata del Conte, e proprio per questo si strugge per i suoi continui rifiuti e il suo "rigore" nei confronti del gentil sesso.

Non abbiamo ancora conosciuto Asdrubale, e capiremo meglio più tardi per quale motivo sia così refrattario a prendere moglie: nel frattempo, però, in questa scena lo intravediamo dietro le quinte e scopriamo uno dei tratti salienti del suo carattere: la leggerezza e la voglia di far scherzi. In maniera anche un po' infantile, il Conte si diverte infatti a "fare l'eco" alle frasi di Clarice, ripetendo le ultime parole di ogni verso della donna (e imitandone anche, con effetti comici, le "infiorettature" del canto). Clarice, naturalmente, se ne accorge: e non può fare a meno di notare ("ei con quest'arte / si scoperse abbastanza") che le parole pronunciate dall'eco, messe in fila tutte insieme, recitano "Bramo amor, mento rigor"!

L'introduzione di Clarice culmina con una breve cavatina assai gradevole, "Eco pietosa" (momentaneamente interrotta dalla donna quando si attende di udire ancora una volta l'eco, che però non risponde perché nel frattempo il Conte se n'è andato), in cui si rivolge direttamente all'eco invocandola come confidente e consolatrice. Musicalmente il brano sembra anticipare la celebre aria "Di tanti palpiti" che Rossini scriverà l'anno dopo per il "Tancredi". Stendhal amava molto questo brano, come scrive nel suo "Vita di Rossini":

Si sente qui quale possibilità abbia la musica di dipingere un amore disperato [...]. Si tratta di un amore non più ostacolato dall'opposizione banale di un padre o di un tutore, bensì dal timore, assai più crudele, di apparire agli occhi dell'amato dotata di un'anima bassa e volgare. [...] "Eco pietosa", dice Clarice, "tu sei la sola / che mi consoli nel mio dolor": infatti, dove trovare, nella situazione di Clarice, una confidente? Non ve ne sono per le anime nobili. Tutte le possibili amiche avrebbero detto a Clarice: "Sposatevi, sposatevi in fretta, con qualsiasi mezzo; sarete amata dopo, se sarà possibile".
Nell'immagine in alto, Marietta Marcolini, prima interprete del ruolo di Clarice.

Clicca qui per il testo del brano.

CLARICE
Quel dirmi, oh dio!, «non t'amo»...

CONTE (di dentro, a imitazione dell'eco)
T'amo.

(Clarice manifesta la sua sorpresa)

CLARICE
«Pietà di te non sento»...

CONTE
Sento.

CLARICE
(È il Conte... ah! sì...
proviamo se mi risponde ancor.)
È pena tal, ch'io bramo...

CONTE
Bramo...

CLARICE
...che alfin m'uccida amor.

CONTE
Amor.

CLARICE
Al fiero mio tormento...

CONTE
Mento...

CLARICE
Deh! ceda il tuo rigor.

CONTE
Rigor.

CLARICE
Eco pietosa...
(tendendo l'orecchio)
Su queste sponde...
(come sopra)
(Più non risponde.)
Eco pietosa,
tu sei la sola,
che mi consola
nel mio dolor.

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

CLARICE
[Quella che l'eco mi facea, del Conte
era certo la voce: ei con quest'arte
si scoperse abbastanza.]
«Amo, sento», egli disse, e «bramo amore»;
e quel che assai più val, «mento rigore».
Là fra quei rami, per meglio assicurarmi
degli andamenti suoi, vado a celarmi.
(parte)




Sonia Prina (Clarice), François Lis (Asdrubale)


Marie-Ange Todorovich (Clarice), Marco Vinco (Asdrubale)


Julia Hamari, Justino Diaz

Martine Dupuy, Simone Alaimo

20 novembre 2014

2. Duetto: "Mille vati al suolo io stendo"

Scritto da Christian

Facciamo ora la conoscenza di altri due personaggi, anch'essi ospiti nella villa del Conte Asdrubale: Macrobio, cinico e venale giornalista che esalta il "quarto potere" della carta stampata di elevare sugli altari o di buttare giù nella polvere, a proprio piacimento, la carriera di qualsiasi artista; e il cavalier Giocondo, nobiluomo che si diletta di poesia ma che si mostra del tutto disinteressato a coltivare l'amicizia del primo, verso il quale manifesta anzi un totale disprezzo.

Il giornalista avvisa il cavaliere: "S'ella in zucca ha un po' di sale / non ricusi il mio favor". Ma Giocondo ribadisce di non avere alcuna intenzione di "comprare" il suo consenso ("Vo' far quel che mi piace"), e alternativamente lo prende in giro (con la metafora del "balsamo di bosco, / che adoprato in buona dose / dà cervello a chi non l'ha", ovvero una robusta dose di bastonate!) o lo insulta pesantemente ("bestia", "aborto di natura"). Nel personaggio di Macrobio, Rossini e Romanelli intendevano senza dubbio attaccare una critica letteraria e musicale che già allora, evidentemente, gli artisti percepivano come poco imparziale e utilizzata spesso per stroncare o incensare, a seconda dei casi, le opere e la reputazione degli "amici" e dei "nemici". Non è da escludere, anzi, che in Macrobio gli spettatori milanesi del 1812 potessero riconoscere qualche giornalista locale. Giocondo, d'altro canto, "insensibile alla vanità", non rappresenta solo il contraltare di Pacuvio (che, come vedremo più tardi, cerca in ogni modo di far pubblicare le proprie opere sul giornale di Macrobio) ma è il prototipo del poeta romantico che compone per l'arte e non per la gloria. Non gli interessa la fama, soprattutto al prezzo di piegarsi ai capricci di un giornalista con il quale continuerà ad altercare per tutta l'opera.

Il movimentato duetto che introduce questi due caratteri è sostenuto da gradevoli linee melodiche e da due voci (tenore e basso) che si intrecciano e "bisticciano" in maniera fresca e divertente, a tratti persino esilarante. Grazie anche al libretto, Rossini riesce così a caratterizzare i personaggi nel breve volgere di poche battute. Sul tema della critica letteraria, del suo ruolo e delle sua degenerazione, si tornerà a discutere più volte nel corso di questo primo atto (segnatamente nel recitativo che precede il quartetto "Voi volete, e non volete", per non parlare dell'aria buffa di Macrobio "Chi è colei che s'avvicina?").

Clicca qui per il testo del brano.

MACROBIO
Mille vati al suolo io stendo
con un colpo di giornale:
s'ella in zucca ha un po' di sale,
non ricusi il mio favor.

GIOCONDO
Vil timore ai versi miei
mai non fece alcun giornale:
ma una bestia come lei,
se mi loda, io ne ho rossor.

MACROBIO
Stamperò, signor Giocondo.

GIOCONDO
D'ordinario io non rispondo.

MACROBIO
Senza entrar nella materia
potrei metterla in ridicolo.

GIOCONDO
Forse allora in aria seria
rintuzzar potrei l'articolo.

MACROBIO
Rintuzzar?... cioè rispondere?

GIOCONDO
Senza dubbio, et toto pondere.

MACROBIO
Vale a dir?

GIOCONDO
Con tutto il peso.

MACROBIO
Somma grazia mi farà.

GIOCONDO
Ma in qual modo ella non sa.

MACROBIO
Che me 'l dica.

GIOCONDO
Venga qua.
(mostrando il suo bastone)
Per sua regola io conosco
certo balsamo di bosco,
che adoprato in buona dose
dà cervello a chi non l'ha.

MACROBIO
Io credea tutt'altra cosa
da trattarsi in versi o in prosa;
né la vera in lei conosco
letteraria nobiltà.

GIOCONDO (senza scaldarsi)
Vo' far quel che mi piace.

MACROBIO (con fuoco)
Patti chiari: o guerra, o pace.

GIOCONDO (deridendolo)
Più bel pazzo non si dà.

MACROBIO (come sopra)
Guerra vuole, e guerra avrà.

GIOCONDO (con disprezzo)
Voi siete un uom da niente.

MACROBIO
Ma guai se aguzzo il dente.

GIOCONDO (cominciando a scaldarsi)
Aborto di natura.

MACROBIO (in aria derisoria)
Ma stampo e fo paura.

GIOCONDO (con fuoco)
Hai spalle da bastone.

MACROBIO
Ho un becco da falcone.

GIOCONDO (con molto sdegno)
È un vile omai chi tollera
la tua temerità.

MACROBIO (deridendolo)
Non vada tanto in collera,
che insuperbir mi fa.

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

Nota: indico fra parentesi quadre le parti del libretto che vengono tradizionalmente omesse dalle rappresentazioni, vuoi perché ridondanti, vuoi perché escluse dalla "edizione critica". In questo caso, l'intero recitativo che segue il duetto viene di solito soppresso: in fondo non fa altro che ribadire i concetti espressi dal brano precedente, e l'unica informazione che fornisce in più è quella dell'invaghimento di Giocondo per Clarice, che verrà peraltro ribadito in seguito.

[MACROBIO
Signor Giocondo, io vedo
ch'ella vuol guerra, e guerra avrà.

GIOCONDO
Né guerra
voglio con voi, né pace.

MACROBIO
Il mio giornale...

GIOCONDO
Ha molta fame.

MACROBIO
I letterari articoli...

GIOCONDO
Io non compro all'incanto.

MACROBIO
Orsù, parliamo di cose allegre.
Il Conte è vostro amico.

GIOCONDO
Ebben?

MACROBIO
Dunque saprete a qual di queste vedove
la destra ei porgerà.

GIOCONDO
Che importa a voi?

MACROBIO
Saperlo mi giova.

GIOCONDO
Ed io non cerco mai, né svelo i fatti altrui.

MACROBIO
La marchesina, io credo, trionferà.

GIOCONDO (sospirando di soppiatto)
(Pur troppo lo temo anch'io!)

MACROBIO (osservandolo)
(Par che sospiri.)
Un colpo sarebbe questo al vostro cor.

GIOCONDO
Che dici?
Al mio cor? tu deliri.

MACROBIO
Eh, via, che serve
farne un mistero? Ella vi piace...

GIOCONDO (interrompendolo con sommo impeto)
Insomma, vuoi tu finirla, o no?

MACROBIO (con affettata commiserazione)
Sa il ciel, se i vostri
non corrisposti affetti io compatisco!

GIOCONDO
Quando teco questiono, io m'avvilisco.
(partono per bande opposte)]




Joan Martin-Royo (Macrobio), José Manuel Zapata (Giocondo)


Pietro Spagnoli (Macrobio), Raul Giménez (Giocondo)


Claudio Desderi (Macrobio), Ugo Benelli (Giocondo)

La seguente clip è tratta dal film "Lo sceicco d'Arabia", versione filmata de "La pietra del paragone". Peccato che il duetto sia stato pesantemente tagliato nella parte centrale.


Alfredo Mariotti (Macrobio), Ugo Benelli (Giocondo)

17 novembre 2014

1. Introduzione I: "Non v'è del conte Asdrubale"

Scritto da Christian

L'intera azione de "La pietra del paragone" si svolge nella dimora di campagna del Conte Asdrubale ("in un popolato e ricco borgo, poco lontano da una delle principali città d'Italia", recita il libretto), che ospita numerosi personaggi in villeggiatura: aristocratici, intellettuali e "nullafacenti" di varia estrazione. La prima scena, ambientata nel giardino della villa, comincia a introdurci alcuni di questi.

Dopo un coro ("misto d'Ospiti e di Giardinieri") che tesse gli elogi del Conte e della sua ospitalità ("Non v'è del Conte Asdrubale / più amabil cavaliere"), pur sottolineandone la strana ritrosia a prendere moglie ("Sta forse nello scegliere / la sua difficoltà"?), ecco salire in cattedra il poeta Pacuvio, che vuole imporre ai presenti i suoi versi pomposi, strampalati e non-sense ("Ombretta sdegnosa del Missipipì"). Tutti lo rifuggono, evidentemente già adusi alla sua invadenza e al suo tipo di poesia ("Più gran seccatore / giammai non s'udì"). Nonostante Pacuvio, da buon seguace del Metastasio, cerchi di nobilitare le proprie composizioni con un'aura classico-mitologica (Alceste, Arbace), non riesce tuttavia a catturare l'attenzione né di Fabrizio, il maggiordomo del Conte ("Le orecchie, Fabrizio / ti vo' imbalsamare", ossia coprire del "balsamo" della poesia!), che pur di sfuggirgli si inventa una scusa sul momento ("Per certo servizio / lasciatemi andare"), né della Baronessa Aspasia, una delle nobili ospiti della villa.

A sua volta, in pieno furore pindarico, Pacuvio non si rende conto di essere chiamato, ad alta voce e con ampi gesti, da un'altra ospite, Donna Fulvia. Costei, che verso di lui prova una simpatia (ricambiata) e che tutto sommato sembra essere l'unica ad apprezzarne il talento rimario, è – proprio come Aspasia – in realtà interessata ad "accalappiare" Asdrubale, scapolo impenitente ma assai appetito per la sua ricchezza. Nel recitativo che segue il concertato introduttivo, Fulvia chiarisce le cose con Pacuvio: intende sposare il Conte soltanto perchè "è ricco". Il poeta, dal suo canto, non dovrà però temere: dopo il matrimonio avrà comunque "stipendio, alloggio e tavola", visto che "fa sempre onore alle famiglie un letterato in casa".

Clicca qui per il testo del brano.

CORO
Non v'è del Conte Asdrubale
più saggio cavaliere:
ha sensi e cor magnanimo,
è dolce di maniere;
e in casa sua risplendono
ricchezza e nobiltà.
Le femmine rispetta;
qui con piacer le accoglie;
ma par che poca fretta
si dia di prender moglie;
sta forse nello scegliere
la sua difficoltà.

PACUVIO (con alcuni fogli di carta spiegati in mano, e in atto di leggere)
Attenti! Ascoltate:
che rime sono queste!

CORO (voltandogli le spalle)
Di grazia lasciate...

PACUVIO (inseguendoli)
Io fingo che Alceste
facendo all'amore,
coll'ombra d'Arbace
ragioni così.

CORO (come sopra)
Lasciateci in pace.
(Più gran seccatore
giammai non s'udì.)

PACUVIO (come sopra)
«Ombretta sdegnosa
del Missipipì»...

CORO (ironicamente)
Bellissima cosa!
(con somma impazienza)
Ma basta fin qui.

PACUVIO (veggendo a comparir Fabrizio abbandona gli altri, e va ad incontrarlo con trasporto)
Le orecchie, o Fabrizio,
ti vo' imbalsamare.

FABRIZIO (mostrando molta fretta per liberarsene)
Per certo servizio
lasciatemi andare.

BARONESSA (da un'altra parte chiamandolo)
Fabrizio...

PACUVIO (rivolgendosi verso di lei)
Signora,
qui badi per ora:
è Alceste, che parla...
(in atto di leggere)

BARONESSA
Non voglio ascoltarla.

PACUVIO (ora verso gli uni, ora verso gli altri)
Quest'aria allusiva
eroico-bernesca
cantar sulla piva
dovrà una fantesca
per far delle risa
gli astanti crepar.

BARONESSA, FABRIZIO E CORO
È bella e decisa,
non voglio ascoltar.

PACUVIO (leggendo)
«Ombretta»...

FULVIA (contemporaneamente chiamandolo)
Pacuvio...

CORO (volendosi dispensare)
Di grazia...

PACUVIO (come sopra verso la Baronessa senz'avvedersi di Fulvia, che lo chiama)
«Ombretta»...

FULVIA
Pacuvio...

BARONESSA
Son sazia...

PACUVIO (come sopra verso Fabrizio)
«Ombretta»...

FULVIA
Pacuvio...

FABRIZIO (con impazienza)
Non posso.

BARONESSA
Ha il diavolo addosso.

FULVIA
Ma, caro Pacuvio,
badatemi un po'.

PACUVIO
Ho in petto un Vesuvio;
frenarmi non so.

BARONESSA, FABRIZIO E CORO
Da questo diluvio
si salvi chi può.

Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.

PACUVIO (a Fabrizio)
«Ombretta»...

FABRIZIO (ritirandosi)
Per pietà...

PACUVIO (alla Baronessa)
«sdegnosa»...

BARONESSA
Io parto, se non tacete.

PACUVIO (avvedendosi solamente in questo punto di donna Fulvia)
Oh! Donna Fulvia...
Appunto qui giungete a proposito:
è uno squarcio degno d'illustri orecchie.

FULVIA
Io volentieri l'ascolterò.

PACUVIO (alla Baronessa con enfasi accennando donna Fulvia)
Queste son donne!

BARONESSA (con sarcasmo)
È vero: si chiama Donna Fulvia.

FULVIA (egualmente)
È molto meno che Baronessa.

PACUVIO
Insomma,
chi non ama il musaico, o parta o taccia.

FABRIZIO (a donna Fulvia, partendo)
Mi consolo con lei.

BARONESSA (egualmente)
Buon pro vi faccia.

PACUVIO
Che ignoranza maiuscola!

FULVIA
Io suppongo che sia malignità.

PACUVIO
Peggio per loro!
(nell'atto di tornare a spiegare il foglio)
Odi, mio bel tesoro...

FULVIA
Non dirmi così:
sai che alla destra aspiro del Conte.

PACUVIO
Già; ma non per genio.

FULVIA
È ricco.

PACUVIO (sospirando)
Purtroppo! ed io...

FULVIA
Ci vuol pazienza.
Avrai a buon conto stipendio, alloggio e tavola,
quando sposa io sarò.

PACUVIO
Fa sempre onore
alle famiglie un letterato in casa.

FULVIA
Io ne son persuasa.

[PACUVIO (tornando a spiegare il foglio)
Ascolta dunque...

FULVIA
Osserva:
Giocondo con Macrobio.

PACUVIO
Ah! quel Giocondo
non lo posso soffrir.

FULVIA
Dunque bisogna evitarlo.

PACUVIO
Sibbene: andiam di sopra;
anzi, per far più presto
entriamo in quella camera terrena,
dove ti recitai la prima scena.]
(partono)



Nella prima clip che vi propongo, si può apprezzare l'originale allestimento di Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin, che fa uso (con notevoli effetti scenografici e comici) del fondale in chroma key per inserire i personaggi all'interno di scenari fittizi (in questo caso, di modellini).


Christian Senn (Pacuvio), Filippo Polinelli (Fabrizio), Jennifer Holloway (Aspasia),
Laura Giordano (Fulvia), dir: Jean-Christophe Spinosi

Questa invece è una messa in scena più tradizionale ma comunque di notevole livello. Ambientata ai giorni nostri, trasforma la villa del Conte Asdrubale nella residenza (con tanto di piscina) di un moderno Briatore.


Paolo Bordogna (Pacuvio), Tomeu Bibiloni (Fabrizio), Laura Brioli (Aspasia),
Patrizia Biccirè (Fulvia), dir: Alberto Zedda

Infine, un allestimento più classico e datato, quello della "Piccola Scala" del 1982, con la regia di Eduardo De Filippo e un cast di prim'ordine anche nei ruoli minori (Desderi, Benelli, Corbelli, Dessì, fra gli altri):


Alessandro Corbelli (Pacuvio), Armando Ariostini (Fabrizio), Antonella Pianezzola (Aspasia),
Daniela Dessì (Fulvia), dir: Piero Bellugi

14 novembre 2014

La pietra del paragone - Ouverture

Scritto da Christian

La sinfonia che apre l'opera è allegra e animata da due temi che si alternano in una consueta struttura bipartita. Come capita spesso con Rossini, l'ouverture non è legata tematicamente o musicalmente con il resto dell'opera: questo permise al compositore di riutilizzarla pochi mesi dopo per un altro melodramma, il "Tancredi", andato in scena per la prima volta alla Fenice di Venezia nel febbraio del 1813.

La consuetudine rossiniana di prendere in prestito brani delle proprie composizioni per spostarli da un'opera all'altra non era dovuta solo alla pigrizia o alla mancanza di tempo (nei primi anni della sua carriera, il compositore lavorava a getto continuo, sfornando un lavoro dietro l'altro), ma è anche un chiaro indizio della "intercambiabilità" con cui venivano considerati certi brani. Era persino consuetudine, da parte di alcuni teatri, di prendere un'aria di un'opera del tutto diversa (magari anche di un altro compositore) e di inserirla – con il testo, a volte, debitamente modificato – all'interno di una determinata rappresentazione perché si confaceva meglio alle esigenze di uno dei cantanti. Le ouverture, in particolare, erano viste come semplici introduzioni da suonare mentre gli ultimi spettatori prendevano posto in sala, e dunque poco male se si riciclavano da un'opera all'altra. Spesso l'operazione passava anche del tutto inosservata (nel caso del "Tancredi", erano pochi i veneziani che avevano potuto già udire la musica della "Pietra del paragone" andata in scena a Milano pochi mesi prima).


dir: Riccardo Chailly

dir: Christian Benda

Le due versioni che presento qui sotto sono relative agli allestimenti che ci accompagneranno sul blog durante l'intera trattazione della "Pietra del paragone". La prima, in particolare, è graziata da una scenografia veramente sui generis (di Giorgio Barberio Corsetti e Pierrick Sorin), che fa uso del "blue back" tanto noto agli appassionati di effetti speciali cinematografici: vedremo in seguito come questa trovata arricchirà la messa in scena. La seconda è diretta da Alberto Zedda, uno dei massimi esperti della musica di Rossini, avendo curato le "edizioni critiche" di molte sue opere, sfrondandole dalle aggiunte o dalle modifiche apposte nel corso dei secoli alle partiture originali.


Ensemble Matheus, dir: Jean-Christophe Spinosi


Teatro Real (Madrid), dir: Alberto Zedda

Ecco infine una curiosa riduzione per violino e chitarra:


Matteo Colombo (violino), Maurizio Mancini (chitarra)

10 novembre 2014

La pietra del paragone - Introduzione

Scritto da Christian

La pietra del paragone
Melodramma giocoso in due atti
Libretto di Luigi Romanelli
Musica di Gioacchino Rossini

Prima rappresentazione: Milano (Teatro alla Scala),
26 settembre 1812

Personaggi e voci:
- La Marchesa Clarice (contralto), vedova brillante, accorta e di buon cuore, che aspira alla destra del Conte Asdrubale
- La Baronessa Aspasia (soprano) e
- Donna Fulvia (soprano), rivali della medesima non per amore, ma per solo interesse
- Il Conte Asdrubale (basso), ricco signore, alieno dell'ammogliarsi, non per assoluta avversione al matrimonio, ma per supposta difficoltà di trovare una buona moglie
- Il Cavalier Giocondo (tenore), poeta, amico del Conte e modesto amante, non corrisposto, della Marchesa Clarice
- Macrobio (buffo), giornalista imperito, presuntuoso e venale
- Pacuvio (buffo), poeta ignorante
- Fabrizio (basso), maestro di casa e confidente del Conte
- Coro maschile di giardinieri, ospiti del Conte, cacciatori, soldati
- Molte comparse di diverso carattere


Commissionata a un Rossini appena ventenne (ma con già cinque opere all'attivo) dal Teatro alla Scala di Milano, pare su interessamento del contralto Marietta Marcolini (che interpretò il ruolo di Clarice alla "prima", e che del compositore era la musa e forse l'amante), "La pietra del paragone" fu il primo, vero, grande successo del giovane musicista, quello che lo consacrò come astro nascente del melodramma italiano e come erede designato di Paisiello e Cimarosa, fino ad allora considerati i pilastri del genere. Era la prima volta che uno dei maggiori teatri lirici d'Europa dava fiducia al giovane pesarese, e la fiducia fu ampiamente ripagata. Opera buffa con venature di satira sociale a 360 gradi, la "Pietra" fece scalpore e conquistò sull'istante una popolarità senza precedenti. Grazie anche al libretto agile e moderno di Luigi Romanelli e a un cast di prim'ordine (oltre alla Marcolini, riscosse elogi la prova del basso Filippo Galli nei panni del protagonista, il Conte Asdrubale), la reazione del pubblico fu infatti entusiasta (le rappresentazioni consecutive alla Scala furono ben 53), così come gli elogi della critica. Celebre è la recensione apparsa, dopo la prima, sull'autorevole "Corriere delle Dame":

Se la penna del poeta, la fantasia del maestro, la magia del pennello formano i tre punti essenziali per la buona riuscita di un'Opera melodrammatica, non può negarsi lode al poeta, ammirazione al pittore, ed applauso massimo al compositore di questa musica. Questo giovenissimo signor Rossini se non invanirà di troppo, se studierà sugli antichi modelli che dormono polverosi, potrebbe essere il ben preconizzato a far risorgere la vera e maschia gloria della musica italiana.
Altrettanto nota è l'ammirazione manifestata da Stendhal, che nella "Vita di Rossini" scrive così:
"La pietra del paragone" è, a parer mio, il capolavoro di Rossini nel genere buffo. [...] Quest'opera creò alla Scala un'epoca di entusiasmo e di gioia; si accorreva in massa a Milano da Parma, Piacenza, Bergamo, Brescia e da tutte le città per un raggio di venti leghe. Rossini fu il primo personaggio del paese; ci si accalcava per vederlo.
Il successo dell'opera, fra l'altro, fu determinante in più di un modo per la carriera di Rossini. Come racconta lo stesso Stendhal, il vicerè francese a Milano, Eugène de Beauharnais (all'epoca la Lombardia, così come gran parte dell'Italia settentrionale, faceva parte dell'impero napoleonico) rimase talmente impresso da scrivere al ministro dell'interno la seguente missiva, chiedendo di esentare il compositore dal servizio militare:
Non posso prendermi la responsabilità di esporre al fuoco nemico un'esistenza così preziosa, i miei contemporanei non me lo perdonerebbero mai. Perderemo forse un mediocre soldato, ma salveremo sicuramente un uomo di genio per la nazione.
La popolarità della "Pietra" diede persino origine, in tempi brevissimi, a un paio di tormentoni. Il finale del primo atto, quello in cui il Conte Asdrubale – travestito da mercante turco – minaccia di mettere i sigilli a ogni cosa (parlando in un buffissimo linguaggio sgrammaticato, ed esclamando in continuazione la parola "Sigillara!"), fornì una sorta di nomignolo all'opera, che nell'uso comune sostituì quello ufficiale. Sempre Stendhal annota:
Questo vocabolo barocco, ripetuto dal turco incessantemente e in tutti i toni, poiché è la risposta che dà a tutto quanto gli si dice, fece a Milano una tale impressione [...] che fece cambiare il titolo dell'opera. Se in Lombardia parlate della "Pietra del paragone", nessuno vi capisce, bisogna dire: "il Sigillara".
Il secondo tormentone è quello dell'aria del poeta Pacuvio, "Ombretta sdegnosa del Missipipì", che sarà ripresa da Antonio Fogazzaro nel suo romanzo "Piccolo mondo antico". Questo le permetterà di rimanere popolare anche negli anni successivi, quando l'opera sarà ormai caduta nel dimenticatoio.

E già, perché sic transit gloria mundi: nonostante lo straripante successo iniziale, la fama della "Pietra" verrà rapidamente eclissata, nel giro di pochi anni, dalle altre opere dello stesso Rossini ("Il barbiere di Siviglia", "L'italiana in Algeri" e "La cenerentola" su tutte), fino a scomparire completamente dalle scene a partire dal 1830. E tranne qualche recupero in tempi recenti (in particolare grazie all'impegno del Rossini Opera Festival di Pesaro, e all'edizione critica curata da Alberto Zedda), "La pietra del paragone" fa capolino di rado nelle programmazioni dei teatri lirici. Un vero peccato, visto che si tratta di un'opera ancora assai fresca e godibile, di alto livello sia dal punto di vista musicale (come vedremo) che da quello del libretto, opera di un brillante Luigi Romanelli (librettista di fiducia della Scala di Milano, per la quale scrisse i testi di svariate decine di opere).

Questa scena, tratta dal biopic "Rossini! Rossini!" di Mario Monicelli (1991), mostra il successo della prima scaligera della "Pietra" (e attribuisce, nella finzione narrativa, direttamente alla Marcolini la richiesta di esonerare il compositore dal servizio militare):



Il libretto di Romanelli, come già detto, è vivace, ricco di trovate, ispiratissimo (un riferimento potrebbe essere lo Shakespeare di "Tanto rumore per nulla") e soprattutto incredibilmente moderno nel mettere in scena le virtù e (soprattutto) i vizi degli esseri umani: tanto che pare naturale, come viene spesso fatto in occasione di ogni allestimento, ambientarlo ai giorni nostri. Aiuta, in questo, la presenza di figure sempre "attuali" come il giornalista prezzolato e a caccia di scandali, l'artista mediocre e presuntuoso, le arrampicatrici sociali: personaggi che fanno parte del tessuto sociale di oggi come di quello di duecento anni fa.

La trama vede il ricco Conte Asdrubale, che sta ospitando alcuni conoscenti nella sua villa di campagna, fingere di aver perso tutti i propri averi (a favore di un fantomatico mercante turco, in realtà sempre lui travestito) per mettere alla prova la fedeltà dei tanti amici che lo circondano, distinguendo chi gli sta vicino solo per interesse da chi invece gli è legato da un rapporto sincero; allo stesso modo, farà luce sulle reali intenzioni delle tre donne che gli fanno la corte (essendo lui, ancora scapolo all'età di trent'anni, una "preda" piuttosto appetibile). Di queste ultime, solo la marchesa Clarice è mossa da un amore disinteressato: ma per conquistare il Conte, che nonostante tutto continua a mostrarsi refrattario al matrimonio, dovrà ricorrere a sua volta a un elaborato inganno a fin di bene.

Il titolo dell'opera, naturalmente, fa riferimento alle "prove" alle quali prima Asdrubale, e poi Clarice, sottopongono le persone al loro fianco: "Del paragon la pietra / sono i contrari eventi: / nei giorni più ridenti / più dubbia è l'amistà", si canta nel finale del primo atto.

Vocalmente, è da sottolineare l'insolita scelta dei registri dei due protagonisti, rispettivamente basso e contralto, al posto dei più consueti tenore e soprano (a onor del vero, non è un caso unico: agli inizi dell'ottocento il tenore era spesso relegato a ruoli secondari). L'unico tenore qui è il Cavalier Giocondo, poeta romantico e fedele amico del conte Asdrubale, ma innamorato a sua volta di Clarice. Gli altri personaggi cantano da soprano (Fulvia e Aspasia, le "rivali" di Clarice) o da basso buffo (il venale giornalista Macrobio e lo strampalato poeta Pacuvio, figure a tutto tondo e ben più che semplici comprimari). A questi si aggiunge un ruolo minore (Fabrizio, il maggiordomo del conte) e un coro maschile (che per lo più rappresenta la servitù). La musica è ricchissima e soprattutto assai varia, con arie che si alternano a numeri d'insieme vivaci e cangianti così come le situazioni che il libretto propone.

Fra i brani più significativi, oltre alla già citata aria di Pacuvio ("Ombretta sdegnosa del Missipipì"), sono da ricordare quella di Macrobio ("Chi è colei che s'avvicina?", tipicamente rossiniana), quella romantica di Giocondo ("Quell'alme pupille"), la cavatina di Clarice ("Eco pietosa"), il duetto fra Clarice e Asdrubale ("Conte mio, se l'eco avesse"). E come suo solito, Rossini "riciclò" parte della musica dalle sue opere precedenti: alcuni passi del complesso e raffinato quartetto del primo atto ("Voi volete, e non volete") provengono da "La scala di seta" e da "Ciro in Babilonia", mentre l'aria finale di Clarice ("Se per voi le care io torno") è la rielaborazione di un'analoga scritta, sempre per la Marcolini, per "L'equivoco stravagante". Da quest'ultima opera provengono anche il coro dei cacciatori e il quintetto del secondo atto. A sua volta, la "Pietra" fornirà materiale per il "Tancredi" (l'ouverture) e per "Il barbiere di Siviglia" (il temporale).


Alcune delle incisioni più celebri:











Link utili:

Articolo su Wikipedia in italiano
Articolo su Wikipedia in inglese
Libretto completo
Partitura

28 maggio 2014

Don Giovanni - Riepilogo

Scritto da Christian

Ecco un utile elenco di tutti i post pubblicati sul "Don Giovanni" (in corsivo i post di approfondimento psicologico di Marisa):

- Introduzione
- Premessa
- Ouverture
- Il seduttore sedotto

Atto I
- Introduzione: "Notte e giorno faticar" – "Non sperar, se non m'uccidi" – "Lasciala, indegno"
- Duetto: "Fuggi, crudele, fuggi"
- Aria: "Ah, chi mi dice mai"
- Aria: "Madamina, il catalogo è questo"
- Leporello
- Coro: "Giovinette che fate all'amore"
- Aria: "Ho capito, signor sì"
- Duettino: "Là ci darem la mano"
- Zerlina, la leggerezza
- Aria: "Ah, fuggi il traditor"
- Quartetto: "Non ti fidar, o misera"
- Recitativo e aria: "Don Ottavio, son morta!" – "Or sai chi l'onore"
- Donna Anna, l'ambivalenza
- Aria: "Dalla sua pace"
- Don Ottavio
- Aria: "Fin ch'han dal vino"
- Don Giovanni e il dionisiaco
- Aria: "Batti, batti, o bel Masetto"
- Finale I/1: "Presto presto, pria ch'ei venga" – "Protegga il giusto cielo"
- Finale I/2: "Riposate, vezzose ragazze" – "Venite pure avanti" – "Trema, trema, o scellerato"

Atto II
- Duetto: "Eh via, buffone"
- Terzetto: "Ah taci, ingiusto core"
- Canzonetta: "Deh, vieni alla finestra"
- Aria: "Metà di voi qua vadano"
- Aria: "Vedrai carino"
- Masetto
- Sestetto: "Sola sola, in buio loco"
- Aria: "Ah pietà, signori miei"
- Aria: "Il mio tesoro intanto"
- Rondo e duetto: "Restate qua" – "Per queste tue manine"
- Recitativo e aria: "In quali eccessi, o Numi" – "Mi tradì quell'alma ingrata"
- Donna Elvira, la passione
- Duetto: "O statua gentilissima"
- Recitativo e rondo: "Crudele? Ah no, mio bene" – "Non mi dir, bell'idol mio"
- Finale II/1: "Già la mensa è preparata" – "L'ultima prova dell'amor mio"
- Finale II/2: "Don Giovanni, a cenar teco"
- Libertà e confronto col padre
- Finale II/3: "Ah, dov'è il perfido?" – "Questo è il fin di chi fa mal"