Sprofondato Don Giovanni all'inferno, gli altri personaggi (guidati da un Don Ottavio che ha condotto con sé "alcuni ministri di giustizia") giungono sulla scena in irrimediabile ritardo. E spetta a un confuso e balbettante Leporello, del tutto inadeguato a fare da testimone agli eventi soprannaturali cui ha appena assistito, illustrare loro quel che è accaduto. Il suo racconto, corroborato dalla testimonianza di Donna Elvira (che poco prima aveva incontrato "l'ombra" della statua), è sufficiente a porre fine ai loro desideri di giustizia: sono stati tutti già "vendicati dal cielo". Il sestetto che conclude l'opera, con tanto di morale ("Questo è il fin di chi fa mal"), è sempre parso ad alcuni critici un po' superfluo, un'aggiunta puramente formale e una concessione alle consuetudini dell'epoca, che richiedevano per un melodramma (tragico o buffo che fosse) una "scena ultima" che tirasse le fila della vicenda e lasciasse allo spettatore un commento rassicurante (vale a dire: "non temete, il male è stato punito"). Anche il testo del libretto sembra a tratti scendere di livello rispetto alla tensione precedente: la frase "Resti dunque quel birbon / con Prosèrpina e Pluton", per esempio, pare davvero un po' buffa, quasi goffa, rispetto alle circostanze.
Come già ricordato in un precedente post, lo stesso Mozart, quando ripropose il "Don Giovanni" a Vienna l'anno successivo alla prima rappresentazione a Praga, pensò di eliminare questo sestetto e di far terminare l'opera con il culmine della scena precedente, anche se poi ebbe vari ripensamenti e alla fine decise di rimetterlo al suo posto. Il brano, in effetti, è assente nell'edizione viennese del libretto pubblicata nel 1788 (che si conclude con Don Giovanni che "si sprofonda nel momento stesso in cui escon tutti gli altri, guardano, metton un alto grido, fuggono, e cala il sipario") e per tutto il diciannovesimo secolo, soprattutto nella prassi esecutiva viennese e tedesca, era tradizionalmente omesso dagli allestimenti. Fu definitivamente reintegrato in pianta stabile solo a partire dalla metà del novecento, con la pubblicazione di una nuova edizione critica della partitura (Neue Mozart-Ausgabe). La sua presenza è comunque importante perché ci permette di conoscere il destino finale degli altri personaggi.
Dopo il racconto di Leporello, infatti, tutti tirano le fila del proprio percorso e annunciano quale sarà il loro futuro. Lo spazio maggiore, in termini di testo e di musica, è riservato alla coppia Anna/Ottavio, con il secondo che si sente chiedere dalla prima un'ulteriore attesa di un anno prima di convolare a nozze. Sembra quasi un accanimento, ora che tutto è finito, vedere frustrati ancora una volta gli "ardori" di Ottavio, che peraltro stavolta si mostra subito accondiscendente (evidentemente lo scatto di poco prima, quando aveva apostrofato la sua amata con un "Crudele!", è destinato a rimanere unico). Ma perché Donna Anna sceglie all'improvviso di prorogare il suo lutto di un altro anno? Non è peregrino pensare che stavolta il lutto non sia dovuto alla morte del padre ma proprio a quella di Don Giovanni, che nel bene o nel male era diventato per lei un punto di riferimento, e la cui mancanza si farà sentire. Lo stesso vale per Donna Elvira, la cui parabola si concluderà in un convento: scomparso l'unico centro della sua vita, il resto del mondo non ha più altro da offrirle. Non è così invece per i personaggi più schietti e "popolari", che semmai ne escono più forti: Zerlina e Masetto (ri)cominceranno la propria vita insieme, con meno ingenuità e più esperienza, mentre Leporello andrà semplicemente a cercarsi un nuovo e "miglior" padrone (contraddicendo dunque quegli arditi propositi di "fare il gentiluomo" con cui egli stesso aveva aperto l'opera). E sono proprio questi tre a intonare, a beneficio dello spettatore, "l'antichissima canzon" che reca con sé la morale della storia e che, a ben vedere, nasconde una sottile ironia da parte di Da Ponte e Mozart. La strofa "E dei perfidi la morte / alla vita è sempre ugual" suggerisce che Don Giovanni, anche nella morte, continuerà a condurre la vita che ha vissuto: una vita fatta di donne, di vino, di bagordi. Mica male!
È Don Giovanni che dona agli altri personaggi, simboli delle diverse forme dell’umano, il fuoco delle passioni, siano quelle dei sensi, dell’amore, della vendetta oppure dell’onore. Lo dimostra splendidamente la scena ultima, importantissima nell’economia del dramma: quando il protagonista è ormai sprofondato, tutti accorrono in scena a reclamare una punizione, un ultimo confronto, che è già avvenuto, e rimangono come ‘vuoti’, spogliati d’ogni energia vitale, costretti a dire pubblicamente quel che faranno da quel giorno in poi; hanno perduto la loro ragione d’esistere teatrale, e infatti il teatro si smonta nel rito astratto della morale conclusiva.(Alberto Batisti)
Ma anche il giudizio morale che alla fine sembra inchiodare [Don Giovanni] alle sue responsabilità ("Questo è il fin di chi fa mal: / e de' perfidi la morte / alla vita è sempre ugual") lo riguarda solo in parte, rappresentando invece il punto di vista di coloro che sono stati testimoni delle sue "nere imprese" e che possono dirsi, ma a cuore non leggero, "vendicati dal cielo". E la parte che semmai lo riguarda è quella imperitura oltre la morte, che farà rinascere, se non opere simili, altri uomini con il suo carattere; insieme con la consapevolezza che anche gli altri personaggi apertamente avranno, al di là del "lieto fine", di essere esistiti soltanto come creature del "mostro", e di non poter forse più esistere senza di lui. Si spiega così come questa "scena ultima", che protrae oltre la catastrofe l'eco incancellabile della tragedia, sia necessaria all'economia globale per ragioni assai più profonde di quelle di una semplice convenzione di genere. Essa è lo specchio post mortem dell'eroismo di Don Giovanni: sopravvivere alla sua stessa punizione, così com'era vissuto senza temere punizioni. Una scelta dunque tutt'altro che convenzionale, ma anzi audace e sofisticata, degna di un grande psicologo. Se per qualche attimo Mozart pensò di sopprimere il sestetto conclusivo, lo fece soltanto perché posto fuori strada dalle attese del pubblico viennese, ritenendo, non a torto, che il finale tragico nudo e crudo avrebbe sortito un effetto più immediato e clamoroso. Ossia per ragioni esattamente opposte a quelle che la "cultura", con i suoi sottili distinguo, ha creduto per anni di sostenere in favore della sua espunzione. Infine si ricredette, e lo risistemò al suo posto.Forse i vari ripensamenti di Mozart non dipendevano solo dal testo (da un lato, la morale finale poteva in qualche modo abbassare la potenza drammatica e la statura "eroica" del protagonista, ridotto a un semplice "birbon"; dall'altro, però, il lieto fine era gradito al pubblico e sicuramente ai censori, che poco avrebbero tollerato l'assenza di un messaggio esplicito di condanna nel finale) ma anche da esigenze musicali: se la scelta di eliminare il sestetto poteva essere dettata (cito da Wikipedia) "dal voler concludere l'opera nella stessa tonalità (re minore) in cui incomincia l'ouverture, dandole così un aspetto ciclico", è anche vero che la cadenza "imperfetta" con cui si conclude la scena precedente non era certo adatta al finale di un'opera, che richiedeva invece una grande scena d'insieme.(Sergio Sablich)
Dal dibattito storico la questione [della presenza o meno del sestetto finale] è scivolata facilmente sul piano estetico, laddove l’indirizzo romantico vorrebbe a tutti i costi un finale tragico con la scena del Commendatore (con partigiani illustri quali Mahler e Adorno), mentre il partito filologico e neoclassico punta a salvare lo spirito settecentesco della ‘scena ultima’. Sia che si voglia espungere o conservare il sestetto, troppo spesso su entrambi i fronti si sente ripetere che comunque quella musica non reggerebbe il confronto con l’audacia sconvolgente della scena precedente, e che quindi comporta una brusca caduta di tono. Un tal giudizio postulerebbe che ogni opera debba avere il vertice d’un ideale climax espressivo proprio in coincidenza con la fine, cosa spesso falsa; niente vieta, inoltre, che l’ultraterreno turbamento provocato dal convitato di pietra sia deliberatamente compensato da Mozart con un ritorno fra gli umani e con una conclusione, almeno in apparenza, rassicurante. Certo è che in Mozart una totale prevalenza del pathos non è concepibile, e ogni uscita dai ranghi, anche la più straordinaria come avviene appunto nel Don Giovanni, deve essere ricondotta a quel superiore dominio delle passioni che è uno dei segreti dell’inalterabile fascino di questa musica. Resti dunque quel finale birbone là dov’è, vicino «a Proserpina e Pluton»: l’astrazione polifonica dell’estremo Presto, alla breve nasconde l’ironico sorriso di chi ha sconvolto per noi la fissità eterna di Cielo e Inferno.(Alberto Batisti)
Clicca qui per il testo del brano.
DONNA ELVIRA, ZERLINA, DON OTTAVIO E MASETTOAh! Dove è il perfido,
dove è l'indegno?
Tutto il mio sdegno
sfogar io vo'.
DONNA ANNA
Solo mirandolo
stretto in catene,
alle mie pene
calma darò.
LEPORELLO
Più non sperate
di ritrovarlo...
più non cercate:
lontano andò.
DONNA ANNA, DONNA ELVIRA, ZERLINA, DON OTTAVIO E MASETTO
Cos'è? Favella!
LEPORELLO
Venne un colosso...
DONNA ANNA, DONNA ELVIRA, ZERLINA, DON OTTAVIO E MASETTO
Via, presto, sbrìgati!
LEPORELLO
Ma se non posso...
DONNA ANNA, DONNA ELVIRA, ZERLINA, DON OTTAVIO E MASETTO
Presto! Favella!
LEPORELLO
Tra fumo e fuoco...
badate un poco...
l'uomo di sasso...
fermate il passo!
Giusto là sotto
diede il gran botto,
giusto là il diavolo
se 'l trangugiò.
DONNA ANNA, DONNA ELVIRA, ZERLINA, DON OTTAVIO E MASETTO
Stelle! Che sento!
LEPORELLO
Vero è l'evento.
DONNA ELVIRA
Ah, certo è l'ombra
che m'incontrò.
DONNA ANNA, ZERLINA, DON OTTAVIO E MASETTO
Ah, certo è l'ombra
che l'incontrò.
DON OTTAVIO
(a Donna Anna)
Or che tutti, o mio tesoro,
vendicati siam dal cielo,
porgi, porgi a me un ristoro:
non mi far languire ancor.
DONNA ANNA
Lascia, o caro, un anno ancora
allo sfogo del mio cor.
DON OTTAVIO
Al desio di chi m'adora
ceder deve un fido amor.
DONNA ANNA
Al desio di chi t'adora
ceder deve un fido amor.
DONNA ELVIRA
Io me n' vado in un ritiro
a finir la vita mia!
ZERLINA E MASETTO
Noi, Masetto/Zerlina, a casa andiamo,
a cenar in compagnia.
LEPORELLO
Ed io vado all'osteria
a trovar padron miglior.
ZERLINA, MASETTO E LEPORELLO
Resti dunque quel birbon
con Proserpina e Pluton.
E noi tutti, o buona gente,
ripetiam allegramente
l'antichissima canzon.
TUTTI
Questo è il fin di chi fa mal:
e de' perfidi la morte
alla vita è sempre ugual!
Ildebrando d’Arcangelo (Leporello), Adrianne Pieczonka (Donna Anna), Michael Schade (Don Ottavio),
Anna Caterina Antonacci (Donna Elvira), Angelika Kirchschlager (Zerlina), Lorenzo Ragazzo (Masetto),
dir: Riccardo Muti
Stuart Burrows, Margaret Price, Gabriel Bacquier, Sylvia Sass, Lucia Popp, Alfred Sramek, dir: Georg Solti | Donald Gramm, Joan Sutherland, Werner Krenn, Pilar Lorengar, Marilyn Horne, Leonardo Monreale, dir: Richard Bonynge |
René Pape (Leporello), Anna Samuil (Donna Anna), Michael Schade (Don Ottavio),
Annette Dasch (Donna Elvira), Sylvia Schwartz (Zerlina), Robert Gleadow (Masetto),
dir: Manfred Honeck
6 commenti:
Sono pienamente d'accordo con chi ritiene importante questo finale con il sestetto dei "sopravvissuti" al ciclone vitale di Don Giovanni, ma non penso assolutamente che essi siano ormai "vuoti" e senza più ragione di vita. Anzi questo finale è assolutamente necessario proprio per rendersi conto dell'evoluzione dei personaggi, evoluzione attivata e messa in moto dall'incontro con il tipo di energia dionisiaca che Don Giovanni rappresenta. Come ho cercato di chiarire nei vari post che riguardano i vari personaggi, ad eccezione di Don Ottavio che rimane quello di prima, chiuso nel suo amore-dedizione assoluta a Donna Anna, gli altri escono dall'avventura profondamente modificati e consapevoli del proprio destino.
Donna Elvira trasforma la passione non ricambiata in una ricerca spirituale-religiosa, Zerlina e Masetto rinsaldano il loro progetto matrimoniale in modo più maturo e realistico, Donna Anna prende coscienza dell'ambiguità del suo sentimento chiedendo un anno per elaborare il lutto non solo del padre, ma chiaramente scossa dall'effetto del libertino e Leporello infine rinuncia ai propositi grandiosi-narcisistici iniziali di essere un "gentiluomo" come il padrone e saggiamente riconosce che gli conviene fare quello che ha sempre fatto e che sa fare : il servitore, ma con un padrone meno ingombrante e deviante.
Anche secondo me questo sestetto finale è importante, ed eliminarlo renderebbe "monca" in qualche modo l'opera. Che parla di Don Giovanni, sì, ma anche di come DG influenza gli altri personaggi, e dunque le varie tipologie di animo umano.
Ma sentite, dite davvero? Possibile che non abbiate capito che "il fin di chi fa mal" riguarda tutti e sei i personaggi? E' chiaro: sono loro che hanno sbagliato! Che cosa credevate? E purtroppo la morte è uguale per tutti, altro che "antichissima canzon"! Ma l'ombra di don Giovanni (la rivoluzione) come Gesù Cristo risorgerà, anche se non si può sapere dove e quando! Ricordate quando dopo tre giorni si era allontanato da Burgos? Grande, grande l'autore del libretto, non lascia mai dubbi: "il quadro non è tondo"!
L'interpretazione che capovolge le cose, e che vede gli altri personaggi finire all'inferno al posto di Don Giovanni, è una di quelle possibili, e in effetti stata portata anche in scena qualche volta (per esempio nella versione di Robert Carsen alla Scala nel 2011).
Interessante il paragone cristologico: non ci avevo mai pensato. Con tanto di "ultima cena", a base di vino, e di nemici (quali sacerdoti dell'ordine costituito) che lo vogliono far condannare a morte ("Un ricorso vo far a chi si deve", come i farisei che vanno da Ponzio Pilato).
Ovviamente in quanto mito o archetipo, Don Giovanni è immortale e ritorna sempre. Nel suo post Don Giovanni e il dionisiaco, Marisa lo accomuna però a un'altra divinità, più antica: ovviamente Dioniso. In fondo anche la religione cristiana deve molto a quelle che l'hanno preceduta.
Caro Christian, con l'ultima cena ci hai proprio preso! Anche il Professor Borg nel "Posto delle fragole" beve del Porto nella sua ultima cena per poi morire serenamente. Il buon Marx doveva aver visto l'Opera quando diceva che "un fantasma si aggira per l'Europa"! Vorrei però dirti che sbagli nel riferirti a don Ottavio. Lui, un finocchio (si può dire?), facendo ricorso a chi sa (mafia, spie, terroristi, poliziotti, eserciti) soffocherà la rivoluzione e sarà nunzio di "STRAGI e MORTI"! Pensando alla nostra storia recente fa venire i brividi!
Scusami, Christian, se intervengo ancora sul tuo blog, ma ho visto che sei un appassionato di enigmistica. Posso darti il suggerimento di leggere quest'Opera come un rebus da risolvere? Uno degli insegnamenti del misterioso librettista è che Dio (la Verità, ma anche l'Amore) è unico! Gli dei e gli idoli lasciamoli ai barbari. Perché ricercare sempre "dotte" citazioni quando Casanova (pardon, l'ho detto)non le fa? C'è solo qualche accenno ai Vangeli, alla città di Burgos, perché freddissima (come la morte)e a tre Opere: "Cosa rara", perché rappresenta il gioiello in contrapposizione al tesoro degli avari, "I litiganti", perché don Giovanni dà per scontato che poi faranno pace e "Le nozze di Figaro" di Mozart, perché quando quel fulmine della Zerlina gli cade sulla testa lui diventa pazzo per amore come Cherubino! Che decisione fulminea è stata quella di inscenare quel finto stupro e batterebbe Bolt da come è stata veloce nel portarsi dall'altro lato del palazzo per impedire che Masetto incontrasse il cavaliere! Chissà quante porte avrà dovuto aprire! Poveretti: "Soccorriamo l'innocente, buttiamo giù la porta"! Avevano proprio capito tutto quegli stupidi! "Stupido/a resto, che mai sarà?" Vedi, è come tradurre da un'altra lingua, ma poi ci si arriva e quello è. Io ci ho faticato sopra parecchio, ma con il cuore e cercando di far funzionare il cervello, molte risposte me le sono date. Se ti/vi serve un aiuto, ci sono. Grazie dell'ospitalità!
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