Dopo la cupezza del Preludio, l'opera vera e propria comincia con note rapide, sbarazzine, allegre, quasi come se ci trovassimo in un'opera buffa. Il contrasto non potrebbe essere più netto, ma naturalmente la leggerezza serve a "preparare il terreno alla semina della tragedia". Siamo nel pieno di una festa nelle sale del Palazzo Ducale di Mantova, con "cavalieri e dame in gran costume" impegnati in una danza. Verdi qui si appropria di una soluzione che già Mozart aveva utilizzato nel primo atto del "Don Giovanni", ovvero quella di mescolare più temi e melodie anche dal punto di vista diegetico. Al suono dell'orchestra in buca si aggiunge infatti la musica di una banda che proviene dall'interno e quella di un gruppo d'archi, ad accompagnare le danze, sul palcoscenico. I balli vorticosi e il continuo variare delle melodie accentuano il carattere libertino dei personaggi (il mondo del Duca non sta mai fermo), così come la velocità delle prime battute dell'opera ("Della mia bella incognita borghese...", cantate con ritmo rapidissimo). Ma naturalmente, ancora di più lo fanno le parole della prima aria che ascoltiamo, la celeberrima "Questa o quella per me pari sono" del Duca di Mantova, un vero e proprio manifesto programmatico della volubilità del personaggio.
Il Duca, dunque, ci è presentato subito come un seduttore seriale, e dunque un paragone proprio con Don Giovanni sorge spontaneo ("Non v’è amor se non v’è libertà" potrebbe essere uno dei suoi motti). A differenza del personaggio mozartiano, però, quello verdiano è assai più vacuo e leggero. Pur essendo un abile pianificatore delle proprie conquiste (nel primo scambio di battute con il cortigiano Matteo Borsa ci rivela, per esempio, la sua abitudine a far visita alle amanti in incognito: "E sa colei chi sia l’amante suo?" - "Lo ignora") e condividendo con Don Juan la noncuranza per le conseguenze delle sue azioni ("A me che importa?", dice ancora a Borsa), non è un manipolatore né un calcolatore: addirittura per quasi tutta l'opera lo vedremo restare completamente all'oscuro di quello che accade attorno a lui. Quasi tutti gli eventi si sviluppano alle sue spalle, senza che lui ne sia (almeno coscientemente) il motore: il Duca sarà inconsapevole del rapimento di Gilda da parte dei cortigiani e anche, fino alla caduta del sipario, dei complotti di Rigoletto con Sparafucile. Non saprà mai di essere scampato a un attentato alla propria vita. In un certo senso, non possiamo nemmeno dire che il Duca sia "cattivo" o "crudele", se non per il fatto che utilizza il potere che ha nelle mani per soddisfare i propri istinti. A sembrarci crudeli sono semmai i cortigiani, e certo anche Rigoletto, che già in questa prima scena si mostra spietato e irridente. Il Duca, invece, a parte pochi passaggi, rimane una figura leggera, da commedia del primo ottocento, quasi anacronistico rispetto agli altri personaggi dell'opera. E questo si rispecchia anche nelle sue arie, sicuramente bellissime e memorabili dal punto di vista melodico ma in fondo "semplici" ballate orecchiabili, in contrasto con le nuove, cupe e tragiche sonorità che Verdi saprà inventare quando è di scena Rigoletto, l'autentico protagonista dell'opera. Vedremo come anche Gilda, nel primo atto, apparirà come una figura ingenua e cui Verdi dedicherà melodie dallo stile volutamente datato ("Caro nome" su tutte), per poi farsi sempre più complessa, anche musicalmente, quando acquisirà consapevolezza delle ingiustizie del mondo.
In tono con la musica della festa, dunque, "Questa o quella per me pari sono" è una ballata cantabile (da intonare "con brio", come indica lo spartito), con cui spavaldamente il Duca dichiara a Borsa la propria indifferenza verso l'identità delle donne con cui si accompagna. Non è dunque mosso da amore, ma soltanto da un desiderio continuo e inestinguibile, impossibile da soddisfare appieno perché è abituato soltanto a relazioni "usa e getta". Quando nel terzo atto ribalterà apparentemente l'assunto, dicendo che è invece il genere femminile a essere volubile (con "La donna è mobile"), in realtà non fa altro che giustificarlo: per lui le donne sono tutte uguali proprio perché le ritiene a loro volta incapaci di amare veramente. La grande tragedia nasce anche da questo: il Duca non conoscerà mai la vastità dell'amore di Gilda, né sarà consapevole del sacrificio che questa è disposta a fare per lui.
Se il Duca, come abbiamo detto, è e resterà un personaggio leggero, ben diverso è il discorso su Rigoletto, nonostante il fatto che in questa prima scena i due si mostrino affini, quasi complici, nell'irridere e nello stuzzicare il Conte di Ceprano, sulla cui sposa il Duca ha messo gli occhi. Naturalmente la loro situazione è ben diversa: il Duca è un potente, e secondo le regole del tempo ha "diritto" di esercitare la propria volontà, anche perché ne trae un beneficio personale; il buffone di corte Rigoletto non è altro che un servitore, e la sua irrisione, che in realtà nasconde il suo profondo odio verso i nobili (compreso il Duca stesso) viene scambiata per servilismo e inutile compiacimento, il che lo macchia (agli occhi degli altri cortigiani) come inutilmente malvagio. In realtà si tratta di una figura complessa e sfaccettatissima, come riveleranno i suoi sensi di colpa, i suoi scrupoli, l'ossessione, l'amore paterno, la folle ricerca della vendetta. Ritratto spesso – seguendo l'iconografia cinque/seicentesca – con il classico berretto a sonagli (oltre che con la gobba, di cui riparleremo), Rigoletto è stato definito "una delle figure più tragiche della storia del melodramma": davvero ironico, dunque, il fatto che come mestiere avrebbe il compito di far ridere la gente. Di fatto, è un grande personaggio perché racchiude in sé sia il comico che il tragico, come è evidente già da questa prima scena.
L'irrisione di Rigoletto verso il Conte di Ceprano, che inizialmente rimane nei confini dello sbeffeggio ("Il Duca qui pur si diverte!", commentano i presenti, riecheggiando il titolo del dramma di Victor Hugo a cui il "Rigoletto" si ispira, "Le Roi s'amuse"), travalica ogni limite quando il buffone, nel voler compiacere il proprio signore, gli suggerisce – un po' scherzando, un po' parlando sul serio – ogni possibile metodo per sbarazzarsi dell'uomo e dunque per avere via libera con sua moglie (la prigione, l'esilio, la decapitazione!). Non potendosela prendere con il Duca, Ceprano manifesta tutta la sua rabbia verso il gobbo. Lo stesso Duca mette in guardia il buffone dall'ostilità dei cortigiani ("Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo"), ma questi si dichiara tranquillo ("Del Duca un protetto nessun toccherà"). Nel frattempo, fra una danza e l'altra, abbiamo visto uno dei cortigiani, Marullo, comunicare agli altri di aver scoperto che anche Rigoletto possiede un'amante (non è vero, naturalmente: la donna che vive in casa sua, come scopriremo più tardi, è sua figlia Gilda, di cui tutti ignorano l'esistenza. Ceprano, Marullo, Borsa e gli altri cortigiani meditano di sfruttare la cosa per vendicarsi del buffone di corte.
Alcune note sparse:
– Matteo Borsa è l'unico dei cortigiani identificato sia con il nome che con il cognome: forse perché è quello con cui il Duca è maggiormente in confidenza, tanto da parlare apertamente con lui dei propri piani amorosi (con Ceprano, per ovvi motivi, c'è invece una certa tensione, mentre Marullo interagisce quasi più con Rigoletto che col suo signore).
– "Da tre mesi ogni festa": bisogna dare atto al Duca di avere pazienza: sta adocchiando Gilda da ben tre mesi (praticamente da quando lei è arrivata in città) e non ha ancora fatto la mossa finale! Certo, magari porta avanti tante avventure amorose contemporaneamente, e ora ha deciso di "toccare il fine" di questa.
– "In testa che avete, / Signor di Ceprano?": ovvio il riferimento di Rigoletto alle corna. Questa frase sbeffeggiante segna di fatto l'inizio della tragedia, e dunque Verdi ne approfitta per riproporre la nota (il do) che aveva caratterizzato il preludio.
– "Il giuoco ed il vino, le feste, la danza, / battaglie, conviti, ben tutto gli sta": così dice Rigoletto, riferendosi al Duca. Pare accertato un intervento della censura, che modificò il testo originale di Piave. Inizialmente Rigoletto avrebbe dovuto dire "Baldracche, conviti, ben tutto gli sta". Altri cambiamenti simili ci saranno in seguito (il più famoso nel terzo atto, all'ingresso del Duca nella taverna sul Mincio).
– Un'ultima nota su "Questa o quella": la cadenza finale, frequentemente eseguita dagli interpreti, non compare nella pagina scritta da Verdi ma è il risultato delle abitudini interpretative che si sono formate e succedute nel corso degli anni. Un esempio della versione originale è qui sotto, nella versione cantata da Roberto Alagna e diretta (con particolare cura filologica) da Riccardo Muti nel 1994 alla Scala.
Clicca qui per il testo di "Della mia bella incognita borghese".
Mantova. Sala magnifica nel palazzo ducale. (Porte nel fondo mettono ad altre sale, pure splendidamente illuminate; folla di cavalieri e dame in gran costume nel fondo delle sale; paggi che vanno e vengono. La festa è nel suo pieno. Musica interna da lontano. Il Duca e Borsa vengono da una porta del fondo.)
DUCA
Della mia bella incognita borghese
toccare il fin dell’avventura voglio.
BORSA
Di quella giovin che vedete al tempio?
DUCA
Da tre mesi ogni festa.
BORSA
La sua dimora?
DUCA
In un remoto calle;
misterioso un uom v’entra ogni notte.
BORSA
E sa colei chi sia l’amante suo?
DUCA
Lo ignora.
(Un gruppo di dame e cavalieri attraversano la sala.)
BORSA
Quante beltà! Mirate.
DUCA
Le vince tutte di Cepran la sposa.
BORSA
Non v’oda il Conte, o Duca!
DUCA
A me che importa?
BORSA
Dirlo ad altra ei potria.
DUCA
Né sventura per me certo saria.
Clicca qui per il testo di "Questa o quella per me pari sono".
DUCA
Questa o quella per me pari sono
a quant’altre d’intorno mi vedo;
del mio core l’impero non cedo
meglio ad una che ad altra beltà.
La costoro avvenenza è qual dono
di che il fato ne infiora la vita;
s’oggi questa mi torna gradita
forse un’altra doman lo sarà.
La costanza, tiranna del core,
detestiamo qual morbo crudele.
Sol chi vuole si serbi fedele;
non v’è amor se non v’è libertà.
De’ mariti il geloso furore,
degli amanti le smanie derido;
anco d’Argo i cent’occhi disfido
se mi punge una qualche beltà.
Clicca qui per il testo di "Partite? Crudele!".
(Entra il Conte di Ceprano che segue da lungi la sua sposa servita da altro cavaliere; dame e signori che entrano da varie parti.)
DUCA
(alla signora di Ceprano movendo ad incontrarla con molta galanteria)
Partite? Crudele!
CONTESSA DI CEPRANO
Seguire lo sposo m’è forza a Ceprano.
DUCA
Ma dee luminoso
in corte tal astro qual sole brillare.
Per voi qui ciascuno dovrà palpitare.
Per voi già possente la fiamma d’amore
inebria, conquide, distrugge il mio core.
CONTESSA
Calmatevi!
DUCA
La fiamma d’amore inebria, ecc.
CONTESSA
Calmatevi!
(Il Duca le dà il braccio ed esce con lei. Entra Rigoletto che s’incontra nel signor di Ceprano, poi cortigiani.)
RIGOLETTO
In testa che avete,
Signor di Ceprano?
(Ceprano fa un gesto d’impazienza e segue il Duca. Rigoletto dice ai cortigiani:)
Ei sbuffa, vedete?
BORSA, CORO
Che festa!
RIGOLETTO
Oh sì...
BORSA, CORO
Il Duca qui pur si diverte!
RIGOLETTO
Così non è sempre? che nuove scoperte!
Il giuoco ed il vino, le feste, la danza,
battaglie, conviti, ben tutto gli sta.
Or della Contessa l’assedio egli avanza,
e intanto il marito fremendo ne va.
(Esce. Entra Marullo premuroso.)
MARULLO
Gran nuova! Gran nuova!
CORO
Che avvenne? parlate!
MARULLO
Stupir ne dovrete!
CORO, BORSA
Narrate, narrate.
MARULLO
Ah! ah! Rigoletto...
CORO, BORSA
Ebben?
MARULLO
Caso enorme!
CORO, BORSA
Perduto ha la gobba? non è più difforme?
MARULLO
Più strana è la cosa! Il pazzo possiede...
CORO, BORSA
Infine?
MARULLO
Un’amante.
CORO, BORSA
Un’amante! Chi il crede?
MARULLO
Il gobbo in Cupido or s’è trasformato.
CORO, BORSA
Quel mostro? Cupido!... Cupido beato!
(Ritorna il Duca seguito da Rigoletto, poi da Ceprano.)
DUCA (a Rigoletto)
Ah, più di Ceprano importuno non v’è!
La cara sua sposa è un angiol per me!
RIGOLETTO
Rapitela.
DUCA
È detto; ma il farlo?
RIGOLETTO
Stasera.
DUCA
Non pensi tu al Conte?
RIGOLETTO
Non c’è la prigione?
DUCA
Ah, no.
RIGOLETTO
Ebben, s’esilia.
DUCA
Nemmeno, buffone.
RIGOLETTO (indicando di farla tagliare)
Allora la testa...
CEPRANO (fra sé)
Quell’anima nera!
DUCA (battendo colla mano una spalla al Conte)
Che di’, questa testa?
RIGOLETTO
È ben naturale.
Che fare di tal testa?... A cosa ella vale?
CEPRANO (infuriato, brandendo la spada)
Marrano!
DUCA (a Ceprano)
Fermate!
RIGOLETTO
Da rider mi fa.
MARULLO, CORO (tra loro)
In furia è montato!
DUCA (a Rigoletto)
Buffone, vien qua.
BORSA, MARULLO, CORO
In furia è montato!
DUCA
Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo.
Quell’ira che sfidi colpirti potrà.
CEPRANO (ai cortigiani a parte)
Vendetta del pazzo!
RIGOLETTO
Che coglier mi puote? Di loro non temo;
del Duca un protetto nessun toccherà.
CEPRANO
Contr’esso un rancore
di noi chi non ha?
Vendetta!
BORSA, MARULLO, CORO (a Ceprano)
Ma come?
CEPRANO
In armi chi ha core
doman sia da me.
BORSA, MARULLO, CORO
Sì.
CEPRANO
A notte.
BORSA, MARULLO, CORO
Sarà.
RIGOLETTO
Che coglier mi puote? ecc.
DUCA
Ah, sempre tu spingi lo scherzo, ecc.
BORSA, CEPRANO, MARULLO, CORO
Vendetta del pazzo!
Contr’esso un rancore
pei tristi suoi modi
di noi chi non ha?
Sì, vendetta! ecc.
Sì, vendetta!
DUCA, RIGOLETTO
Tutto è gioia, tutto è festa!
(La folla de’ danzatori invade la scena.)
TUTTI
Tutto è gioia, tutto è festa!
Tutto invitaci a goder!
Oh, guardate, non par questa
or la reggia del piacer?
Luciano Pavarotti (Duca di Mantova), Ingvar Wixell (Rigoletto), Rémy Corazza (Borsa),
Bernd Weikl (Marullo), Roland Bracht (Ceprano), Kathleen Kuhlmann (Contessa di Ceprano)
dir: Riccardo Chailly (1983)
Roberto Alagna (Duca di Mantova), Renato Bruson (Rigoletto), Ernesto Gavazzi (Borsa),
Silvestro Sammaritano (Marullo), Antonio de Gobbi (Ceprano), Nicoletta Zanini (Contessa di Ceprano)
dir: Riccardo Muti (1994)
"Questa o quella" Rolando Villazón (2012) | "Questa o quella" Luciano Pavarotti (1964) |
"Questa o quella" Enrico Caruso (1908) | "Questa o quella" Franco Corelli (1958) |
"Questa o quella per me pari sono" ha anche fatto capolino in alcune pellicole cinematografiche:
"da "Arrivederci Roma" (1957) di Roy Rowland (cantata da Mario Lanza) | "da "Wall Street" (1987) di Oliver Stone |
3 commenti:
Che meraviglia, davvero già nel preludio e in questo primo atto c'è già in nuce tutto quello che si svolgerà in seguito e sono persino delineate le principali caratteristiche dei personaggi: la spensierata e fondamentale irresposabilità del Duca, la subdola aggressività e tragica sofferenza di Rigoletto e persino fa capolino, nelle prime battute del Duca, l'ingenuità di Gilda, che ignora l'identità dell'amato!
Più la si ascolta, più quest'opera mostra la sua grandezza, soprattutto per come la musica sia perfettamente adeguata alle sfumature psicologiche di tutti, sottolineandole alla perfezione!
Ciò che mi ha sempre stupito è come in questa scena almeno il Duca si mostri più o meno responsabile, incitando sia Rigoletto sia i cortigiani alla calma. Singolare contraltare al resto dell'opera.
= Aristarco Scannabue
Sì, nel rifiutare le "proposte" di Rigoletto sul Conte di Ceprano e nell'ammonirlo "Ah, sempre tu spingi lo scherzo all’estremo", come personaggio il Duca si dimostra (almeno in parte) meno "cattivo" dei Cortigiani e di Rigoletto stesso. Anche all'inizio del secondo atto, quando dice che per l'amore di Gilda "quasi spinto a virtù talor mi credo", dimostra di non essere del tutto irrecuperabile. E infatti giungerà alla fine dell'opera senza una scalfittura, "salvato" (anche se inconsapevolmente) dall'amore di due donne (Gilda e Maddalena) che evidentemente qualcosa di buono in lui devono avercelo pur visto per essersene così innamorate...
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