Rigoletto si presenta a Palazzo Ducale in cerca della figlia, rapita la notte prima dai cortigiani. Inizialmente finge indifferenza, mascherandosi dietro un canticchiare beffardo e svagato ("La rà, la rà, la rà...") e mostrandosi sprezzante, come sempre, nei confronti dei suoi nemici (che ricambiano con acida ironia: "Povero Rigoletto!"). E nel frattempo osserva inquieto, con sospetto e attenzione, ogni dettaglio della stanza e delle loro facce, in cerca di un qualsiasi indizio. Quando un paggio della Duchessa giunge a chiedere informazioni sul Duca, e i cortigiani gli rispondono in maniera evasiva ("Dorme", "È a caccia", "E non capisci che per ora vedere non può alcuno?"), Rigoletto comprende infine che in quel momento il nobile si trova proprio in compagnia di Gilda. Non riuscendo più a trattenersi, rivela finalmente che la ragazza è sua figlia, e non una generica amante come avevano creduto tutti fino ad allora.
Per un momento Rigoletto abbandona il ruolo del buffone irridente, mette da parte le frecciatine e le cose dette fra le righe, e prorompe in un impetuoso scatto d'ira, esprimendo senza mezzi termini tutto il suo disprezzo: "Cortigiani, vil razza dannata...", accusandoli di aver rapito la figlia e di averla consegnata al Duca solo per denaro ("A voi nulla per l’oro sconviene"), mancando però il punto (i cortigiani non hanno agito per soldi, ma per vendetta nei confronti del gobbo). Poi li minaccia ("Nulla in terra più l’uomo paventa, / se dei figli difende l’onor"), forse senza rendersi conto di trovarsi nella stessa posizione di quel Monterone che lui stesso aveva sbeffeggiato la sera prima. Non ottenendo però alcuna reazione da loro, che anzi gli impediscono l'accesso alle stanze del Duca, il suo atteggiamento cambia ancora e si fa pietoso, al punto da mostrarsi vulnerabile, perdendo l'orgoglio e la dignità che lo caratterizzavano, e finendo a implorarli in ginocchio ("Miei signori, perdono, pietate!").
È una scena potente, giustamente fra le più celebri dell'opera, dove il protagonista mette in mostra un ventaglio tale di emozioni (il sospetto, l'ironia beffarda, il malcelato disprezzo, l'ira esplicita, l'umiliazione, l'implorazione) che ne sintetizza in pochi minuti tutta la complessità, giustificando le parole di Verdi quando lo descriveva come “un carattere che è una delle più grandi creazioni che vanti il teatro di tutti i paesi e di tutte le epoche". E se finora avevamo già visto tracce di alcuni di questi aspetti (il canzonatore, l'irato, il calcolatore), appare qui per la prima volta il suo lato più vulnerabile e disperato, quello che lo spinge addirittura a implorare pietà dai suoi nemici.
La parte del protagonista, nel Rigoletto, resta la più grande mai scritta per un baritono spinto, tale da esigere ogni cambio di registro emotivo di cui la voce è capace.(Julian Budden)
Anche su "Miei signori" ci sarebbe da discutere, perché qui la dolcezza commossa potrebbe con pari verosimiglianza cedere il passo a una supplica farisaica, dove il personaggio resta crudele pure nella disperazione. Certo: un Rigoletto a ciglio asciutto quando canta "Ebben, piango" rischia di peccare d’insensibilità. Ma la cosa può assumere una straordinaria verità interpretativa se si pensa che nell’unico momento in cui è davvero se stesso – ancora "Pari siamo" – ammette con amarezza che "il retaggio d’ogn’uom m’è tolto… il pianto!...".(Paolo Patrizi)
Clicca qui per il testo di "Povero Rigoletto!".
(Rigoletto entra cantarellando con represso dolore.)
MARULLO
Povero Rigoletto!
RIGOLETTO
La rà, la rà, la rà, ecc.
CORO
Ei vien... Silenzio.
RIGOLETTO
La rà, la rà, la rà, la rà, ecc.
BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO
Oh, buon giorno, Rigoletto.
RIGOLETTO (da sé)
Han tutti fatto il colpo!
CEPRANO
Ch’hai di nuovo, buffon?
RIGOLETTO
Ch’hai di nuovo, buffon?
Che dell’usato
più noioso voi siete.
BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO
Ah! ah! ah!
RIGOLETTO
La rà, la rà, la rà, ecc.
(spiando inquieto dovunque, da sé)
Ove l’avran nascosta?...
BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO (fra loro)
Guardate com’è inquieto!
RIGOLETTO
La rà, la rà, la rà, ecc.
BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO
Sì! Guardate com’è inquieto!
RIGOLETTO (a Marullo)
Son felice
che nulla a voi nuocesse
l’aria di questa notte...
MARULLO
Questa notte!
RIGOLETTO
Sì... Ah, fu il bel colpo!
MARULLO
S’ho dormito sempre!
RIGOLETTO
Ah, voi dormiste! Avrò dunque sognato!
La rà, la rà, la rà, ecc.
(S’allontana e vedendo un fazzoletto sopra una tavola ne osserva inquieto la cifra.)
CORO (fra loro)
Ve’ come tutto osserva!
RIGOLETTO
(gettandolo; fra sé)
Non è il suo.
(forte)
Dorme il Duca tuttor?
CORO
Sì, dorme ancora.
(Comparisce un paggio della Duchessa.)
PAGGIO
Al suo sposo parlar vuol la Duchessa.
CEPRANO
Dorme.
PAGGIO
Qui or or con voi non era?
BORSA
È a caccia.
PAGGIO
Senza paggi! senz’armi!
TUTTI
E non capisci
che per ora vedere non può alcuno?
RIGOLETTO
(che a parte è stato attentissimo al dialogo, balzando improvviso tra loro prorompe:)
Ah, ell’è qui dunque! Ell’è col Duca!
TUTTI
Chi?
RIGOLETTO
La giovin che stanotte
al mio tetto rapiste.
Ma la saprò riprender.
Ella è là!
TUTTI
Se l’amante perdesti,
la ricerca altrove.
RIGOLETTO
Io vo’ mia figlia!
TUTTI
La sua figlia!
RIGOLETTO
Sì, la mia figlia! d’una tal vittoria,
che? adesso non ridete?
Ella è là... La vogl’io... La renderete.
(Corre verso la porta di mezzo, ma i cortigiani gli attraversano il passaggio.)
Clicca qui per il testo di "Cortigiani, vil razza dannata".
RIGOLETTOCortigiani, vil razza dannata,
per qual prezzo vendeste il mio bene?
A voi nulla per l’oro sconviene,
ma mia figlia è impagabil tesor.
La rendete... O, se pur disarmata,
questa man per voi fora cruenta;
nulla in terra più l’uomo paventa,
se dei figli difende l’onor.
Quella porta, assassini, m’aprite!
(Si getta ancor sulla porta che gli è nuovamente contesa dai gentiluomini; lotta alquanto, poi ritorna spossato.)
La porta, la porta, assassini, m’aprite.
Ah! Voi tutti a me contro venite!
Tutti contro me!
(piange)
Ah! Ebben, piango. Marullo, signore,
tu ch’hai l’alma gentil come il core,
dimmi tu dove l’hanno nascosta?
Marullo, signore, dimmi tu dove l’hanno nascosta?
È là... Non è vero?... È là?...
Non è vero?... È là?... Non è vero?
Tu taci!... Ohimè!
Miei signori, perdono, pietate!
Al vegliardo la figlia ridate!
Ridonarla a voi nulla ora costa,
tutto al mondo tal figlia è per me.
Pietà, signori, pietà!
Ingvar Wixell (Rigoletto),
Bernd Weikl (Marullo), Roland Bracht (Ceprano), Rémy Corazza (Borsa)
dir: Riccardo Chailly (1983)
Renato Bruson (Rigoletto),
Silvestro Sammaritano (Marullo), Antonio de Gobbi (Ceprano), Ernesto Gavazzi (Borsa)
dir: Riccardo Muti (1994)
Tito Gobbi (1956) | Ettore Bastianini (1960) |
Giorgio Zancanaro (1988) | Leo Nucci (2010) |
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