15 febbraio 2012

L'Orfeo (1) - Introduzione

Scritto da Christian

L'Orfeo, favola in musica L'Orfeo
Opera in cinque atti
Libretto di Alessandro Striggio
Musica di Claudio Monteverdi
Prima rappresentazione:
Mantova (Palazzo Ducale), 24 febbraio 1607

Personaggi e voci:

La musica (soprano)
Orfeo (tenore)
Euridice (soprano)
Messaggera (soprano)
Speranza (soprano)
Caronte (basso)
Proserpina (soprano)
Plutone (basso)
Apollo (tenore)
Eco (tenore)
Pastori
Ninfe
Spiriti infernali

Pur non trattandosi – strettamente parlando – della prima opera lirica della storia (molti studiosi attribuiscono questo primato alla "Dafne" di Jacopo Peri, eseguita per la prima volta a Firenze nel 1598), "L'Orfeo" di Claudio Monteverdi è sicuramente però il primo capolavoro del genere, nonché il più antico melodramma a essere tuttora rappresentato con regolarità nei teatri di tutto il mondo. Il soggetto, ovviamente, è quello del mito (o "favola", com'era definita allora) di Orfeo ed Euridice, di cui parleremo più in dettaglio nei prossimi post: da notare che i temi pastorali e quelli mitologici legati alla Grecia antica erano particolarmente frequentati nell'arte e negli spettacoli – musicali e non – presso le corti dell'epoca, una tendenza che può essere fatta risalire all'Arcadia di Jacopo Sannazaro (1480); ma la storia di Orfeo aveva anche un significato ulteriore e programmatico, trattandosi al contempo di un elogio del potere della musica, e come tale era il soggetto preferito da poeti e musicisti.

Ai tempi in cui Monteverdi compose "L'Orfeo", l'arte di mescolare insieme musica e teatro, ossia canto e recitazione, era ancora agli albori. Nei cosiddetti drammi lirici, la musica compariva solo in parte, e in ogni caso si limitava ad accompagnare le parole rimanendo sullo sfondo e fornendo semplicemente una "base armonica". Durante il Rinascimento, specialmente a Firenze, si era però gradualmente sviluppata l'arte dell'intermezzo (o intermedio): una performance completamente musicale, collocata fra un atto e l'altro di una normale rappresentazione teatrale di cui non faceva necessariamente parte. Queste "proto-opere", che combinavano danza e madrigali, divennero sempre più elaborate e complesse, fino a trasformarsi in drammi musicali autonomi e completi che venivano eseguiti in occasione di eventi particolari, come matrimoni o feste di corte.

Nato a Cremona nel 1567, Claudio Monteverdi aveva studiato canto, musica e composizione nella sua città natale, per poi trasferirsi a Mantova come suonatore di viola alla corte del duca Vincenzo Gonzaga. Questi aveva una vera e propria passione per l'arte e per la musica (una tradizione di famiglia), e volle portare anche nella propria città quel nuovo tipo di spettacolo che gli artisti fiorentini stavano sviluppando. Dopo che il duca assistette a Firenze, in occasione del matrimonio di Maria de' Medici e del re Enrico IV di Francia (6 ottobre 1600), a una rappresentazione della "Euridice" di Peri, il principe ereditario Francesco Gonzaga chiese ai suoi musicisti di realizzare un'opera su temi simili. Monteverdi, che nel frattempo era diventato il mastro della musica di corte, ebbe il compito di comporre la partitura, mentre il libretto venne commissionato ad Alessandro Striggio.

Diplomatico presso la corte dei Gonzaga e figlio a sua volta di un noto compositore, Striggio si ispirò per il suo testo a diverse fonti: innanzitutto a quelle dell'antichità, in particolare le "Metamorfosi" di Ovidio e le "Georgiche" di Virgilio; poi al dramma lirico "La fabula di Orfeo" del 1480 di Angelo Poliziano; al dramma pastorale "Il pastor fido" di Giovan Battista Guerini (di cui proprio Monteverdi aveva curato un allestimento a Mantova nel 1598); e infine alla già citata opera "Euridice" di Jacopo Peri, al cui libretto – di Ottavio Rinuccini – è in parte debitore. Il testo di Rinuccini, essendo stato scritto in occasione dei festeggiamenti di un matrimonio, terminava però con un lieto fine (Orfeo riusciva a ricondurre con sé Euridice dal regno dei morti!), mentre Striggio poté permettersi una maggiore fedeltà al mito originale.

Dopo la prima rappresentazione in occasione del Carnevale del 1607 di fronte a un pubblico ristretto (composto da nobili e dai membri dell'Accademia degli Invaghiti, la società musicale fondata a Mantova sotto il patrocinio dei Gonzaga), rappresentazione che suscitò un entusiasmo tale da spingere il duca a chiederne quasi immediatamente una replica nei giorni successivi, l'opera venne allestita negli anni seguenti anche in altre città italiane. Monteverdi ne pubblicò lo spartito a Venezia nel 1609, con il finale modificato, cui seguì una ristampa nel 1615. Dopo la morte del compositore nel 1643, però, l'opera venne presto dimenticata. Fu riscoperta alla fine del diciannovesimo secolo, in pieno revival del barocco, e da allora è rientrata stabilmente nel repertorio dei grandi teatri lirici (anche se solo nel tardo ventesimo secolo si è cominciato a prestare la necessaria attenzione filologica al testo e all'uso di strumenti d'epoca, molti dei quali sono naturalmente diversi da quelli che fanno parte della tradizionale orchestra classica).

Proprio l'orchestrazione è assai particolare, visto che a una meticolosa lista degli strumenti necessari (all'inizio dello spartito Monteverdi ne elenca ben 33, ai quali ne vanno aggiunti altri 8 – come le trombe della toccata – il cui utilizzo è occasionale: un numero non proprio indifferente per l'epoca!) non corrisponde poi una specifica indicazione di come e quali adoperare in ciascuna scena: i vari gruppi di strumenti sono semplicemente citati in base alla loro "funzione drammatica" e associati alle diverse sequenze a seconda dei personaggi sul palco (gli archi e i flauti per accompagnare i pastori, gli ottoni e le trombe di legno per gli spiriti degli inferi, ecc.), anche per permettere alle orchestre delle varie corti di "adattare" senza fatica la partitura agli strumenti a propria disposizione (di fatto l'opera si può allestire senza problemi anche con un organico assai più ristretto di quello indicato dall'autore). Molto spazio viene inoltre lasciato – com'era consuetudine allora – ad "abbellimenti" e aggiunte secondo l'improvvisazione dei musicisti (che spesso erano a loro volta compositori) e l'estro degli stessi cantanti. Dal punto di vista musicale, voci e strumenti si intrecciano fra loro in maniera armonica e "concertante", creando un equilibrio perfetto che non aveva assolutamente precedenti. Monteverdi fonde insieme vecchie e nuove "forme" (arie, recitativi e canzoni a strofe si alternano a ritornelli strumentali, cori e danze) e le utilizza in funzione dell'azione teatrale con una ricchezza di stili che si rispecchia nei continui cambi di tono da un atto all'altro. Senza limitarsi ad "accompagnare" semplicemente il testo con la musica, ne sfrutta l'effetto drammatico per trasmettere emozioni e passioni. Ricorre ampiamente anche alla polifonia (l'intersezione di più voci melodiche): pur rifacendosi allo stile dei madrigali fiorentini, di fatto la sua opera segna il passaggio decisivo dal Rinascimento al Barocco.

Le parti vocali da solista sono numerose, ma con l'eccezione del cantante che veste i panni di Orfeo – l'unico sempre presente in ogni atto – gli altri interpreti di solito si alternano in più ruoli (per esempio, la Musica del prologo può essere anche Euridice nel resto dell'opera, la Messaggera è la Speranza, la Ninfa è anche Proserpina, i pastori sono anche gli spiriti). I principali ruoli femminili erano originariamente interpretati da castrati (la parte di Euridice, nella prima rappresentazione, sarebbe stata eseguita addirittura da un prete, padre Girolamo Bacchini): oggi naturalmente le parti sono interpretate da donne, anche se talvolta si ricorre a controtenori. Notevole lo spazio dedicato ai cori, numerosissimi nel corso dell'opera e spesso caratterizzati da una funzione drammaturgica che va oltre il semplice commento (si pensi agli inni festosi delle ninfe e dei pastori nei primi due atti).


Alcune delle incisioni più celebri:



Link utili:

Articolo su Wikipedia in inglese
Articolo su Wikipedia in italiano
Articolo di John Eliot Gardiner
Articolo di Giovanni Vitali
Libretto completo
Partitura (ristampa del 1615) [pdf]