Basta la promessa di Almaviva di una ricompensa in oro che Figaro mette subito in moto le meningi, pronto a trovare una soluzione al problema attuale del Conte: come entrare in casa di Bartolo e parlare con Rosina. Il duetto che ne consegue è una delle vette dell'opera e dell'intera produzione rossiniana, per la ricchezza di temi e di melodie, per la varietà di situazioni musicali, per la fusione fra due voci e “tipi” di personaggi così diversi fra loro: il raffinato artistocratico (tenore) e l'ingegnoso – e un po' avido – popolano (basso o baritono). I cantanti esordiscono con “due strofe parallele (la prima affidata a Figaro, la seconda al Conte) musicalmente abbastanza simili, chiuse entrambe con un passaggio virtuosistico terzinato che si attaglia al «vulcano» in cui si sta per trasformare la mente del factotum” (Stefano Piana). Dopodiché, una dopo l'altra, il barbiere espone al Conte non una ma ben due “trovate”: fingersi un soldato del reggimento appena giunto in città (e come tale chiedere alloggio nella casa di Bartolo: all'epoca, in caso di necessità, i comuni cittadini erano tenuti a mettere a disposizione delle camere per le forze armate), e – come se non bastasse – passare per ubriaco in modo da ridurre al minimo i sospetti dell'anziano dottore.

Se la prima “invenzione prelibata” sembra avere un senso (ed è subito accolta con entusiasmo dal Conte), la seconda ci lascia qualche perplessità (tanto che anche Almaviva, di primo acchitto, non ne comprende il motivo): vedersi entrare in casa uno sconosciuto ubriaco non è certo la cosa migliore per mettere tranquillo un “brontolone” come Don Bartolo! E in effetti, vedremo come la situazione degenererà. Ma per adesso il Conte, avendo avuto in passato Figaro al suo servizio e conoscendo già bene la sua prodigiosa inventiva, si affida completamente a lui e alle sue idee, che la musica espone “in due sezioni distinte, rese formalmente simili dal tema orchestrale già udito nelle due strofe di apertura. La chiusura di entrambe è costituita da un “a due” nel quale i personaggi, sulla scorta di vocalizzi simili a quelli delle strofe di apertura, si compiacciono delle geniali invenzioni (e si può ravvisare in ciò lo sguardo ironico del compositore). L’abilità di Rossini, qui come in altri casi, sta nel riuscire ad organizzare una forma musicale unitaria e coerente, arricchita da richiami tematici adeguatamente disposti, ma al contempo sufficientemente libera da non imbrigliare la naturalezza dell’azione teatrale, che difatti scorre vivacemente” (sempre Piana).

Prima di congedarsi, il Conte chiede a Figaro dove potrà trovarlo in caso di necessità, e il barbiere gli indica la propria bottega (in scena, oppure tra le quinte), descrivendola per filo e per segno. Qui la forma musicale cambia completamente, diventando ancora più particolare (l'orchestra introduce un nuovo tema, ma la voce di Figaro rimane fissa su una singola nota), rendendo assolutamente memorabile la descrizione e l'indirizzo del negozio di Figaro (anche se, di fatto, esso non ha alcuna importanza per la trama) e facendolo entrare nell'immaginario collettivo e nella cultura generale. Chi non sa che la bottega del barbiere si trova al numero quindici (“a mano manca”, ovvero sul lato sinistro della strada)?

Il caso di predominio totale dell’orchestra si ha quando Figaro comunica al Conte il suo indirizzo: «Numero quindici a mano manca». La voce rimane inchiodata per 28 battute su una sola nota, il re, un canto monocorde, che funziona da semplice bordone, da pedale ostinato, mentre l’orchestra anticipa integralmente la melodia su cui il Conte cantera di li a poco «Ah che d’amore la fiamma io sento».
(Carlo Delfrati)
Rossini non adatta mai il ritmo musicale alla scansione della parola, bensi riduce l’articolazione sillabica della parola alla logica del ritmo musicale, la sottopone alla inesorabile struttura spazio-temporale della simmetria ritmica. La parola viene come interrotta, automatizzata, ridotta spesso alla scansione di quelle note ribattute che costituisce una delle formule piu frequenti e caratteristiche del burlesco rossiniano.
(Luigi Rognoni)
E infine, dopo un altro rapido scambio di battute in cui sembra quasi che Figaro voglia concludere i pensieri iniziati dal suo padrone (“Porterò meco...” “...la borsa piena”), questo incredibile duetto si conclude con un altro passaggio che mette a confronto i due personaggi (e la loro diversità psicologica) mentre cantano su uno stesso tema musicale. Mentre il Conte, da eroe romantico ed “elevato”, si lancia in aulici slanci di ardore amoroso (“Ah, che d'amore la fiamma io sento”), il barbiere pregusta più prosaicamente il denaro che gli giungerà dall'impresa (“Delle monete il suon già sento”). L'aristocratico si esprime con i suoi consueti vocalizzi (è pienamente tornato nel ruolo di Almaviva, non più Lindoro), Figaro invece ricorre a un sillabato che richiama proprio la caduta a cascata delle monete d'oro. Entrambi, comicamente, terminano i loro monologhi interiori risincronizzandosi melodicamente e con parole identiche: “D'ardore insolito quest'alma accende, e di me stesso maggior mi fa”. Rossini utilizza qui davvero tutte le armi a sue disposizione per la scrittura di un duetto i cui due elementi talvolta si oppongono e talvolta si fondono o si complementano.
Attorno a Figaro gira un mondo che domina, organizza, in modo da portare a compimento i desideri di chi paga. È il denaro a muovere Figaro, non per accumularlo (come farebbe Don Bartolo) ma come espressione di intraprendenza, di disinvoltura, di occasione per mettere a frutto i propri talenti, i quali – non essendo nobile – possono risultare utili per chi sa farli fruttare.
(Vincenzo Carboni)
Figaro e Almaviva finalmente si congedano: il barbiere entra nella casa di Bartolo per incontrare Rosina, mentre il Conte parte per andare a travestirsi da soldato. Ci avviciniamo alla prima mutazione scenica dell'opera: stiamo per abbandonare la piazza, e quando il sipario si rialzerà saremo all'interno della casa del dottore. Non prima però di un brevissimo recitativo che viene talvolta omesso nel corso degli allestimenti, con il quale ci congediamo da un personaggio di cui in effetti ci eravamo forse già dimenticati: Fiorello, il servo del Conte, che ha aspettato per “due ore” ai bordi della piazza per poi essere totalmente ignorato dal suo padrone. Le sue ultime parole sembrano un ironico lamento per il crudele destino dei personaggi minori e secondari, specie se servitori: "Questa vita, cospetto, è un gran tormento! Ah, durarla così non me la sento!" (la cameriera Berta dirà più tardi concetti molto simili).


Clicca qui per il testo di "All'idea di quel metallo".

FIGARO
All'idea di quel metallo
portentoso, onnipossente,
un vulcano la mia mente
incomincia a diventar.

CONTE
Su, vediam di quel metallo
qualche effetto sorprendente
del vulcan della tua mente
qualche mostro singolar.

FIGARO
Voi dovreste travestirvi,
per esempio... da soldato.

CONTE
Da soldato?

FIGARO
Sì, signore.

CONTE
Da soldato? E che si fa?

FIGARO
Oggi arriva un reggimento.

CONTE
Sì, è mio amico il Colonnello.

FIGARO
Va benon.

CONTE
Eppoi?

FIGARO
Cospetto!
Dell'alloggio col biglietto
quella porta s'aprirà.
Che ne dite, mio signore?
Non vi par? Non l'ho trovata?

A DUE
Che invenzione prelibata!
Bravo, bravo (bella, bella), in verità!

FIGARO
Piano, piano... Un'altra idea!
Veda l'oro cosa fa.
Ubriaco sì, ubriaco,
mio signor, si fingerà.

CONTE
Ubriaco?

FIGARO
Sì, signore.

CONTE
Ubriaco? Ma perché?

FIGARO
Perché d'un ch'è poco in sé
(imitando moderatamente i moti d'un ubriaco)
che dal vino casca già,
il tutor, credete a me,
il tutor si fiderà.

A DUE
Che invenzione prelibata!
Bravo, bravo (bella, bella), in verità!

CONTE
Dunque...

FIGARO
All'opra!

CONTE
Andiam.

FIGARO
Da bravo.

CONTE
Vado... Oh, il meglio mi scordavo!
Dimmi un po', la tua bottega
per trovarti, dove sta?

FIGARO
La bottega? Non si sbaglia;
guardi bene; eccola là.
(additando fra le quinte)
Numero quindici a mano manca,
quattro gradini, facciata bianca,
cinque parrucche nella vetrina
sopra un cartello "Pomata fina",
mostra in azzurro alla moderna,
v'è per insegna una lanterna.
Là senza fallo mi troverà.

CONTE
Ho ben capito.

FIGARO
Or vada presto.

CONTE
Tu guarda bene.

FIGARO
Io penso al resto.

CONTE
Di te mi fido.

FIGARO
Colà l'attendo.

CONTE
Mio caro Figaro...

FIGARO
Intendo, intendo.

CONTE
Porterò meco...

FIGARO
...la borsa piena.

CONTE
Sì, quel che vuoi,
ma il resto poi...

FIGARO
Oh non si dubiti,
che bene andrà.

CONTE
Ah, che d'amore
la fiamma io sento,
nunzia di giubilo
e di contento!
Ecco propizia
che in sen mi scende;
d'ardore insolito
quest'alma accende,
e di me stesso
maggior mi fa.

FIGARO
Delle monete
il suon già sento!
L'oro già viene,
viene l'argento.
Eccolo, eccolo
che in tasca scende;
d'ardore insolito
quest'alma accende,
e di me stesso
maggior mi fa.

Clicca qui per il testo del recitativo che segue ("Evviva il mio padrone!").

FIORELLO (entrando)
Evviva il mio padrone!
Due ore, ritto in pie', là come un palo
mi fa aspettare e poi
mi pianta e se ne va.
Corpo di Bacco!
Brutta cosa servire un padron come questo,
nobile, giovinotto e innamorato;
questa vita, cospetto, è un gran tormento!
Ah, durarla così non me la sento!




Hermann Prey (Figaro), Luigi Alva (Conte)
dir: Claudio Abbado (1971)


Leo Nucci (Figaro), Raul Giménez (Conte)
dir: Maurizio Barbacini (Parma, 2005)


Placido Domingo canta entrambi i ruoli! (dal DVD "Hommage a Sevilla")


Nicolai Gedda, Sherrill Milnes


Vladimir Chernov, Juan Diego Florez


Thomas Hampson, Jerry Hadley

Ettore Bastianini, Alvinio Misciano