17 gennaio 2015

18. Sonetto: "Sognai di Cimarosa, ahi vista amara!"

Scritto da Christian

L'ira del Conte Asdrubale verso Giocondo e Clarice non è di lunga durata. Il cavaliere gli spiega infatti che si è trattato di un equivoco e che la Marchesa gli è sempre rimasta fedele, assumendo su di sé ogni colpa: e Asdrubale ("Il vostro affetto per lei m'era già noto, e la vostra virtù") si mostra pronto a dimenticare.

Subito dopo Clarice annuncia al Conte l'imminente arrivo del suo fratello gemello, Lucindo: creduto morto, in realtà è ancora vivo ed è un militare, accampato con la sua compagnia nella città vicina. Il Conte suggerisce alla Marchesa di invitare anche lui nella villa, ignaro che si tratta di un escamotage della donna per rendergli pan per focaccia e mettere alla prova i suoi sentimenti, come lui aveva fatto con lei.

Ma fra un recitativo e l'altro, nella parte centrale del secondo atto era prevista anche una sequenza satirica e assai particolare. La scena in questione, in cui Clarice recita un sonetto scritto da Giocondo, rappresenta un attacco di Romanelli contro i tanti maestri di musica da strapazzo (come il Petecchia qui idolatrato da Pacuvio) che si vantavano di essere gli eredi di Domenico Cimarosa, a quei tempi (era morto nel 1801, ossia undici anni prima) visto ancora come il massimo punto di riferimento dell'Italia musicale. Satirico e un po' macabro (con gli artistucoli ritratti come "pigmei" pronti a fare strage dei resti di Cimarosa), il sonetto non fu però mai messo in musica da Rossini. Anzi, l'intera scena non fa parte degli allestimenti tradizionali della "Pietra del paragone", e peraltro aveva un carattere transitorio sin dall'inizio (tanto che nell'introduzione del libretto si legge: "Il sonetto che cade nella scena X dell'atto II non si reciterà che nelle prime tre sere, dopo le quali si tralascerà eziandio tutta la medesima scena").




Clicca qui per il testo del recitativo fra Fulvia e Pacuvio.

[FULVIA
Io posso dir d'averla indovinata
restando in casa.

FABRIZIO
È stato veramente
un fiero temporal.

PACUVIO (a Fabrizio)
Corri, t'affretta.

FABRIZIO
Dove? che fu?

PACUVIO
Per asciugar gli scritti
sono entrato in cucina; ivi alla recita
d'una mia scena dolcebrusca il cuoco
è caduto in declivio.

FABRIZIO
La vuol dire in deliquio.

PACUVIO
Certo, è là delinquente in un cantone.

FABRIZIO
Sarà stata la puzza del carbone.
(partendo in fretta)]

PACUVIO
Ah! donna Fulvia, se non era il tempo,
avrei fatta una strage di selvaggiume:
(mettendo fuori di tasca un picciolissimo uccello morto)
altro perciò non posso esibirvi che questo
picciolo segno della mia bravura.

FULVIA (voltandogli le spalle e partendo)
Non so che farne.

PACUVIO
È morto di paura.


Clicca qui per il testo del recitativo fra il Conte e Giocondo.

CONTE
Di quanto poco fa Clarice e voi
a me diceste, io sono
persuaso abbastanza.

GIOCONDO
Ella è innocente:
né reo son io che di leggiera colpa,
se può colpa chiamarsi...

CONTE
Il vostro affetto per lei m'era già noto,
e la vostra virtù.

GIOCONDO
Ma quando mai risolverete?

CONTE
Il matrimonio è un passo,
un passo grande!

GIOCONDO
E non vi basta ancora...

CONTE
Risolverò: per ora
pensiamo a divertirci con Macrobio,
che sfidarmi dovea.

GIOCONDO
Come vi piace.

CONTE
Andiam.

GIOCONDO
(Che strana idea!)


Clicca qui per il testo del recitativo fra Clarice, il Conte e Giocondo.

CLARICE (ansante per la gioia, con una lettera dissigillata in mano)
Amici, oh! qual d'una sorella al cuore
soave annunzio inaspettato!
Udite: il Capitan Lucindo,
il mio caro Lucindo, il mio gemello...

CONTE (in aria di scherzo)
Dagli Elisi tornò?

CLARICE
Quegli ch'estinto
da ciascun si credea, vive; e son questi
dopo sett'anni di silenzio i suoi
preziosi caratteri.
(sorpresa degli altri due)

[CLARICE
(Perdona, ombra del mio german, se all'uopo io chiamo
de' miei disegni il nome tuo.)

CONTE
Ma dove si trattenne finor?

GIOCONDO
Perché non scrisse?

CONTE
Fu prigionier?

CLARICE
No 'l so: di tutto a voce
m'informerà. L'ottavo sole appena
sorgea di nostra età, quando il destino
ci separò; pur le sembianze ancora
io n'ho presenti.

CONTE
Eppoi specchiandovi...

GIOCONDO
Sibben, le avete in voi.

CONTE
S'egli, è ver, ch'eravate...

CLARICE
Certamente:
eravam somiglianti,
come due gocce d'acqua. Oh quante volte
la nostra buona madre
con le cangiate fanciullesche spoglie
le paterne pupille
tradì per giuoco! e un dolce error di nomi,
non già d'affetti, risuonò su i labbri
del comun padre!

CONTE
Io mi consolo.

GIOCONDO
A parte son de' vostri contenti.]

CLARICE (al Conte)
Se il permettete alla cittade io volo,
dove m'attende il mio german.

CONTE
Che venga ei stesso qui.

CLARICE
«Breve in Italia», ei scrive,
«sarà la mia dimora;
né voglio abbandonar la compagnia».

CONTE
Qui la conduca, e quanto vuol ci stia.

[CLARICE
Quest'è troppo.

CONTE
Che troppo? i militari io sempre amai.

CLARICE
Le vostre grazie in voce
dunque ad offrirgli andrò.

CONTE
Se ricusasse,
mi farebbe un affronto.]

CLARICE
(Già previsto io l'avea; tutto è già pronto.)


Clicca qui per la scena del sonetto.

PACUVIO (mostrando una lettera)
Nuova grande! è arrivato sin qui da ieri alla piazza
il maestro Petecchia, il celeberrimo...

CONTE
Credete voi che molti siano in oggi
i maestri di vaglia?

PACUVIO
Più di cento
saran senz'altro, e tutti bravi,
e tutti conosciuti da me.

CLARICE (in aria di derisione)
Compreso ancora
il maestro Petecchia.

GIOCONDO
Certo, ossia febbre putrida.

CONTE (al cavalier Giocondo)
In acconcio qui cadrebbe, a me sembra,
quel tal vostro sonetto, in cui fingete,
se non m'inganno, d'aver fatto un sogno,
recitatelo in grazia.

GIOCONDO
In grazia dispensatemi.

CLARICE
Via, cavalier.

GIOCONDO
Non mi sovvien... scusatemi.

CLARICE
Finiamola. Un mio furto
confesserò, cui tenne man Fabrizio.

GIOCONDO (turbandosi)
Come? il sonetto?...

CLARICE
Io l'ebbi, e il so a memoria.

CONTE
Dunque...

CLARICE
Sarà mia gloria
far cosa grata al Conte.

GIOCONDO (a Clarice)
Ah! no, vi prego...

CONTE (a Giocondo)
Anzi a vostro dispetto.

PACUVIO
(Quante caricature!)

CLARICE
Ecco il sonetto.


Sognai di Cimarosa, ahi vista amara!
la fredda salma sull'adriaco suolo:
i gran maestri, onde l'Ausonia è chiara,
cerchio a quella facean d'omaggio e duolo;

quando piombò sulla funerea bara
non so qual di pigmei musico stuolo:
squarciarne i membri, e depredarli a gara
fu per essi un sol voto, un punto solo.

Non rimanea che il capo: insidiosa
vidi una man, che d'afferrarlo ardia;
ma il capo si levò, mirabil cosa!

e l'aurea bocca, ove del canto in pria
sedean le grazie, mormorò sdegnosa:
«Canaglia, indietro; che la testa è mia».


CLARICE
Che ne dite Pacuvio?

PACUVIO (con aria d'importanza)
Non c'è male.

GIOCONDO (a Pacuvio con caricatura)
Grazie alla sua bontà.

CONTE (al medesimo)
Questo sonetto
proprio di fronte attacca
quei vostri cento e più.

PACUVIO
(Non vale un'acca.)