25 ottobre 2010

Turandot (1) - Introduzione

Scritto da Giovanni Ansaldi

Turandot
Opera in tre atti
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione:
Milano (Teatro alla Scala), 25 aprile 1926

Personaggi e voci:

Turandot (soprano), principessa
Altoum (tenore), suo padre, imperatore della Cina
Timur (basso), re tartaro spodestato
Calaf (tenore), il Principe Ignoto, suo figlio
Liù (soprano), giovane schiava, guida di Timur
Ping (baritono), Gran Cancelliere
Pang (tenore), Gran Provveditore
Pong (tenore), Gran Cuciniere
Un mandarino (baritono)
Il principe di Persia (tenore)
Il boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)
Guardie imperiali - Servi del boia - Ragazzi - Sacerdoti - Mandarini - Dignitari - Gli otto sapienti - Ancelle di Turandot - Soldati - Portabandiera - Ombre dei morti - Folla


"Turandot" è l'ultima opera di Giacomo Puccini, rimasta incompiuta per la morte dell'autore avvenuta il 28 novembre del 1924. Alcuni affermano che non si tratta soltanto dell'ultima opera di Puccini ma dell'ultima opera tout court nella storia di quel genere di spettacolo, teatrale e musicale nello stesso tempo, che viene chiamato melodramma o opera lirica. Ciò non è vero: opere liriche (e anche belle) sono state scritte in seguito e si continuano a scrivere, perché la maggior parte dei musicisti è sempre affascinata da questo genere musicale. Ma certamente è l'ultima opera popolare nella storia del melodramma. "Popolare" nel senso di opera musicalmente accessibile a un vasto pubblico, e che quindi viene spesso eseguita in tutti i teatri del mondo. Tra l'altro, al di là del suo grande valore musicale, essendo un'opera spettacolare si presta a essere rappresentata in grandi spazi, appunto "popolari", come per esempio l'Arena di Verona.

"Turandot" è opera di grande interesse sia sul piano formale, ovvero musicale, sia sul piano contenutistico, vale a dire in rapporto alla storia (in questo caso la favola) che viene narrata. Quando Puccini morì, gli mancava di musicare il finale, ovvero il grande duetto d'amore fra Turandot e il principe Calaf. Ma fino a quel punto, ovvero alla morte della schiava Liù, l'opera era già pronta per le stampe e quindi completamente strumentata. Vedremo in seguito come il fatto che Puccini non sia riuscito a comporre questo duetto d'amore si possa prestare ad alcune interessanti considerazioni psicologiche.

Caratteristica della creatività di Puccini è stata sempre, nella sua non corta carriera (morì a 66 anni), quella di cercare un continuo rinnovamento del suo linguaggio e nuove modalità di espressione. A differenza di tanti colleghi che, una volta trovato un loro stile, si adagiano sul risultato raggiunto
(spesso la loro creatività assume l'aspetto di una parabola), Puccini ha sempre guardato in avanti. Dal punto di vista formale ci troviamo di fronte ad una ascesa lineare, come del resto è avvenuto in Verdi: se mettiamo in confronto "Nabucco" e "Falstaff" ci sembra di trovarci di fronte a due autori diversi. Così se noi ascoltiamo quelli che io ritengo i due capolavori di Puccini, "La Bohème" e "Turandot", ci rendiamo subito conto della diversità della materia sonora fra le due creazioni. Infatti Puccini, non chiuso nel provincialismo culturale italiano, si è sempre tenuto al corrente delle espressioni dell'avanguardia musicale europea. Basti pensare alla dichiarata ammirazione per Debussy (di cui si rintracciano evidenti influssi ne "La fanciulla del west"), per non parlare di Richard Strauss e soprattutto di Stravinsky. "Turandot", sin dalle prime battute, è percorsa da dissonanze, bitonalità, politonalità (alla Stravinsky). Tanto per darvi un esempio dell'apertura di Puccini al nuovo, nell'aprile del 1924 – quindi, come vedremo, quando era già in precarie condizioni di salute – il compositore prende la macchina e va a Firenze per ascoltare la prima del "Pierrot lunaire" di Schoenberg. Si fa riconoscere, e Schoenberg gli regala la partitura con dedica.

Comunque non è che Puccini in "Turandot" tradisca la sua vocazione, rinunci al suo linguaggio melodico, anzi: scrive una delle arie più conosciute del repertorio operistico, "Nessun dorma", cantata dal principe Calaf. Ma è soprattutto nelle due arie di Liù che musicalmente e psicologicamente più si avvicina alle sue precedenti eroine. La grande melodia pucciniana è quindi presente. Semplicemente il compositore la riveste coi colori orchestrali che la sensibilità del tempo richiedeva in rapporto all'evoluzione del linguaggio musicale.

Quindi un linguaggio musicale nuovo, ma soprattutto un soggetto nuovo. Dopo il Trittico del 1919 (ritengo "Il tabarro" uno dei capolavori del teatro musicale del Novecento), Puccini dichiarò che non ne poteva più di soggetti sentimentali o tratti dalla realtà del quotidiano. In Italia non si era ancora concluso quel movimento estetico sia letterario sia musicale chiamato "verismo", che portava in scena fatti di cronaca quotidiana o sentimenti della gente comune, una volta finita l'epoca in cui nel melodramma si erano celebrate le gesta degli eroi storici o mitici (Verdi e Wagner). Per cui, mentre era alla ricerca di un nuovo soggetto da musicare, quando Renato Simoni (critico teatrale e commediografo) gli accennò a una fiaba, quella della principessa Turandot, scritta dal veneziano Gozzi nel 1700, Puccini intuì di aver trovato ciò che cercava: un fatto che si svolgesse fuori dal tempo, o meglio "al tempo delle favole". E si mise subito al lavoro.

Quest'opera divenne un sogno da realizzare, certamente il suo progetto più ambizioso. Infatti fu il lavoro la cui stesura impegnò il suo autore più di qualsiasi altro, dal 1920 alla fine del 1924. E ovviamente fu anche la gestazione più tormentata. Basta leggere l'interessante epistolario con il librettista Giuseppe Adami per rendersi conto di quanto il compositore fosse esigente e spesso insoddisfatto. Quando agli inizi del 1924 i suoi problemi di salute divennero evidenti, per completare l'opera mancava solo il duetto d'amore finale.

Due parole sugli ultimi mesi del compositore, così strettamente legati all'angoscia di non riuscire a terminare Turandot. Puccini fu sempre un accanito fumatore, e allora nulla si sapeva sugli effetti nocivi del fumo. Dal gennaio del 1924 avverte insistenti mal di gola. Non ci fa caso, si sente molto impegnato nel suo lavoro, ma in marzo decide di farsi visitare dal medico curante che diagnostica "un'infiammazione reumatica" e consiglia un soggiorno di cure a Salsomaggiore. Puccini ci va malvolentieri. Le cure non sortiscono effetto, il dolore non accenna a passare, deperisce di giorno in giorno, mangia pochissimo ma soprattutto non si sente più di scrivere musica. Passa una triste estate. Ai primi di settembre va a Milano per discutere con Toscanini dell'imminente prima. Ma è stremato di forze e il mal di gola continua a tormentarlo.

Finalmente, senza dire niente a nessuno, va a Firenze da un famoso otorinolaringoiatra che diagnostica un papilloma all'epiglottide. Ne parla col figlio, si tiene un consulto e si conclude che, poiché il tumore è in fase avanzata e ormai inoperabile, l'unica speranza è la nuova cura coi raggi X. Sono le primissime radioterapie, e in Europa si fanno solo in una clinica specialistica a Bruxelles.

Il 4 novembre Puccini parte per Bruxelles, ha con sé un quaderno di musica per appunti. Entra in clinica il 7. Dapprima gli fanno applicazioni radioterapiche esterne con un collare, ma poi occorre farle internamente nel tessuto tumorale. Infilano sette aghi nel tumore. C'è ottimismo. "Puccini en sortirà", dichiara il primario della clinica. Ma improvvisamente, il 29 novembre, il cuore cede e il compositore muore. Nella camera, fogli di musica sparsi con qualche abbozzo del duetto che sperava di scrivere durante la convalescenza.

Oggi Turandot viene rappresentata completa perché su suggerimento di Toscanini, che diresse poi la prima al teatro alla Scala nel 1926, al compositore Franco Alfano fu affidato il compito di musicare il testo mancante. Alfano giustamente non fece altro che riprendere temi melodici degli atti precedenti e adattarli al testo. Quindi la musica è di Puccini, ma non è la nuova melodia, quella che il compositore lucchese aveva in mente di creare per questo finale. Avrebbe dovuto e voluto scrivere qualcosa di veramente nuovo: il disgelo di Turandot. Sappiamo, come dimostra il suo epistolario, che Puccini aveva sempre ritenuto questo duetto finale la parte più importante dell'intera opera. A questo punto diventa legittimo chiedersi perché aspettò fino all'ultimo, perché non lo scrisse prima, visto che non necessariamente un autore compone seguendo di pari passo il testo. Quando ormai era obbligato a farlo, sopraggiunse la malattia e la morte. Perché questa rimozione?

Alla sua ispirazione musicale, era più connaturale il sacrificio di Liù, che difatti è l'ultima pagina da lui scritta e che si collegava idealmente e musicalmente alle morti di Manon, Mimì, Tosca, Butterfly, suor Angelica. Il pubblico voleva ancora questo da lui. Puccini, come abbiamo visto, desiderava invece rinnovarsi. E aveva trovato Turandot. Ma il compito era probabilmente più grande delle sue possibilità. L'immagine della donna che sfida l'uomo sul suo stesso terreno, come succede oggi, era ancora prematura per quei tempi. E Puccini stesso era legato a una concezione tradizionale della donna, quella che troviamo in Liù. Possiamo ben dire che l'opera finisce con la morte di Liù, tipica eroina pucciniana.

Turandot costituiva un miraggio, appunto una favola. Forse Puccini si rendeva conto di non avere i mezzi tecnici o l'ispirazione per qualcosa di radicalmente innovativo, quale aveva intuito, per il finale, nella sua fantasia. Sentiva dentro di sé questo limite, e rimandava nella speranza di trovare un'illuminante ispirazione. Alla fine l'inconscio lo aiutò a fargli preferire il silenzio, con la morte.


Alcune delle incisioni più celebri:














Link utili:

Articolo su Wikipedia in inglese
Articolo su Wikipedia in italiano
Libretto completo [pdf]
Analisi musicale e drammatica di Boris Goldovsky

3 commenti:

Pacuvio25 ha detto...

Splendida introduzione, ma come mai nemmeno un accenno a Busoni?


Unknown ha detto...

Grazie mille per il tuo lavoro, domenica prossima andrò a vedere Turandot molto preparato!


Christian ha detto...

Grazie a te Alessandro per il commento! Giro i tuoi complimenti a Giovanni e Marisa, che hanno scritto i post sulla Turandot.

Ne approfitto per rispondere finalmente anche a Pacuvio25 (e scusa il ritardo!). Hai ragione, effettivamente l'esistenza dell'opera di Busoni (risalente al 1917) meritava un accenno. Ma a parte il fatto che entrambe pescano dallo stesso materiale di partenza (ovvero la fiaba di Gozzi del 1762), non credo che musicalmente l'opera di Puccini e quella di Busoni abbiano molto altro in comune. È comunque possibile che Puccini la conoscesse e che proprio per questo motivo gli sia venuta la voglia di realizzare una propria versione. Semmai, come leggo su Wikipedia, pare che Adami e Simoni, i librettisti di Puccini, si siano in parte ispirati alla poco nota "Turanda" di Antonio Bazzini, che era stato uno degli insegnanti di Puccini al Conservatorio di Milano.