La conclusione è riservata a Edgardo che, ignaro della tragedia occorsa, sta attendendo nel cimitero di famiglia che sorga l'alba per affrontare Enrico in duello. La sua intenzione, in realtà, è quella di lasciarsi uccidere dal rivale ("Cessò dell’ira il breve foco… sul nemico acciaro abbandonar mi vo’"): ora che la sua amata Lucia si è (felicemente, almeno così crede) sposata con un altro uomo, la vita per lui non ha infatti più valore. L'intera scena, sin dall'introduzione musicale al recitativo, è ammantata di toni lugubri e funerei.
L’aria finale di Edgardo costituisce il pendant della precedente scena di pazzia. Là vi era una profonda analisi interiore della protagonista femminile e si narrava il suo approssimarsi alla morte; qui la stessa operazione è proiettata sull’eroe maschile. (...) Ciò risulta evidente sin dal recitativo di apertura grazie ai lamentosi interventi dei tromboni, ai semitoni discendenti di violini e fagotto e al languido squarcio in do nel momento in cui il pensiero corre alla diletta («Per me la vita è orrendo peso»). Che tutta questa sofferenza non possa che condurre a un epilogo tragico lo si comprende dal topos ritmico della morte ossessivamente scandito dai timpani nell’introduzione strumentale.Nel cantabile "Fra poco a me ricovero", in cui la voce del tenore è accompagnata da corni e fagotti con un lento ritmo, quasi da marcia funebre, Edgardo si rivolge direttamente all'amata, chiedendole di non passare mai a versare una lacrima sulla sua tomba, magari al fianco del marito.(Federico Fornoni)
"Tombe degli avi miei" - "Fra poco a me ricovero"
Vincenzo La Scola (Edgardo)
dir: Stefano Ranzani (1992)
Intonando un coro funebre ("Oh meschina!"), gli abitanti escono dal castello commiserando la sorte di Lucia. Da loro Edgardo viene dunque messo al corrente del fatto che la ragazza versa in fin di vita. Dalle mura "rimbomba la squilla in suon di morte". E quasi subito giunge anche Raimondo, che reca la ferale notizia: Lucia è spirata. Nella cabaletta che conclude l'opera, "Tu che a Dio spiegasti l'ali", Edgardo le dà l'addio e auspica di rivederla all'altro mondo, prima di pugnalarsi e di cadere morto a sua volta.
L’opera termina con la cabaletta lenta di Edgardo, una cabaletta tanto celebre quanto particolare per via del fatto che, immediatamente prima della ripresa, l’eroe si ferisce a morte andando a condizionare la ripresa stessa. La voce del moribondo non è più in grado di sostenere la linea melodica e indugia su brevi frasi frammezzate da pause che trasmettono la fatica con cui pronuncia le ultime parole. L’andamento melodico viene raccolto da due violoncelli che veicolano il pensiero del protagonista rivolto sempre alla sua Lucia (si è già detto che lo strumento solista è manifestazione sonora delle riflessioni dei personaggi). Se Lucia aveva lasciato la vita dopo un lungo e progressivo processo di distacco dal mondo, prima mentale e poi fisico, Edgardo muore compiendo un gesto improvviso e violento. Uniti nella sofferenza e nel tragico destino, i due eroi li affrontano in maniera opposta e inesorabilmente divisi.Il gesto di Edgardo suggella drammaticamente la tragedia, con il commento di Raimondo ("Sciagurato! Pensa al ciel!") che ne sottolinea ancora una volta le connotazioni anti-istituzionali. Edgardo, spiega Paolo Fabbri, è "un ‘tenore della malasorte’ dalla vocalità appassionata e disperata, emblema di romantico e byroniano maledettismo la cui fine compendia esemplarmente il suo profilo di deraciné, autore di un gesto empio – il suicidio – in ambiente consacrato, e perdipiù sacrario della sua stirpe ma in mano altrui (come se il suo rivale gli avesse sottratto storia e passato, oltreché titoli e beni presenti)".(Federico Fornoni)
La scelta di concludere l'opera con la morte di Edgardo ne sancisce lo status di eroe romantico. È un vinto e un perseguitato che non abbandona mai fierezza, dignità, speranza, passione, neppure negli ultimi istanti della sua vita. La scelta di morire è vissuta come un gesto supremo d'amore, la sola possibilità che gli resta per congiungersi finalmente a Lucia: "Se divisi fummo in terra / ne congiunga il Nume in ciel".Come nel già citato "Romeo e Giulietta", i due innamorati muoiono entrambi dichiarando che si incontreranno nuovamente in cielo. A differenza della tragedia shakesperiana, però, manca il contorno con la pace che le due fazioni stringeranno per onorarne la memoria. Gli ultimi eventi si dipanano davanti a Raimondo e al coro (che rappresentano forse anche noi spettatori), mentre di Enrico non abbiamo più notizie. Si era congedato nella scena precedente in preda al rimorso e alla costernazione ("Vita di duol, di pianto / serba il rimorso a me!"), ma le sue sorti, quelle del casato degli Asthon o persino dell'intera Scozia, restano irrisolte e sembrano di colpo irrilevanti di fronte alla tragedia umana di Lucia ed Edgardo.(da Wikipedia)
Clicca qui per il testo di "Tombe degli avi miei - Fra poco a me ricovero".
(Parte esterna del castello di Wolfcrag. Tombe dei Ravenswood. È notte.)EDGARDO
Tombe degli avi miei, l’ultimo avanzo
d’una stirpe infelice
deh! raccogliete voi. – Cessò dell’ira
il breve foco… sul nemico acciaro
abbandonar mi vo’. Per me la vita
è orrendo peso!… l’universo intero
è un deserto per me senza Lucia!…
Di faci tuttavia splende il castello! Ah! scarsa
fu la notte al tripudio!… Ingrata donna!
Mentr’io mi struggo in disperato pianto,
tu ridi, esulti accanto
al felice consorte!
Tu delle gioie in seno, io… della morte!
Fra poco a me ricovero
darà negletto avello…
una pietosa lagrima
non scenderà su quello!…
Fin degli estinti, ahi misero!
manca il conforto a me!
Tu pur, tu pur dimentica
quel marmo dispregiato:
mai non passarvi, o barbara
del tuo consorte a lato…
rispetta almen le ceneri
di chi morìa per te.
Clicca qui per il testo di "Oh meschina! Oh fato orrendo!".
CORO (uscendo dal castello)
Oh meschina! Oh fato orrendo!
Più sperar non giova omai!…
Questo dì che sta sorgendo
tramontar più non vedrai!
EDGARDO
Giusto cielo!… Ah! rispondete:
di chi mai, di chi piangete?
CORO
Di Lucia.
EDGARDO (esterrefatto)
Lucia diceste! Su, parlate. Ah!
CORO
Sì; la misera sen muore.
Fur le nozze a lei funeste…
di ragion la trasse amore…
s’avvicina alle ore estreme,
e te chiede… per te geme…
EDGARDO
Ah! Lucia! Lucia!… muore!
Questo dì che sta sorgendo
tramontar più non vedrà la mia Lucia?
CORO
Rimbomba già la squilla in suon di morte!
EDGARDO
Ahi!… quel suono in cor mi piomba!
È decisa la mia sorte!…
Rivederla ancor vogl’io…
rivederla, e poscia…
(incamminandosi)
CORO (trattenendolo)
Oh Dio!…
Qual trasporto sconsigliato!…
Ah! desisti… ah! riedi in te…
RAIMONDO
Dove corri sventurato?
Ella in terra più non è.
EDGARDO
In terra più non è… Ella dunque…
RAIMONDO
È in cielo.
EDGARDO
Lucia più non è?
(scuotendosi)
Clicca qui per il testo di "Tu che a Dio spiegasti l’ali".
EDGARDOTu che a Dio spiegasti l’ali,
o bell’alma innamorata,
ti rivolgi a me placata…
teco ascenda il tuo fedel.
Ah! se l’ira de’ mortali
fece a noi sì cruda guerra,
se divisi fummo in terra,
ne congiunga il Nume in ciel.
Io ti seguo…
RAIMONDO
Forsennato!…
RAIMONDO, CORO
Ah che fai!
EDGARDO
Morir voglio.
RAIMONDO, CORO
Ritorna in te.
EDGARDO
No, no, no!
(si ferisce)
RAIMONDO
Che facesti?
EDGARDO (con voce fioca)
A te vengo… o bell’alma…
RAIMONDO
Sciagurato! Pensa al ciel!
EDGARDO
Ti rivolgi, ah! al tuo fedel.
Ah se l’ira… dei mortali…
sì cruda guerra… o bell’alma…
ne congiunga il nume in ciel.
(cade e muore)
RAIMONDO, CORO
Quale orror!
CORO
Ahi tremendo!… ahi nero fato!…
RAIMONDO
Dio, perdona un tanto error.
"Oh meschina!" - "Tu che a Dio spiegasti l'ali"
Vincenzo La Scola (Edgardo), Carlo Colombara (Raimondo)
dir: Stefano Ranzani (1992)
Giuseppe Di Stefano (1955) | Luciano Pavarotti (1976) |
"Tombe degli avi miei" Carlo Bergonzi (1967) | "Tu che a Dio spiegasti l'ali" Carlo Bergonzi (1967) |
"Tombe degli avi miei" José Carreras (1982) | "Tu che a Dio spiegasti l'ali" José Carreras (1982) |
"Tombe degli avi miei" Alfredo Kraus (1982) | "Tu che a Dio spiegasti l'ali" Alfredo Kraus (1982) |
Segnalo infine che anche questo finale, e in generale le modalità della morte di Edgardo, è uno dei punti in cui il libretto dell'opera si discosta dal romanzo originale di Walter Scott:
È in Cammarano che quel gesto estremo si compie al cospetto delle tombe dei Ravenswood, così come a Donizetti e a lui si deve l’idea di dedicare per intero il "numero" finale alla morte volontaria del tenore: un suicidio dapprima passivo (il proposito di offrirsi all’arma di Enrico, che lo ha sfidato a duello), e poi attivamente perseguito alla notizia della morte di Lucia. Nel romanzo, andando a raggiungere Ashton che lo attende sul litorale per il duello, Edgar attraversava intenzionalmente una zona di sabbie mobili, finendo inghiottito. Ducange [autore di un adattamento teatrale nel 1828] lo faceva sommergere dal mare in tempesta insieme con Lucie, mentre in Livini [traduttore del suddetto dramma] Lucia moriva di schianto subito dopo che Edgardo (che poi si consegnava ai suoi nemici) le aveva gettato ai piedi il suo pegno d’amore. In Balocchi [librettista dell'opera di Michele Carafa del 1829], Lucia si era avvelenata e spirava dopo la firma del contratto e l’arrivo di Edgardo, il cui successivo suicidio è poco più di un gesto fulmineo nello scorrere dell’azione.(Paolo Fabbri)
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