Leporello è fuggito, e Don Ottavio finalmente si dichiara convinto della colpevolezza di Don Giovanni (cosa che a tutti gli altri era evidente da un pezzo: ma a quanto pare i "pregiudizi di classe", di cui abbiamo già parlato, ancora non permettevano a un nobiluomo come lui di essere certo al cento per cento delle nefandezze di un suo pari: "Come mai creder deggio / di sì nero delitto / capace un cavaliero?", si chiedeva poco prima). A questo punto, Ottavio invita Elvira, Masetto e Zerlina a trattenersi nella dimora di Donna Anna, per farle compagnia e consolarla, mentre lui si recherà a inoltrare "un ricorso a chi si deve": la sua vendetta, infatti, passa necessariamente per le autorità competenti (a differenza di Masetto, che aveva cercato di farsi giustizia da sé). È ovvio però (almeno per noi spettatori) che Don Giovanni non può essere punito dalla legge degli uomini, ma solo dalla giustizia ultraterrena: per questo motivo le parole e le azioni – almeno quelle minacciate – di Don Ottavio ci sembrano un po' ridicole (e di conseguenza, tutto il personaggio), cosa che però non ci impedisce di ammirare la sublime bellezza della musica che Mozart ha composto per lui, e per quest'aria in particolare.

Dopo la prima rappresentazione dell'opera a Praga (1787), l'aria "Il mio tesoro intanto" fu eliminata da Mozart in occasione dell'allestimento di Vienna dell'anno successivo, forse perché non gradita al tenore Francesco Morella, e sostituita con un duetto fra Leporello e Zerlina ("Per queste tue manine", di cui parleremo nel prossimo post), mentre ad Ottavio veniva concessa la meno impegnativa aria del primo atto "Dalla sua pace". Oggi, naturalmente, vengono solitamente conservati entrambi i brani per tenore (il duetto invece è raramente eseguito). L'aria è divisa in due parti che si alternano con lo schema A-B-A-B: la prima, "Il mio tesoro intanto", accompagnata da un'idea melodica semplice eppure dolcissima e tenera; e la seconda, decisamente più veemente e ricca di contrasti dinamici, "Ditele che i suoi torti". L'impetuosa chiusura orchestrale, che accompagna versi forti come "Che sol di stragi e morti / nunzio vogl'io tornar", sembra quasi ironicamente stridere con il carattere di Don Ottavio per come è stato presentato fin qui. Naturalmente, nel prosieguo della vicenda, Ottavio tutto farà tranne che tornar nunzio "di stragi e morti"! A parte una breve scena con Donna Anna, lo rivedremo solo nel controfinale, quando a punire Don Giovanni ci avrà già pensato il fantasma del Commendatore in persona, con tutto il suo corteo di diavoli dell'inferno.
La cristallizzazione di questa scena assai movimentata avviene nel recitativo e aria di Don Ottavio "Il mio tesoro intanto", pervasa di accenti eroici e cavallereschi un tantino compunti, ma riscattata da un'idea melodica non meno che sublime nella sua astrazione. La decisione di eliminare quest'aria nelle rappresentazioni viennesi e di sostituirla con una serie di brani farseschi tra Zerlina e Leporello suona stonata e del tutto pleonastica: essa fa precipitare il tono dall'alto della più nobile compostezza al basso di una corda quasi triviale, che non trova riscontro in nessun altro passo dell'opera.Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.(Sergio Sablich)
DONN'ELVIRA
Ferma, perfido, ferma!
MASETTO
Il birbo ha l'ali ai piedi...
ZERLINA
Con qual arte
si sottrasse, l'iniquo!
DON OTTAVIO
Amici miei,
dopo eccessi sì enormi,
dubitar non possiam che Don Giovanni
non sia l'empio uccisore
del padre di Donn'Anna.
In questa casa per poche ore fermatevi:
un ricorso vo' far a chi si deve,
e in pochi istanti
vendicarvi prometto.
Così vuole dover, pietade, affetto.
Clicca qui per il testo del brano.
DON OTTAVIOIl mio tesoro intanto
andate a consolar.
E del bel ciglio il pianto
cercate di asciugar.
Ditele che i suoi torti
a vendicar io vado,
che sol di stragi e morti
nunzio vogl'io tornar.
Gösta Winbergh
Luigi Alva | Nicolai Gedda |
Anton Dermota | Michael Schade |
Alfredo Kraus | Beniamino Gigli |
Placido Domingo | Fritz Wunderlich |

Nell'allegro coro nuziale del primo atto a Masetto spettava la seconda strofa, quella che invita i ragazzi a non disperdere le energie “girando qua e là...” ma a vivere in pieno “la festa” perché questa dura poco. C'è già tutto un programma da cui partire per inquadrare il personaggio e studiarne l'evoluzione.
Mentre per Zerlina la disponibilità è a non lasciar passare l'età assecondando quello che “bulica il core”, cioè la seduzione del momento (e abbiamo visto come questo apra la porta a Don Giovanni), per Masetto la gioia (“che piacer, che piacer che sarà!”) è nella possibilità di non disperdere le energie giovanili sfarfalleggiando, ma cercare di vivere la propria festa fino in fondo, cioè dentro la propria storia d'amore, sposando la sua amata e cercando di formare una vera famiglia.
A differenza dell'altro rappresentante della classe inferiore, Leporello, che si accoda servilmente ai nobili scimmiottandoli e cercando il proprio tornaconto rimanendo attaccato ad essi, Masetto prende coscienza dei privilegi ingiusti ed anticipa la rivolta del popolo che sfocerà ben presto nella grande rivoluzione. Il vero rivoluzionario, anche se mosso per ora solo dalla gelosia, non è quindi Don Giovanni, a cui la libertà serve solo per i propri capricci, ma Masetto, che organizza i contadini per dare una lezione al nobile signore.
Masetto è l'unico a passare veramente all'azione, anche se sembra che Mozart ci rida un po' sopra vanificando i suoi piani (ma questo fa parte dell'invulnerabilità archetipica di Don Giovanni, che potrà essere punito solo dal cielo), in netto contrasto anche con l'altro nobile, Don Ottavio, che pur continuando a proclamare ad alta voce l'intenzione di andare a far vendetta, in realtà non agisce mai.


