12 giugno 2016

La Bohème (25) - Analogie con "La traviata"

Scritto da Christian

La morte di Mimì ricorda per molti versi quella di Violetta ne "La traviata" di Verdi, e non solo perché giungono entrambe in conclusione delle rispettive opere. Condividono anche la natura della malattia (la tisi, ossia la tubercolosi polmonare, detta anche "mal sottile" e assai diffusa nel diciannovesimo secolo: ne soffrirono, fra gli altri, Fredric Chopin, Emily Bronte, John Keats e naturalmente molti personaggi del melodramma e della letteratura, dalla Silvia di Leopardi all'Iljuscia de "I fratelli Karamazov"), l'ambientazione parigina, il fatto che la morte stessa coincida con il ritorno, all'ultimo momento, fra le braccia dell'uomo amato.

Eppure le due sequenze, così come le due opere, presentano anche parecchie differenze. Il significato della morte del personaggio femminile, innanzitutto, è ben diverso: Mimì rappresenta la giovinezza di coloro che le sopravvivono, il passato oggetto di ricordo e di rimpianto (la sua storia d'amore con Rodolfo, di fatto, era già finita: nell'ultimo atto viene rievocata solo per nostalgia), una dinamica della vita che è destinata a concludersi prima o poi in maniera del tutto naturale; mentre nella "Traviata" c'è una lettura etica (attraverso il tema del peccato e della redenzione) che nella "Bohème" è completamente assente (i personaggi dell'opera di Puccini non sono mai sfiorati da questioni morali, se non per prendersene gioco come nella scena con Benoît, dove si ergono a paladini di una fedeltà coniugale che non è mai stata in cima ai loro pensieri). Certo, in un qualche senso anche Mimì e Musetta sono "cortigiane" al pari di Violetta, ovvero dispensano amore per guadagnarsi – anche se solo per brevi periodi – condizioni di vita più agiate: ma non ne provano colpa, né nella loro cerchia sono accusate di comportamento immorale (se non dagli amanti abbandonati, che comunque abbandonano rapidamente l'ira e il rancore per tornare a rimpiangerle).

Non dimentichiamo poi che l'opera di Verdi, realizzata quasi mezzo secolo prima e dunque in pieno ottocento, era costruita su un meccanismo narrativo decisamente schematico e melodrammatico (si pensi all'intervento del padre di Alfredo, della scelta di Violetta di abbandonare l'amante fingendosi infedele, eccetera) mentre "La Bohème", alle soglie del novecento e in piena atmosfera di "cambio di secolo", scorre in maniera più spontanea e naturale. Forse per questo la morte di Mimì ci appare ancora più struggente, più devastante, più "vera".

Detto questo, se andiamo alle fonti (ovvero ai drammi francesi che costituiscono il materiale di partenza per i rispettivi libretti), scopriamo che i legami fra "La Bohème" e "La Traviata" a livello letterario sono effettivamente molto stretti. Non a caso, a differenza delle opere di Verdi e Puccini (rappresentate per la prima volta rispettivamente nel 1853 e nel 1896), i lavori di Dumas e della coppia Murger-Barrière sono quasi contemporanei.

Nella "Vie de Bohème" [la piece teatrale del 1849], il giovane, ma già esperto autore di vaudevilles, Barrière aveva aiutato Murger a costruire il suo successo personale, sopprimendo ogni elemento scabroso dell’originale e creando una struttura drammatica sulla falsariga del romanzo "La Dame aux Camélias", apparso nel 1848 e ridotto nei mesi successivi a “pièce en cinq acts mêlée de chant”. Lo scartafaccio di Alexandre Dumas fils – da cui Piave trasse "La traviata" per Verdi –, ritenuto immorale, venne bloccato dalla censura e dovette attendere sino al 1852 prima di essere pubblicato, ma nel frattempo circolava in tutti le società letterarie parigine. Il calco realizzato da Barrière è così evidente da risultare incontestabile: Mimì, cortigiana piena di buon cuore, malata, sacrifica i suoi sentimenti per Rodolfo e se ne va a vivere con un visconte onde consentire l’unione dell’amante con Césarine de Rouvre, una giovane e rispettabile vedova. Questo matrimonio è fortemente voluto per amor di convenienza dall’uomo d’affari Durandin, zio di Rodolphe – lo “zio milionario” evocato da Rodolfo nell’opera, che come Germont-père è causa della separazione fra il nipote e la giovane grisette. Nella scena finale ogni equivoco viene chiarito, ma solo nelle ultime battute Durandin tenta di rimediare al male che ha fatto a Mimì, e benedice il matrimonio proprio quando la ragazza muore. [...] Se Barrière e Murger possono precedere Dumas in un ambiente dove trame topiche vengono ampiamente sfruttate, Puccini non poté né volle mettersi in concorrenza con "La Traviata": nel mondo dell’opera si dovevano evitare i calchi troppo evidenti. Del resto seguire il dramma voleva dire accettare la logica in cui s’inseriva come prodotto standard in una tematica di successo (e si pensi al capostipite Musset e alla sua Mimì Pinson). Peraltro nella riduzione del mondo composito del romanzo andò forzosamente smarrita una peculiarità dell’originale, e cioè il preciso riferimento, nei brevi ritratti dei protagonisti, a noti personaggi della cultura e dell’arte parigina del tempo, fra cui Charles Baudelaire e il pittore Champfleury. Questa perdita fece sì che l’opera di Puccini fosse meno vincolata a fatti contingenti e dunque si volgesse a una rappresentazione di tipo simbolico. Da questa universalità il pubblico di tutto il mondo sarebbe poi stato affascinato, anche perché s’identificò con i protagonisti di Puccini: a una simile mèta Murger mai avrebbe potuto tendere. Anche i personaggi del romanzo conquistano alla fine, come il loro creatore, un miglior tenore di vita, il che li induce persino a pronunciare amare considerazioni sul loro passato prossimo, e a identificare con lucido distacco la Bohème con la giovinezza appena trascorsa.
(Michele Girardi)