24 marzo 2018

Rigoletto (17) - Finale

Scritto da Christian

Sta per suonare la mezzanotte (e quando avverrà, i suoi dodici rintocchi saranno sulla nota di Do, quella stessa nota che ci ha accompagnato per tutta l'opera nei momenti legati al destino e alla maledizione). Rigoletto fa ritorno all'osteria di Sparafucile, pregustando il compimento della sua vendetta. "Oh, come invero qui grande mi sento!", dice a sé stesso. E più tardi, quando è convinto di avere ai suoi piedi il cadavere del Duca, ribadisce: "Ora mi guarda, o mondo! Quest’è un buffone, ed un potente è questo! Ei sta sotto ai miei piedi! È desso! O gioia!". Sembra quasi che la sua vendetta travalichi i confini della questione personale, e si tinga di un orgoglio e di un'ambizione tale da ricordare il peccato di hybris, quel tema ricorrente nelle tragedie greche che vede un personaggio uscire dai propri limiti naturali, peccare di superbia o di tracotanza, ribellarsi contro l'ordine costituito (umano o divino che sia), per essere poi regolarmente punito dagli déi. E ci accorgiamo che il "Rigoletto" ha tutte le caratteristiche di una moderna tragedia greca.

Sparafucile consegna al buffone il presunto cadavere del Duca all'interno di un sacco, intimandogli di gettarlo al più presto nel fiume ("Lesti all’onda il gettiam"... "Presto, che alcun non vi sorprenda"): naturalmente è anche nel suo interesse che il corpo del delitto scompaia rapidamente, in modo che il gobbo non si renda conto che l'uomo ucciso non è quello per cui ha pagato. Dopodiché, si rinchiude in casa, visto che Rigoletto afferma di volerlo fare da solo. Ma proprio mentre il buffone sta per consegnare il cadavere alle profondità del Mincio ("All'onda, all'onda!"), ecco che la voce del Duca (che, risvegliatosi, torna a cantare "La donna è mobile"), rivelandogli che l'odiato nobile è ancora in vita.

In questa terza ripresa de "La donna è mobile", a differenza delle prime due, Verdi ha specificatamente indicato al tenore di concludere con l'acuto sostenuto: una nota che colpisce come una coltellata le mente e l'anima di Rigoletto (è solo in questa ripresa, fra l'altro, che la canzone del Duca acquista tutto il suo significato drammaturgico, elevandosi al di sopra di una semplice e futile melodia, per quanto gradevole e orecchiabile). Sconvolto e sopreso, il buffone apre il sacco e, con orrore, scopre sua figlia Gilda, la cui presenza è talmente inaspettata che per un breve istante dubita addirittura di ciò che i suoi occhi vedono ("Ah no... È impossibil! Fu vision...").

Gilda è ferita a morte, ma respira ancora. E con un filo di voce, spiega al padre che ha scelto di morire di propria volontà, che nessun altro è colpevole. Gli chiede perdono ma anche di non voler insistere con la sua vendetta sul Duca ("A me, a lui perdonate"). La scena è struggente: dopo un breve duetto caratterizzato da un andamento lento e solenne (qualcuno lo ha definito una specie di "danza della morte", colmo di sentimenti umani ma anche trascendenti), la ragazza spira (Julian Budden ha notato come "le quattro battute finali di Gilda contengono uno scarto armonico semitonale degno del Requiem"), lasciando il protagonista a disperarsi e, soprattutto, a rendersi conto che la profezia di Monterone si è finalmente compiuta: "Ah, la maledizione!", grida mentre cala il sipario.

«V’ho ingannata, colpevole fui» è una delle frasi più disperate che mai abbia pronunciato una donna verdiana, e tocca così profondamente il cuore da farci sembrare forse l’unico omaggio, del resto doveroso, alle convenzioni dei più: il momento in cui, accompagnata dagli arpeggi del flauto, Gilda offre al padre l’unica consolazione per i poveri e i reietti, «Lassù in cielo, vicino alla madre». Quel cielo di delizie incorporee non può esistere per il povero gobbo che, impotente, è messo di fronte al suo totale fallimento.
(Michele Girardi)
Lo stato allucinatorio che, quasi dall’inizio alla fine, accompagna il protagonista potrebbe poi essere il viatico per interpretazioni di taglio addirittura espressionistico. È un’allucinazione che, ancora una volta, trova sintesi in "Pari siamo", dove le immagini evocate – Sparafucile, Monterone, il Duca, i cortigiani – danno l’idea di scorrere come se passassero non sotto i nostri occhi, ma sotto quelli del monologante; e ci si può anche spingere più in là, ipotizzando – è la tesi di uno studioso di sicura fede verdiana come Gustavo Marchesi – che l’intero Rigoletto sia la storia di un’allucinazione, e tutti i personaggi siano fantasmi della mente del protagonista. Il finale della tragedia di Hugo, che prevede l’improvvisa apparizione di una folla attorno a Rigoletto sul cadavere di Gilda, e fa calare il sipario su una battuta tanto più asettica quanto più irreale (la diagnosi di decesso da parte d’un medico sopraggiunto all’ultimo momento), potrebbe corroborare una simile lettura. Verdi – anticonformista, sì, ma abbastanza pragmatico da non deludere ogni aspettativa del pubblico – preferì rinunciare a un epilogo così straniante, limitandosi a un ultimo duetto. Ma la macchina destinata a scompaginare tutte le certezze del lessico operistico, ormai, l’aveva messa in moto.
(Paolo Patrizi)
Forse perché giudicato troppo convenzionale, per qualche tempo (oggi fortunatamente non più) poteva capitare di assistere a rappresentazioni del "Rigoletto" che omettevano il duetto finale fra il protagonista e Gilda. Eppure, anche se melodrammatico e un po' patetico, il pezzo è importante per la risoluzione del dramma. Giusto per completezza, segnalo anche che negli anni immediatamente successivi alla prima esecuzione (dunque ancora a metà ottocento), quando il "Rigoletto" veniva allestito in altre città in versioni più o meno censurate o modificate, fu proposto anche un finale in cui Gilda non moriva affatto ma riacquistava miracolosamente la salute: e al posto di gridare "Ah, la maledizione", Rigoletto nel finale prorompeva in un ridicolo "Oh, clemenza del cielo!".

Sempre a proposito di censura, un'attenzione particolare va posta sul sacco dentro il quale Sparafucile nasconde il corpo di Gilda, oggetto di scena che prima ancora di comporre l'opera fu al centro di una delle tante contese fra Verdi e le autorità austriache, le quali (oltre alle modifiche di cui già sappiamo) gli avevano chiesto di eliminarlo. In una lettera a Martelli, Direttore dell’Ordine Pubblico, il compositore scriveva: "Non capisco perché siasi tolto il sacco! Cosa importava del sacco alla polizia? Temono dell’effetto? Ma mi si permetta dire: perché ne vogliono sapere in questo più di me? Chi può fare da Maestro? […] Una difficoltà di questo genere c’era pel corno d’Ernani: ebbene chi ha riso al suono di quel corno? Tolto quel sacco non è probabile parli una mezza ora a cadavere prima che un lampo venga a scoprirlo per quello della figlia".
Più importanti [...] sono le implicazioni del sacco, al di là di quello che rappresentava per la censura, vale a dire un oggetto in uso a macellai o bottegai, dunque di basso rango, per di più calcato simbolicamente dal piede di un miserabile che schiaccia un nobile. Esso cela per l’ultima volta la realtà alla vista del buffone, e gli consente di vivere per pochi, atroci istanti, una fallace riconciliazione col potere testé umiliato. Dentro al sacco, squarciato con rabbia e ansia indicibile nel riudire il Duca, c’è tutto il mondo dei suoi affetti, c’è quella figlia che sino a quel momento aveva salvato l’intimo del suo animo dall’ostilità del mondo esterno. Il gioco interno/esterno è dunque caleidoscopico, poiché mille fili s’intrecciano in telaio fittissimo: giunge un segnale musicale (la ripresa de «La donna è mobile») a giustiziare l’illusione di Rigoletto, visivamente rappresentata da una ruvida scorza che ricopre una materia palpitante. È come se un moto dell’animo venisse tradotto in evidenza rappresentativa.
(Michele Girardi)
Clicca qui per il testo di "Della vendetta alfin giunge l’istante".

(Rigoletto solo si avanza chiuso nel suo mantello. La violenza del temporale è diminuita, né più si vede e sente che qualche lampo e tuono.)

RIGOLETTO
Della vendetta alfin giunge l’istante!
Da trenta dì l’aspetto
di vivo sangue a lagrime piangendo,
sotto la larva del buffon.
Quest’uscio...
(esaminando la casa)
è chiuso!... Ah, non è tempo ancor!
S’attenda.
Qual notte di mistero!
Una tempesta in cielo,
in terra un omicidio!
Oh, come invero qui grande mi sento!
(Suona mezzanotte.)
Mezzanotte!

SPARAFUCILE (uscendo di casa)
Chi è là?

RIGOLETTO (per entrare)
Son io.

SPARAFUCILE
Sostate.
(Rientra e torna trascinando un sacco.)
È qua spento il vostro’uomo.

RIGOLETTO
Oh gioia!... Un lume!

SPARAFUCILE
Un lume?... No, il denaro.
(Rigoletto gli dà una borsa.)
Lesti all’onda il gettiam...

RIGOLETTO
No, basto io solo.

SPARAFUCILE
Come vi piace. Qui men atto è il sito.
Più avanti è più profondo il gorgo.
Presto, che alcun non vi sorprenda. Buona notte.
(Rientra in casa.)

RIGOLETTO
Egli è là!...morto!
Oh sì... Vorrei vederlo!
Ma che importa?... È ben desso!
Ecco i suoi sproni!
Ora mi guarda, o mondo!
Quest’è un buffone, ed un potente è questo!
Ei sta sotto ai miei piedi! È desso! O gioia!
È giunta alfine la tua vendetta, o duolo!
Sia l’onda a lui sepolcro,
un sacco il suo lenzuolo.
All’onda! All’onda!

(Fa per trascinare il sacco verso la sponda, quando è sorpreso dalla lontana voce del Duca, che nel fondo attraversa la scena.)

DUCA
La donna è mobile, ecc.

RIGOLETTO
Qual voce!... Illusion notturna è questa!
(trasalendo)
No!... No! egli è desso...
(verso la casa)
Maledizione! Olà... Dimon bandito!
(Taglia il sacco.)
Chi è mai, chi è qui in sua vece?
(lampeggia)
Io tremo... È umano corpo!
Mia figlia!... Dio!... Mia figlia!
Ah no... È impossibil!
Per Verona è in via!
(inginocchiandosi)
Fu vision... È dessa!
O mia Gilda: fanciulla, a me rispondi!
L’assassino mi svela... Olà?... Nessuno?
(Picchia disperatamente alla porta.)
Nessun!...
(tornando presso Gilda)
Mia figlia? Mia Gilda?... Oh, mia figlia!

GILDA
Chi mi chiama?

RIGOLETTO
Ella parla!... Si muove!...
È viva!... Oh Dio!
Ah, mio ben solo in terra...
Mi guarda... Mi conosci...

GILDA
Ah, padre mio!

RIGOLETTO
Qual mistero!... Che fu?...
Sei tu ferita?... Dimmi...

GILDA (indicando al core)
L’acciar qui mi piagò.

RIGOLETTO
Chi t’ha colpita?

Clicca qui per il testo di "V’ho ingannato... Colpevole fui...".

GILDA
V’ho ingannato... Colpevole fui...
L’amai troppo... Ora muoio per lui!

RIGOLETTO (da sé)
Dio tremendo! Ella stessa fu colta
dallo stral di mia giusta vendetta!
(a Gilda)
Angiol caro! Mi guarda, m’ascolta!
Parla, parlami, figlia diletta.

GILDA
Ah, ch’io taccia! A me, a lui perdonate.
Benedite alla figlia, o mio padre...
Lassù in cielo, vicina alla madre,
in eterno per voi pregherò.

RIGOLETTO
Non morire, mio tesoro, pietade!
Mia colomba, lasciarmi non dêi!

GILDA
Lassù in cielo, ecc.

RIGOLETTO
Oh, mia figlia!
No, lasciarmi non dêi, non morir.
Se t’involi, qui sol rimarrei.
Non morire, o ch’io teco morrò!

GILDA
Non più... A lui perdonate.
Mio padre... Addio!
Lassù in ciel, ecc.

RIGOLETTO
Oh mia figlia! Oh mia Gilda!
No, lasciarmi non dêi, non morir!

(Gilda muore.)

RIGOLETTO
Gilda! Mia Gilda!... È morta!
Ah, la maledizione!
(Strappandosi i capelli, cade sul cadavere della figlia.)




Ingvar Wixell (Rigoletto), Edita Gruberova (Gilda),
Ferruccio Furlanetto (Sparafucile), Luciano Pavarotti (Duca)
dir: Riccardo Chailly (1983)


Renato Bruson (Rigoletto), Andrea Rost (Gilda),
Dimitri Kavrakos (Sparafucile), Roberto Alagna (Duca)
dir: Riccardo Muti (1994)


"V'ho ingannato, colpevole fui"
Renata Scotto, Dietrich Fischer-Dieskau (1964)

"V'ho ingannato, colpevole fui"
Joan Sutherland, Sherrill Milnes (1971)




La Maledizione: forse il nobile Monterone, tonante "convitato di pietra", uscirà dal carcere, ma l’umile reietto non può evitare il proprio destino – ed è questo il messaggio pessimistico che ci giunge da Rigoletto. La fiducia in un ideale di riscatto da questo momento lascia Verdi per sempre, segno che il suo laicismo sta per divenire radicale. Quella sorte che sfascia un uomo predestinato prenderà aspetti più concreti, vestendo gli abiti da sera dell’ipocrita società borghese che accelera il disfacimento di Violetta Valéry, o la tonaca del Grande Inquisitore, emblema del cupo potere clericale che annienta Elisabetta e Don Carlos, o il costume ieratico di Ramfis, gran sacerdote che condanna Radames e Aida. Contro di essa, in un utopico tentativo di riconciliazione, il soprano del Requiem invocherà «Libera me».
(Michele Girardi)