Dopo il grande concertato, l'azione riprende fulminea. Enrico, spalleggiato da Arturo, da Normanno e dai suoi uomini, si scaglia contro Edgardo, che a sua volta sguaina la spada e si prepara alla lotta, con l'ovvia intenzione di morire sul posto. Raimondo si frappone tra le due parti e, con una citazione biblica ("E scritto sta: chi di ferro altrui ferisce, pur di ferro perirà", chiaro riferimento alla frase di Gesù dal vangelo di Matteo) riesce autorevolmente a convincere tutti a mettere le armi da parte, almeno per il momento.
Proprio Raimondo, a un Edgardo che rivendica il suo diritto ("Lucia la sua fede a me giurò"), mostra la firma della fanciulla sul contratto nuziale con Arturo. Incredulo, Ravenswood chiede conferma alla fanciulla, che non può che ammettere la propria colpa. Ma quando cerca di giustificarsi, l'uomo prorompe iracondo e furente, lanciandone l'anello che lei le aveva dato in pegno e riprendendosi il suo. Sordo a ogni sua supplica, sentendosi tradito, rinnega il suo amore e lancia un anatema contro lei e la sua famiglia, segno che dentro di sé non aveva mai perdonato la sua appartenenza alla "stirpe iniqua, abbominata" degli Asthon. In effetti qui Edgardo non ci fa proprio una bella figura: sarà pure un eroe, un coraggioso, un patriota, che in precedenza si era anche dichiarato disposto a fare pace con l'odiato Enrico per amore di Lucia... ma di fronte a un dubbio non prova nemmeno a comprendere quale sia la verità e ad ascoltare le giustificazioni o le spiegazioni della donna amata. Basta una firma su un foglio, in casa del nemico, per spingerlo a dubitare di lei.
(Curiosità mia: la frase musicale che accompagna le parole "Son tue cifre? A me rispondi!" ricorda il rossiniano "Sol due righe di biglietto" dal duetto fra Figaro e Rosina nel "Barbiere di Siviglia").
La contrapposizione scoppia tremenda nel tempo di mezzo, ben espressa attraverso lo scarto dall’accordo di Re su cui terminava il concertato al lontanissimo La (raggiunto per rapporto di terza, considerando enarmonicamente Re come Do). Si comincia dallo scontro politico. Arturo, Enrico e il coro sfoderano le spade e si avventano su Edgardo per cacciarlo. Il ritmo della linea vocale è molto scandito rispettando lo schema metrico lungabreve, con la nota lunga accentata. La stessa frase, leggermente variata, è ripresa da Ravenswood che a sua volta sguaina la propria arma. Il duello viene evitato solo grazie all’intervento risoluto di Bidebent che evoca la parola di Dio per calmare gli animi. Il conflitto si sposta allora sul piano privato e la scrittura musicale cambia. Viene infatti ripreso il parlante con cui si apriva il tempo d’attacco. I contendenti a questo punto sono ancora Enrico ed Edgardo. Quando questi osserva il contratto nuziale la sua attenzione si sposta finalmente verso Lucia, e in coincidenza con questo mutamento di prospettiva si colloca una nuova metamorfosi della intonazione. L’orchestra trasmette un senso di agitazione attraverso il contrattempo, la frammentazione fraseologica, l’implemento agogico. Dopo la conferma da parte di Lucia delle avvenute nozze, Edgardo scaglia una terribile invettiva contro l’amante. Una invettiva che poeticamente fa ancora parte del tempo di mezzo, ma che formalmente si può leggere senza difficoltà come strofa solistica di apertura della stretta conclusiva.L'atto si conclude con Enrico e i suoi uomini che scacciano Edgardo dal castello; con questi che, invece, vorrebbe farsi uccidere sul posto ("gettando la spada, ed offrendo il petto a’ suoi nemici", dice il libretto); con Raimondo ed Alisa che lo supplicano di andarsene, e con Lucia che sembra soffrire per lui (e la sua salvezza) tanto quanto per sé stessa. Il sipario cala, ma il dramma è tutt'altro che terminato.(Federico Fornoni)
Musicalmente la stretta compendia le posizioni drammatiche dell’opera. Da un lato abbiamo la fazione dei castellani comprendente Enrico, Arturo, il coro e anche Raimondo il quale, pur con i dovuti distinguo, è parte di quell’ambiente. Questi all’unisono aprono lo scorcio conclusivo dell’atto, mostrando estrema compattezza. Ad essi si contrappongono i due innamorati – soprano e tenore a distanza di ottava – che non possono coronare il loro sentimento proprio a causa di Asthon e compari. Grazie a questa netta separazione degli interventi, Donizetti sintetizza in pochi minuti il nucleo della vicenda.Di questo finale d'atto, con il gesto di rabbia di Edgardo in pubblico nei confronti di Lucia (le getta l'anello e la prende a male parole), seguito dalla riprovazione dei presenti, potrebbero essersi ricordati Giuseppe Verdi e Francesco Maria Piave per la conclusione del secondo atto della loro "Traviata".(Federico Fornoni)
Clicca qui per il testo di "T’allontana, sciagurato - Esci, fuggi il furor che mi accende".
ENRICO, ARTURO, NORMANNO, CAVALIERIT’allontana, sciagurato…
o il tuo sangue fia versato…
(scagliandosi con le spade contro Edgardo)
EDGARDO (traendo anch’egli la spada)
Morirò, ma insiem col mio
altro sangue scorrerà.
RAIMONDO
(mettendosi in mezzo alle parti avversarie, ed in tuono autorevole)
Rispettate in me di Dio
la tremenda maestà.
In suo nome io vel comando,
deponete l’ira e il brando.
Pace, pace… Egli abborrisce
l’omicida, e scritto sta:
chi di ferro altrui ferisce,
pur di ferro perirà.
(Tutti ripongono le spade. Un momento di silenzio.)
ENRICO (facendo qualche passo verso Edgardo)
Sconsigliato in queste porte
chi ti guida?
EDGARDO (altero)
La mia sorte,
il mio dritto… sì; Lucia
la sua fede a me giurò.
RAIMONDO
Ah! Questo amor funesto obblia:
ella è d’altri!…
EDGARDO
D’altri!… No!
RAIMONDO
Mira.
(gli presenta il contratto nuziale)
EDGARDO (dopo averlo rapidamente letto, e figgendo gli occhi in Lucia)
Tremi!… Ti confondi!
(mostrando la di lei firma)
Son tue cifre? A me rispondi!
LUCIA (singhiozzando)
Sì…
EDGARDO (furente)
Riprendi il tuo pegno, infido cor.
(le rende il di lei anello)
Il mio dammi.
LUCIA
Almen…
EDGARDO
Lo rendi.
(glielo strappa dal collo)
LUCIA
Edgardo! Edgardo!
EDGARDO
Hai tradito il cielo, e amor!
(getta l’anello e lo calpesta)
Maledetto sia l’istante
che di te mi rese amante…
Stirpe iniqua… abbominata,
io dovea da te fuggir!…
Ah! ma di Dio la mano irata
vi disperda…
ENRICO, ARTURO, NORMANNO, CAVALIERI
Insano ardir!…
Esci, fuggi il furor che mi accende,
solo un punto i suoi colpi sospende…
ma fra poco più atroce, più fiero
sul tuo capo abborrito cadrà…
Sì, la macchia d’oltraggio sì nero
col tuo sangue lavata sarà.
EDGARDO (gettando la spada, ed offrendo il petto a’ suoi nemici)
Trucidatemi, e pronubo al rito
sia lo scempio d’un core tradito…
del mio sangue coperta la soglia
dolce vista per l’empia sarà!…
Calpestando l’esangue mia spoglia
all’altare più lieta ne andrà!
LUCIA (cadendo in ginocchio)
Dio lo salva… in sì fiero momento
d’una misera ascolta il lamento…
è la prece d’immenso dolore
che più in terra speranza non ha…
è l’estrema domanda del core,
che sul labbro spirando mi sta!
RAIMONDO, ALISA, DAME (a Edgardo)
Infelice, t’invola… t’affretta…
i tuoi giorni… il suo stato rispetta.
Vivi… e forse il tuo duolo fia spento:
tutto è lieve all’eterna pietà.
Quante volte ad un solo tormento
mille gioie apprestate non ha!
Alfredo Kraus (Edgardo), Pablo Elvira (Enrico), Paul Plishka (Raimondo),
Joan Sutherland (Lucia), Jeffrey Stamm (Arturo)
dir: Richard Bonynge (1982)
Ferruccio Tagliavini, Piero Cappuccilli, Bernard Ładysz, Maria Callas, Leonard Del Ferro dir: Tullio Serafin (1959) | Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli, Justino Diaz, Beverly Sills, Adolf Dallapozza dir: Thomas Schippers (1970) |
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