L'ouverture del "Don Giovanni" presenta alcune atipicità rispetto a quelle che Mozart scrisse per le altre sue opere. In primo luogo, pare che il compositore l'abbia completata solo all'ultimo momento. Alcune biografie asseriscono che fu composta due giorni prima del debutto dell'opera, altre fonti affermano addirittura che venne scritta la notte precedente, tanto che "le partiture arrivarono sui leggii degli orchestrali ancora umide dell'inchiostro dei copisti (cosa che costrinse i musicisti a leggere a prima vista)". La cosa è quantomeno strana, se si pensa che la data della "prima" era stata spostata in avanti di due settimane (prevista inizialmente per il 14 ottobre 1787, in occasione dei festeggiamenti in onore del principe Antonio di Sassonia e dell'arciduchessa Maria Teresa, a Praga in viaggio di nozze, fu dapprima rinviata al 24 a causa del ritardo dei preparativi, e poi addirittura al 29 per l'improvvisa malattia di una cantante). Ciò nonostante, Mozart attese l'ultimo momento utile per comporre il brano. Fra le testimonianze al riguardo, cito quella di Georg Nikolaus Nissen, il secondo marito di Constanze Mozart, che scrive: "Il penultimo giorno prima dell'esecuzione del Don Giovanni a Praga, quando era già avvenuta la prova generale, [Mozart] disse di sera a sua moglie di voler scrivere durante la notte l'ouverture [...]. La moglie lo consigliò di sdraiarsi sul canapè, promettendogli di svegliarlo di lì a un'ora [...]. Erano le cinque. Alle sette sarebbe venuto il copista e alle sette l'ouverture era terminata".
Un'altra caratteristica che distingue il brano dalle sinfonie di altre opere mozartiane è il forte rimando musicale all'opera stessa. Sin dalle prime note, un Andante con moto che Mozart sceglie di comporre nella "metafisica" tonalità di re minore (la stessa che utilizzerà nel suo Requiem, quattro anni più tardi), la musica trasmette inquietudine e mette in chiaro che l'opera cui si sta per assistere non è una consueta "opera buffa". Anzi, sarà dominata da un lato oscuro, e in particolare dal tema della morte. Non a caso lo stesso motivo musicale verrà ripetuto pari pari nel finale, nella penultima scena, quella in cui la statua del Commendatore (inviata dall'Aldilà) entrerà nella casa di Don Giovanni per portarlo con sé all'inferno. Da notare che riproporre un brano completo dell'opera (l'ingresso del Commendatore) all'interno dell'ouverture era una pratica insolita per Mozart, che al massimo si era limitato o si limiterà a brevi "accenni" (una breve sezione nell'ouverture del "Ratto del Serraglio" riprende il brano iniziale del tenore, con cambio di tonalità da maggiore in minore; le prime battute del "Così fan tutte" saranno riprese da Don Alfonso quando canta le parole che danno il titolo all'opera; i tre solenni accordi iniziali del "Flauto Magico" si ritrovano durante le celebrazioni dei sacerdoti nel tempio; ma il resto della composizione è del tutto originale).
A questa prima parte così intensa ne segue poi una seconda dal carattere decisamente più giocoso, un Allegro: ecco dunque che anche nel brano introduttivo si possono sperimentare le diverse anime dell'opera, quella drammatica e soprannaturale, e quella festosa e gaudente. L'ouverture si spegne poi rallentando e "scivolando" lentamente verso il primo numero cantato.
In quest'opera nella quale sembra che tutto possa accadere, che qualsiasi evento possa entrare in gioco da un momento all'altro per smentire il precedente (da cui il miracolo di una discontinuità che non distrugge però la continuità), si ricava la sensazione che tutto sia già accaduto, stabilito per sempre. A dare questa sensazione contribuisce sommamente l'Ouverture, che Mozart compose a opera ultimata, secondo una leggenda addirittura solo nella notte precedente la prima praghese (fosse quella notte, o all'antivigilia della prima esecuzione, importa poco). Anziché assegnarle, com'era nella prassi comune dell'epoca e come anche Mozart aveva fatto per esempio nelle Nozze di Figaro, una mera funzione introduttiva, ossia di preparazione al clima generale dell'opera, egli l'investì di un compito più specifico, quello di riassumere anticipatamente lo svolgimento drammatico. Ma in che modo? Fissando distintamente e invertendo i cardini di questo stesso svolgimento. Nell'opera esso si articola in due fasi principali. La prima è interamente percorsa dallo scatenamento dello slancio vitale virtualmente inarrestabile del protagonista, alieno a qualunque forza e legge umana o divina che non sia quella dell'eros; la seconda è caratterizzata dall'intervento di un'entità soprannaturale che, arrestando il tempo, interrompe il corso delle avventure di Don Giovanni e ne demarca il confine oltre il quale si affaccia l'abisso. Nell'Ouverture queste due fasi sono non solo annunciate bensì a loro volta svolte, ma a termini, come si è detto, invertiti: prima viene presentata la densa "tematica", costituzionalmente statica, del Commendatore (Andante in re minore: imperiosi accordi a piena orchestra sincopati nel forte, implacabile ritmo di marcia, fatidici inerpicamenti cromatici degli archi ancora in sincope, fredde ottave di corni e trombe, gelide sventagliate di scale ascendenti e discendenti), poi quella dinamica, spigliata di Don Giovanni (Allegro molto in re maggiore: un tempo di sonata così incisivamente profilato da rappresentare l'esaltazione sfrenata di Don Giovanni nelle sue diverse manifestazioni: la sensualità demoniaca, l'energia nell'agire, la leggerezza frizzante, la nobile natura cavalleresca). Non si tratta di semplici allusioni ma di vere e proprie proposizioni. Se la raffigurazione di Don Giovanni già contiene gli incisi e i motivi tematici che concorrono idealmente alla costituzione dei diversi personaggi scenici che nell'opera formeranno la sua individualità, la musica dell'Andante iniziale ritorna con tutta la sua forza rappresentativa nel finale, per accompagnare il terrificante ingresso della statua del Commendatore nella sala da pranzo di Don Giovanni e dettarne gli accenti perentori su ritmi ormai simbolicamente fatali. Ma ciò che qui ora avviene scenicamente, là era già avvenuto in sintesi: ed è come se l'azione venisse contemplata a posteriori, e ritornasse vivida nel ricordo per ribadire le fasi del suo svolgimento. L'effetto complessivo assomiglia alla differenza che intercorre tra sogno e realtà: la visione intuitiva, istantanea, sommaria del sogno (Ouverture) diviene, nella realtà concreta dell'azione, concatenazione logica di eventi teatrali.(Sergio Sablich)
Herbert von Karajan (1987) | Wilhelm Furtwängler (1954) |
Riccardo Muti (1987) | James Levine (2000) |
Colin Davis (1984) | Nikolaus Harnoncourt (1989) |
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