28 maggio 2016

La Bohème (22) - "Vecchia zimarra"

Scritto da Christian

Se Musetta ha deciso di vendere i suoi orecchini, anche un altro personaggio è pronto a sacrificare un oggetto a lui caro pur di racimolare qualche spicciolo per alleviare la fine di Mimì. Si tratta di Colline, il filosofo, che in una breve aria per basso dà l'addio alla sua "vecchia zimarra", il pastrano che ha sempre indossato con orgoglio e nelle cui tasche, fin dal momento in cui l'aveva acquistato al Quartiere Latino, ha conservato libri e volumi di ogni genere. L'indumento non serviva dunque solo a ripararlo dal freddo, ma è per lui un simbolo di cultura e dunque di dignità. Colline gli si rivolge come a un vecchio amico, costretto ora ad "ascendere il sacro monte" (ovvero il monte di pietà, per essere impegnato), e questo affetto rende ancora più doloroso il commiato. Come altri oggetti di uso comune all'interno dell'opera (la cuffietta rosa di Mimì su tutti), anche la zimarra ha un valore simbolico e nostalgico che va al di là di quello economico: anzi esso simboleggia – soprattutto giunti a questo punto – tutta l'umanità, l'emozione e la pietà di un personaggio che finora era sempre rimasto sullo sfondo (nella scena precedente non aveva spiccicato parola), spesso in disparte e mai sotto i riflettori (a differenza per esempio di Schaunard, protagonista dell'episodio del pappagallo nel primo quadro).

All'interno del quadro conclusivo, questo brano rappresenta il primo momento in cui Puccini introduce un tema musicale nuovo, senza riprendere – con connotazioni nostalgiche o per indicare il ricordo – quelli già usati in precedenza. E che non si tratti di un semplice intermezzo o di un episodio fine a sé stesso, buono soltanto per "staccare" drammaticamente il momento del ritorno di Mimì nella soffitta da quello in cui la ragazza rimane sola con Rodolfo, è dimostrato dal fatto che il tema dell'aria sarà ripreso proprio nelle ultime battute dell'opera, a suggello della morte di Mimì, mettendo in un certo senso, scrive Girardi, "sullo stesso piano la perdita di una persona e di un oggetto amati, riconducendo entrambi alla vie de bohème. [...] Con l’indumento se ne va un altro pezzo della giovinezza di tutti, e poiché Colline non vive avventure romantiche, l’amore per la cultura è anche il sentimento più autentico che prova. Un sentimento che lo lega di amicizia a «filosofi e poeti», e lo rende dignitoso coi potenti".

Clicca qui per il testo.

COLLINE
(mentre Musetta e Marcello parlavano, si è levato il pastrano; con commozione crescente)
Vecchia zimarra, senti,
io resto al pian, tu ascendere
il sacro monte or devi.
Le mie grazie ricevi.
Mai non curvasti il logoro
dorso ai ricchi ed ai potenti.
Passâr nelle tue tasche
come in antri tranquilli
filosofi e poeti.
Ora che i giorni lieti
fuggîr, ti dico: addio,
fedele amico mio.
Addio, addio.




Paul Plishka


Carlo Colombara


James Morris


Nicolai Ghiaurov


Ezio Pinza

Boris Christoff

Luciano Pavarotti (che non è certamente un basso!) spiega come cantare al meglio quest'aria durante una Masterclass:


Robert Briggs, Luciano Pavarotti

24 maggio 2016

La Bohème (21) - L'ultimo desiderio

Scritto da Christian

I giochi e gli scherzi dei quattro amici sono ancora in pieno corso quando, all'improvviso, la porta della soffitta si spalanca e compare Musetta, che annuncia il ritorno di Mimì, le cui condizioni di salute sono peggiorate. Poco prima Marcello aveva riferito a Rodolfo di averla vista "in carrozza / vestita come una regina". E invece, come spiega Musetta, la ragazza, ormai "in fin di vita", ha scelto di propria volontà di abbandonare gli agi offertile dal Viscontino Paolo pur di venire a morire nelle braccia di Rodolfo. Come già ricordato, Puccini aveva pensato di cominciare il quadro conclusivo con Mimì già nella soffitta, a letto malata. Fu il librettista Illica a convincere Puccini a cambiare idea, in modo da dar maggiore significato al ritorno della ragazza. Il suo apparire sulla scena è accompagnato dal tema di "Mi chiamano Mimì", drammaticamente trasfigurato nella melodia e nell'accompagnamento per trasmettere l'idea che la malattia ha ormai compromesso il suo fisico. Scrive Girardi: "Il Leitmotiv svela dunque come l’unico vero evento dell’opera sia il progressivo imporsi della tisi sul fisico della protagonista, mentre le altre melodie a lei associate tornano nella stessa forma perché Mimì, nella costellazione dei personaggi, incarna simbolicamente il tempo della giovinezza e dell’amore, e come tale può solo passare, dunque morire".

Tutti si radunano attorno a lei e la aiutano a stendersi sul letto. Mentre Rodolfo la abbraccia, lei finge di star meglio, ma agli altri la situazione è ben chiara (Schaunard sussurra tristemente a Colline, in disparte: "Fra mezz'ora è morta!"). In casa non v'è nulla, nè vino né caffè ("Ah! miseria!", esclama Marcello con sconforto, maledicendo quella stessa povertà di cui fino a poco prima lui e gli altri si prendevano gioco). Mimì esprime un ultimo desiderio ("Ho tanto freddo!... / Se avessi un manicotto!"), e gli amici si danno da fare come possono per rendere i suoi ultimi istanti più confortevoli. A cominciare da Musetta, che si priva dei suoi orecchini, affidandoli a Marcello perché li venda per comprare un cordiale e chiamare un dottore, mentre lei penserà al manicotto. L'episodio contribuisce a riavvicinare definitivamente Marcello e Musetta (favoriti dall'intercessione della stessa Mimì, che dice a Marcello: "Date retta: è assai buona Musetta").

Tutte le emozioni che la fine di un essere amato può procurare sono sistemate secondo una scaletta che porta infallibilmente alla commozione il pubblico d’ogni dove e d’ogni età. Tanta efficace universalità non è dovuta al solo potere evocativo della musica, ma anche alla sapiente strategia formale che governa la partitura: il ritorno nei momenti più opportuni dei temi che descrivono il carattere e le emozioni di Mimì ce l’hanno resa familiare e indimenticabile al tempo stesso. Inoltre la musica, riepilogando il già trascorso, va incontro al tempo assoluto, raccogliendo ogni sfumatura semantica del testo e ricostituendo una nuova entità, la memoria collettiva, sulla base dell’ordine in cui i temi vengono riproposti. Mentre Mimì viene adagiata sul letto scorre la musica del primo incontro con Rodolfo nel momento del malore («Là. Da bere»), poi la seconda sezione della sua prima aria (ancora «Mi piaccion quelle cose») a commento del racconto di Musetta («Dove stia?»), che si scioglie, con esito lancinante, nel tema d’amore («Ancor sento la vita qui»). Puccini non tralascia un dettaglio: a commento della frase «Ho un po’ di tosse» una cadenza plagale ci riporta al momento del quadro terzo in cui Mimì confessa a Marcello che Rodolfo è fuggito da casa. E prosegue con precisione implacabile dopo che la protagonista ha portato il suo messaggio di riconciliazione a Marcello e Musetta, citando il complimento che Rodolfo le aveva rivolto mentre s’aggiravano tra la folla del Quartiere latino. Il filo di sentimentalità che cuce la cuffietta alla lusinga dell’amante esalta in quel tocco l’amaro sapore del rimpianto per la perduta bellezza di Mimì ed emana, con effetto straziante, un segnale sottilissimo, quasi indirizzato all’inconscio di chi ascolta: il rimpianto della sua bellezza bruna.
(Michele Girardi)
A proposito del manicotto che Mimì chiede come ultimo desiderio (anche se possiamo ben dire che il realtà il suo ultimo desiderio è quello di poter morire nella soffitta, fra le braccia dell'amato Rodolfo), ecco un interessante passo da una lettera di Puccini al librettista Luigi Illica, scritta mentre stava completando la composizione dell'opera e ancora pensava a mettere a punto alcuni particolari:
Ti ricordi che osservammo che Mimì, se fosse fuggita dal viscontino, non avrebbe avuto quel desiderio così vivo del manicotto, e che l’episodio del manicotto – così com’è attualmente – era una zeppa?! Tu proponesti di dirle, o cioè di far dire a Musetta, che era fuggita dall’ospedale. La cosa fu accolta da me e da te con grande entusiasmo perché così ci si trovava un po’ più nel vero circa la fine di Mimì. Così Mimì avrebbe dovuto presentarsi in abito dimesso e non chic come è adesso. [...] Tengo molto, anzi assolutamente voglio (lasciamelo dire) questa modificazione [...] all’ultim’atto, dove bisogna andar per le corte e venire all’arrivo della Mimì. L’episodio dei bohemi riuniti è solo messo per contrasto, perché volendo si poteva far venire Mimì subito appena alzato il sipario infischiandosene del rigodone, dell’aringa, di Demostene che il diavolo se lo porti.
(Giacomo Puccini, settembre 1895)

Clicca qui per il testo.

(Si spalanca l'uscio ed entra Musetta in grande agitazione.)

MARCELLO
(scorgendola)
Musetta!

MUSETTA
(ansimante)
C'è Mimì...
(tutti con viva ansietà la attorniano)
C'è Mimì che mi segue e che sta male.

RODOLFO
Ov'è?

MUSETTA
Nel far le scale
più non si resse.

(Si vede, per l'uscio aperto, Mimì seduta sul più alto gradino della scala.)

RODOLFO
Ah!
(si precipita verso Mimì; Marcello accorre anche lui)

SCHAUNARD
(a Colline)
Noi accostiam
quel lettuccio.
(ambedue portano innanzi il letto)

RODOLFO
(coll'aiuto di Marcello porta Mimì fino al letto)
Là.
(agli amici, piano)
Da bere.

(Musetta accorre col bicchiere dell'acqua e ne dà un sorso a Mimì.)

MIMÌ
(con grande passione)
Rodolfo!

RODOLFO
(adagia Mimì sul letto)
Zitta, riposa.

MIMÌ
(abbraccia Rodolfo)
O mio Rodolfo!
Mi vuoi qui con te?

RODOLFO
Ah! mia Mimì,
sempre, sempre!
(persuade Mimì a sdraiarsi sul letto e stende su di lei la coperta, poi con grandi cure le accomoda il guanciale sotto la testa)

MUSETTA
(trae in disparte gli altri, e dice loro sottovoce:)
Intesi dire che Mimì, fuggita
dal Viscontino, era in fin di vita.
Dove stia? Cerca, cerca... la veggo
passar per via
trascinandosi a stento.
Mi dice: «Più non reggo...
Muoio! lo sento...
(agitandosi, senz'accorgersene alza la voce)
Voglio morir con lui! Forse m'aspetta...
M'accompagni, Musetta?...»

MARCELLO
(fa cenno di parlar piano e Musetta si porta a maggior distanza da Mimì)
Sst.

MIMÌ
Mi sento assai meglio...
lascia ch'io guardi intorno.
(con dolce sorriso)
Ah, come si sta bene qui!
Si rinasce, ancor sento la vita qui...
(alzandosi un poco e riabbracciando Rodolfo)
No! tu non mi lasci più!

RODOLFO
Benedetta bocca,
tu ancor mi parli!

MUSETTA
(da parte agli altri tre)
Che ci avete in casa?

MARCELLO
Nulla!

MUSETTA
Non caffè? Non vino?

MARCELLO
(con grande sconforto)
Nulla! Ah! miseria!

SCHAUNARD
(osservata cautamente Mimì, tristemente a Colline, traendolo in disparte)
Fra mezz'ora è morta!

MIMÌ
Ho tanto freddo!...
Se avessi un manicotto! Queste mie mani
riscaldare non si potranno mai?
(tossisce)

RODOLFO
(prende nelle sue le mani di Mimì riscaldandogliele)
Qui nelle mie! Taci!
Il parlar ti stanca.

MIMÌ
Ho un po' di tosse!
Ci sono avvezza.
(vedendo gli amici di Rodolfo, li chiama per nome: essi accorrono premurosi presso di lei)
Buon giorno, Marcello,
Schaunard, Colline... buon giorno.
(sorridendo)
Tutti qui, tutti qui
sorridenti a Mimì.

RODOLFO
Non parlar, non parlar.

MIMÌ
Parlo piano,
non temere, Marcello,
(facendogli cenno di appressarsi)
date retta: è assai buona Musetta.

MARCELLO
Lo so, lo so.
(porge la mano a Musetta)

(Schaunard e Colline si allontanano tristemente: Schaunard siede al tavolo, col viso fra le mani; Colline rimane pensieroso.)

MUSETTA
(conduce Marcello lontano da Mimì, si leva gli orecchini e glieli porge dicendogli sottovoce:)
A te, vendi, riporta
qualche cordial, manda un dottore!...

RODOLFO
Riposa.

MIMÌ
Tu non mi lasci?

RODOLFO
No! No!

(Mimì a poco a poco si assopisce, Rodolfo prende una scranna e siede presso al letto. Marcello fa per partire, Musetta lo arresta e lo conduce più lontano da Mimì.)

MUSETTA
Ascolta!
Forse è l'ultima volta
che ha espresso un desiderio, poveretta!
Pel manicotto io vo. Con te verrò.

MARCELLO
(commosso)
Sei buona, o mia Musetta.

(Musetta e Marcello partono frettolosi.)




Luciano Pavarotti (Rodolfo), Renata Scotto (Mimì), Maralin Niska (Musetta),
Ingvar Wixell (Marcello), Paul Plishka (Colline), Allan Monk (Schaunard)
dir: James Levine (1977)


Giuseppe di Stefano, Maria Callas,
Anna Moffo, Rolando Panerai

Roberto Alagna, Angela Gheorghiu,
Inger Dam-Jensen, Bo Skovhus

20 maggio 2016

La Bohème (20) - L'aringa di Demostene

Scritto da Christian

Prima del tragico finale, c'è il momento per un'ultima spensierata scena di gruppo che ricorda le buffonate dei primi due quadri. Suotendo Rodolfo e Marcello dai loro ricordi, Colline e Schaunard tornano a casa con il poco cibo che hanno recuperato: quattro pagnotte e... un'aringa. Gli amici ci scherzano sopra ("Scelga, o barone; / trota o salmone?"), fingendo di gustarsi un banchetto luculliano e di essere loro stessi importanti notabili. Tra una battuta e l'altra, si passa poi a un ballo improvvisato (una quadriglia che vede danzare Rodolfo e Marcello, con quest'ultimo nei panni della damigella, dopo aver scartato altri tipi di danza: gavotta, minuetto, pavanella e fandango, tutti accennati dall'orchestra), e infine alla finzione di un duello fra Colline e Schaunard (con la paletta e le molle del caminetto – che come sempre è spento – a sostituire le spade). L'intera recita è ovviamente un modo per non farsi deprimere dalle difficoltà.

Inizialmente Puccini aveva pensato di inserire qui un brindisi, da musicare con relativo ensemble. Il compositore scartò però l'idea: come scrisse in una lettera all'editore Ricordi, infatti la scena era creata "solamente per il contrasto e [...] non giova all’azione, non facendole fare un passo di più. Io metto la massima allegria nel pranzo dell’aringa e nel ballo. Musetta piomba in piena gazzarra ed è raggiunto lo scopo. Tanto so per prova che far della bella musica accademica all’ultimo atto è cosa dannosa".

I dialoghi di tutta la seguenza sono farciti di riferimenti che meritano qualche nota:

- "È un piatto degno di Demostene": un gioco di parole. Demostene, il grande politico ateniese, non era forse ghiotto di aringhe, ma – essendo un celebre oratore – era senza dubbio esperto di... arringhe!
- "Questa è cuccagna / da Berlingaccio": Berlingaccio è una festa che si celebra a Firenze il giovedì grasso, prima di Carnevale.
- "Però... vedrò... Guizot!": François Guizot, potente e influente politico francese, ministro degli esteri e poi presidente del consiglio fino alla Rivoluzione del 1848.
- "Gira e balza / Rigodone": adattamento di rigaudon, il rigodone era una danza popolare francese di origine provenzale.

Clicca qui per il testo.

RODOLFO
(pone sul cuore la cuffietta, poi volendo nascondere a Marcello la propria commozione, si rivolge a lui e disinvolto gli chiede:)
Che ora sia?

MARCELLO
(rimasto meditabondo, si scuote alle parole di Rodolfo e allegramente gli risponde:)
L'ora del pranzo di ieri.

RODOLFO
E Schaunard non torna?

(Entrano Schaunard e Colline, il primo porta quattro pagnotte e l'altro un cartoccio.)

SCHAUNARD
Eccoci.

RODOLFO
Ebben?

MARCELLO
Ebben?

(Schaunard depone le pagnotte sul tavolo.)

MARCELLO
(con sprezzo)
Del pan?

COLLINE
(apre il cartoccio e ne estrae un'aringa che pure colloca sul tavolo)
È un piatto degno di Demostene:
un'aringa...

SCHAUNARD
...salata.

COLLINE
Il pranzo è in tavola.

(Siedono a tavola, fingendo d'essere ad un lauto pranzo.)

MARCELLO
Questa è cuccagna
da Berlingaccio.

SCHAUNARD
(pone il cappello di Colline sul tavolo e vi colloca dentro una bottiglia d'acqua)
Or lo sciampagna
mettiamo in ghiaccio.

RODOLFO
(a Marcello, offrendogli del pane)
Scelga, o barone;
trota o salmone?

MARCELLO
(ringrazia, accetta, poi si rivolge a Schaunard e gli presenta un altro boccone di pane)
Duca, una lingua
di pappagallo?

SCHAUNARD
(gentilmente rifiuta, si versa un bicchiere d'acqua poi lo passa a Marcello; l'unico bicchiere passa da uno all'altro. Colline, che ha divorato in gran fretta la sua pagnotta, si alza)
Grazie, m'impingua.
Stasera ho un ballo.

RODOLFO
(a Colline)
Già sazio?

COLLINE
(con importanza e gravità)
Ho fretta.
Il Re m'aspetta.

MARCELLO
(premurosamente)
C'è qualche trama?

RODOLFO
(si alza, si avvicina a Colline, e gli dice con curiosità comica:)
Qualche mister?

SCHAUNARD
Qualche mister?

MARCELLO
Qualche mister?

COLLINE
(passeggia pavoneggiandosi con aria di grande importanza)
Il Re mi chiama
al Minister.

RODOLFO, SCHAUNARD E MARCELLO
(circondan Colline e gli fanno grandi inchini)
Bene!

COLLINE
(con aria di protezione)
Però...
vedrò... Guizot!

SCHAUNARD
(a Marcello)
Porgimi il nappo.

MARCELLO
(gli dà l'unico bicchiere)
Sì, bevi, io pappo!

SCHAUNARD
(solenne, sale su di una sedia e leva in alto il bicchiere)
Mi sia permesso al nobile consesso...

RODOLFO E COLLINE
(interrompendolo)
Basta!

MARCELLO
Fiacco!

COLLINE
Che decotto!

MARCELLO
Leva il tacco!

COLLINE
(prendendo il bicchiere a Schaunard)
Dammi il gotto!

SCHAUNARD
(ispirato, fa cenno agli amici di lasciarlo continuare)
M'ispira irresistibile
l'estro della romanza!...

GLI ALTRI
(urlando)
No!

SCHAUNARD
(arrendevole)
Azione coreografica, allora?...

GLI ALTRI
(applaudendo, circondano Schaunard e lo fanno scendere dalla sedia)
Sì! Sì!...

SCHAUNARD
La danza
con musica vocale!

COLLINE
Si sgombrino le sale...

(Portano da un lato la tavola e le sedie e si dispongono a ballare.)

COLLINE
(proponendo varie danze)
Gavotta.

MARCELLO
Minuetto.

RODOLFO
Pavanella.

SCHAUNARD
(marcando la danza spagnola)
Fandango.

COLLINE
Propongo la quadriglia.
(gli altri approvano)

RODOLFO
(allegramente)
Mano alle dame.

COLLINE
Io détto!
(finge di essere in grandi faccende per disporre la quadriglia)

SCHAUNARD
(improvvisando, batte il tempo con grande, comica importanza)
Lallera, lallera, lallera, là.

RODOLFO
(si avvicina a Marcello, gli fa un grande inchino offrendogli la mano)
Vezzosa damigella...

MARCELLO
(con modestia, imitando la voce femminile)
Rispetti la modestia.
(con voce naturale)
La prego.

SCHAUNARD
Lallera, lallera, lallera, là.

COLLINE
(dettando le figurazioni)
Balancez.

(Rodolfo e Marcello ballano la quadriglia.)

MARCELLO
Lallera, lallera, lallera, là.

SCHAUNARD
(provocante)
Prima c'è il Rondò.

COLLINE
(provocante)
No, bestia!

SCHAUNARD
(con disprezzo esagerato)
Che modi da lacchè!

COLLINE
(offeso)
Se non erro,
lei m'oltraggia.
Snudi il ferro.
(corre al camino e afferra le molle)

SCHAUNARD
(prende la paletta del camino)
Pronti.
(mettendosi in posizione per battersi)
Assaggia.
Il tuo sangue io voglio ber!

COLLINE
(fa altrettanto)
Uno di noi qui si sbudella!

(Rodolfo e Marcello cessano dal ballare e si smascellano dalle risa.)

SCHAUNARD
Apprestate una barella!

COLLINE
Apprestate un cimiter!

(Schaunard e Colline si battono.)

RODOLFO E MARCELLO
(allegramente)
Mentre incalza
la tenzone,
gira e balza
Rigodone.
(ballano intorno ai duellanti, che fingono di essere sempre più inferociti)




Luciano Pavarotti (Rodolfo), Ingvar Wixell (Marcello), Paul Plishka (Colline), Allan Monk (Schaunard)
dir: James Levine (1977)


Giuseppe di Stefano, Rolando Panerai,
Nicola Zaccaria, Manuel Spatafora

Jeong Jeong-Hwa, Kim Dong-Sik,
e altri due interpreti sconosciuti

16 maggio 2016

La Bohème (19) - Ancora in soffitta

Scritto da Christian

Con il quarto e conclusivo quadro de "La Bohème" ritorniamo nella soffitta dove tutto aveva avuto inizio, a testimonianza della struttura simmetrica dell'intera opera. Non sappiamo quanto tempo sia trascorso dalla fine dell'atto precedente: diversi mesi, forse quasi un anno. In ogni caso, la scena che si presenta allo spettatore è del tutto simile a quella con cui l'opera era cominciata, mostrandoci Rodolfo e Marcello intenti l'uno a scrivere e l'altro a dipingere, senza troppo successo. Stavolta non sono tanto il freddo o la fame a intralciare il loro lavoro, ma una generale apatia, che li porta a chiacchierare fra loro, e così facendo a ricordare il tempo passato e le amanti perdute. E già, perché nel frattempo entrambi sono rimasti "vedovi", con le loro donne che hanno preferito i favori di qualche ricco signore, e che ora possono girare "in un coupé" (una carrozza di lusso, a due posti) e vestite "come una regina". A poco vale far gli indifferenti ("Ci ho gusto davver!", "Evviva! Ne son contento"). Da notare come Rodolfo irrida l'amico con l'espressione "Loiola, va! Ti rodi e ridi". Si tratta di un riferimento a Ignazio di Loyola, il religioso fondatore dei Gesuiti, e in particolare ai suoi "esercizi spirituali" che predicavano il "distacco" dai sentimenti e dagli affetti terreni.

Il fatto di presentare allo spettatore una scena simile a quella con cui l'opera era iniziata aiuta anche a comunicare la nostalgia e il rimpianto per il passato. Ben presto i due si tuffano, l'uno indipendentemente dall'altro, nel loro tempestoso mare di ricordi, in un insolito duetto in cui ciascuno dei due parla a sé stesso e alla propria amata perduta. "O Mimì tu più non torni. / O giorni belli, / piccole mani, odorosi capelli...", canta Rodolfo, prendendo in mano la cuffietta rosa che la ragazza gli ha lasciato, fonte di eterna nostalgia. "Io non so come sia / che il mio pennel lavori / ed impasti colori / contro la voglia mia", gli fa eco Marcello, lamentandosi che qualsiasi cosa voglia dipingere, sulla tela non gli esce altro che il volto di Musetta.

La netta impressione del déjà vu viene confermata dalla ripresa del tema con cui l’opera iniziava; ma in orchestra non c’è più la frammentazione dell’avvio, bensì il timbro impastato degli strumenti, che introduce concretamente un discorso già iniziato. Questo accorgimento si può leggere in chiave formale, come momento di amplificato riepilogo in una forma ciclica; ma è del pari evidente che l’esasperata dinamica produce una sensazione di enfasi quasi a voler nascondere la nostalgia, sentimento dominante di questa scena. [...] Puccini anche qui si rivela piuttosto preciso, ad esempio nel citare solo la frase iniziale di «Mi chiamano Mimì» evitando il tema così come è presentato all’ingresso della fanciulla in soffitta: in questo momento, infatti, Marcello sta evocando l’immagine di una Mimì lontana dalla malattia, che gira «in carrozza, vestita come una regina». Il motivo del flauto che s’era udito nel quadro iniziale, torna infine per smascherare la loro incapacità di lavorare, solo che ora nessuna donna varcherà la soglia della soffitta per interrompere i loro struggimenti. Con questa premessa comincia il duetto «O Mimì tu più non torni». Mentre scorre la musica, pian piano ci si accorge che le parole di Rodolfo sono il fulcro dell’opera «O Mimì, mia breve gioventù. [...] Ah! vien sul mio cuor; poiché è morto amor!...»: la fine dell’amore è anche il termine della giovinezza che non può più tornare. Si appunti un gesto scenico importante che si lega a una pagina tra le più ispirate: nell’ultima sezione del brano la cuffietta ricompare tra le mani di Rodolfo, ed egli la stringe al cuore come avesse la sua donna fra le braccia, dedicandole un toccante cantabile, «E tu, cuffietta lieve».
(Michele Girardi)


In una lettera scritta a Giulio Ricordi (nel febbraio 1894), il librettista Luigi Illica si lamentava del fatto che Puccini avrebbe voluto cominciare l’ultimo quadro dell’opera
colla Mimì in letto, Rodolfo al tavolino a scrivere e un mozzicone di candela a illuminare la scena. Cioè niente separazione [dopo il terzo quadro] fra Rodolfo e Mimì! Orbene così davvero non vi è più la Bohème, non solo, ma non vi è più la Mimì di Murger! [...] Ora io dico che è già un errore che la separazione di Rodolfo e Mimì non avvenga avanti agli occhi del pubblico [causa la soppressione del quadro di Via La Bruyère], figuriamoci se non dovesse avvenire in nessuna maniera! Poiché la essenza del libro di Murger è appunto in quella grande libertà in amore (suprema caratteristica della Bohème) colla quale agiscono tutti i personaggi. Pensi quanto più grande e più commovente può essere quella Mimì che – potendo oramai vivere con un amante [il Visconte Paolo] che le passa della seta e del velluto – sentendosi uccidere dall’etisia va a morire nella desolata e fredda mansarda pur di morire nella braccia di Rodolfo. Mi pare impossibile che Puccini non ne voglia comprendere la grandezza.
Per fortuna Puccini finì con il capire le ragioni di Illica e accettò la sua proposta, almeno per quanto riguarda il quadro finale (quello eliminato, invece, restò tale).

Clicca qui per il testo.

(La stessa scena del Quadro 1. Marcello sta ancora dinanzi al suo cavalletto, come Rodolfo sta seduto al suo tavolo: vorrebbero persuadersi l'un l'altro che lavorano indefessamente, mentre invece non fanno che chiacchierare.)

MARCELLO
(continuando il discorso)
In un coupé?

RODOLFO
Con pariglia e livree.
Mi salutò ridendo. To', Musetta!
Le dissi: - e il cuor? - «Non batte o non lo sento
grazie al velluto che il copre».

MARCELLO
(sforzandosi di ridere)
Ci ho gusto davver!

RODOLFO
(fra sé)
(Loiola, va! Ti rodi e ridi.)
(ripiglia il lavoro)

MARCELLO
(dipinge a gran colpi di pennello)
Non batte? Bene! Io pur vidi...

RODOLFO
Musetta?

MARCELLO
Mimì.

RODOLFO
(trasalendo, smette di scrivere)
L'hai vista?
(si ricompone)
Oh, guarda!

MARCELLO
(smette il lavoro)
Era in carrozza
vestita come una regina.

RODOLFO
(allegramente)
Evviva!
Ne son contento.

MARCELLO
(fra sé)
(Bugiardo, si strugge d'amor.)

RODOLFO
Lavoriam.

MARCELLO
Lavoriam.
(riprendono il lavoro)

RODOLFO
(getta la penna)
Che penna infame!

MARCELLO
(getta il pennello)
Che infame pennello!
(guarda fissamente il suo quadro, poi di nascosto da Rodolfo estrae dalla tasca un nastro di seta e lo bacia)

RODOLFO
(O Mimì tu più non torni.
O giorni belli,
piccole mani, odorosi capelli,
collo di neve!
Ah! Mimì, mia breve gioventù!
(dal cassetto del tavolo leva la cuffietta di Mimì)
E tu, cuffietta lieve,
che sotto il guancial partendo ascose,
tutta sai la nostra felicità,
vien sul mio cuor!
Sul mio cuor morto, poich'è morto amor.)

MARCELLO
(Io non so come sia
che il mio pennel lavori
ed impasti colori
contro la voglia mia.
Se pingere mi piace
o cieli o terre o inverni o primavere,
egli mi traccia due pupille nere
e una bocca procace,
e n'esce di Musetta
e il viso ancor...
E n'esce di Musetta
il viso tutto vezzi e tutto frode.
Musetta intanto gode
e il mio cuor vil la chiama
e aspetta il vil mio cuor...)




Luciano Pavarotti (Rodolfo), Ingvar Wixell (Marcello)
dir: James Levine (1977)


Roberto Alagna, Franck Ferrari


Rolando Villazon, Placido Domingo


José Carreras, Ingvar Wixell


Ferruccio Tagliavini, Giuseppe Taddei


Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli

Beniamino Gigli, Titta Ruffo

13 maggio 2016

La Bohème (18) - Il quadro eliminato

Scritto da Christian

Nel libretto originale scritto da Illica e Giacosa per "La Bohème" era presente un altro quadro, tratto direttamente da uno degli episodi narrati da Murger, che Puccini scelse di eliminare (contro il parere dei due librettisti, e in particolare di Illica). Intitolato "Il cortile della casa di via La Bruyère 8", l'episodio – che curiosamente è invece presente nella "Bohème" realizzata da Leoncavallo – si svolge presso l'abitazione di Musetta: la ragazza è stata sfrattata dall'appartamento perché il suo protettore (verosimilmente l'Alcindoro di cui si era fatta beffe al Quartiere Latino) si è rifiutato di continuare a pagarle l'affitto. Tutti i suoi mobili sono dunque accatastati nel cortile, in attesa di essere messi all'asta, e i nostri amici ne approfittano per organizzare una festa improvvisata e all'aperto. In questa occasione, Musetta presenta a Mimì un giovane Visconte, Paolo, con il quale la ragazza danza una quadriglia, scatenando la gelosia di Rodolfo. Il tutto culminerà nella separazione definitiva fra i due giovani: Mimì accetterà la corte del Visconte, almeno momentaneamente, tanto che all'inizio del quarto quadro Marcello riferirà di averla vista in una carrozza, "vestita come una regina".

La collocazione di questo "atto mancante" era da intendersi fra gli attuali quadri III e IV, ma la struttura dell'opera sarebbe stata comunque diversa: i primi due quadri erano inizialmente uno solo, diviso in due scene. "La barriera d'Enfer" era il secondo, e quello di via La Bruyère era il terzo. E forse non tutto torna dal punto di vista della continuità, dato che alla "Barriera d'Enfer" Musetta già convive con Marcello presso l'osteria, come se lo sfratto fosse già avvenuto. Inoltre, nei dialoghi di Rodolfo c'è un riferimento al Visconte Paolo ("Un moscardino / di Viscontino / le fa l'occhio di triglia"), come se Mimì già lo frequentasse. Questioni di poco conto, certamente, e che sarebbero state gestite in maniera diversa se l'episodio della festa in cortile fosse stato mantenuto. Del Visconte si parlerà nuovamente nell'atto conclusivo, ma anche in quel caso solo nei dialoghi (citato da Musetta: "Intesi dire che Mimì, fuggita dal Viscontino, era in fin di vita"): lui in persona non si vedrà mai sul palcoscenico.

Puccini scelse di eliminare questo quadro per motivi squisitamente formali: riteneva infatti che mettere in scena una festa in questo punto avrebbe "ricalcato" in parte quello che era stato già proposto al Quartiere Latino, rovinando l'equilibrio dell'opera e sbilanciandola eccessivamente sul versante comico. In effetti, la sua rimozione rende "La Bohème" molto più armoniosa nella sua bipartizione a livello strutturale: si inizia con due episodi felici e spensierati, seguiti da due episodi più drammatici.

9 maggio 2016

La Bohème (17) - L'addio

Scritto da Christian



Il duetto trasla in un quartetto, in cui in parallelo alle parole di Rodolfo e Mimì – che si rievocano a vicenda tutti i ricordi più belli della loro convivenza (in un crescendo che li porterà, inevitabilmente, a decidere di ritardare ancora un poco il momento della separazione e ad aspettare la primavera: "Ci lascerem alla stagion dei fior!") – c'è il litigio fra Musetta e Marcello, con quest'ultimo geloso delle "attenzioni" che la ragazza riceve dagli ospiti della locanda. Le parole dolci, poetiche, tenere e malinconiche dei primi due si mescolano agli insulti, alle frecciate e ai bisticci della seconda coppia. È in effetti curioso notare come questo terzo quadro era cominciato con Marcello e Musetta che andavano d'amore e d'accordo e con Rodolfo e Mimì al culmine della loro crisi, per terminare invece a ruoli invertiti, con i primi due in pieno litigio e i secondi teneramente abbracciati. Una simmetria tutta interna al quadro, in un'opera che presenta simmetrie anche su scala più grande, come un frattale.

Sulla stessa linea è il sentimento malinconico del finale, che Rodolfo e Mimì attaccano come un duetto («Addio dolce svegliare alla mattina») su una melodia d’intenso lirismo. [...] Il ritorno in scena di Musetta e Marcello trasforma l’insieme in un quartetto, con l’efficace contrapposizione fra i loro coloriti scambi di battute e l’estasi amorosa degli altri due. Musetta e Marcello parlano molto concretamente, ma le loro parole rischiano di sfuggire, tanto forte è il richiamo che proviene dai due amanti immersi nell’idillio. Le quattro voci si uniscono nella stessa melodia solo quando Mimì e Rodolfo decidono di aspettare la primavera prima di lasciarsi. L’addio tra Musetta e Marcello è invece prosastico e declamato («Pittore da bottega! » «Vipera!» «Rospo!» «Strega!»). In coda al brano fa capolino in orchestra il tema della bohème, che ha il compito di ribadire l’identità fra amore, giovinezza ed eccentrica povertà, e di trasmetterla all’episodio successivo: queste quattro note sono come il tocco di un delicato orologio che segna un tempo che i due non potranno fermare. Come s’ingigantiscono per opera di dettagli come questo malinconia e nostalgia.
(Michele Girardi)

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RODOLFO
Dunque è proprio finita?
Te ne vai, te ne vai, la mia piccina?!
Addio, sogni d'amor!...

MIMÌ
Addio, dolce svegliare alla mattina!

RODOLFO
Addio, sognante vita...

MIMÌ
(sorridendo)
Addio, rabbuffi e gelosie!

RODOLFO
...che un tuo sorriso acqueta!

MIMÌ
Addio, sospetti!...

RODOLFO
Baci...

MIMÌ
Pungenti amarezze!

RODOLFO
Ch'io da vero poeta
rimavo con carezze!

MIMÌ E RODOLFO
Soli d'inverno è cosa da morire!
Soli! Mentre a primavera
c'è compagno il sol!

(Nel Cabaret fracasso di piatti e bicchieri rotti.)

MARCELLO
(di dentro)
Che facevi, che dicevi
presso al fuoco a quel signore?

MUSETTA
(di dentro)
Che vuoi dir?
(esce correndo)

MIMÌ
Niuno è solo l'april.

MARCELLO
(fermandosi sulla porta del Cabaret, rivolto a Musetta)
Al mio venire
hai mutato colore.

MUSETTA
(con attitudine di provocazione)
Quel signore mi diceva:
Ama il ballo, signorina?

RODOLFO
Si parla coi gigli e le rose.

MARCELLO
Vana, frivola, civetta!

MUSETTA
Arrossendo rispondeva:
Ballerei sera e mattina.

MIMÌ
Esce dai nidi un cinguettio gentile...

MARCELLO
Quel discorso asconde mire disoneste.

MUSETTA
Voglio piena libertà!

MARCELLO
(quasi avventandosi contro Musetta)
Io t'acconcio per le feste
se ti colgo a incivettire!

MIMÌ E RODOLFO
Al fiorir di primavera
c'è compagno il sol!
Chiacchieran le fontane
la brezza della sera.

MUSETTA
Ché mi gridi? Ché mi canti?
All'altar non siamo uniti.

MARCELLO
Bada, sotto il mio cappello
non ci stan certi ornamenti...

MUSETTA
Io detesto quegli amanti
che la fanno da mariti...

MARCELLO
Io non faccio da zimbello
ai novizi intraprendenti.

MIMÌ E RODOLFO
Balsami stende sulle doglie umane.

MUSETTA
Fo all'amor con chi mi piace!

MARCELLO
Vana, frivola, civetta!

MUSETTA
Non ti garba? Ebbene, pace.
ma Musetta se ne va.

MARCELLO
Ve n'andate? Vi ringrazio:
(ironico)
or son ricco divenuto. Vi saluto.

MIMÌ E RODOLFO
Vuoi che spettiam
la primavera ancor?

MUSETTA
Musetta se ne va.
(ironica)
Sì, se ne va! Vi saluto.
Signor: addio!
vi dico con piacer.

MARCELLO
Son servo e me ne vo!

MUSETTA
(s'allontana correndo furibonda, a un tratto si sofferma e gli grida)
Pittore da bottega!

MARCELLO
(dal mezzo della scena, gridando)
Vipera!

MUSETTA
Rospo!
(esce)

MARCELLO
Strega!
(entra nel Cabaret)

MIMÌ
(avviandosi con Rodolfo)
Sempre tua per la vita...

RODOLFO
Ci lasceremo...

MIMÌ
Ci lasceremo alla stagion dei fior...

RODOLFO
...alla stagion dei fior...

MIMÌ
Vorrei che eterno
durasse il verno!

MIMÌ E RODOLFO
(dall'interno, allontanandosi)
Ci lascerem alla stagion dei fior!




Luciano Pavarotti (Rodolfo), Renata Scotto (Mimì), Ingvar Wixell (Marcello), Maralin Niska (Musetta)
dir: James Levine (1977)


Rolando Villazón (Rodolfo), Anna Netrebko (Mimì), George van Bergen (Marcello), Nicole Cabell (Musetta)
dir: Bertrand de Billy (2008)


Roberto Alagna, Angela Gheorghiu

Placido Domingo, Cecilia Gasdia

Dal punto di vista musicale (ma anche tematico) bisogna sottolineare come per questo quartetto Puccini abbia "riciclato" un brano da lui composto nel marzo del 1888, una cantata per pianoforte e voce solista dal titolo "Sole e amore", il cui testo – scritto forse dallo stesso compositore – si ispirava alla "Mattinata" di Giosuè Carducci e celebrava "il sole e la primavera come invito pressante ad accogliere nel proprio cuore il pensiero dell'amore". Oltre a trasferire la musica di questo allegretto da un'atmosfera solare a quella invernale e malinconica de "La barriera d'Enfer", il riutilizzo del brano ha comportato la sua trasposizione da voce sola a un quartetto di voci che si intrecciano e "cozzano", sia pur armoniosamente, le une con le altre (due personaggi litigano, mentre altri due si fondono insieme in un idillio). È un altro esempio, dopo quello del tema di Rodolfo "Nei cieli bigi", di come Puccini sia in grado di riciclare idee melodiche nate in determinati contesti per riadattarli a circostanze del tutto differenti, con estrema naturalezza e con risultati straordinari.
Libretto alla mano, l’intuizione di Puccini sulla collocazione di "Sole e amore" alla fine del quadro terzo della "Bohème" non sembra poi così peregrina. Nei primi versi di Mimì e Rodolfo si può leggere un’allusione – condita con una punta d’innocua ironia – al rispetto carducciano: il risveglio ricordato come momento di «rabbuffi», sospetti e gelosie, subito però placati da baci, sorrisi e carezze d’amore, come vuole lo stereotipo della "mattinata". Ma soprattutto, c’è poi un riferimento obliquo al tema del "sole/amore che batte insistentemente alla finestra in primavera": i due amanti decidono di rinviare l’addio «alla stagion fiorita» proprio perché «soli l’inverno è cosa da morire», mentre «al primo fiorire di primavera / ci è compagno il sole». Già, confortati dalla presenza assidua del sole/amore, «niuno è solo l’aprile». A far da contraltare farsesco a questo quadretto sentimentale, com’è noto, ad un certo punto esplode la schermaglia di Marcello e Musetta, annunciata da un «fracasso» di stoviglie in frantumi («Che facevi, che dicevi»).
(Riccardo Pecci)
Ecco due versioni di "Sole e amore", rispettivamente con voce maschile e femminile:


Placido Domingo

Krassimira Stoyanova

4 maggio 2016

La Bohème (16) - "D'onde lieta uscì"

Scritto da Christian

Quanto è difficile dirsi addio, specialmente d'inverno: "Soli d'inverno è cosa da morire! / Mentre a primavera c'è compagno il sol!". Eppure Mimì e Rodolfo ci provano, a lasciarsi: la ragazza intona un'aria dolcissima, colma di ricordi e di nostalgia, che inizia evocando il momento del loro incontro ("D'onde lieta uscì / al tuo grido d'amore, / torna sola Mimì / al solitario nido"), già con una metafora legata alla natura (l'uccello che torna al nido), e prosegue cercando di farsi pragmatica ("Le poche robe aduna che lasciai sparse..."). Ma il richiamo agli oggetti, ai luoghi e ai ricordi che li hanno uniti, a partire da quella cuffietta rosa che ha un po' simboleggiato il loro amore, ha un effetto troppo forte sul cuore di entrambi. Nonostante la risoluzione che mostrava poco prima, Rodolfo pare subito cambiare idea: "Dunque è proprio finita?", chiede con apprensione alla fanciulla, sperando che lei dica di no.





«D’onde lieta uscì» è il primo saggio completo di "musica della memoria" nella Bohème: la linea vocale si snoda sul tema di Mimì nella prima sezione, nella seconda («Ascolta, ascolta») la melodia è contrappuntata da echi del Quartiere latino e della prima aria, nelle due sezioni che evocavano gli aspetti più semplici della sua personalità – «Sola mi fo il pranzo da me stessa» e «Mi piaccion quelle cose», uno spunto che risentiremo ancora in un momento chiave del finale. [...] I tre temi richiamati in queste poche battute ci mostrano come Mimì viva già nel ricordo, e solo nell’ultima sezione la voce s’innalza in uno slancio lirico appassionato («Se vuoi»), ma è un’impennata che si spegne in un sussurro presago della fine: la cuffietta, quotidiano pegno d’amore, è quasi come il ritratto che nella "Traviata" Violetta porge ad Alfredo prima di morire. Guardiamo con maggiore attenzione a questo oggetto che ricompare ora, dopo aver scoperto una delle tante esche emotive che la musica è nascostamente in grado di offrire alla nostra sensibilità. Puccini passa enarmonicamente dalla tonalità di Re, in cui venivano ricordati i precedenti oggetti, a La: la rottura è lieve, ma suggerisce il senso di un’esitazione, come di chi rammenti improvvisamente qualcosa. Mimì menziona la cuffietta con la frase che aveva usato nel quadro precedente; questo motivo futile che ripiega su se stesso, perfetta traduzione in musica della lingua di tutti i giorni, prepara e amplifica lo slancio melodico che proietta verso l’acuto la voce del soprano. Un gesto di puro lirismo che segna la momentanea rottura del quotidiano. [...] Da questo momento l’oggetto, e insieme a lui l’emozione che genera il suo ricordo, è fissato per sempre nella nostra memoria, proprio perchè non lo vediamo, ma udiamo quale passione possa scatenare grazie a quella frasettina associata in un unico afflato a un’estesa, emozionante melodia.
(Michele Girardi)

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MIMÌ
(affettuosamente)
D'onde lieta uscì
al tuo grido d'amore,
torna sola Mimì
al solitario nido.
Ritorna un'altra volta
a intesser finti fior.
Addio, senza rancor.
- Ascolta, ascolta.
Le poche robe aduna che lasciai
sparse. Nel mio cassetto
stan chiusi quel cerchietto
d'or e il libro di preghiere.
Involgi tutto quanto in un grembiale
e manderò il portiere...
- Bada, sotto il guanciale
c'è la cuffietta rosa.
Se... vuoi... serbarla a ricordo d'amor!...
Addio, senza rancor.




Mirella Freni


Renata Tebaldi


Maria Callas


Renee Fleming


Renata Scotto


Angela Gheorghiu

Marilyn Horne