Lo "scudiero" Ramiro annuncia al padrone di casa, Don Magnifico, l'imminente arrivo del “principe”. E pochi istanti dopo, ecco giungere la carrozza reale e il suo seguito: è il momento della sensazionale entrata in scena di Dandini, il cameriere che per un giorno recita la parte del nobile. Il servitore si dà da fare per non sfigurare nella messinscena, ma finisce con l'esagerare con i modi ricercati e le frasi da aristocratico, dando vita a un effetto comico su più piani: quello testuale e quello musicale (oltre che, se l'allestimento è ben curato, quello scenografico).
Introdotto dal coro dei cortigiani che lo esortano ad affrettarsi a prendere una sposa (“La principesca linea se no s'estinguerà”), Dandini esordisce con un'ardita similitudine, paragonandosi a un'ape che vola di fiore in fiore per scegliersi il “boccone” più prelibato. Fra una frase pomposa e l'altra, però, è ben conscio di recitare una commedia che – quando sarà svelata – per alcuni potrebbe tramutarsi in tragedia. Terminato il suo brano (ricco di colorature e di difficile esecuzione: una vera prova d'esame per ogni baritono rossiniano che si rispetti, al pari della cavatina di Figaro nel “Barbiere”), Dandini continua nel suo artificioso eloquio, esibendosi in spudorati elogi alle due figlie di Don Magnifico e al suo ospite stesso, al quale paragona indelicatamente le due ragazze (“Son tutte papà”, aveva già intonato durante l'aria; e ora azzarda una frase in latino, “Tales patris talem filias”, che risulta del tutto sgrammaticata: la versione corretta avrebbe dovuto essere “Tali patris, talem filia”). Quando inanella l'ennesimo complimento fuori luogo (“Vere figure etrusche!”; poco prima aveva persino affermato “Siete l'ottava e nona meraviglia!”), Ramiro si accinge a riprenderlo: “cominci a dirle grosse”, al che il servo replica spiegando il suo concetto di grandeur: “Grande essendo, grandi le ho da sparar!”. In precedenza, per due volte, il principe lo aveva ripreso anche più duramente con un “Bestia!” (cui Dandini aveva ironicamente risposto “Grazie!”), un termine che forse non fa tanto parte del lessico di Ramiro quanto di quello di Don Magnifico (che infatti userà lo stesso epiteto, rivolgendolo ad altri o a sé stesso, ben quattro volte in tutta l'opera).
A questo punto Dandini si rende conto di non aver ancora recitato il discorso che Ramiro gli aveva ordinato di fare, e cerca rapidamente di porre rimedio recitandolo tutto d'un fiato come se fosse una filastrocca, con effetti esilaranti dovuti anche alle ripetute rime in “-ato”. Non si tratta però solo di una gag: il discorso è utile per spiegarci i motivi per cui il principe ha così fretta di trovare una moglie. Tornato dai suoi “lunghi viaggi”, ha trovato il padre in fin di vita (“fra i quondam è capitombolato”, frase impagabile che unisce cultura alta – l'avverbio latino “quondam” significa "una volta", "un tempo": tra i quondam vuole dire "tra i defunti" – e cultura bassa – il “capitombolo”, termine non certo degno di un principe) che ha minacciato di diseredarlo se non si fosse sposato immediatamente (o meglio, “a vista qual cambiale”, altra metafora efficace ma non proprio aristocratica!). A questo punto, dovendo contrarre matrimonio per forza, tanto vale cercare fra le ragazze del circondario la più bella e meritevole.
Mentre tutto il gruppo si appresta a raggiungere la residenza estiva del principe (la “deliziosa”, nome che designava un piccolo fabbricato o capanna in un parco, utilizzato in alternativa alla casa in muratura durante i periodi più caldi) dove si terranno la cena e il ballo, e mentre Dandini non perde occasione per fare un'altra gaffe di cui naturalmente Don Magnifico non si rende conto (la frase “Perseguitate con i piè baronali i magnifici miei quarti reali” può essere letta, oltre che “venite nei miei appartamenti”, anche con il significato di “prendetemi a calci nel didietro”!), ecco che Angelina prende il coraggio a due mani e si decide a chiedere al patrigno il permesso di recarsi anche lei alla festa. Non certo per conquistare il principe, come sperano di fare invece le sorellastre, ma solo per trascorrere un breve momento di svago dalla sua dura vita “sempre fra la cenere”.
Clicca qui per il testo del recitativo che precede il brano.
RAMIRO
Non so che dir.
Come in sì rozze spoglie
sì bel volto e gentil!
Ma don Magnifico non comparisce ancora?
Nunziar vorrei
del mascherato principe l'arrivo.
Fortunato consiglio!
Da semplice scudiero
il core delle femmine
meglio svelar saprò.
Dandini intanto recitando da principe...
DON MAGNIFICO
Domando un milion di perdoni.
Dica: e sua altezza il principe?
RAMIRO
[Or ora] arriva.
DON MAGNIFICO
E quando?
RAMIRO
Tra tre minuti.
DON MAGNIFICO
(in agitazione)
Tre minuti!
Ah figlie, sbrigatevi!
Che serve? Le vado ad affrettar.
Scusi, con queste ragazze benedette
un secolo è un momento alla toelette.
(esce)
RAMIRO
Che buffone! E Alidoro mio maestro
sostien che in queste mura
sta la bontà più pura!
[Basta, basta, vedrem. Alle sue figlie
convien che m'avvicini.]
(si ode una carrozza)
Qual fragor!... Non m'inganno, ecco Dandini.
Clicca qui per il testo del brano.
CORO DI CAVALIERI
Scegli la sposa, affrettati:
s'invola via l'età.
La principesca linea
se no si estinguerà.
DANDINI
Come un'ape ne' giorni d'aprile
va volando leggera e scherzosa,
corre al giglio, poi salta alla rosa,
dolce un fiore a cercare per sé,
fra le belle m'aggiro e rimiro:
ne ho vedute già tante e poi tante;
ma non trovo un giudizio, un sembiante,
un boccone squisito per me.
(Don Magnifico in gala presenta Clorinda e Tisbe a Dandini)
CLORINDA
Prence...
TISBE
Sire...
CLORINDA, TISBE
Ma quanti favori!
DON MAGNIFICO
Che diluvio, che abisso di onori!
DANDINI
(con espressione or all'una, or all'altra)
Nulla, nulla. Vezzosa! Graziosa!
(accostandosi a Ramiro, piano)
Dico bene? Son tutte papà.
RAMIRO
(piano, a Dandini)
Bestia! Attento, ti scosta di qua.
DANDINI
(alle due sorelle, che lo guardano con passione)
Per pietà, quelle ciglia abbassate.
Galoppando se n' va la ragione,
e fra i colpi d'un doppio cannone
spalancata la breccia è di già.
(Ma al finir della nostra commedia,
che tragedia qui nascer dovrà!)
CLORINDA, TISBE
(Ei mi guarda, sospira, delira,
non v'è dubbio, è mio schiavo di già.)
RAMIRO
(Ah! perché qui non viene colei
con quell'aria di grazia e bontà?)
DON MAGNIFICO
(È già cotto, stracotto, spolpato:
l'eccellenza si cangia in maestà.)
Clicca qui per il testo del recitativo che segue il brano.
DANDINI
Allegrissimamente! Che bei quadri,
che bocchino, che ciglia!
Siete l'ottava e nona meraviglia.
Già: talis patris, talem filias.
CLORINDA, TISBE
Grazie.
DON MAGNIFICO
Altezze delle altezze, che dice?
Mi confonde: debolezze.
DANDINI
Vere figure etrusche!
(piano a Ramiro)
Dico bene?
RAMIRO
(piano a Dandini)
Cominci a dirle grosse.
DANDINI
(piano a Ramiro)
Io recito da grande,
e grande essendo,
grandi le ho da sparar.
DON MAGNIFICO
(piano alle figlie, con compiacenza)
Bel principotto!
Che non vi scappi, attente!
DANDINI
Or dunque, seguitando quel discorso
che non ho cominciato...
Dai miei lunghi viaggi ritornato,
e il mio papà trovato,
che fra i quondam è capitombolato,
e spirando ha ordinato
che a vista qual cambiale io sia sposato,
o son diseredato;
fatto ho un invito a tutto il vicinato,
e trovando un boccone delicato,
per me l'ho destinato:
ho detto, ho detto, e adesso prendo fiato.
DON MAGNIFICO
(Che eloquenza norcina!)
CENERENTOLA
(entrando osserva l'abito del principe e Ramiro che la guarda)
(Ah! Che bell'abito!
E quell'altro mi guarda...)
RAMIRO
(Ecco colei!
Mi ripalpita il cor.)
DANDINI
Belle ragazze, se vi degnate,
inciambellate il braccio ai nostri cavalieri.
Il legno è pronto.
CLORINDA
Andiam.
TISBE
Papà, eccellenza,
non tardate a venir.
(Clorinda e Tisbe escono)
DON MAGNIFICO
(a Cenerentola, voltandosi)
Che fai tu qui?
Il cappello e il bastone!
CENERENTOLA
(scuotendosi dal guardar Ramiro)
Eh! Sì signor.
(parte)
DANDINI
Perseguitate presto
con i piè baronali
i magnifici miei quarti reali.
(parte)
DON MAGNIFICO
(entrando nella Camera dove è entrata Cenerentola)
Monti in carrozza, e vengo.
RAMIRO
(E pur colei vo' riveder.)
DON MAGNIFICO
(di dentro, in collera)
Ma lasciami!
RAMIRO
(La sgrida?)
CENERENTOLA
Sentite...
DON MAGNIFICO
(esce con cappello e bastone, trattenuto con ingenuità da Cenerentola)
Il tempo vola.
RAMIRO
(Che vorrà?)
DON MAGNIFICO
Vuoi lasciarmi?
CENERENTOLA
Una parola.
Claudio Desderi
Pietro Spagnoli
Alessandro Corbelli | Simone Alberghini |
Gino Quilico | Sesto Bruscantini |
Marco Vinco | Samuel Ramey |

Mentre Don Magnifico, Clorinda e Tisbe si ritirano nelle proprie stanze per prepararsi all'imminente arrivo del principe, ecco quest'ultimo (Don Ramiro) giungere nei pressi della villa. Indossa i panni del suo scudiero Dandini, che a sua volta comparirà più tardi in abiti da nobile: si tratta di un suggerimento del saggio Alidoro, per permettere a Ramiro di studiare meglio “il core delle femmine”. Il filosofo ha già avvisato il giovane che una delle figlie di Don Magnifico è buona e pura, ed è per questo motivo che Ramiro ha deciso di presentarsi in anticipo. Perché questa fretta? Per ora il giovane spiega che una “legge tiranna” lo costringe a sposarsi urgentemente, anche a costo di scegliere una donna che non ama. Scopriremo più tardi, dalle parole di Dandini, che si tratta di un ordine impartitogli dal padre sul letto di morte.
Ed ecco entrare in scena Don Magnifico, patrigno di Angelina/Cenerentola nonché padre di Clorinda e Tisbe, che ricopre il ruolo che nella fiaba era invece riservato alla matrigna. Pur trattandosi di un personaggio comico e dai tratti ridicoli, musicalmente è tutt'altro che una figura di contorno: a lui Rossini riserva ben tre arie e un notevole spazio sulla scena, persino maggiore di quello dedicato al principe. D'altronde la cosa è giustificata, se pensiamo che si tratta del principale antagonista della nostra eroina. Interpretato da un 
Il primo atto si apre nel palazzo di Don Magnifico, un tempo facoltoso ma ormai ridotto in rovina e in decadenza. Il barone ha infatti da tempo dilapidato il proprio patrimonio, compresa la dote della figliastra Cenerentola (la cui madre, da lui sposata dopo che era rimasta vedova, è morta dopo aver dato alla luce altre due figlie), che ora è tenuta in casa al rango di sguattera e di serva. Facciamo subito la conoscenza con le due egocentriche e vanitose sorellastre della protagonista, alle quali il librettista ha dato i nomi di Clorinda e Tisbe (riprendendo quelli dell'opera "Cendrillon" di Isouard). Anche se cantano spesso all'unisono, musicalmente le due non sono intercambiabili: Clorinda, la maggiore, è un soprano, mentre Tisbe è un mezzosoprano – e alla prima Rossini ha dedicato una maggior attenzione: in alcuni casi, come nel quartetto “Parlar, pensar, vorrei” del primo atto, o nel finale nel secondo atto (“Donna sciocca! Alma di fango”), è solo lei a parlare per entrambe le sorelle. Nel libretto originale era prevista anche un'aria per Clorinda, musicata da Luca Agolini, che tradizionalmente è omessa dalle edizioni critiche della partitura.
La lunga scena introduttiva è completata dall'ingresso dei cortigiani del principe, che in coro ne preannunciano l'arrivo (“O figlie amabili di Don Magnifico / Ramiro il principe or or verrà”) e l'intenzione di invitare le ragazze al ballo che si terrà di sera nel suo palazzo, allo scopo di scegliere fra di esse la più bella per farne la propria sposa. Naturalmente l'invito è rivolto a tutte e tre le figlie del barone, ma – come abbiamo visto – Angelina è trattata come una serva e le è impedito anche di chiamare “sorelle” le altre due. In seguito, Don Magnifico dichiarerà addirittura che la terza figlia è “morta”. Non si tratta solo di un tentativo di impedirle di andare al ballo, come se temesse che proprio lei possa conquistare il principe a scapito delle altre due figlie (è evidente, infatti, che né il patrigno né le sorelle la considerano una rivale, non ritenendola alla propria altezza ed essendo incapaci di riconoscerne le qualità): semmai il barone non vuole che si scopra che la figliastra è ancora viva perché del suo patrimonio (quello che la madre, morendo, le aveva lasciato in dote) si è impadronito lui.
Come all'inizio della storia Cenerentola è tutt'altro che rassegnata alla sua situazione di degrado, così nella parte centrale è tutt'altro che passiva e la sua liberazione viene preparata e perseguita con determinazione e tempismo. Altro che la fanciulla dolce e remissiva, che aspetta la salvezza solo dal
E veniamo alla svolta finale, alla fuga con conseguente perdita della scarpetta, che permetterà il riconoscimento finale e il lieto fine. Come mai c'è bisogno di tutti questi giri, ben tre sere in cui al momento clou la fanciulla fugge e solo nell'ultima lascia una traccia?
Ingiustamente a volte Cenerentola è vista come un'arrampicatrice sociale. In lei il bisogno sia d'amore che di riconoscimento sono autentici e anche la sua capacità d'amare e di dedizione lo sono, proprio perché ha saputo aspettare e ha sofferto maturando doti di discernimento, di pazienza e la capacità di sopportare le tensioni senza sprofondare in una sterile depressione, ma coltivando le proprie speranze e mantenendo viva un'autostima che le permette di aspirare a qualcosa di più elevato e ad una pienezza che le spetta.
Con “Cenerentola” siamo di fronte ad un motivo fiabesco molto diffuso in tutto il mondo, forse il più popolare e rintracciabile non solo in occidente ma anche in oriente, visto che ne esiste una versione cinese che contende la priorità alla versione di Basile “
Si parte da una situazione di caduta e di perdita. La madre amorevole è morta e il padre sposa in seconde nozze una donna che ha già due figlie (in
Se Cenerentola appare solo remissiva per eccesso di bontà, dove cercare le sue energie più dinamiche, che sono sempre legate anche alla conoscenza del male? Sicuramente nell'inconscio, ma se siamo troppo separati da esso, si rischia una pericolosa scissione che sfocia nella depressione o, nei casi più gravi, nella psicosi e nella paranoia.


