L'ultima grande opera di Puccini è ispirata da una fiaba: una scelta apparentemente innocua e dilettevole (considerando che, con molta superficialità e leggerezza, in genere pensiamo alla fiaba come a un prodotto – peggio ancora, a un sottoprodotto – adatto solo ai bambini) ma in realtà estremamente impegnativa e coinvolgente, come del resto appare subito considerando il tempo (quattro anni) e il dispendio di energie profuse da Puccini; tempo ed energie che non sono stati comunque sufficienti a portare a termine "Turandot".
La fiaba, come il mito, scaturisce dalla parte più remota dell'inconscio, quell'inconscio collettivo che Jung ha individuato e valorizzato, riconoscendone la grande ricchezza e fecondità e che costituisce la base e la matrice di ogni manifestazione ed evoluzione psichica. "L'inconscio si esprime per immagini" diceva Jung, e le immagini (sogni, miti, leggende, fiabe, visioni), nella loro suggestiva bellezza, alludono a realtà che trascendono la logica razionale, troppo schematica e definita del pensiero indirizzato, per esprimere la poliedricità e la complessità del mondo interiore, con i suoi eterni conflitti e i tentativi di soluzione.
"La verità non è venuta al mondo nuda, ma ama nascondersi" recitava già il più grande dei saggi dell'antichità, quell'Eraclito che è stato chiamato "l'oscuro" per la profondità, l'enigmaticità e la paradossalità del suo pensiero, ma che proprio per le sue straordinarie intuizioni si è rivelato il più moderno. Ricordo che il termine imago (da cui la nostra immagine e tutti i termini legati all'immaginario) è composto da imo = profondo, sotto, e ago da agere = agire, e perciò vuol dire "ciò che agisce dal profondo", cosa quindi tutt'altro che inerte o innocua, relegata solo al piano estetico, come si vuol far credere nella nostra civiltà. In realtà le immagini continuano ad agire dal profondo e perciò l'uso subdolo e irresponsabile che ne fa il marketing è pericoloso.
Nel cercare di farsi strada verso la coscienza, emergendo dal caos indifferenziato dell'inconscio, le immagini si organizzano e si strutturano in schemi che costituiranno poi i fili conduttori di miti, leggende e fiabe che, con innumerevoli varianti, ritroviamo in tutte le tradizioni e nelle culture più disparate.
L'arte ha sempre pescato in questo patrimonio suggestivo e sconfinato, contribuendo anzi ad alimentarlo, arricchirlo e dargli forma, o per ispirazione diretta degli artisti che pescano dal loro inconscio o come trascrizione libera e creativa partendo da tracce mitologiche già esistenti. Omero è già il prototipo del poeta-cantore che utilizza e amplifica in modo creativo le storie e le vicende leggendarie di eroi e divinità, contribuendo alla loro trasmissione e all'arricchimento della cultura. Nel mondo della musica basti pensare a Wagner o al "Flauto magico" di Mozart per aprire gli occhi sull'importanza dei temi mitologici e favolistici.
La figura archetipica che è alla base della capacità umana di trasformare le immagini in arte (musica e poesia) è Orfeo, che con la lira ricevuta in dono da Apollo (padre delle Muse) canta i Misteri di Dioniso, unificando così simbolicamente i due grandi elementi: l'apollineo e il dionisiaco, che solo nell'arte appunto trovano il loro equilibrio e sintesi. E qui si aprirebbe un discorso molto affascinante e complesso, che va da Nietzsche a Rilke, cui non posso dar seguito. Dichiaro comunque che mi ha conquistato la posizione di Rilke e il suo Orfeo come autentico rappresentante dello spirito che tende a ristabilire la visione unitaria e riportare l'armonia tra i due mondi (conscio-inconscio, sopra-sotto, vita-morte), sanando la scissione dell'uomo moderno.
Con "Turandot" siamo davanti a uno dei motivi fondamentali dell'evoluzione della coscienza: il tema della liberazione del femminile e della trasformazione della relazione dalla dipendenza e violenta sopraffazione alla reciprocità dell'Eros. Ma vedremo man mano come si costellano i vari aspetti e quale ne sia l'evoluzione.
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