16 ottobre 2017

Salomè (2) - Premessa

Scritto da Marisa

L'idea di occuparmi della complessa e conturbante figura di Salomè mi girava in testa da parecchi mesi, ma cercavo continuamente di rimandarne l'attuazione, spaventata dalla mole di fantasie, interpretazioni e leggende che si sono accumulate su di essa, nutrendo il nostro immaginario e arricchendo filoni più disparati di sensibilità, da chi vuole la principessa giudaica semplice strumento della madre, secondo una concezione di dipendenza assoluta e simbiotica madre-figlia, a chi la vede donna autonoma, assetata di potere e desiderio di vendetta libidinosa, o ancora chi la vuole esempio di un percorso iniziatico spirituale... In genere, più scarse sono le notizie storiche e maggiormente l'inconscio ha la possibilità di proiettare i propri contenuti quando nuclei profondi vengano toccati e risvegliati. Ed è proprio quello che è accaduto con la figura di Salomè, che si è rivelata un perfetto contenitore di fantasie e di immagini inconsce sempre più complesse e sfumate, con angolature che rivelano i recessi abissali della psiche quando ha la possibilità di uscire allo scoperto attraverso immagini che possano supportarla.

L'opera di Strauss è completamente rispettosa, nella stesura del libretto, all'atto unico di Oscar Wilde, e ne amplifica, nelle straordinarie suggestioni musicali, le emozioni indicibili con il linguaggio verbale. Noi cercheremo di entrare nel mondo fantastico creato dai due grandi artisti, ma anche di spaziare attingendo ad altre sensibilità e provando ad andare oltre la più scontata interpretazione che ne vede nel “decadentismo” la chiave di lettura, intrappolando così in uno schema “rassicurante” – perché legato comunque ad un preciso periodo storico – un complesso modo di sentire che appartiene a tutte le epoche, in quanto attinge direttamente da quella fonte universale e senza tempo che è l'inconscio collettivo, un preciso nucleo archetipico (sepolto quindi nella psiche profonda di ogni uomo, secondo l'illuminata concezione di Jung) che gli artisti hanno slatentizzato dandogli una grande e sublime forma simbolica. Il grande successo, sia dell'opera teatrale di Wilde che di quella musicale di Strauss, è dovuto proprio all'aver toccato quelle corde nascoste ma universali, che possiamo reggere solo attraverso la grande arte che ci permette (come avevano ben intuito i greci con l'invenzione del teatro tragico) di essere messi in contatto con le patri più oscure e “rimosse” della psiche, senza dovercene vergognare (perché in fondo quello che vediamo sta accadendo ad altri) ma contemporaneamente provandone emotivamente l'esperienza, che diventa “catartica” per il solo fatto che può essere detta e comunicata in qualche modo, essere vissuta almeno a livello fantastico...

Tutti conoscono il breve episodio, riportato dai vangeli di Marco e Matteo, che lega la morte di Giovanni Battista alla richiesta della figlia di Erodiade della sua testa su un piatto d'argento, dopo aver danzato per il tetrarca Erode Antipa, su istigazione della madre. Nei vangeli non compare il nome della principessa giudaica, che conosciamo come Salomè solo attraverso lo storico Flavio Giuseppe. Ecco il passo del vangelo di Marco:

Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodiade lo odiava e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re ne fu rattristato; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
(Vangelo secondo Marco 6, 17-29)
Il passo di Matteo (14, 3-11) è analogo, perciò lo omettiamo. Ricordiamo comunque come nell'antichità, presso tutti i popoli, fosse molto frequente mandare a morte i nemici politici e chiunque potesse dare ombra ai potenti, senza destare alcuno scandalo.



Flavio Giuseppe, nelle sue “Antichità giudaiche”, riferisce che in seguito Salomè, la principessa giudaica figlia di Erodiade e di Erode Filippo, sposò il tetrarca Filippo e successivamente Aristobulo, re di Calcide, dal quale ebbe tre figli. Siamo quindi ben lungi dalla morte che vediamo rappresentata nel dramma di Wilde e nell'opera di Strauss, a conclusione dell'orrore... Vero è che circolano già dall'antichità leggende su una presunta fine violenta di Salomè, in linea con una punizione degna della legge del più rigoroso contrappasso dantesco, come leggiamo da Wikipedia:
Alcune leggende narrano che Salomè, in realtà, non sarebbe morta in tarda età ma di un'orribile morte prematura. Un documento apocrifo, la Lettera di Erode a Pilato, nella Leggenda Aurea, racconta della morte di una principessa Erodiade (che si vorrebbe identificare con Salomé) quando essa decise di danzare su una pozza d'acqua ghiacciata: mentre era impegnata nella sua danza la lastra di ghiaccio si ruppe facendola sprofondare nelle acque gelide; sua madre tentò di salvarla dai flutti dell'acqua tenendola per il capo, ma questo si staccò, rimanendo in mano alla madre, mentre il corpo rimase nell'acqua.
(da Wikipedia)
Ma la vera esplosione nell'immaginario collettivo della figura di Salomè inizia in pieno XIX secolo e ha come capostipite letterario Baudelaire, che nel 1857, nel XXVII sonetto della sezione “Spleen et Ideal”, canta la donna amata Jeanne sovrapponendole una figura femminile in cui si riconosce Salomè, in linea comunque con la sua visione molto ambivalente della donna, indifferente e lontana emotivamente, dominatrice e seduttiva, del tutto irresistibile e affascinante, nei suoi sinuosi movimenti di danza: un idolo.
Con le vesti ondeggianti e iridescenti,
anche quando cammina si direbbe che danzi
come i lunghi serpenti che i sacri giocolieri
agitano in cadenza in cima a dei bastoni.

Con che indifferenza lei si volge,
come la sabbia cupa e l'azzurro dei deserti,
insensibili all'umana sofferenza,
come le lunghe trame delle onde marine!

Che splendidi minerali quei suoi occhi tersi!
È una strana e simbolica natura,
un misto d'angelo inviolato e sfinge antica,

un tutto d'oro, acciaio, luce e diamanti:
ma è un astro inutile! Quel che eterno splende in lei
è fredda maestà di donna sterile!
(Charles Baudelaire)
In questi versi c'è già tutto il fascino dell'oriente, immaginato proiettivamente dagli europei colti di allora come terra di estetiche ed estatiche esperienze lussuriose, dove il femminile appare come la donna innocente e perversa allo stesso tempo, fanciulla e scaltra ammaliatrice, angelo e sfinge: l'archetipo insomma della parte pericolosa dell'eterno femminino che vive nell'inconscio come Sirena, Circe, Elena... e che anche Salomè incarna.

Da allora Salomè, non più figura storica, semplice strumento della madre che vuole eliminare un fastidioso censore delle sue colpe, ma autonoma dispensatrice di vita e di morte, fredda come una lama o appassionata come una vampa, diventa una vera e propria ossessione maschile. La ritroviamo in Flaubert ("Hérodias" del 1877), in Mallarmé ("Hérodiade", 1864-1896), in Huysmans ("A rebours"), per approdare infine alla "Salomè" di Oscar Wilde nel 1893, unica opera teatrale scritta in francese dall'artista irlandese ma londinese di vita, tradotta (male, tanto che Wilde stesso dovette intervenire per porre rimedio...) poi in inglese dal suo giovane amico-amante Lord Alfred Douglas e illustrata da un talentuoso Aubrey Beardsley, una Salomè che, soprattutto grazie poi alla musica di Richard Strauss, sarebbe rimasta l'insuperata icona artistica che conosciamo. A proposito delle illustrazioni di Beardsley, pare che all'inizio Wilde non ne fosse contento perché le trovava troppo “giapponesi”, mentre lui aveva in mente uno stile più “bizantino”; ma in seguito le ha apprezzate in pieno.

Ricchissima anche la produzione pittorica, da Filippo Lippi a Tiziano, da Caravaggio a Klimt, passando per Henri Régnault (1870) e Franz von Stuck (1906), ammirato da Hitler, ma che trova in Gustave Moreau l'interprete più celebre per le sue numerose raffigurazioni simboliche e visionarie della principessa che esibisce come un sole la testa decapitata, tanto da essere identificato quasi solo come “Il pittore di Salomè”. Numerose anche le produzioni teatrali e cinematografiche che hanno preso spunto dalle opere precedenti, dall'epoca del muto fino a Carmelo Bene. Persino nell'immaginario di Jung, Salomè occupa un posto speciale: nel famoso “Libro Rosso” ha una parte importante nei suoi sogni e immaginazioni attive e compare come una fanciulla cieca in compagnia di Elia vecchio, una delle prime apparizioni dell'anima nel suo stadio immaturo, che si accompagna al Vecchio Saggio... Vedremo i possibili significati di tutte queste varianti nel corso delle nostre riflessioni.