5 maggio 2014

Don Giovanni (40) - "Don Giovanni, a cenar teco"

Scritto da Christian

La statua funebre del Commendatore si è presentata a casa di Don Giovanni, lasciandolo finalmente stupito ("Non l'avrei giammai creduto") ma comunque deciso a onorare il proprio invito, tanto che il libertino ordina al tremante Leporello (rifugiatosi sotto il tavolo) di portare subito "un'altra cena". Il convitato di pietra, però, spiega che "non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste", e che ora è il proprio turno di ricambiare l'invito, offrendo a Don Giovanni di cenare da lui, ossia all'inferno. Siamo al momento del giudizio finale, anche se il protagonista tarda a prenderne consapevolezza. Se Leporello tenta – goffamente e comicamente, come suo solito – di salvare il padrone ("Oibò, tempo non ha, scusate"), quello stesso padrone di cui ha sempre detto peste e corna, Don Giovanni invece non si tira indietro: "Ho fermo il core il petto / Non ho timor, verrò". Una stretta di mano suggella l'impegno: ma prima di trascinarlo all'altro mondo, il Commendatore lo invita a pentirsi di tutte le sue malefatte. E la ferrea risposta "No!" di Don Giovanni, persino di fronte alla morte, mentre un coro di demoni (coro "invisibile", recita il libretto, anche se ciò non toglie che diversi allestimenti lo mostrino invece sulla scena) lo fa sprofondare sottoterra fra fuoco e fiamme, rivela tutta la natura assoluta e immutabile del personaggio.

Questo rifiuto di pentirsi, la scelta di percorrere la propria strada fino in fondo, è il motivo che ha contribuito a trasformare Don Giovanni, nei secoli a venire, in un vero e proprio eroe dell'illuminismo e del libero pensiero, un alfiere della "libertà" che si batte contro la rigida morale e le convenzioni dell'epoca. Un fraintendimento, certo, come abbiamo visto nei post precedenti (e come ci dirà Marisa nel prossimo intervento): Don Giovanni è semmai un simbolo, un archetipo, e come tale è inimmaginabile (per non dire impossibile) che nel finale scegliesse di rinnegare la propria natura (ciò non toglie che siano state realizzate versioni della storia in cui, invece, il personaggio si redime e viene addirittura perdonato: una su tutte, la commedia "Don Juan Tenorio" di José Zorrilla, del 1844). Con l'espressione "No, vecchio infatuato!", in particolare, sembra quasi farsi beffe del Commendatore, come a rifiutarne l'autorità di messaggero dall'aldilà e ad abbassarlo al livello di un vecchio bigotto, un semplice rappresentante di quella società i cui valori morali sono visti e percepiti come inaccettabili restrizioni.

Come nella precedente scena del cimitero, la voce profonda e solenne del Commendatore è accompagnata da tromboni che le donano una coloratura soprannaturale, una sorta di "sigillo sonoro dell'aldilà". La musica invece è quella già udita nell'ouverture, con i suoi accordi, le sue scale e il suo ritmo che evoca un mondo metafisico, e un'orchestrazione colma di accenti inquietanti (cui non sono estranee dissonanze quasi dodecafoniche) che si ripresenta qui come a chiudere un cerchio. Dalla fine si torna all'inizio, il tempo si è fermato o ha perso il suo significato, e il commento che segue lo sottolinea bene:

Testo e musica sono eloquenti su questo punto. La parola chiave è scandita come in una liturgia: "Parlo, ascolta, più tempo non ho" (il Commendatore); "Tempo non ha, scusate" (Leporello); "Ah tempo più non v'è" (il Commendatore). L'arresto del tempo equivale alla condanna di Don Giovanni. Non solo. L'arrivo della statua del Commendatore [...] blocca definitivamente il tempo ("Ferma un po"') e segna, musicalmente, la disgregazione del linguaggio tonale, ossia del linguaggio del presente di Don Giovanni, in una ruvida catena di accordi dissonanti sorretta da un ritmo inesorabile, martellante di marcia: la celebre sequenza di scrittura espressionista sulle parole "Non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste", nella quale si è soliti ravvisare il primo esempio di serie dodecafonica della storia, sottrae a Don Giovanni ogni possibilità sia di opposizione sia di fuga e lo inchioda alle sue colpe. Egli tuttavia in un moto d'orgoglio risponde ("A torto di viltate / tacciato mai sarò") e risolve: "Ho fermo il core in petto: / non ho timor, verrò!". Sembra quasi che Don Giovanni, in quel turbinio di pensieri e di sentimenti che lo assalgono in quel momento, vacilli e se ne vergogni, ma non sia disposto ad ammettere neppure in punto di morte la propria scelleratezza. Scellerato, vile con le donne? A Leporello, che una volta gli aveva fatto notare i suoi presunti inganni (atto II, scena I), egli aveva replicato, senza ironia: "È tutto amore. Chi a una sola è fedele, verso l'altre è crudele; e io che in me sento sì esteso sentimento vo' bene a tutte quante". Ma quelli in fondo erano affari suoi, se non della sua coscienza. Vile per imposizione o per paura, però, giammai, men che mai nella decisione suprema.
(Sergio Sablich)
Nella riedizione viennese del 1788, pare che l'opera terminasse proprio con questa scena, con il protagonista che sprofonda all'inferno, e che Mozart avesse provato ad eliminare (salvo reintrodurlo in seguito) il sestetto finale con i restanti personaggi che recitano la "morale" della storia. Lo illustra, in un eccesso di verosimiglianza storica, persino il bel film "Amadeus" di Miloš Forman (nel quale, fra l'altro, Salieri vede nel personaggio del Commendatore l'ingombrante figura del padre dello stesso Mozart). Si tratta dunque di un finale tragico per quella che, in fondo, era una "opera buffa". Certo, è il finale dell'antica leggenda popolare di Don Juan; ma quella che in origine era solo una parabola educativa viene trasformata da Mozart e Da Ponte in un "grande scontro fra la dimensione morale ("Pèntiti, cangia vita") e quella del rifiuto, della ribellione pervicace" (Franco Bergamasco). Da notare che, nelle prime rappresentazioni, i ruoli di Masetto e il Commendatore erano intepretati dallo stesso cantante, e dunque il coro finale dei demoni (dopo l'uscita del Commendatore) dava tempo al basso di cambiarsi di costume per rientrare come Masetto giusto in tempo per il sestetto finale (quando questo era eseguito).


scena dal film "Amadeus" (1984)

Solo nella scena finale Don Giovanni assurge potentemente, quasi suo malgrado, a un rango quasi eroico [...]. Pur irrigidendosi un poco all'evento imperscrutabile dell'arrivo della statua del Commendatore, si dispone immediatamente a far fronte all'inattesa situazione ("Leporello! Un'altra cena / fa' che subito si porti") ed è oltremodo sorpreso che non di questo si tratti. Ma anche qui: il suo diniego a pentirsi non è dettato dalla saldezza ideologica di un intellettuale libertino ma dall'ostinazione di colui che non vuol piegarsi e cedere, per orgoglio e superbia. La durezza dello scontro, con quei "No!", "Sì!" ossessivamente rimbalzati, è estrema, ma Don Giovanni non fa in tempo a rendersi conto che le fiamme dell'inferno lo stanno inghiottendo: semplicemente sprofonda con un "Ah!" che suona prima di tutto di meraviglia. Per questo Don Giovanni non è un eroe dell'ideale, né uno spirito libero, bensì un emblema. La frenesia che lo pervade – il demonismo dei sensi, o per citare Kierkegaard la "genialità erotico-sensuale" che è tutt'uno con la musica, e con la musica di Mozart in particolare – non gli consente di vedere le cose del mondo con altra ottica, né di interessarsi a misure spirituali.
(Sergio Sablich)

Clicca qui per il testo del brano.

COMMENDATORE
Don Giovanni! a cenar teco
m'invitasti, e son venuto.

DON GIOVANNI
Non l'avrei giammai creduto,
ma farò quel che potrò.
(a Leporello)
Leporello, un'altra cena
fa' che subito si porti!

LEPORELLO
(mezzo fuori col capo dalla mensa)
Ah, padron!... Siam tutti morti!

DON GIOVANNI
Vanne, dico...
(Leporello, con molti atti di paura, va per partire)

COMMENDATORE
Ferma un po'!
Non si pasce di cibo mortale
chi si pasce di cibo celeste.
Altre cure più gravi di queste,
altra brama quaggiù mi guidò!

LEPORELLO
La terzana d'avere mi sembra,
e le membra fermar più non so.

DON GIOVANNI
Parla, dunque: che chiedi? che vuoi?

COMMENDATORE
Parlo, ascolta: più tempo non ho.

DON GIOVANNI
Parla, parla: ascoltando ti sto.

COMMENDATORE
Tu m'invitasti a cena:
il tuo dover or sai.
Rispondimi: verrai
tu a cenar meco?

LEPORELLO
(al Commendatore)
Oibò!
Tempo non ha... scusate.

DON GIOVANNI
A torto di viltate
tacciato mai sarò!

COMMENDATORE
Risolvi!

DON GIOVANNI
Ho già risolto!

COMMENDATORE
Verrai?

LEPORELLO
(a Don Giovanni)
Dite di no!

DON GIOVANNI
Ho fermo il core in petto,
non ho timor: verrò!

COMMENDATORE
Dammi la mano in pegno.

DON GIOVANNI
Eccola.
Ohimè!

COMMENDATORE
Cos'hai?

DON GIOVANNI
Che gelo è questo mai?

COMMENDATORE
Pèntiti, cangia vita:
è l'ultimo momento.

DON GIOVANNI
No, no, ch'io non mi pento:
vanne lontan da me!

COMMENDATORE
Pèntiti scellerato!

DON GIOVANNI
No, vecchio infatuato!

COMMENDATORE
Pèntiti!

DON GIOVANNI
No!

COMMENDATORE
Sì!

DON GIOVANNI
No!

COMMENDATORE
Ah! tempo più non v'è!
(fuoco da diverse parti, tremuoto, etc. Il Commendatore sparisce)

DON GIOVANNI
Da qual tremore insolito...
sento assalir gli spiriti...
Donde escono quei vortici
di fuoco pien d'orror?...

CORO
Tutto a tue colpe è poco.
Vieni: c'è un mal peggior!

DON GIOVANNI
Chi l'anima mi lacera!...
Chi m'agita le viscere!...
Che strazio! ohimè! che smania!
Che inferno!... che terror!...

LEPORELLO
Che ceffo disperato!...
Che gesti da dannato!...
Che gridi! che lamenti!...
Come mi fa terror!...

(il fuoco cresce. Don Giovanni si sprofonda)

DON GIOVANNI E LEPORELLO
Ah!



Kurt Moll (Commendatore), Samuel Ramey (Don Giovanni), Ferruccio Furlanetto (Leporello),
dir: James Levine (1990)


Franz-Josef Selig (Commendatore), Carlos Álvarez (Don Giovanni), Ildebrando D'Arcangelo (Leporello),
dir: Riccardo Muti (1999)


Sergej Kopchak (Commendatore), Thomas Allen (Don Giovanni), Claudio Desderi (Leporello),
dir: Riccardo Muti (1987)


Dezsö Ernster (Commendatore), Cesare Siepi (Don Giovanni), Otto Edelmann (Leporello),
dir: Wilhelm Furtwängler (1954)


John Macurdy (Commendatore), Rodney Gilfry (Ruggero Raimondi), José van Dam (Leporello),
dir: Lorin Maazel (1979)


Una scena dal film "Il falò delle vanità” (1990)

2 commenti:

Erica ha detto...

Si che non si dovrebbe dirlo, ma io sto con i Romantici e per me Don Giovanni finisce qui!! Ciao, ho messo il tuo blog tra i blog che seguo sul mio blog😉


Christian ha detto...

Grazie del link! ^^
Del finale del "Don Giovanni" ne riparliamo nei prossimi post, in particolare in quello dedicato al sestetto conclusivo... A presto!