13 febbraio 2018

Rigoletto (7) - "È il sol dell'anima, la vita è amore"

Scritto da Christian

Partito Rigoletto, Gilda confessa a Giovanna di sentirsi in colpa per aver taciuto al padre di essere stata seguita da un "giovane" in chiesa. Un giovane "che troppo è bello / e spira amore" (e su queste parole, la partitura verdiana pare anticipare già l'"Amami Alfredo" della Traviata). Ignorando che la domestica, dietro compenso, ha già fatto in modo di farlo entrare in cortile, la ragazza spiega che non gli interessa se il suo spasimante sia ricco o meno. Anzi, "Signor né principe io lo vorrei; / sento che povero più l’amerei", spiega con aria sognante e intonando quelli che sembrano i primi versi di un'aria che viene però interrotta dall'intervento del Duca stesso, che completa le sue parole: "T'amo!" (in maniera non dissimile da quanto Mozart aveva fatto nel "Così fan tutte", quando Ferrando giungeva alle spalle di Fiordiligi nel duetto del secondo atto).
Il Duca si palesa, dunque, e Giovanna lo lascia da solo con Gilda (che ovviamente ignora la sua vera identità). Dopo un primo attimo di sorpresa e di timore da parte della ragazza, ne segue l'ennesimo duetto dell'opera ("È il sol dell’anima, la vita è amore"), dopo il quale i due si dichiarano amore a vicenda.

Qui il Duca parla di "amore vero" ("il sole dell'anima": e cosa c'è di più sincero ed autentico dell'anima di una persona?), diverso da quello con cui aveva parlato alla Contessa di Ceprano (l'amor cortese, elegante e formale) e di quello con cui parlerà con Maddalena (l'amore più volgare, slegato dai sentimenti e associato alla sola passione). Il personaggio è infatti multiforme, insegue e abbraccia tutti i diversi tipi di relazione a seconda delle circostanze o delle donne con cui si ritrova. D'altro canto, "questa o quella" saranno pari per lui, ma per conquistarle – proprio come fa Don Giovanni! – è necessario presentarsi o comportarsi in maniera diversa, con un linguaggio su misura per ciascuna di loro (nel caso di Gilda, anche celando il proprio ceto e fingendosi un povero studente, avendo compreso che a lei non interessa lo stato sociale). La grandezza del "Rigoletto" sta anche nella sua capacità di mettere in scena così tante facce dell'amore (ci sono anche quello paterno del gobbo nei confronti della figlia, oppure quello assoluto e disinteressato che Gilda continuerà a provare per il Duca anche quando saprà di essere stata tradita).

Anche nel duetto con Gilda i versi minano l’immagine del giovane povero e innamorato, in una sorta di esaltazione dell’amore fine a se stessa: "Adunque amiamoci, – donna celeste. D’invidia agli uomini – sarò per te".
(Michele Girardi)
Nelle sue parole il Duca eleva l'amore a cosa "divina". E in fondo è anche sincero, quando afferma che l'intera sua vita ruota attorno all'amore, l'unica cosa che gli dà un senso. Certo, in lui non c'è posto per la fedeltà, e dunque la sua concezione di amore non è e non può essere la stessa di Gilda. Ma non c'è dubbio che le sue parole, qui, siano ispirate, e che quando afferma "E fama e gloria, potenza e trono / umane, fragili qui cose sono", egli stia dicendo la verità. Per lui l'amore ha il sopravvento sul potere, tanto che non esita (in questa occasione, ma anche nel terzo atto con Maddalena) a spogliarsi degli abiti e dei segni di riconoscimento del proprio rango e del proprio ruolo, se questo può aiutarlo a raggiungere più facilmente il cuore (o il corpo) della donna che in quel momento "ama". Un amore fugace, fuggevole, temporaneo, certo: ma anche il potere lo è. Notiamo infine come il Duca inciti Gilda ad abbracciarlo escludendo tutto il resto, tutto ciò che finora ha costituito l'universo della ragazza: Rigoletto e la famiglia ("Ah, due che s’amano son tutto un mondo") e la religione ("Se angelo o demone, che importa a te?").

Il rumore dei passi dei cortigiani sulla strada (che intendono rapire quella la presunta amante di Rigoletto) mette in allarme Gilda, che pensa possa trattarsi del padre che ritorna. Il Duca e la ragazza dunque si salutano ("Addio! speranza ed anima / sol tu sarai per me"): alla richiesta di lei di conoscere la sua identità, lui risponde di essere un povero studente (evidentemente aveva udito le parole di Gilda a Giovanna poco prima, "Sento che povero più l’amerei", e detto fatto!) e di chiamarsi Gualtier Maldè, un nome inventato sul momento e senza significato, che però rimane nel cuore di Gilda (proprio come Lindoro, pseudonimo del Conte d'Almaviva, rimaneva nel cuore di Rosina nel "Barbiere di Siviglia": ancora una volta il Duca sembra un personaggio da commedia all'interno di un'opera che ha ben altri colori).


A proposito degli allestimenti, non abbiamo sottolineato finora come tutte queste scene ambientate nella casa di Rigoletto richiedano una scenografia che mostri contemporaneamente l'interno della dimora e la strada all'esterno:
Il proposito di far interagire esplicito e implicito portò il compositore con coerenza anche a realizzare un progetto scenico in cui fossero riuniti anche visivamente interno ed esterno in ben due quadri: la casa di Rigoletto sulla via cieca di Mantova nel primo atto e l’osteria sul Mincio di Sparafucile nel terzo. Fu ostico, in queste due circostanze, il compito dello scenografo Giuseppe Bertoja, che se la cavò, a quanto risulta dai bozzetti e dalle cronache del tempo, piuttosto brillantemente. Il visto che Verdi appose sui bozzetti è un’ulteriore testimonianza della sua volontà di controllare ogni dettaglio, così come le informazioni che otteneva da Piave su come procedevano i lavori (il 21 gennaio 1851: «il giovinetto Caprara [allora macchinista della Fenice, ndr] vuol provarti la sua abilità nei praticabili»). Di particolare importanza è la simmetria con cui in ambo i quadri l’interno fu posto alla sinistra di chi guarda, e l’introduzione del praticabile per rappresentare il terrazzo in cui Gilda canta "Caro nome". La scena divisa in due parti rifletteva l’idea drammatica dell’opera in cui le due zone si scambieranno i ruoli, da positivo a negativo, nella prospettiva di Rigoletto: l’interno della casa s’identifica col mondo intimo dell’affetto paterno del protagonista, ma il rapimento dei cortigiani, che lo viola, innesta un processo irreversibile che porta all’interno della taverna, dove si compirà la tragedia.
(Michele Girardi)

Clicca qui per il testo.

GILDA
Giovanna, ho dei rimorsi...

GIOVANNA
E perché mai?

GILDA
Tacqui che un giovin
ne seguiva al tempio.

GIOVANNA
Perché ciò dirgli? L’odiate dunque
cotesto giovin, voi?

GILDA
No, no, ché troppo è bello
e spira amore.

GIOVANNA
E magnanimo sembra e gran signore.

GILDA
Signor né principe io lo vorrei;
sento che povero più l’amerei.
Sognando o vigile sempre lo chiamo,
e l’alma in estasi gli dice: t’a...

DUCA
(esce improvviso, fa cenno a Giovanna d’andarsene, e inginocchiandosi ai piedi di Gilda termina la frase)
T’amo!
T’amo; ripetilo sì caro accento:
un puro schiudimi ciel di contento!

GILDA
Giovanna? Ahi, misera! Non v’è più alcuno
che qui rispondami! Oh Dio! nessuno?

DUCA
Son io coll’anima che ti rispondo.
Ah, due che s’amano son tutto un mondo!

GILDA
Chi mai, chi giungere vi fece a me?

DUCA
Se angelo o demone, che importa a te?
Io t’amo.

GILDA
Uscitene.

DUCA
Uscire!... Adesso!...
Ora che accendene un fuoco istesso!
Ah, inseparabile d’amore il dio
stringeva, o vergine, tuo fato al mio!

È il sol dell’anima, la vita è amore,
sua voce è il palpito del nostro core.
E fama e gloria, potenza e trono,
umane, fragili qui cose sono,
una pur avvene sola, divina:
è amor che agl’angeli più ne avvicina!
Adunque amiamoci, donna celeste;
d’invidia agli uomini sarò per te.

GILDA (da sé)
Ah, de’ miei vergini sogni son queste
le voci tenere sì care a me! ecc.

DUCA
Adunque amiamoci, donna celeste;
d’invidia agl’uomini sarò per te, ecc.

Che m’ami, deh, ripetimi.

GILDA
L’udiste.

DUCA
Oh, me felice!

GILDA
Il nome vostro ditemi...
Saperlo a me non lice?

(Ceprano e Borsa compariscono sulla strada.)

CEPRANO (a Borsa)
Il loco è qui.

DUCA (pensando)
Mi nomino...

BORSA (a Ceprano)
Sta ben.

(Ceprano e Borsa partono.)

DUCA
...Gualtier Maldè.
Studente sono, e povero.

GIOVANNA (tornando spaventata)
Rumor di passi è fuori!

GILDA
Forse mio padre...

DUCA (da sé)
Ah, cogliere potessi il traditore
che sì mi sturba!

GILDA
Adducilo
di qua al bastione... Or ite...

DUCA
Di’, m’amerai tu?

GILDA
E voi?

DUCA
L’intera vita... Poi...

GILDA
Non più, non più... Partite.

TUTT’E DUE
Addio! Speranza ed anima
sol tu sarai per me.
Addio! Vivrà immutabile
l’affetto mio per te.
Addio, ecc.
(Il Duca esce scortato da Giovanna. Gilda resta fissando la porta ond’è partito.)




Luciano Pavarotti (Duca di Mantova), Edita Gruberova (Gilda), Fedora Barbieri (Giovanna)
dir: Riccardo Chailly (1983)


Roberto Alagna (Duca di Mantova), Andrea Rost (Gilda), Antonella Trevisan (Giovanna)
dir: Riccardo Muti (1994)


Giuseppe di Stefano, Maria Callas (1955)


Ferruccio Tagliavini, Lina Pagliughi (1954)


Alfredo Kraus, Anna Moffo (1963)

Rolando Villazón, Anna Netrebko (2007)

2 commenti:

Alio ha detto...

Dopo aver pagato un servo, un aristocratico riesce a entrare nella casa di una ragazza tenuta reclusa e sotto sorveglianza, corteggiandola sotto falso nome e fingendosi povero: è praticamente "Il barbiere di Siviglia"!


Christian ha detto...

Infatti, non a caso ho citato il parallelo fra Lindoro e Gualtier Maldè. È incredibile come uno spunto simile, virato in chiave di commedia o di tragedia, possa dare origine a opere così diverse! :)