I paralleli con il "Don Giovanni" proseguono con l'improvvisa irruzione alla festa di Monterone, quasi un alter ego (anche vocalmente, con il registro di basso profondo: "La voce mia qual tuono vi scuoterà dovunque") del "convitato di pietra". L'atmosfera musicale si muta improvvisamente. L'allegria dei canti e delle danze (pur solo apparente, visto che dietro la letizia delle melodie si nascondevano propositi di inganno, odio e tradimento che soltanto ora cominciano a essere espliciti anche sul piano musicale) si arresta, per lasciar spazio a un momento di silenzio e poi a un accompagnamento cupo e solenne da parte dell'orchestra (che recupera gli accordi del preludio). L'anziano Monterone è giunto a lamentarsi per l'offesa che il Duca gli ha impartito, avendone sedotto la figlia. Prima che il suo padrone possa anche solo interventire, è Rigoletto a rispondere per lui, dapprima facendo il verso alle parole stesse di Monterone ("Ch’io gli parli") e poi parlando in seconda persona ("Voi congiuraste contro noi, signore, / e noi, clementi invero, perdonammo..."), in un certo senso ridicolizzando al tempo stesso anche il Duca e rivelandoci che odia anche lui. In ogni caso, le sue parole ("Qual vi piglia or delirio... a tutte l'ore / di vostra figlia a reclamar l'onore?") provocano il vecchio e irridono i suoi sentimenti: la cosa ci apparirà ancora più grave quando scopriremo, più avanti, che lo stesso Rigoletto ha una figlia al cui onore e alla cui purezza tiene più di ogni altra cosa al mondo.
Monterone non sopporta la derisione di Rigoletto, l'ultima goccia che fa traboccare il vaso, e sfida orgogliosamente e apertamente il Duca, che lo fa arrestare. Ma prima che venga portato via dalle guardie, il vecchio lancia la sua maledizione al Duca ("Se al carnefice pur mi darete, spettro terribile mi rivedrete": ancora un parallelo con il Commendatore mozartiano?) e soprattutto allo stesso Rigoletto ("E tu, serpente, tu che d’un padre ridi al dolore, sii maledetto!").
Da questo momento in poi, in effetti, la maledizione diventerà per Rigoletto un'ossessione che non lo abbandonerà più per il resto dell’opera. Il gobbo, evidentemente, è assai più superstizioso del suo padrone: se questi ignora bellamente le parole di Monterone (anche perché, come come abbiamo già visto, egli è incurante delle conseguenze delle proprie azioni), il buffone ne resta invece profondamente colpito ("Orrore!", grida sul finire della scena). Il Duca non manifesterà quasi mai consapevolezza della tragedia di cui recita una parte, mentre il gobbo comincia già qui a mostrare nuove aspetti e nuove sfaccettature del proprio personaggio. La miscela di qualità negative (l'odio, la cattiveria) e positive (la tenerezza paterna) ne fa una figura così complessa che diversi interpreti, nel corso degli anni, sceglieranno di evidenziarne maggiormente l'uno o l'altro aspetto. Anche la deformità fisica concorre al quadro complessivo: Verdi e Piave lottarono parecchio contro la censura dell'epoca, che avrebbe voluto eliminare la gobba del personaggio, ritenuta di cattivo gusto oltre che inutile ai fini della vicenda. Naturalmente, invece, la gobba (già presente nel personaggio di Victor Hugo) rappresenta anche visivamente e scenicamente la deformità morale del personaggio, chiarendo subito allo spettatore che aveva a che fare con una figura quanto meno piena di contraddizioni (come può un gobbo malvagio far ridere o addirittura amare?).
Rigoletto sin dall’inizio fa il possibile per guadagnarsi l’odio di chi lo circonda in palcoscenico e l’antipatia di chi lo guarda dalla sala ma, a differenza dei suoi superficiali nemici, egli ci spalanca l’abisso della propria anima, e le sue confessioni esprimono un infinito tormento interiore.(Michele Girardi)
Sono i baritoni comici che hanno sottolineato meglio di altri il lato malvagio di Rigoletto. Estrapolata dal suo contesto, che era un tentativo di salvare le caratteristiche del dramma di fronte alle modifiche richieste dalla censura, la celebre frase di Verdi («Un gobbo che canta… esternamente difforme e ridicolo, ed internamente appassionato e pieno d’amore») ha finito per offrire il destro a una serie di raffigurazioni smussate, che glissano sull’aspetto diabolico e le tare psichiche di Rigoletto per concentrarsi sull’afflato patetico e la dolcezza paterna. È una forma d’idealizzazione (e in fondo anch’essa di censura), (...) [ma] sarebbe azzardato pensare che la crudeltà sia solo la maschera del personaggio, e la dolcezza il suo vero volto.Una curiosità: dopo questa scena, il Duca e Rigoletto cessano di interagire direttamente l'uno con l'altro: per tutto il resto dell'opera non li ritroveremo più contemporaneamente sul palco, se non nel terzo atto quando però il Duca è ignaro della presenza del buffone all'esterno della taverna.
Il Triboulet di Hugo è ancora peggiore di Rigoletto, è lui che istiga al vizio il suo signore e fa circolare nella corte il contagio della depravazione. Pretendere che, nell’opera di Verdi, la corruzione del Duca e dei cortigiani sia un prodotto dell’arte manipolatrice del loro buffone non avrebbe fondamento, ma la questione resta aperta: Rigoletto si trasforma in mostro davanti al precipitare degli eventi o è già un mostro di per sé?(Paolo Patrizi)
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(Entra il Conte di Monterone.)MONTERONE
Ch’io gli parli.
DUCA
No.
MONTERONE (avanzando)
Il voglio.
BORSA, RIGOLETTO, MARULLO, CEPRANO, CORO
Monterone!
MONTERONE
(fissando il Duca, con nobile orgoglio)
Sì, Monteron. La voce mia qual tuono
vi scuoterà dovunque...
RIGOLETTO
(al Duca, contraffacendo la voce di Monterone)
Ch’io gli parli.
(Si avanza con ridicola gravità.)
Voi congiuraste contro noi, signore,
e noi, clementi invero, perdonammo.
Qual vi piglia or delirio a tutte l’ore
di vostra figlia a reclamar l’onore?
MONTERONE
(guardando Rigoletto con ira sprezzante)
Novello insulto!
(al Duca)
Ah sì, a turbare
sarò vostr’orgie; verrò a gridare
fino a che vegga restarsi inulto
di mia famiglia l’atroce insulto;
e se al carnefice pur mi darete,
spettro terribile mi rivedrete,
portante in mano il teschio mio,
vendetta chiedere al mondo e a Dio.
DUCA
Non più, arrestatelo.
RIGOLETTO
È matto.
CORO
Quai detti!
MONTERONE (al Duca e Rigoletto)
Oh, siate entrambi voi maledetti!
BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO
Ah!
MONTERONE
Slanciare il cane a leon morente
è vile, o Duca.
(a Rigoletto)
E tu, serpente,
tu che d’un padre ridi al dolore,
sii maledetto!
RIGOLETTO (da sé, colpito)
Che sento! Orrore!
TUTTI (meno Rigoletto, a Monterone)
O tu che la festa audace hai turbato
da un genio d’inferno qui fosti guidato;
è vano ogni detto, di qua t’allontana,
va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana, ecc.
RIGOLETTO
Orrore!
Che orrore! ecc.
MONTERONE
Sii maledetto! E tu serpente! ecc.
TUTTI (meno Rigoletto)
Tu l’hai provocata, più speme von v’è,
un’ora fatale fu questa per te.
(Monterone parte fra due alabardieri; tutti gli altri seguono il Duca in altra stanza.)
Ingvar Wixell (Monterone, Rigoletto), Luciano Pavarotti (Duca di Mantova)
dir: Riccardo Chailly (1983)
Da notare come, nella versione qui sopra riportata (tratta dal film di Jean-Pierre Ponnelle, diretto da Chailly), Monterone e Rigoletto abbiano lo stesso interprete. Scrive ancora Patrizi: "Marcello Conati, nel suo "Rigoletto. Un’analisi drammatico-musicale" (Marsilio 1992), sottolinea il transfert vocale tra Monterone e il protagonista, entrambi padri offesi nell’onore della figlia ed entrambi chiamati a gravitare, nella gran scena dove si fronteggiano, sulla nota di Do."
Giorgio Giuseppini (Monterone), Renato Bruson (Rigoletto), Roberto Alagna (Duca di Mantova)
dir: Riccardo Muti (1994)
Ildebrando D'Arcangelo (Monterone), Vladimir Chernov (Rigoletto) dir: James Levine (1998) | Stanislav Shvets (Monterone), Carlos Álvarez (Rigoletto) dir: Jesus-Lopez Cobos (2004) |
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