1 ottobre 2012

La Cenerentola (2) - Dentro la fiaba/1

Scritto da Marisa

Con “Cenerentola” siamo di fronte ad un motivo fiabesco molto diffuso in tutto il mondo, forse il più popolare e rintracciabile non solo in occidente ma anche in oriente, visto che ne esiste una versione cinese che contende la priorità alla versione di Basile “La gatta Cenerentola” del 1634. Ci sono versioni arabe, russe, norvegesi, inglesi, francesi, ecc., come risulta da una breve ricerca su Google:

Cenciosella - Gran Bretagna
Cenerentola - versione dei F.lli Grimm
Cenerentola - versione di C. Perrault
Giacca di Giunchi - Inghilterra
Gli zoccoli d'oro - araba
Il Cavaliere Verde - Danimarca
Il vaso fatato - araba
Kari, Veste di legno - Norvegia
La Baba Jaga - Russia
La betulla incantata - Russia/Carelia
La gatta Cenerentola - G. Basile
La piccola Havrusheka - Russia
La scarpetta d'oro - Russia
Peldicenere - Inghilterra
Rosellina e Ledaccia - Svezia
Unocchietto, Duoecchietti, Treocchietti
Vasilissa la Bella - Russia
Tanta popolarità, oltre che confermare l'interesse per il tema di base, ci autorizza a riconoscere come siano attivi nella psiche collettiva degli elementi fondamentali che trovano poi in ogni tradizione e cultura le immagini più consone al gusto e alle abitudini del tempo e del luogo dove si materializzano. Proprio dalla spontanea diffusione dei motivi fiabeschi e dei miti Jung ha tratto ispirazione per lo studio dell'inconscio collettivo e ha confermato la scoperta degli Archetipi.

Il tema portante di Cenerentola si può schematizzare nel bisogno universale di sentirsi apprezzati, riconosciuti e amati, di accedere al pieno riconoscimento sociale attraverso l'amore e superando le invidie, insomma una compensazione alle frustrazioni originarie e la guarigione della ferita di “non sentirsi amati”, ferita che accompagna in varia misura quasi tutti i processi di crescita e maturazione. Il lieto fine della fiaba segna il coronamento dei più arditi desideri ed è diventato il prototipo di ogni “happy end”. Ma procediamo vedendo i vari passaggi.

Si parte da una situazione di caduta e di perdita. La madre amorevole è morta e il padre sposa in seconde nozze una donna che ha già due figlie (in Basile le figlie sono 6) e che riesce a far perdere alla fanciulla anche l'amore del padre relegandola al grado più infimo, allo stato di serva mentre lei e le sue figlie spadroneggiano. Persino il nome non viene più ricordato (in Basile è Zezolla), ma viene presto chiamata solo col dispregiativo “Cenerentola” per l'abituale degradazione a cui è costretta.

Che nell'antefatto della fiaba ci sia una prima madre buona, la madre vera ormai morta, è molto importante perché vuol dire che la primissima relazione fondamentale è stata positiva. L'imprinting positivo, per usare un termine tratto a prestito dalla biologia, c'è stato e questo costituisce una riserva inconscia di energie amorevoli a cui in seguito si può attingere e che può essere riattivato ed è l'elemento che può salvare dalla psicosi. La matrigna, personaggio molto diffuso nelle fiabe, è un espediente per mostrare l'altro lato del materno, la parte invidiosa e distruttiva, che impedisce alla figlia di accedere ad una femminilità matura e felice. In questo caso (in “Biancaneve” la situazione è ancora peggiore) il primissimo rapporto, quando cioè la figlia è piccolissima e non costituisce ancora un pericolo di concorrenza sul piano femminile, è andato bene, la bimba è stata amata teneramente e, solo in seguito, viene a galla la parte negativa della madre che diventa perciò “matrigna”. Ma chi non ha mai pensato di non essere amato a sufficienza dai propri genitori e quindi “forse” di essere stato adottato o che i veri genitori siano morti e questi che si occupano di noi sono solo matrigna e patrigno? E non è frequente il caso di un vago sentore di “essere stati veramente amati” solo all'inizio e di essere poi svalutati, non capiti, mai pienamente apprezzati? Su questo forse si fonda persino il mito del “Paradiso terrestre”, un'epoca remota in cui tutto era innocenza e grazia, amore gratuito e incondizionato, e che viene perso non appena si attiva il bisogno di conoscenza e inizia quindi lo sviluppo della coscienza, con tutte le sue conseguenze psicologiche di dubbi e di difficoltà.

Cenerentola viene presentata in quasi tutte le varianti, e la versione cinematografica di Walt Disney ne ha diffuso la credibilità, come una fanciulla mite, buona e sognatrice, che accetta la sua triste condizione lavorando assiduamente e obbedendo alla perfida matrigna e alle cattive ed invidiose sorellastre praticamente senza rabbia e senza ribellioni. In realtà non è così e nelle prime versioni, soprattutto in quella di Basile del 1634, appare una Zezolla inizialmente molto viziata dall'amore del padre e che, tutt'altro che solo buona, uccide persino la prima matrigna, inzigata da una sua “maestra”, che poi diventerà per opera della stessa fanciulla che convince il padre a sposarla, la seconda e ben più cattiva matrigna. La fanciulla deve adattarsi alla nuova situazione, ma cova il risentimento e i propositi di riabilitazione, usando con abilità l'aiuto che le viene miracolosamente da una colomba del paese delle Fate (dal patrimonio emotivo e di fiducia in sé stessa stratificatosi dal primitivo rapporto positivo con la madre) e che al momento giusto le offrirà gli strumenti necessari per la riabilitazione e la conquista del Principe.
Sono elementi molto importanti che restituiscono credibilità psicologica al personaggio altrimenti appiattito e dimezzato in un “buonismo” di facciata che impera nel convenzionalismo ipocrita di una società che continuamente rimuove il problema dell'Ombra e del male, proiettandolo solo negli altri e in questo caso nella matrigna e nelle sorelle.

Se Cenerentola appare solo remissiva per eccesso di bontà, dove cercare le sue energie più dinamiche, che sono sempre legate anche alla conoscenza del male? Sicuramente nell'inconscio, ma se siamo troppo separati da esso, si rischia una pericolosa scissione che sfocia nella depressione o, nei casi più gravi, nella psicosi e nella paranoia.

Per fortuna, anche nelle versioni più sdolcinate, in Cenerentola rimane sempre una certa consapevolezza delle proprie ambizioni e rivendicazioni: non si rassegna mai del tutto e prepara sempre la rivalsa. Così nell'opera di Rossini la sentiamo all'inizio cantare “Una volta c'era un Re...”, canto che irrita molto le sorelle che, anche se inconsciamente, intuiscono dietro l'apparente innocenza il tenace bisogno di rivalsa.
Nella situazione iniziale e soprattutto nello scontento e nella non rassegnazione della fanciulla, solo apparentemente sottomessa, ci sono già quindi le premesse per il futuro sviluppo e l'uscita dalla frustrazione, non appena le circostanze saranno favorevoli.

2 commenti:

giacy.nta ha detto...

Una lettura illuminante. La matrigna effettivamente rimanda alla figura materna e al rapporto conflittuale che finisce per stabilire con la figlia non più bambina. La via di fuga per "le piccole donne che crescono" è di solito l'immaginazione. Forse anche per questo Cenerentola è circondata da animali che parlano, zucche che si trasformano in cocchi e tutto il resto del prontuario di sopravvivenza di Cenerentola. I guai sopravvengono per le piccole donne quando sono prive anche di questa dimensione-rifugio. In questo caso i sentimenti di frustrazione non possono che portare alla autodemolizione.
p.s.
bellissime anche le immagini:)


Marisa ha detto...

Giacinta.La cosa più bella è che proprio il rapporto materno primario positivo (la fata) fornisce gli strumenti (la fantasia a cui tu alludi) per affrontare poi la "matrigna", cioè l'aspetto negativo della madre ostacolante.