A questo punto Gilda esce dalla camera del Duca e si getta, piangente, fra le braccia del padre. Inizialmente sollevato nel rivederla (tanto da domandare ai cortigiani: "Fu scherzo, non è vero? Io, che pur piansi, or rido"), Rigoletto apprende però dalla figlia che è stata violentata (anche se il libretto, per via delle censure imposte all'epoca, non può dirlo esplicitamente e lo lascia soltanto intuire). E allora il buffone scaccia furiosamente i cortigiani dalla stanza per poter restare da solo con Gilda e udire quel che lei ha da dirgli.
Le parole che Rigoletto utilizza per comandare ai cortigiani di uscire dalla stanza sono piene di autorità ("Ite di qua voi tutti! Se il Duca vostro d’appressarsi osasse, ch’ei non entri, gli dite, e ch’io qui sono") e di dignità, ben lontane dal tono di supplica e di richiesta di perdono che le aveva precedute. Il gobbo, fra l'altro, usa quella nota di Do che la sera prima aveva caratterizzato, in quella stessa stanza, lo sfogo di Monterone: ne usa lo stesso tono, le stesse note, lo stesso slancio, in quanto già sta identificandosi con lui. Come Monterone, è un padre cui è stata disonorata la figlia: e il sentimento di padre, più forte di qualsiasi altro potere, gli fa riacquistare quella dignità che aveva perduto in precedenza. Tanto che i cortigiani, pur con un tono di ironica accondiscendenza ("Coi fanciulli e co’ dementi..."), gli obbediscono senza alcuna replica e se ne vanno via, persino con un certo timore. Il loro ruolo nella storia è peraltro ormai concluso, e nel prosieguo dell'opera non li rivedremo più.
L'aria (che poi diventa un duetto) "Tutte le feste al tempio" inizia con la confessione della ragazza, che racconta al padre quello che noi spettatori già sapevamo: ogni volta che si recava in chiesa (l'unico luogo, fra l'altro, in cui le era concesso andare), la fanciulla incrociava lo sguardo di un giovane "bello e fatale": "Se i labbri nostri tacquero, dagli occhi il cor parlò". Si trattava ovviamente del Duca, che, come abbiamo visto, le si era poi presentato nei panni di un povero studente con l'intenzione di conquistarla lentamente. L'azione dei cortigiani ha fatto però precipitare le cose. Una curiosità: che la tentazione di Gilda avvenisse in un luogo sacro, ovvero in chiesa, "mentre pregava Iddio", non piacque ad alcuni censori che, in occasione di una ripresa dell'opera, modificarono il testo in "Tutte le feste al parco". Per fortuna una così ridicola modifica, a differenza di altre (come vedremo), non è mai passata nell'uso interpretativo.
Il canto di Gilda qui è diverso dalla svagata e cantilenante leggerezza di "Caro nome", anche se è ancora dolce e con reminescenze belliniane o donizettiane (l'oboe che anticipa il tema melodico ricorda il fagotto de "Una furtiva lagrima"). L'accompagnamento è circolare, come a suggerire la presenza del destino. E l'ingenuità e l'ottimismo di un tempo cominciano a lasciar spazio a una nuova consapevolezza, venata di tragica e patetica amarezza (la metamorfosi si compirà del tutto nel terzo atto). Alla sua voce subentra quella di Rigoletto ("Ah! Solo per me l’infamia / a te chiedeva, o Dio..."), trasformando appunto l'aria in un duetto. Tutti i timori che aveva in precedenza si sono trasformati in realtà, e il buffone scopre solo ora di ritrovarsi nella stessa situazione del vecchio Monterone, che tanto aveva preso in giro la sera precedente.
La struttura è assai complessa, visto che dalla scena in versi sciolti (con l’eccezione dell’inserto corale dei cortigiani, in versi ottonari) si passa direttamente a un lungo "Adagio" che principia con l’appassionata confessione da parte di Gilda («Tutte le feste al tempio»), una gemma melodica nel genere patetico, tale da commuovere chiunque. Non però il genitore, messo di fronte al fallimento delle sue legittime aspirazioni, che seguita imprecando. Ed è rivendicazione solitaria, un a parte di otto versi in partitura dal carattere eroico, che viene così a cozzare contro l’elemento patetico di Gilda. Anche pochi istanti dopo, quando è il momento di consolare la figlia per l’onta appena subita, il padre altro non fa che tradurre il suo impulso in un’esortazione lirica dove, ancora una volta, prende sulle sue spalle ogni responsabilità: "Piangi, fanciulla, e scorrer / fa il pianto sul mio cuor".(Michele Girardi)
Clicca qui per il testo di "Mio padre! - Dio! Mia Gilda!".
(Gilda esce dalla stanza a sinistra e si getta nelle paterne braccia.)
GILDA
Mio padre!
RIGOLETTO
Dio! Mia Gilda!
Signori, in essa è tutta
la mia famiglia.
Non temer più nulla, angelo mio...
(ai cortigiani)
Fu scherzo, non è vero?
Io, che pur piansi, or rido.
(a Gilda)
E tu a che piangi?
GILDA
Ah, l’onta, padre mio!
RIGOLETTO
Cielo! che dici?
GILDA
Arrossir voglio innanzi a voi soltanto...
RIGOLETTO (ai cortigiani)
Ite di qua voi tutti!
Se il Duca vostro d’appressarsi osasse,
ch’ei non entri, gli dite, e ch’io qui sono.
BORSA, MARULLO, CEPRANO, CORO (fra loro)
Coi fanciulli e co’ dementi
spesso giova il simular;
partiam pur, ma quel ch’ei tenti
non lasciamo d’osservar.
(Escono.)
RIGOLETTO
Parla... Siam soli.
GILDA (da sé)
Ciel! dammi coraggio!
Clicca qui per il testo di "Tutte le feste al tempio".
GILDATutte le feste al tempio
mentre pregava Iddio,
bello e fatale un giovine
offriasi al guardo mio...
Se i labbri nostri tacquero,
dagli occhi il cor parlò.
Furtivo fra le tenebre
sol ieri a me giungeva...
“Sono studente e povero”,
commosso mi diceva,
e con ardente palpito
amor mi protestò.
Partì... Il mio core aprivasi
a speme più gradita,
quando improvvisi apparvero
color che m’han rapita,
e a forza qui m’addussero
nell’ansia più crudel.
RIGOLETTO (da sé)
Ah! Solo per me l’infamia
a te chiedeva, o Dio...
ch’ella potesse ascendere
quanto caduto er’io.
Ah, presso del patibolo
bisogna ben l’altare!
Ma tutto ora scompare,
l’altar si rovesciò!
(a Gilda)
Piangi, fanciulla, piangi...
GILDA
Padre!
RIGOLETTO
...scorrer fa il pianto sul mio cor.
GILDA
Padre, in voi parla un angiol
per me consolator, ecc.
RIGOLETTO
Piangi, fanciulla, ecc.
Edita Gruberova (Gilda), Ingvar Wixell (Rigoletto)
dir: Riccardo Chailly (1983)
Andrea Rost (Gilda), Renato Bruson (Rigoletto)
dir: Riccardo Muti (1994)
Maria Callas, Tito Gobbi (1955) | Anna Moffo, Robert Merrill (1963) |
Renata Scotto, Dietrich Fischer-Dieskau (1964) | Joan Sutherland, Sherrill Milnes (1971) |
Il brano si può sentire in una sequenza del film "La luna" (1979) di Bernardo Bertolucci:
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