Il dottor Bartolo, anziano “medico barbogio” (come ne parla il Conte), “un vecchio indemoniato avaro, sospettoso, brontolone” (come lo descrive Figaro), è il principale antagonista dell'opera. Tutore della giovane Rosina, che mantiene di fatto segregata in casa nella paura che possa incontrare qualche pretendente, “per mangiarle tutta l'eredità s'è fitto in capo di volerla sposare”, aveva spiegato il barbiere. Facile vedere nella sua figura il classico personaggio della farsa (o della Commedia dell'Arte) che impersona il parruccone, l'anziana autorità di cui prendersi beffe, tanto più quando cerca di tenere il passo con i giovani (in questo caso anche in campo sentimentale), finendo però per venirne buggerato.

Del novero dei personaggi negativi fa parte Don Bartolo, a cui Rossini affida il ruolo di «buffo parlante» (in contrasto con Figaro, «buffo cantante»), tipologia vocale che ha i maggiori pregi non tanto nel canto spianato, ma nella caricaturale caratterizzazione scenica e nella capacità virtuosistica di declamare sillabati in maniera velocissima quasi a perdifiato. Di tale dote doveva certo eccellere il primo interprete Bartolomeo Botticelli, per cui Rossini scrisse un’aria dove tale tecnica è portata agli estremi limiti.
(Stefano Piana)
Nonostante la lettura più frequente del personaggio sia proprio quella del vecchio sciocco che non si accorge degli intrighi che si dipanano attorno a lui, e di cui dunque è facile prendersi gioco, analizzando meglio il libretto sorge piuttosto naturale un'altra interpretazione, che lo vede come un uomo subdolo, attento e calcolatore, e inoltre capace di un atteggiamento seriamente intimidatorio: un nemico, dunque, da cui guardarsi bene e sul quale solo la combinazione fra l'astuzia di Figaro, la determinazione di Rosina e... la ricca borsa del Conte riuscirà ad avere la meglio. Non a caso, nel recitativo che precede la sua grande aria, Bartolo dimostra di aver già intuito le macchinazioni di Rosina: non gli è sfuggito che la ragazza abbia gettato dal balcone un biglietto (“l'arietta dell'Inutil Precauzione”) per il suo corteggiatore segreto (di cui in realtà tutti conoscono l'identità, tranne la stessa Rosina!), e sospetta a ragione che Figaro gli abbia portato la risposta. Osservando ogni dettaglio della stanza con una cura e un puntiglio degni di Sherlock Holmes, il dottore identifica diversi elementi che vanno a sostegno della sua tesi: un dito della ragazza sporco d'inchiostro, la mancanza di un foglio di carta (di cui tiene rigorosamente il conto!) dalla scrivania, la punta della penna temperata (fino all'invenzione della stilografica, infatti, per scrivere si usava una penna d'oca la cui punta doveva frequentemente essere temperata, proprio come le moderne matite).

La furba ragazza ha una scusa pronta per ciascuna di queste osservazioni. Innanzitutto Figaro è venuto da lei soltanto per fare conversazione: “Mi parlò di cento bagattelle, del figurin di Francia, del mal della sua figlia Marcellina”. Il termine “figurino” si riferisce naturalmente alla moda: Rosina suggerisce che Figaro l'abbia messa al corrente degli ultimi modelli in voga a Parigi. Quanto a Marcellina, questo nome era presente nella commedia originale di Beaumarchais (e nell'opera di Paisiello) ed era attribuito alla domestica della casa di Bartolo, effettivamente malata al momento in cui si svolge il “Barbiere”: il personaggio, che non compariva mai in scena, ritornerà nel seguito “Le nozze di Figaro”. Della figlia di Figaro, che nelle precedenti versioni era senza nome, non sapremo mai nulla: esisterà davvero, o probabilmente è – come tutto il resto di questa scena – un parto estemporaneo della fantasia di Rosina? Da qui in poi, infatti, è tutto un fiorire di invenzioni e di trovate da parte della ragazza: il dito è sporco d'inchiostro perché se l'era scottato e ha usato la china per “temprarlo”; il foglio di carta è servito a fare un cartoccio per mandare dei confetti alla bimba malata; e la penna è servita a disegnare un fiore sul tamburo del ricamo.

Bartolo, dicevamo, non è un ingenuo, e non crede a nessuna di queste scuse. Furibondo, minaccia di rinchiudere ancora più severamente Rosina in camera sua, dando apposita consegna ai servitori: “Cospetton! per quella porta nemmen l'aria entrar potrà”. L'aria del dottore, che presenta echi dal “Signor Bruschino”, è un brano divertente (Bartolo stesso a tratti non sembra difettare di sarcasmo e ironia, come nella frase “E Rosina innocentina”) ma anche assai lungo, virtuosistico e molto difficile, in particolare nella parte rapidamente sillabata (“Signorina, un'altra volta quando Bartolo andrà fuori...”), al punto che pochissimi cantanti riescono a non fermarsi per riprendere fiato. È anche da sottolineare, nel testo, l'utilizzo di termini colloquiali o quantomeno del linguaggio “basso” (come “infinocchiare”, “corbellare”, “cospettone”, ecc.): se da un lato è comprensibile che vengano utilizzati nella foga del momento e in uno scatto d'ira, d'altro canto è decisamente buffo sentirli pronunciare da qualcuno che contemporaneamente intende fare sfoggio della propria cultura e del proprio prestigio sociale (“A un dottor della mia sorte”).
La solenne autorità del dottore è descritta da frasi pompose [...] e di conseguenza l’atteggiamento autorevole di Bartolo (che Rossini ritrae con ironia) finisce per essere anche il Leitmotiv scenico-drammatico dell’intero brano. Viene utilizzato quasi a mo’ di tema di rondò nella prima parte, che è una sorta di processo intentato dal tutore nei confronti di Rosina. La sentenza di condanna provocherà l’adozione di severissime misure di reclusione nei confronti della poveretta e innesca la seconda parte dell’aria, un lungo scilinguagnolo dove il caratteristico sillabato veloce (prova classica di virtuosismo per i buffi) viene portato a conseguenze musicali estreme e costringe l’interprete a un vero tour de force.
(Stefano Piana)
Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano (“Ora mi sento meglio”).

ROSINA
Ora mi sento meglio. Questo Figaro
è un bravo giovinotto.

BARTOLO (entrando)
Insomma, colle buone,
potrei sapere dalla mia Rosina
che venne a far colui questa mattina?

ROSINA
Figaro? Non so nulla.

BARTOLO
Ti parlò?

ROSINA
Mi parlò.

BARTOLO
Che ti diceva?

ROSINA
Oh! mi parlò di cento bagattelle.
Del figurin di Francia,
del mal della sua figlia Marcellina...

BARTOLO
Davvero? Ed io scommetto
che portò la risposta al tuo biglietto.

ROSINA
Qual biglietto?

BARTOLO
Che serve! L'arietta dell'Inutil Precauzione
che ti cadde staman giù dal balcone.
Vi fate rossa? (Avessi indovinato!)
Che vuol dir questo dito
così sporco d'inchiostro?

ROSINA
Sporco? oh, nulla.
Io me l'avea scottato
e coll'inchiostro or or l'ho medicato.

BARTOLO
(Diavolo!) E questi fogli?
Or son cinque, eran sei.

ROSINA
Que' fogli? è vero...
D'uno mi son servita
a mandar dei confetti a Marcellina.

BARTOLO
Bravissima! E la penna
perché fu temperata?

ROSINA
(Maledetto!) La penna...
Per disegnare un fiore sul tamburo.

BARTOLO
Un fiore?

ROSINA
Un fiore.

BARTOLO
Un fiore. Ah! fraschetta!

ROSINA
Davver.

BARTOLO
Zitta!

ROSINA
Credete...

BARTOLO
Basta così!

ROSINA
Signor...

BARTOLO
Non più, tacete.

Clicca qui per il testo di "A un dottor della mia sorte".

BARTOLO
A un dottor della mia sorte
queste scuse, signorina?
Vi consiglio, mia carina,
un po' meglio a imposturar.
I confetti alla ragazza?
Il ricamo sul tamburo?
Vi scottaste? eh via! eh via!
Ci vuol altro, figlia mia,
per potermi corbellar.
Perché manca là quel foglio?
Vo' saper cotesto imbroglio.
Sono inutili le smorfie;
ferma là, non mi toccate!
Figlia mia, non lo sperate
ch'io mi iasci infinocchiar.
Via, carina, confessate;
son disposto a perdonar.
Non parlate? Vi ostinate?
So ben io quel che ho da far.
Signorina, un'altra volta
quando Bartolo andrà fuori,
la consegna ai servitori
a suo modo far saprà.
Ah, non servono le smorfie,
faccia pur la gatta morta.
Cospetton! per quella porta
nemmen l'aria entrar potrà.
E Rosina innocentina,
sconsolata, disperata,
in sua camera serrata
fin ch'io voglio star dovrà.
(Parte.)

Clicca qui per il testo del recitativo che segue ("Brontola quanto vuoi").

ROSINA
Brontola quanto vuoi,
chiudi porte e finestre. Io me ne rido:
già di noi femmine alla più marmotta
per aguzzar l'ingegno
e far la spiritosa, tutto a un tratto,
basta chiuder la chiave e il colpo è fatto.
(Parte.)




Enzo Dara (Bartolo)
dir: Claudio Abbado (1971)


Alfonso Antoniozzi (2005)


Claudio Desderi (1981)

Bruno Praticò (2005)


L'aria di Don Bartolo si rivelò talmente difficile da cantare da essere quasi subito sostituita da un altro brano più semplice (“Manca un foglio”), composto da Pietro Romani (fratello del celebre librettista Felice) nel 1816 su testo di Gaetano Gasparri per il buffo Paolo Rosich in occasione della prima fiorentina dell'opera. Come spiega Stefano Piana, quest'aria “restò stabilmente nella tradizione esecutiva sino a Novecento inoltrato (è attestata ancora nelle prime incisioni discografiche dell’opera)”. Soltanto dalla metà del secolo scorso l'aria originale di Rossini è tornata in pianta stabile “al posto che le compete, e dell’aria di Romani (che pure sembra che non dispiacesse a Rossini) si sono ormai perse le tracce”.

Clicca qui per il testo di "Manca un foglio".

BARTOLO
Manca un foglio, e già suppongo
In che cosa l'impiegaste,
Sporco il dito, e già m'immagino
A qual uso il destinaste.
Quella penna temperata
Spiega ben la rea matassa...
Perchè mai la testa bassa?
State ritta come me.

Io so ben che all'età vostra
Suol venir la frenesia
Che provò la mamma mia
Quando vide il mio papà.
Ma non v'è bisogno alcuno
D'indrizzarvi a questo e a quello
Di cercar col campanello
Ciò che aver potete qua.

Dite un po', che v'è di buono
Nei moderni giovinetti?
Reverenze, sorrisetti,
Tacchi ferrei, affettature,
Occhialin, caricature,
Ciò che insipido ha la moda;
Ma di ciò che ognun si loda
Son sprovvisti, per mia fé.

Ma se poi per mia disgrazia
Voi la sorda mi farete,
Le finestre troverete
Sigillate eternamente.
Farò incetta di chiavacci,
Lucchettini e catenacci,
Serrature, chiavistelli,
Toppe, chiodi, spranghe e arpioni...
Non son poi di quei babbioni
Che si fanno infinocchiar.
(parte)



Elia Fabbian

Teodoro Rovetta