7 dicembre 2010

Turandot (17) - Il disgelo

Scritto da Marisa

Subito dopo la morte di Liù e quello che è un vero lamento funebre da parte della folla e di Timur, Calaf irrompe quasi aggredendo Turandot e strappandole il velo per costringerla a vedere il sangue sparso per lei, scendere "giù sulla terra" dal suo trono di gelo e dal "tragico cielo" in cui si è arroccata.
Non avevamo mai visto Calaf così furente: anzi sì, all'inizio dell'opera, quando si scaglia in difesa del giovane principe di Persia che viene portato al patibolo, maledicendo Turandot; ma poi, da quando ha visto il verginale incanto della principessa, è tutto preso dalla speranza della vittoria. Ora esce dall'estatica contemplazione e dal compito intellettuale di risolutore di enigmi e tira fuori una capacità d'azione che spiazza completamente Turandot, che cerca di difendersi rifugiandosi nei vecchi schemi del suo ruolo ("Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono. Son la figlia del Cielo, libera e pura"). Calaf accorcia improvvisamente le distanze e passa dalla quasi aggressione al bacio (l'eterna somiglianza tra lotta ed amore, il profondo legame tra Ares ed Afrodite) e, nonostante le richieste di non essere profanata, Turandot cede allentando le ultime resistenze e si abbandona, non prima di aver sussurrato: "Che è mai di me? Perduta!". È un'affermazione molto importante perché segna la fine e quindi la morte della parte ostile di Turandot, che non potrà mai più essere come prima, fine che procede parallelamente alla morte di Liù. Dal punto di vista psicologico quindi le morti in realtà sono due e sono entrambe necessarie per far sorgere la "nuova" donna, libera dalla dipendenza di Liù ma anche dalla freddezza e dall'odio di Turandot. È la misteriosa ma profonda realtà della trasformazione, che passa sempre attraverso la morte: se non muore qualcosa della vecchia personalità non potrà nascere quella nuova, e qui le parti da sacrificare erano due, entrambe eccessive, unilaterali e non relate tra di loro.

Può sconcertare che Calaf tiri fuori una parte così decisa e da "macho", ma in questo momento è quello che ci vuole: ed è importante che, insieme alla gentilezza e alla pazienza, nell'uomo ci sia al momento giusto una parte decisa e "penetrante", un "aspetto Ares" in cui l'azione prende il comando. C'è un mito fondamentale nello sviluppo del femminile ed è quello del rapimento di Persefone, la giovane e vergine figlia di Demetra, da parte di Ade, il potente dio degli Inferi. È un mito molto complesso, su cui Jung ha lavorato estesamente nel suo saggio "Aspetto psicologico della figura di Core" e che Eric Neumann riprende ne "La psicologia del femminile". Sostanzialmente, per accedere a uno sviluppo più completo e incontrare l'uomo, bisogna che la "fanciulla Core" sia costretta da un maschile più forte e determinato, una "dolce violenza". La parte ancora legata alla madre (Core legata a Demetra) deve subire uno strappo, che per la coscienza verginale equivale all'essere rapita e condotta nel regno degli Inferi, tanto è la distanza tra la fanciulla e la sessualità adulta, con l'esperienza di darsi a un uomo. È un evento sconvolgente e un passaggio iniziatico molto netto e irreversibile. Solo dopo si potrà ristabilire un'unità spirituale più profonda tra madre e figlia ed inaugurare i "Misteri Eleusini", ampliando la coscienza femminile con l'inclusione intrapsichica dell'asse madre-figlia. Ma perché il tutto vada a buon fine e non sia quindi uno stupro, bisogna che anche la donna sia pronta; e qui Calaf coglie l'abbassamento delle resistenze in Turandot e giustamente avverte la menzogna dietro le parole ("Il gelo tuo è menzogna!") e sente che è ormai pronta all'avvicinamento.

Oramai è l'alba e l'approssimarsi del sole segna la fine delle tenebre come oscuramento della coscienza. E il canto dei fanciulli consacra il connubio tra "luce" e "vita", riprendendo il profetico tema dell'inizio, mentre Calaf esulta "Mio fiore mattutino!".

Clicca qui per il testo di "Principessa di morte!".

CALAF
Principessa di morte!
Principessa di gelo!
Dal tuo tragico cielo
scendi giù sulla terra!
Ah, solleva quel velo!
Guarda, crudele,
quel purissimo sangue
che fu sparso per te!

TURANDOT
Che mai osi, straniero!
Cosa umana non sono!
Son la figlia del Cielo,
libera e pura.
Tu stringi il mio freddo velo
ma l'anima è lassù!

CALAF
La tua anima è in alto,
ma il tuo corpo è vicino!
Con le mani brucianti stringerò
i lembi d'oro del tuo manto stellato.
La mia bocca fremente premerò su di te...

TURANDOT
Non profanarmi!

CALAF
Ah, sentirti viva!

TURANDOT
Indietro!

CALAF
Il gelo tuo è menzogna!

TURANDOT
No, mai nessun m'avrà!

CALAF
Ti voglio mia!

TURANDOT
Dell'ava lo strazio
non si rinnoverà! Ah, no!

CALAF
Ti voglio mia!

TURANDOT
Non mi toccar, straniero!
È un sacrilegio!

CALAF
No, il bacio tuo
mi dà l'eternità!

TURANDOT
Sacrilegio!
Che è mai di me? Perduta!

CALAF
Mio fiore! Oh, mio fiore mattutino!
Mio fiore, ti respiro!
I seni tuoi di giglio,
ah, treman sul mio petto!
Già ti sento mancare di dolcezza,
tutta bianca nel tuo manto d'argento...

TURANDOT
Come vincesti?

CALAF
Piangi?

TURANDOT
È l'alba! Turandot tramonta!

I RAGAZZI
L'alba! Luce e vita! Tutto è puro!

GLI UOMINI
L'alba! Luce e vita!
Principessa, che dolcezza nel tuo pianto!

CALAF
È l'alba! E amore nasce col sole!

I RAGAZZI
Tutto è santo! Che dolcezza nel tuo pianto!

TURANDOT
Che nessun mi veda,
la mia gloria è finita!

CALAF
No! Essa incomincia!

TURANDOT
Onta su me!

CALAF
Miracolo! La tua gloria risplende
nell'incanto del primo bacio,
del primo pianto!

TURANDOT
Del primo pianto. Ah! Del primo pianto!
Sì, straniero, quando sei giunto,
con angoscia ho sentito il brivido fatale
di questo mal supremo.
Quanti ho visto morire per me!
E li ho spregiati. Ma ho temuto te!
C'era negli occhi tuoi la luce degli eroi.
C'era negli occhi tuoi la superba certezza.
E t'ho odiato per quella!
E per quella t'ho amato!
Tormentata e divisa fra due terrori uguali:
vincerti o esser vinta.
E vinta sono!
Ah! Vinta, più che dall'alta prova,
da questa febbre che mi vien da te!



Placido Domingo, Ghena Dimitrova


Luciano Pavarotti, Joan Sutherland

Franco Corelli, Lucille Udovich

2 commenti:

Christian ha detto...

Questa parte dell'opera (da qui sino al finale) è quella lasciata incompiuta da Puccini. Come aveva scritto Giovanni nella sua introduzione, è sintomatico che il compositore si sia "fermato" alla morte di Liù, trovando una sorta di barriera in questo atipico duetto d'amore.
La musica che si sente di solito in questa scena è quella composta da Franco Alfano (di cui esistono due versioni, la prima più "personale" e la seconda basata più da vicino sui pochi appunti lasciati da Puccini), ma ci sono partiture alternative, scritte nel corso degli anni da vari autori (come quella di Luciano Berio del 2001).


Marisa ha detto...

Il lavoro di Alfano è di tutto rispetto perchè non crea frattura con il resto.
Certo per un finale anche musicalmente nuovo ci sarebbe voluta un'idea nuova, ma evidentemente Puccini non era ancora in sintonia con un rinnovamento radicale, visto che era già assalito dal male che lo stava conducendo alla morte.
Non conosco le altre soluzioni e mi piacerebbe ascoltarle.